A suo tempo cercammo di dirottare fondi comunitari a Racalmuto inventando un nostro PARCO LETTERARIO intitolato a Sciascia. Fummo avversati autorevolmente ed il nostro "parco" andò buca. Qualche antagonista del tempo un qualche rimorso ce l'ha? Non credo abbia pensato che volevo specularci sopra. Di tasca ci avrei rimesso. Ora quelli che vollero sostanzialmente consegnare il loro vincente parco a Caltanissetta un resoconto lo vogliono offrire alla Comunità Racalmutese?
LEONARDO
SCIASCIA
LEONARDO
SCIASCIA OLTRE LA CORDA PAZZA
SEZIONE I
Quantificazione di massima del valore degli investimenti proposti e delle
fonti finanziarie
SEZIONE II
Museo Storico
LEONARDO
SCIASCIA
TITOLO
DEL PARCO LETTERARIO:
LEONARDO
SCIASCIA OLTRE LA CORDA PAZZA
SINTESI:
Una riverberazione laica delle proprie ataviche piaghe
Racalmuto la inflisse al suo più grande figlio: Leonardo Sciascia.
Oltre alle tre corde di letteraria ascendenza, in
particolare quella erasminiana - da pizzicare con accoramento ancestrale,
dolorosamente - scaturigini ed echi di
un DNA che sprofonda nella notte dei tempi, nelle ammonitrici e neglette
testimonianze sicane, sono il dono avvelenato dell’altipiano racalmutese cui
Sciascia è dannato per una gioia creativa, per una miracolosa
transustanziazione: Racalmuto sta indissolubilmente a Sciascia per sentenza
inappellabile del moderno inferno della comunicazione multimediale. Quasi
quotidianamente, radio, televisione, carta stampata, Internet proclamano
Racalmuto “il paese di Sciascia”.
E, per converso, Sciascia sta avvinghiato a Racalmuto
in una simbiosi inviolabile. Se parco letterario si vuole sotto l’egida del
grande scrittore, esso va tutto legato a questo amaro lembo di terra visceralmente
vulnerato dal sale e dallo zolfo: il sale della sapienza; lo zolfo della
lupara. Ibridismi, devianze territoriali, accoppiamenti sarebbero contro
natura, fallaci, truffaldini.
Già, il sale nella piaga Sciascia voleva
intitolare il suo primo libro, il suo capolavoro, quelle “Parrocchie di
Regalpetra”, quel sale non su un’unica piaga ma sulle tante piaghe di
Racalmuto.
Ed il parco che s’intende porre in atto quelle piaghe
vuole ricercare “in corpore vivo”, sul luogo con tanti laboratori (molti
sperimentali), da quello a sfondo psicanalitico, a quello turistico, da quello
linguistico, a quello rievocativo delle ormai appannate tradizioni, da quello
musicale a quello del recupero archeologico (sinora obnubilato, pur in presenza
di una testimonianza sicana, greca, romana, bizantina, araba, normanna,
angioina, aragonese, spagnola, borbonica, savoiarda, garibaldina, crispina,
giolittiana, protofascista, fascista, democristiana, berlusconiana) ed
archivistico (vedansi gli archivi della parrocchia della Matrice di Racalmuto
risalenti al 1550, quelli del Comune, i vari fondi Palagonia, quelli notarili
dell’archivio di Stato di Agrigento, le carte di Simancas, Barcellona, Vienna
relative a Racalmuto di cui si ha pallida notizia).
Uno stelo - la flebile voce della grafia sciasciana -
su cui innestare a margherita i tanti laboratori possibili (degli itinerari
turistici da percorrere su carretti siciliani istoriati dall’artigianato
locale; delle campagne di scavi archeologici alla scoperta delle ancestrali
ispirazioni sciasciane; delle scuole di paleologia locale sulla peculiarissima
diplomatica della comunità ecclesiale racalmutese; dei sofà della musa di
Sciascia (lingua e linguaggio, dialetto e scrittura colta nello scrittore
racalmutese); del letto psicanalitico su cui adagiare i tanti personaggi
palesemente autoctoni dell’opera del Racalmutese; dell’organizzazione del museo
itinerante delle botteghe artigiane, dei cortili fridericiani, delle criptae
cum torculare delle vetuste corporazioni racalmutesi; dell’ideazione dei
microparchi faunistici e naturalistici che gli sprofondi apocalittici delle
desuete saline hanno inferto (vedasi Sacchitello) alla mirabile facies
racalmutese.
Il parco parte dall’opera letteraria di Sciascia per
dipanarsi in tante iniziative sperimentali - i suddetti laboratori - per
scandagliare il passato, poggiare sulle disponibilità intellettuali e culturali
del momento delle tante associazioni giovanili, per fornire un background alle
tante già esistenti iniziative turistiche, per conseguire approdi scientifici
inusitati (si pensi a centri sperimentali di ricerca per la cura e prevenzione della labilità psichica
degli anziani), per veicolare con le moderne tecniche multimediali (navigazione
in CD-ROM o su appositi siti in Internet) i risultati conseguiti in spazi
planetari.
Racalmuto viene dichiarato dagli studiosi di Sciascia
“fantasmatico”: tale paradigma può (deve) trovare senso, immagine e
rappresentazione in un “parco letterario”.
In Occhio di Capra Sciascia ammonì:
“Isola nell’isola, ...la mia terra, la mia Sicilia,
è Racalmuto.. E si può fare un lungo discorso su questa specie di sistema di
isole nell’isola: l’isola-vallo ..
dentro l’isola Sicilia, l’isola-provincia dentro l’isola-vallo, l’isola paese,
dentro l’isola-provincia, l’isola-famiglia dentro l’isola-paese,
l’isola-individuo dentro l’isola-famiglia ...”.
Un lungo
discorso che Sciascia additò e non fece, il parco letterario che il nostro
Centro ha voglia di fare per una navigazione multimediale in questo dedalo di
isole fantasmagoriche, ma con centro carnale in Racalmuto, luogo ben concreto
sia pure con il suo fardello di memorie dementi. Racalmuto, terra antica, in
cui Sciascia vide e descrisse con occhi compassionevoli e con cuore trepido una
millenaria vicenda sgorgante da una
'vita pur sempre tenace e rigogliosa che si abbarbicava al dolore ed
alla fame come erba alle rocce'.
SEZIONE I
Profilo dell’Autore
Sembra persino irriguardoso volere qui tracciare un
profilo di Leonardo Sciascia, scrittore e moralista sommo dell’ultimo quarto di
questo secolo. Vorremmo solo limitarci a quello che in copertina di uno dei
tanti suoi libri di notorietà planetaria può leggersi: “Leonardo Sciascia,
nato a Racalmuto (Agrigento) nel 1921, è morto a Palermo nel 1989. Tra i più
grandi scrittori italiani del ‘900, è stato anche una delle più vigilanti
coscienze critiche del nostro tempo.” E trattasi poi del retro di una
ennesima edizione de “Le parrocchie di Regalpetra” e cioè di quel sublime
“tentativo” di Sciascia di dare senso ad un negletto e compresso paese di
Sicilia. Già! Scrive Sciascia: “Ho tentato di raccontare qualcosa della vita
di un paese che amo, e spero di avere dato il senso di quanto lontana sia
questa vita dalla libertà e dalla giustizia, cioè dalla ragione”.
Quelli che ora vogliono Racalmuto, il paese della
ragione, sono dunque ben pagati.
Ma si dice che in una pretestuosa graduatoria Sciascia
verrebbe al quarto posto per una sollecitazione di un parco letterario: dopo
Verga, Tommasi di Lampedusa, Pirandello... tutti scrittori sommi, certo, ma non
classificabili secondo un criterio neppur degno .... di un campionato di
calcio.
Se un parco letterario ha senso, se un connubio tra
terra natale di un grande scrittore e la fonte ispiratrice è di palmare
evidenza, se si vogliono evitare storpiature e forzature (il verismo verghiano
compresso in talune località marine, il cerebralismo pirandelliano rappreso
nelle odiate ed abbandonate solfare agrigentine, il nobiliare struggersi
lampedusiano nel rammarico di un mondo perduto, effimero ma non riducibile alle
cadenti mura del castello avito di una irriconoscibile Palma di Montechiaro),
se si vuole davvero privilegiare un verace parco letterario, quello articolabile
nelle plaghe racalmutesi al nome di Leonardo Sciascia si staglia
imperiosamente, imparagonabilmente.
Opere
Tre volumi editi da Bompiani non sono esaustivi
dell’opera omnia di Leonardo Sciascia: omissioni gravi quali “Fuoco all’Anima”
(la vedova ha voluto censurarlo); manie agiografiche; querule superfetazioni;
rarefazioni (imperdonabili) della prosa (solo quantitativamente minore) sono
appunti critici facilmente oppugnabili.
Non si può, in questa sede, dispiegare un qualche dato
segnaletico della produzione letteraria di Leonardo Sciascia: all’occorrenza
sono esibibili lavori scientifici di alto pregio e taluni di già vasta
diffusione.
Una pagina minore, tuttavia, la vogliamo qui allegare
in fotocopia, ad ulteriore dimostrazione del vincolo indissolubile tra Sciascia
e Racalmuto.
Luoghi d’ispirazione
“E’ stato detto - polemizza Sciascia in una prefazione
alle sue “Parrocchie” - che nelle Parrocchie di Regalpetra sono contenuti i
temi che ho poi, in altri libri, variamente svolto. E l’ho detto anch’io.”
Ebbene, “Parrocchie” è libro fin troppo scopertamente raffigurativo di
Racalmuto (alias Regalpetra), di uomini racalmutesi (Lascuda, Gaspare MartineZ,
don Ferdinando Trupia e - se si vuole - gli “umanissimi” capi mafia di “Giorno
della Civetta”, tutti noi racalmutesi sappiamo benissimo chi furono, cosa
veramente pensavano, quanto effettivamente valevano), di ben precise località
(non soltanto la Noce, ma Canalotto, Serrone, Pantanelle, Castello,
Castelluccio, Matrice, S. Francesco, Monte, S. Giuliano, S. Maria di Giesu
sic!, il Corso etc.), di eretici (invero alquanto stracci e paesani quali
fra Diego La Matina), di ritrovi e di taverne (il circolo della Concordia ove
uomini vani si consideravano il sale della terra in affabulazioni vacue,
derelitte, oscene, è ancora operante; da
rievocare con un apposito laboratorio di
cui diremo dopo).
Sarebbe persino paradigmatico rinvenire in Racalmuto
il cosmo ispiratore dell’opera di Sciascia: i “laboratori” che proponiamo hanno
appunto questo ambizioso intento.
Bibliografia
Sconfinata è la letteratura - specie straniera, specie
francese - che riguarda Sciascia. E’ cognizione comune. A che serve citare
l’opera dell’Amboise o i mirabili schizzi del suo primo estimatore Pasolini?
Davvero dobbiamo accennare all’orgia encomiastica di un Matteo Collura? Val la
pena di citare con tutte le riserve del caso le pagine denigratorie di un Santi
Correnti? Si devono citare le pubblicazioni parlamentari? Non si mancherà in un
apposito “laboratorio” di far rivivere le devastanti polemiche sul presunto
“antistatalismo” sciasciano dei tempi delle “Brigate rosse” o sull’avversione
di Sciascia nei confronti del carrierismo di taluni magistrati - poi canonizzati per sopravvenuta
morte violenta - per preteso eroismo nella lotta contro la mafia. Scalfari,
Bocca, Arlacchi, Della Chiesa, Camilla Cederna scrissero pagine astiose e dure,
tutte comunque riesumibili in ricerche d’archivio che l’eventuale “Parco” dovrebbe
sollecitare e concretare.
Il letterato, il poeta, il maestro, il polemista, il
microstorico, il critico d’arte, il politico, il deputato, l’anarchico, l’amico
di Pannella e di “Lotta continua” e via di seguito, solo un parco letterario al suo nome, in Racalmuto,
potrà far rivivere per un impulso rievocativo, per una riaccensione dei valori
cari a Sciascia, per la rivisitazione in loco, per lo sviluppo di un
turismo che non è detto che debba essere di massa, ma può e deve essere colto,
avveduto, magari elitario ma vivificante. A che serve una pagina del TCI -
certamente meritevolissima ed accattivante -
su Racalmuto, se dovesse tardare un “parco letterario” idoneo a
rettificare le tante, troppe, sviste, topiche, inverosimiglianze storiche che
attualmente la storpiano?
Rapporto con il territorio
Da quello che abbiamo già detto emerge a chiare lettere il rapporto intenso,
vivificante, indissolubile tra Sciascia e
Racalmuto. Regalpetra è Sciascia; Racalmuto è Regalpetra. Dilungarsi è
ozioso.
Livello di notorietà, in Italia e all’estero.
Ci dichiariamo davvero incapaci di ragguagliare
sull’immensa notorietà di Sciascia, oltre a quella scontatissima in Italia, in
tutte le parti del mondo, da quello occidentale allo sterminato pianeta cinese
(i postini racalmutesi impazzivano nel cercare di decriptare l’indirizzo del
fiume di lettere che perveniva dalla Cina per essere recapitate, in estate, a
Sciascia tutto preso con la creazione dei suoi capolavori nella rustica casetta
della contrada Noce).
Pur nella sua esageratissima modestia, Sciascia ha
destinato alla Fondazione al suo nome (chissà se e quando sarà operativa) l’immensa mole di “edizioni e traduzioni dei
miei libri, di tutte le lettere da me ricevute in circa mezzo secolo di
attività letteraria”.
Ci pare comunque significativo che persino nella
sperduta università di Buffalo (USA) si approntino tesi di laurea ove Sciascia
la fa da maestro (Vedansi le accluse fotocopie di una tesi di laurea di Marie
Saccomando Coppola su “Toward a missing link in the identity of Italian
American women: oral histories of Sicilian and Sicilian American women”).
SOGGETTO PROPONENTE
Soggetto proponente:
“Centro Socio-culturale Conte Del Carretto”
associazione senza scopo di lucro
Trattasi di associazione con sede in Racalmuto,
contrada Caliato n.° 26. Lo statuto, che si allega, è sufficientemente
esplicito sulle finalità dell’associazione; in particolare - a parte l’attività
didattica e formativa - è preminente lo scopo di “adottare le iniziative
culturali per la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico”
racalmutese.
L’associazione che ormai vanta un’affermazione di
tutto risalto nel mondo professionale, culturale, imprenditoriale racalmutese,
opera di concerto con la realtà giovanile e in piena collaborazione con le
contigue associazioni giovanili locali. Con queste concerterà cooperazioni ed
applicazioni nel caso nel caso fosse officiata del parco letterario in
discorso.
In tal caso si adopererà quale centro di coordinamento
operativo, riservandosi comunque la regia e la responsabilità amministrativa.
Responsabile della realizzazione
degli interventi
L’associazione ha affidato la responsabilità degli
interventi e la direzione degli stessi al
dott. Calogero Taverna, via Lorenzo Rocci, 68 - 00151
Roma (tel. 06/65742876).
Il dott. Calogero Taverna, racalmutese di nascita e
con attaccamento alla sua terra natale, è un ex ispettore di Vigilanza della
Banca d’Italia ed è stato superispettore del Secit negli anni ottanta.
Dedito ormai alla ricerca storica su Racalmuto, è
assiduo frequentatore degli Archivi Segreti Vaticani e di quelli statali,
vescovili e parrocchiali in cui ha scovato materiale di prima mano sulla
microstoria di Racalmuto. In quiescenza, ha ancora l’occorrente vitalità per
direzioni quali quelle in discorso ove potrà avvalersi della non comune
esperienza acquisita in campo bancario, fiscale, finanziario ed amministrativo.
Opererebbe gratuitamente, con spirito di servizio. La sua non comune conoscenza
dell’opera sciasciana sarebbe molto proficua ai fini della buona riuscita del
progettato parco letterario.
Descrizione del territorio
Il territorio di Racalmuto ben si presta ad un ordito
di transfigurazioni letterarie sulla scia delle varie, ineguagliabili visioni
creative sciasciane. La Noce, ad esempio, si trasfigura in un paesaggio
tizianesco, con visionarietà erotiche, con senili “alumbriamenti”. La Chiesa
del Carmine entra d’impeto nelle Parrocchie di Regalpetra “con un massiccio
sarcofago di granito, due pantere rincagnate che lo sostengono”. Il Castello
Chiaramontano è ancora altissimo ed imponente e là “il conte stava affacciato
al balcone alto tra le due torri guardando le povere case ammucchiate ai piedi
del castello”; allora (nel ‘600) come adesso. “Di zolfare e saline si dice nei
privilegi reali relativi a Regalpetra”. Qualche svista storica qui Sciascia la
commette; ma zolfare e saline costellano tuttora il territorio racalmutese, per
una rivisitazione creativa alla Sciascia, per una rievocazione delle amare
vicende sindacali come antichi contratti (si acclude una fotocopia del
frontespizio).
Le pagine (23, 24, 25 e 26) - che qui in fotocopia
richiamiamo - sono ancora tutte godibili in una localizzazione del parco. Come
ai tempi cui Sciascia si riferisce e ciò in una sovrapponibilità di sicuro
richiamo turistico.
Località, fatti, figure, apologhi delle Parrocchie, di
Morte dell’Inquisitore, degli Zii di Sicilia, di Occhio di Capra, del Mare
colore del vino, di Kermesse, della vasta produzione minore, saranno
puntualmente ricollocati negli anfratti in cui Sciascia li aveva allogati pur
nella trasfigurazione della propria letteraria creatività. Il parco - se
prescelto - saprà bene individuare una cosiffatta topografia. Racalmuto resta
tutto sommato intatto. Certo, devastazioni, incurie, inculture danni ne hanno
prodotti. Un motivo in più perché si dia vita ad un “parco” chiamiamolo pure
“letterario”.
Descrizione degli interventi
previsti.
Non si ha un animo di acquisire stabili o terreni di
sorta (anche se sarebbe opportuno per stroncare l’attuale vandalismo
culturale): oltre tutto la natura giuridica dell’associazione proponente lo
impedirebbe.
Ma operare con
gli strumenti giuridici degli affitti pluriennali o con la sollecitazione verso
gli enti pubblici (territoriali e non) è pur possibile. Case vetuste potranno
venire restaurate e ricondotte alle loro antiche attitudini ad ospitare i
contadini descritti da Sciascia o gli zolfatai delle varie pagine del grande
scrittore o dei salinai cui il grande Racalmutese dedica note forse le sole
commosse del suo scrivere con “blasfema ironia”, come ebbe a confessare.
Gli interventi veri e propri comunque saranno quelli
di cui dopo diremo quando specificatamente descriveremo latitudini e
peculiarità dei nostri “laboratori” che presumiamo decisamente originali ed
irrepetibili.
Descrizione delle attività
promozionali e culturali previste
Nucleo del “parco” sarà l’articolazione dei seguenti
laboratori:
)
organizzazione di itinerari turistici ispirati all’opera di Sciascia con
modalità e percorsi inconsueti;
)
istituzione di musei (religiosi, etnografici, storici) che pur rifacendosi alle
notazioni sciasciane sappiano valorizzare la sconfinata - ma per il momento
solo parzialmente conosciuta - storia di Racalmuto e dei dintorni (Grotte,
Naro, Montedoro, Bompensiere, Milena);
)
scuole di alta specializzazione nei settori della diplomatica, paleografia,
archeologia, microstoria, settori di specifico riferimento a Racalmuto ed al
suo inestimabile patrimonio archivistico, archeologico e storico;
)
sofà psicanalitico per una inusitata indagine sui testi di Sciascia e per una
concreta fruizione dei risultati a fini terapeutici, specie nel settore della
labilità mentale senile;
)
concertazione di iniziative volte al recupero del dialetto racalmutese, della
tradizione musicale locale, del canto gregoriano quale nei secoli scorsi clero,
sodalizi monacali e le peculiari confraternite racalmutesi salmodiavano come i
tanti “libri cantorum” custoditi nelle chiese di Racalmuto comprovano ed in
certo senso tramandano;
)
coordinamento con i centri culturali di Grotte per il recupero della
tradizionale teatralità di questa periferia agrigentina;
)
collegamento con il locale circolo Unione per un’ardita riesumazione dello
sciasciano “circolo della concordia” con i suoi veridici personaggi, le sue
atmosfere sociali, il suo scenario, le sue vetuste sale: un micromuseo in un
normale e funzionante circolo quale continua ad essere;
)
compartecipazione maggioritaria in una società mista con il Comune cui
demandare iniziative imprenditoriali nel campo del turismo locale;
)
costituzione di una società di capitali per rilanciare il vecchio progetto di
una traslazione cinematografica delle “Parrocchie di Regalpetra” che il regista
racalmutese Beppe Cino - discepolo di Rossellini - da tempo agogna di girare;
)
attività traslativa dei disparati risultati conseguiti in CD-ROM o in siti
Internet a disposizione del mondo dei navigatori informatici.
Di ognuno di codesti “laboratori” forniremo nella
sezione 2 ogni opportuno ragguaglio.
Analisi di marketing e ipotesi di flussi migratori
Discettare di marketing a sfondo turistico oggi per
Racalmuto sarebbe idiozia: Racalmuto è depresso; è in fase di declino
demografico; l’esodo è persino biblico; agricoltura, miniere, salgemma sono flatus
vocis. Un tempo, no: rappresentavano realtà di turbolenza economica. A fine
Ottocento si parlava di Eldorado a motivo dello zolfo racalmutese; nel XV
secolo i genovesi, i grandi usurai, i nobili di Racalmuto intessevano contratti
a termine sul grano che sembrano moderne operazioni speculative (i termini
odierni sarebbero: spot, forward, swap). Ed allora si deve lasciar morire un
centro così glorioso? Non c’è un motivo in più per piantarvi un parco
letterario che è obiettivamente idoneo ad una sorta di resurrezione di Lazzaro
(economicamente parlando s’intende)? Oggi un circolo vizioso sembra
attanagliare Racalmuto: si nega un “parco letterario” perché flebile è il marketing ed evanescente il flusso
turistico; non c’è marketing e flusso turistico perché latitano iniziative
intelligenti del tipo “parco letterario”. Non val la pena spezzare un siffatto
circolo vizioso ed inventarne uno “virtuoso”?
Non è persino doveroso ideare un parco letterario al nome di Sciascia
per avere marketing e flusso turistico?
V’è una via privilegiata che si può (forse si deve)
percorrere: studiare, ricercare, sperimentare, e, quindi, digitalizzare,
produrre CD-ROM, trasferire su Internet. Lettori inconsueti, curiosi delle più
lontane plaghe del mondo, ricercatori, studiosi sicuramente avranno voglia di
venire in loco nella sperduta Racalmuto, per curiosare, appurare,
constatare, criticare, suggerire. Un flusso turistico colto, cui subentrerà di certo
quello di massa.
Che cosa è oggi Racalmuto sotto il profilo economico?
Anche in aree a sviluppo industriale tradizionalmente
compresso, quali la Sicilia o in particolare l’Agrigentino o l’interna plaga
racalmutese, si avvertono - alle soglie del 2000 - sommovimenti, fremiti,
premonizioni, affioramenti di potenzialità produttive che non vanno
sottovalutati o peggio repressi. L’approccio all’insorgente realtà economica e
sociale di un siffatto territorio va prontamente depurato dagli usuali
preconcetti: persino gli atavici inceppi quali gli ostacoli malavitosi stanno
venendo aggrediti da una magistratura che, al di là delle critiche, appare
efficace ed efficiente nella lotta alla mafia.
Se poi - senza pregiudizi - si dà uno sguardo alla
caotica ricchezza finanziaria, sia pure di derivazione criminale, si vanno
evidenziando i segni di una mutata e riformata realtà, propizia ad investimenti
localizzati, atti a remunerare capitali privati al presente allo sbando tra i
depositi bancari, assolutamente non più remunerativi, tra i titoli di Stato in
avvilente depressione reddituale, nonché tra i disavvertiti approcci alla
Borsa. Sintomatico il fatto che nella sola Racalmuto si raggrumano negoziazioni
- spesso incaute, quasi sempre dilettantescamente ispirate - per oltre il
miliardo di lire giornaliero.
Le vocazioni industriali quindi sbocciano con
intensità crescente e con affinamento vieppiù pregevole.
Quello che di certo può preventivarsi è un
consolidarsi di attività informatiche in un siffatto contesto economico. Non si
è lontani dal vero se si prevedono iniziative atte a vivificare ciò che ormai
si indica come “mercato consumer”.
E nel “mercato consumer” l’avvento della rivoluzione
digitale ha determinato una svolta tecnologica molto settoriale e di portata fortemente
specialistica, giusta le analisi della pubblicistica specializzata.
Nelle aree di relativo sottosviluppo l’impatto tra
l’arretratezza dei comparti tradizionali e i fermenti del mondo informatico ha
peculiarità non perspicuamente indagate ma non per questo meno precorritrici di
flussi e di apporti capitalistici, secondo una prospettiva davvero allattante.
Si pensi che in territorio di Racalmuto - sacca di
sicuro industrialmente retriva - la Telecom ha installato per la sua rete di
telefonia digitale un’antenna d’avanguardia, non avendo remore a corrispondere
per il solo affitto del suolo d’installazione canoni annui esorbitanti (si
parla di una ventina di milioni l’anno per un terreno agricolo il cui valore
commerciale d’acquisto non supera i sei
milioni di lire per ettaro). Se una multinazionale avveduta investe così
massicciamente in una zona come Racalmuto, ciò significa che in loco è
prevedibile uno sviluppo di iniziative legate alla telematica, a prescindere
dal vezzo del cellulare e cioè dalle aberrazioni che il nuovo “status symbol”
comporta.
In particolare vanno condivise le opinioni di chi
afferma: “Di questo quadro generale [ ... ] l’elemento più interessante è
sicuramente il fatto che il mercato comunque cresce, modifica la sua struttura,
amplia la sua larghezza di banda. Un mercato nel quale i punti di emissione, i
centri del broadcasting si moltiplicano. Cresce, parallelamente, la domanda di
comunicatori digitali, di professionisti capaci di comunicare ma, soprattutto,
padroni (culturalmente e tecnicamente) del digitale e delle nuove possibilità
di organizzare e veicolare i contenuti ...”
In generale importano soprattutto queste annotazioni
della pubblicistica ormai pacificamente accolte: “gli stop-and-go che
caratterizzano i livelli alti del business del multimedia dimostrano anche
un’altra cosa. La piccola
taglia, la piccola dimensione d’impresa (dove bassi costi fissi si
associano ad un alto grado di cultura,
di creatività, motivazione in una struttura non elefantiaca e
deburocratizzata, qualità che la grande scala aziendale difficilmente può
vantare) possono essere armi
vincenti [corsivo del r.] ”
Conclusivamente resta assodato che: “la piccola
impresa, la sua capacità di sfruttare creativamente gli strumenti della
comunicazione multimediale, la sua mentalità in piena sintonia con il timing e
il flusso degli eventi digitali, l’assenza di zavorra analogica possono giocare
un ruolo vincente anche in mercati dove incrociano transatlantici e corazzate.
[ ...] Se nell’editoria pura .. i più piccoli non hanno la forza finanziaria
per attendere che il mercato maturi ... , una buona mossa può essere la
produzione magari al servizio o in alleanza con la grande impresa.”
In tale humus potrebbe radicarsi il nostro parco che
dovrà ramificare in coincidenza con gli sviluppi industriali di plaghe quali
Racalmuto e fruttificare nel preventivabile boom dell’informatica e della
telematica. Tende, esso parco, a profittare delle risorse culturali,
paesaggistiche, archeologiche, professionali che la patria di Sciascia ha
doviziosamente in serbo, anche se sinora neglette.
Per il momento Racalmuto abbonda solo di impiegati
comunali: l’azienda “Comune” - ripostiglio di indolenza sociale, politicamente
appetibile solo per i risvolti del clientelismo elettorale - consente
sopravvivenza ad un pletorico personale.
Ben 121 dipendenti figuravano più o meno miseramente
sovvenzionati nel decorso anno. Una massa di stipendi e di oneri riflessi pari
a 5 miliardi e mezzo di lire si aggrumò nel 1997 sulle spalle dei contribuenti
( a dire il vero la Ragione Siciliana profuse un miliardo e mezzo di lire). Un
contorno di personale - di impalpabile qualificazione professionale - riscuote
salari a titolo di L.S.U. (lavoro socialmente utile): 100 milioni a carico del
Comune; 1,5 miliardi a carico dello Stato o della Regione.
Il quadro sinottico tracciabile si dispiega lungo
queste cifre:
Scuole dell’obbligo
|
||
maschi
|
femmine
|
totale
|
50
|
3
|
53
|
Licenza
media superiore
|
||
maschi
|
femmine
|
totale
|
43
|
18
|
61
|
Laurea
|
||
maschi
|
femmine
|
totale
|
3
|
4
|
7
|
Totale generale
|
||
maschi
|
femmine
|
totale
|
96
|
25
|
121
|
Emblema dell’irrazionalità del quadro economico è il
seguente prospetto delle licenze commerciali:
1.
Commercio fisso: n.° 162;
2.
Commerci su aree pubbliche: n.° 143;
3.
Produttori agricoli: n.° 51;
4.
Pubblici esercizi: n.° 27.
Un terziario così pletorico sarebbe esiziale se non
fosse inattendibile. Un velo ipocrita, o peggio, copre dunque una realtà
economica ben più viva ed operosa che sfugge alle statistiche ufficiali.
Diversamente non si spiegherebbe la massa di mezzi fiduciari in parcheggio
presso le banche; diversamente sarebbe dissennatezza la frotta di laureati
(nelle più disparate discipline) che Racalmuto annualmente sforna. Oggi, con
connotati di disoccupazione totale o di sottoccupazione, questo piccolo centro
dell’Agrigentino annovera tecnici laureati o diplomati (ingegneri, architetti,
geometri) nel settore scientifico per una settantina di elementi; tecnici
dell’area contabile (laureati in economia e commercio e ragionieri) per circa
una ventina di soggetti ed altrettanti nell’area giuridica (avvocati o meri
laureati in giurisprudenza).
Si guardi l’illuminante foglio di un periodico locale
(Vedi fotocopia).
Quantificazione di massima del valore degli investimenti proposti e delle
fonti finanziarie
In relazione ai suaccennati “laboratori” può
prefigurarsi questo budget di investimenti approntabili
dall’Associazione Conte del Carretto:
1 ) organizzazione di itinerari turistici ispirati
all’opera di Sciascia con modalità e percorsi inconsueti;
|
|||||||||||||||
Acquisto di n.° 10 carretti
siciliani istoriati
|
a L. 10.000.000 cadauno
|
L. 100.000.000
|
|||||||||||||
Acquisto di n. 10 giumente
|
a L. 5.000.000 cadauna
|
L. 50.000.000
|
|||||||||||||
Bardature diverse
|
L. 20.000.000
|
L. 20.000.000
|
L. 170.000.000
|
||||||||||||
Studi e ricerche per la definizione degli itinerari
turistici
|
L. 20.000.000
|
L. 20.000.000
|
|||||||||||||
Retribuzione e compensi ad
accompagnatrici/accompagnatori
|
Anticipo per il primo anno
in misura forfettaria di L. 12.000.000 per ciascun componente: sono previsti
n. 10 collaboratori, uno per ogni carro. Dopo il primo anno, i proventi della
specifica attività dovranno essere sufficiente alla copertura finanziaria
|
L. 120.000.000
|
L. 120.000.000
|
||||||||||||
Spese varie
|
Imposte, tasse, cancelleria,
assicurazioni, telefono, fitti, compensi straordinari
|
L. 60.000.000
|
L. 60.000.000
|
||||||||||||
Totale laboratorio sub 1°
|
L. 370.000.000
|
||||||||||||||
2 ) istituzione di musei (religiosi, etnografici,
storici) che pur rifacendosi alle notazioni sciasciane sappiano valorizzare
la sconfinata storia di Racalmuto e dei dintorni (Grotte, Naro, Montedoro,
Bompensiere, Milena).
|
|||||||||||||||
Fitto dell'ex ospedale di
San Giovanni di Dio
|
Il fitto è relativo al primo
anno: dopo i proventi dovranno essere bastevoli per la copertura finanziaria
|
L. 36.000.000
|
|||||||||||||
Adattammento dei suddetti
locali
|
sistemi d'allarme; strutture
musive, e varie
|
L. 300.000.000
|
|||||||||||||
Recupero del materiale
ecclesiastico
|
Piviali, pianete, statue,
quadri ed altro
|
L. 500.000.000
|
|||||||||||||
Allestimento presso un
atelier del luogo delle suppellettili antiche di cui ai disponibili inventari
|
L. 300.000.000
|
||||||||||||||
Spese per il personale
|
limitatamente al primo anno
|
L. 100.000.000
|
|||||||||||||
Spese varie
|
Cancelleria, tasse ed altro
|
L. 80.000.000
|
L. 1.316.000.000
|
||||||||||||
Fitto di case sparse per il
museo etnografico
|
Precedibile un minimo di 10
case caratteristiche di varia dimensione il cui fitto medio non supererebbe
le L. 12.000.000 annue. Fitto previsto per il primo anno
|
L. 120.000.000
|
|||||||||||||
Reperimento di arredi
popolari antichi
|
L. 50.000.000
|
||||||||||||||
spese per il personale
|
L. 120.000.000
|
||||||||||||||
spese varie
|
L. 20.000.000
|
L. 310.000.000
|
|||||||||||||
Utilizzo di locali comunali
per sistemazione dell'archivio storico racalmutese
|
Si è certo che i locali si
avrebbero in comodato: le spese si limiterebbero dunque alle opere di
adattamento
|
L. 10.000.000
|
|||||||||||||
Mobilio ed arredi vari
|
L. 100.000.000
|
||||||||||||||
Spese per il personale
|
L. 50.000.000
|
||||||||||||||
Spese per computer,
abbonamenti Internet, telefonia
|
L. 100.000.000
|
||||||||||||||
Spese varie
|
L. 30.000.000
|
L. 290.000.000
|
|||||||||||||
totale
|
L. 1.916.000.000
|
||||||||||||||
Il preventivo verrebbe
coperto dall'eventuale contributo per il parco per non più del 40%; il resto
verrebbe reperito con apporti contributivo del Comune, Provincia e Regione;
al limite si ridimensionerebbero siffatte iniziative
|
L. 766.400.000
|
||||||||||||||
3 ) scuole di alta specializzazione nei settori
della diplomatica, paleografia, archeologia, microstoria, settori di
specifico riferimento a Racalmuto ed al suo inestimabile patrimonio
archivistico, archeologico e storico;
|
|||||||||||||||
Nei predetti musei ed
archivi si dovranno aprire scuole specialistiche di paleologia, archeologia,
storia locale. Limitata la spesa per i locali
|
L. 10.000.000
|
||||||||||||||
Compensi a docenti (specie
di livello universitario)
|
L. 100.000.000
|
||||||||||||||
Spese per il personale molto
limitate (sarà utilizzato soprattutto quello disponibile per le altre
iniziative)
|
L. 40.000.000
|
||||||||||||||
Spese varie
|
L. 50.000.000
|
L. 200.000.000
|
L. 200.000.000
|
||||||||||||
4 ) sofà psicanalitico per una inusitata indagine
sui testi di Sciascia e per una concreta fruizione dei risultati a fini
terapeutici, specie nel settore della labilità mentale senile;
|
|||||||||||||||
Si conta sulla circostanza
che i locali del vecchio ospedale racalmutese (dovuto a lasciti di apprezzati
benefattori locali) - oggi in totale abbandono vengano dati in comodato
all'Associazione proponente.
|
Le spese sono dunque quelle
occorrenti per la sistemazione
|
L. 200.000.000
|
|||||||||||||
Attrezzatura scientifica
|
L. 500.000.000
|
||||||||||||||
Personale specializzato
|
L. 200.000.000
|
||||||||||||||
Contributi scientifici
universitari
|
L. 50.000.000
|
||||||||||||||
Spese varie
|
L. 30.000.000
|
||||||||||||||
totale
|
L. 980.000.000
|
||||||||||||||
Anche qui prevedibili
contributi degli enti locali. A carico del Parco non più del 40%. In caso di
insufficienza di fondi, il progetto verrebbe adeguatamente ridimensionato
|
L. 392.000.000
|
||||||||||||||
5 ) concertazione di iniziative volte al recupero
del dialetto racalmutese, della tradizione musicale locale, del canto
gregoriano quale nei secoli scorsi clero, sodalizi monacali e le peculiari
confraternite racalmutesi salmodiavano.
|
|||||||||||||||
È codesta iniziativa che potrà svolgersi nei
locali disponibili per altri laboratori. Si conterà soprattutto sul
volontariato, davvero generoso in codesti comparti a Racalmuto.
|
Le spese sono dunque
limitatissime. Si possono pure prefigurare in alcune spese varie non
eccedenti
|
L. 5.000.000
|
L. 5.000.000
|
L. 5.000.000
|
|||||||||||
6 ) coordinamento con i centri culturali di Grotte
per il recupero della tradizionale teatralità di questa periferia
agrigentina;
|
|||||||||||||||
Le sinergie che s'intendono
realizzare con la fervida operosità della contermine Grotte avranno un nodo
nevralgico nell'intesa con il Laboratorio teatrale Luchino Visconti di Grotte
per un'edizione stabile delle opere teatrali di Sciascia.
|
Verrà soprattutto utilizzato
il Teatro Comunale di Racalmuto, al centro dell'attenzione di Leonardo
Sciascia e prossimo alla riapertura dopo anni di restauro
|
L. 500.000.000
|
L. 500.000.000
|
||||||||||||
Si presume che solo per il
40% l'onere ricadrà sull'associazione
|
L. 200.000.000
|
||||||||||||||
7 ) collegamento con il locale circolo Unione per
un’ardita riesumazione dello sciasciano "circolo della concordia"
con i suoi veridici personaggi, le sue atmosfere sociali, il suo scenario, le
sue vetuste sale.
|
|||||||||||||||
Tramite Infotar s.r.l. si
procederà ad una serie di CD-ROM interattivi rievocativi della storia, degli
usi, delle atmosfere sociali del circolo al centro delle Parrocchie di
Regalpetra
|
Spese di produzione dei
CD-ROM
|
L. 200.000.000
|
L. 200.000.000
|
||||||||||||
Restauro delle sale del
circolo per il ripristino delle tappezzerie e dell'arredamento come da
descrizione sciasciana e secondo la disponibile documentazione fotografica
|
Lavori commissionabili
all'atelier specializzato di Racalmuto, ARCON s.r.l.
|
L. 100.000.000
|
L. 100.000.000
|
||||||||||||
Scenografica rievocativa dei
personaggi e delle "affabulazioni" dei vecchi tempi
|
Gigantografie fotografiche,
pannelli illustrativi, viaggi virtuali (da commissionare ad INFOTAR srl
Racalmuto
|
L. 100.000.000
|
L. 100.000.000
|
||||||||||||
Spese varie
|
L. 50.000.000
|
L. 50.000.000
|
L. 450.000.000
|
||||||||||||
8 ) compartecipazione maggioritaria in una società
mista con il Comune cui demandare iniziative imprenditoriali nel campo del
turismo locale;
|
|||||||||||||||
L'associazione intenderebbe
partecipare con fondi propri alla costituenda società mista SIRAC spa
Racalmuto cui è compartecipe il Comune di Racalmuto che potrebbe finanziare
tante iniziative collimanti con quelle del Parco Leonardo Sciascia
|
L. 300.000.000
|
L. 300.000.000
|
L. 300.000.000
|
||||||||||||
9 ) costituzione di una società di capitali per
rilanciare il vecchio progetto di una traslazione cinematografica delle
"Parrocchie di Regalpetra" che il regista racalmutese Beppe Cino -
discepolo di Rossellini - da tempo agogna di girare;
|
|||||||||||||||
Partecipazione, nella misura
del 50%, alla divisata iniziativa del "Laboratorio Teatrale Luchino
Visconti" di Grotte per la realizzazione del film sulle Parrocchie di
Regalpetra
|
L. 500.000.000
|
L. 500.000.000
|
L. 500.000.000
|
||||||||||||
10 ) attività traslativa dei disparati risultati
conseguiti in CD-ROM o in siti Internet a disposizione del mondo dei navigatori
informatici.
Tramite INFOTAR o altre
realtà informatiche dell'agrigentino, tutte le risultanze dell'attività
scientifica, storica, folkloristica, archeologica, etnografica del Parco
andrà trasfusa in CD-ROM navigabili e traslata in siti INTERNET
|
Preventivare sin d'ora gli
investimenti è arduo; approssimativamente si può affermare che non
supereranno il miliardo di lire
|
L. 1.000.000.000
|
L. 1.000.000.000
|
L. 1.000.000.000
|
In sommatoria generale
|
L. 4.183.400.000
|
|||
arrotondabili
|
L. 4.000.000.000
|
|||
Riconducibili
agevolmente nell'ambito dell'eventuale apporto dell'eroganda sovvenzione
comunitaria
|
L. 3.000.000.000
|
Con cosiffatti apporti scatterebbe in Racalmuto un
indotto a progressione geometrica. Già operano varie realtà imprenditoriali che
usufruiscono delle agevolazioni della legge n.° 488/92. Altre imprese come
INFOTAR (azienda d’avanguardia nell’attività dell’editoria digitale) sono in
attesa delle agevolazioni di cui alla menzionata legge. Sarà, poi, possibile
che la tormentata vicenda della società mista con il locale Comune abbia
finalmente felice esito: codesta società si proietterebbe in campi altamente proficui
sotto il profilo dell’esaltazione delle vocazioni turistiche di Racalmuto. In
cantiere vi sono già progetti che potrebbero far veicolare su tale società a
capitale misto (pubblico-privato) fondi per centinaia di miliardi a valere
sulla predetta legge 488 e su altri fondi comunitari per imprese cospicue come
campagne di scavi archeologici cui collegare attività turistiche del tipo degli
stages per vacanze “intelligenti”, strutture alberghiere che al contempo
sviluppino le possibilità di sfruttamento delle locali acque sulfuree o salse
ai fini terapeutici e via discorrendo. Il Parco Letterario al nome di Leonardo
Sciascia, quale qui concepito, davvero sarebbe di volano per un salto
qualitativo dell’addormentata realtà economica racalmutese e per un lancio nei
futuri, prevedibilissimi flussi turistici che, in vigenza di moneta unica,
esploderanno verso l’incantevole Valle dei templi agrigentina (contermine con
Racalmuto) e si dirameranno a margherita inondando la ormai celeberrima terra
natia di Sciascia, Racalmuto. Sul TCI questo ameno centro della Sicilia dovrà
venire ridisegnato. Oggi è malconciamente ridotto a “grosso centro agricolo che
prese nome dall’arabo Rahalmaut.” Ed è subito questa una “cervellotica
etimologia” come annota, per altre occasioni, il grande storico Garufi. I nuovi
storici locali ecco, ad esempio, come affrontano questa tormentata vicenda
dell’etimologia del toponimo di Racalmuto:
“ Normanni
del Conte Ruggero, 600 cavalleggeri - pare, depredarono il territorio
dell’altipiano ove sembra sorgesse un imprecisato Racel... a dire del
Malaterra. Nell’XI secolo, il gaito saraceno Chamuth, signore della vicino
Naro, con molta probabilità aveva il dominio del nostro Altipiano e forse vi
eresse un fortilizio, un Rahal: da qui il toponimo Rahal Chamuth,
a seguire l’acuta congettura del Garufi. I Saraceni furono, specie sotto
Federico II, ribelli e violenti: imprigionarono persino il vescovo agrigentino
Ursone. Federico II non fu tenero verso di loro, deportò a Lucera i caporioni;
gli altri - i più pavidi ed i meno appariscenti - si dispersero assumendo nomi
latineggianti o fingendo antica professione di fede cattolica. Per uno o due
decenni Racalmuto rimase comunque deserta. Un tale della famiglia Musca - forse
Federico Musca - poté appropriarsi del territorio, portarvi fuggiaschi,
verosimilmente ex saraceni, dotarli di terra e mezzi di lavoro e far sorgere un
nuovo casale. Il suddetto Federico Musca finì però con l’osteggiare il
vincitore Carlo d’Angiò e costui lo spogliò di quel casale assegnandolo nel
1271 a tal Pietro Negrello di Belmonte: un diploma degli archivi angioini ne specificava - prima di esser distrutto dai
nazisti nel 1943 - termini, modalità e dettagli. Finiva, per altro verso,
quella che possiamo considerare la preistoria racalmutese: un periodo buio ed
incerto che ebbe a protrarsi per 3271 anni. Quel che per tal periodo si è
scritto - ed è tanto ed anche dalla penna più illustre del luogo - è solo
cervellotica congettura. Possiamo solo credere a quei radi reperti archeologici
di cui si ha conoscenza ed a quel poco, spesso nulla, che riescono a svelarci
di tanto defluire umano degli antichi racalmutesi.
Con i Vespri
Siciliani, il casale di Racalmuto acquisisce importanza e ruolo perché può
fornire tasse e balzelli alla famelica pirateria di un Pietro d’Aragona. Il
centro abitato non contava più di 75 fuochi (circa 265 abitanti). Nel 1376 i
fuochi erano aumentati a 136 (circa 480 abitanti). Frattanto, Racalmuto - a
dire del Fazello - era stato requisito da Federico di Chiaramonte che pare vi
abbia costruito le torri del castello nella prima decade del 1300. Si sa che
Costanza Chiaramonte, unica figlia di Federico, fu l’erede universale. Che
abbia sposato prima il girovago ligure Antonio del Carretto e poi, divenuta
vedova, l’avventuriero Brancaleone Doria - forse quello dannato all’inferno da
Dante - si dice e qualche documento degli archivi di Stato palermitani sembra
confermarlo. Resta comunque certo che sino al 1396 Racalmuto è dominio dei
Chiaramonte, in particolare del celebre figlio illegittimo Manfredi Chiaramonte
- lo attestano le carte dell’Archivio Segreto Vaticano.
Tocca a
Matteo del Carretto rimpossessarsi del feudo, farne una baronia e farsene
riconoscere titolare dal re Martino, naturalmente previo esborso di sonanti
once. Il figlio Giovanni primo del Carretto è ancor più rapace del padre.
Nel 1404,
Racalmuto è ancora fermo a 150 fuochi (540 abitanti). Un secolo dopo nel 1505,
al tempo della “venuta” della Madonna del Monte, la sua popolazione sale a 473
fuochi (1670 abitanti). Ora domina il barone di Racalmuto Ercole del Carretto.
Il figlio Giovanni II esordisce con un delitto: commissiona a tal Giacchetto di
Naro la strage dei Barresi di Castronuovo per vendicare l’uccisione del
fratello Paolo, antenato di Vincenzo di Giovanni che nei primi decenni del 1600
scriverà una complessa trattazione su Palermo Restaurato, ove rammenterà
quei truci e letali eventi. Dopo, rimorsi e crisi religiose spingeranno quel
del Carretto a costruire chiese e conventi ed a chiamare a Racalmuto carmelitani
e francescani per una redenzione spirituale sua e del suo popolo. Certo, mero e
misto impero, terraggio e terraggiolo ed una pletora d’imposte e tasse feudali
fioccarono sui racalmutesi. Un notaio venne chiamato da Agrigento per i tanti
atti del barone (e dei suoi vassalli): era quel tale Jacopo Damiano che alla
morte di Giovanni II del Carretto finì sotto l’Inquisizione.
A metà del
secolo, nel 1548, la popolazione sale a n.° 896 fuochi (3163 abitanti), segno
che la politica del barone non era poi così devastante come sembra voler far
credere Leonardo Sciascia.
Quello che
non fa il barone, lo fa invece la peste del 1576: la popolazione racalmutese
viene decimata. Se crediamo ad un documento del fondo Palagonia, dai 5279
abitanti del 1570 si sarebbe passati ad appena n.° 2400 abitanti nel 1577. Ciò
non è credibile e si deve alla voglia tutta fiscale di impietosire il viceré
per una contrazione delle “tande” in mora e di quelle in atto. Di sfuggita, va
detto che la tentata evasione fiscale del 1577 non ebbe effetto. Le “tande” si
basavano sulla tassa del macinato: la drastica contrazione della popolazione
non consentiva un gettito bastevole a fronteggiare la soffocante tassazione del
governo spagnolo. Questo non ebbe pietà e la Universitas fu costretta ad
indebitarsi con gli stessi esattori, al contempo strozzini.
Sia come sia,
nel 1593 Racalmuto sembra risorta: gli abitanti ora sono in numero di 4448:
ovviamente molti fuggiaschi erano rientrati e, soprattutto, si doveva trovare
conveniente emigrare dai centri viciniori per sistemarsi nella neo-contea di
Racalmuto, le cui condizioni sociali, economiche e giuridiche in definitiva
tornavano appetibili.”
Prosegue il TCI: “fino al ‘300 l’abitato sorgeva
presso il luogo detto Casalvecchio [è invenzione del tutto infondata, n.d.r.];
l’odierno si venne fondando attorno al castello dei Chiaramonte [anche qui
inesattezze a profusione: il primo nucleo databile attorno al 1250 si stabilì
nelle grotte sotto il Carmine; il castello sorge postumo verso il 1310 a
seguire il Fazello; codesto pur immenso storico del ‘500 non è perspicuo ad
ipotizzare l’erezione dell’attuale castello racalmutese da parte di un cadetto
dei Chiaramonte e comunque è molto circospetto per suffragare la ricorrente
diceria di un castello chiaramontano a Racalmuto, n.d.r.]. E’ patria del
pittore Pietro d’Asaro, d. il Monocolo (1597-1647) [è ormai pacifica la data di
nascita del Pittore: 1579 e non 1597, n.d.r.]. Sul Corso Garibaldi,
al centro sorge la chiesa Matrice (dell’Annunziata), della fine
del ‘600, nel cui interno si conservano due dipinti dell’Asaro (Madonna e
Santi e Madonna della Catena) [da rettificare: l’Annunciata è chiesa
preesistente sin da prima del XVI secolo; l’attuale chiesa Madre ha laboriosa
gestazione, ma può dirsi disegnata nel primo trentennio del 1600 e definita
negli anni ’60 del XVII quando la fine del ‘600 era lontana; nessun quadro
certo di Pietro d’Asaro vi si conserva, men che meno quelli sopra citati, n.d.r.].
A d. della Matrice, in fondo alla piazza Umberto I, è il Castello, fondato tra
il ‘200 e il ‘300 da Federico Chiaramonte [banalizzazione di una cauta nota del
Fazello: a credere a codesto grande storico il castello andrebbe datato 1310:
le torri rotonde - fortezze abbisognevoli di alta perizia indisponibili ai
tempi di Federico Chiaramonte - fanno invece pensare a Federico II lo
Svevo, cioè al 1240 circa. Quando scavi
sotto le torri metteranno alla luce i tanti reperti archeologici della dominazione
araba - oggi totalmente oscura sotto il profilo dei manufatti - ampia luce ne
promanerà anche ai fini del disvelamento della veridica storia dei musulmani in
Sicilia. I locali già sanno di tali reperti; la locale Sovrintendenza sembra
ignorarli del tutto, n.d.r.]: ha
due torri cilindriche e nell’interno conserva un sarcofago romano del secolo
IV, con la raffigurazione del Ratto di Proserpina [inculture passate e
presenti hanno oscurato del tutto l’effettivo luogo del ritrovamento
dell’importante sarcofago; oggi di certo non è più conservato al Castello ma
nel chiostro dell’ex convento di Santa Chiara; la datazione è del tutto
cervellotica, n.d.r.]. A sin. del castello si scende alla chiesetta di San
Nicolò [in effetti S. Nicola di Bari, e si crede che nessun forestiero sarà
in grado di raggiungere la chiesetta con siffatte indicazioni topografiche, n.d.r.],
nella quale è una tela del Monocolo, con S. Nicola di Bari (firmata e
datata 1603) [c’era una volta, ora non più; sbagliata la data che invece è
quella del 1613, n.d.r.]; in Santa Maria di Gesù, fuori del
paese, Madonna del Rosario, (firmata dallo stesso 1636). [Il quadro è
disinvoltamente dichiarato “completamente distrutto”, n.d.r.] Altre
chiese interessanti: la chiesa del Carmelo, con un Crocifisso
dell’Asaro [pare, invece, che il quadro dati ad almeno mezzo secolo prima della
nascita del Pittore, n.d.r.] e la tomba di Girolamo III del Carretto
(1600) [Girolamo III del Carretto morì oltre un secolo dopo, nel 1710; quello
di cui tratti è il secondo dei Girolami del Carretto, che comunque fu “occisus
a servo” nel 1622, un quarto di secolo dopo n.d.r.]; San Giuliano,
con una Madonna della Cintura dell’Asaro [si sostiene essere dell’Asaro
solo il San Giuliano che si vorrebbe del 1608; codesta “Madonna”
non è oggi identificabile ed in ogni casi giammai sembra essere stata esposta
in San Giuliano, n.d.r.]; il santuario di S. Maria del Monte,
del sec. XVIII, [si dà invece il caso che la chiesa è visitata dal vescovo
Tagliavia già nel 1540, n.d.r.] con una Vergine degli Afflitti,
[chissà perché la si vuol chiamare “degli afflitti” quando ha un viso radioso!,
n.d.r. ], della scuola del Gagini, [mero topos quando non si sa che
dire di una statua marmorea di fine secolo XV, n.d.r.], e un altare con
rilievi medioevali [ben strano in una chiesa che prima si affermava essere del
XVIII secolo; l’attuale altare maggiore è invero databile XVIII secolo. Non si
comprende come nessun cenno vi sia a chiese importantissime e di maggior valore
storico ed artistico rispetto a talune chiese invece menzionate: ci riferiamo
alle chiese del Collegio, di Sant’Anna, dell’Itria, di Santa Chiara, di San
Pasquale e soprattutto della chiesa più antica: S. Francesco. n.d.r.]. - A N. e NO del paese, lungo il
Vall. Pantano o di Racalmuto, sono numerose miniere di zolfo (oggi tutte
inattive, ma intelligentemente riadoperabili per insediamenti turistici o per
itinerari folkloristici in tipici carretti siciliani alla scoperta delle fonti
d’ispirazioni sciasciane, n.d.r.] e di salgemma [da cui quel Sale
sulla piaga, titolo che Sciascia avrebbe voluto per le sue Parrocchie di
Regalpetra e che volle per la traduzione in inglese, n.d.r.], fra
cui la salina Pantanella [ove il 12 maggio 1955 ebbe a trovare tragica
morte il salinaio, i cui funerali vengono angosciosamente e con empiti d’ira
descritti da Leonardo Sciascia ne “Le parrocchie di Regalpetra” in quel
mirabile squarcio su “i salinari”. Escursione
al M. Castelluccio m. 721, ore 1.30 circa. Si segue la strada per
Montedoro e a 5 km. C. si sale a d. sul monte ove si trovano avanzi notevoli di
una fortezza dei Chiaramonte, del sec. XIV, ma fondata nel ‘200 da Abba Barresi
[il quale - normalmente chiamato Abbo - nulla ebbe mai a che fare con Racalmuto
e dintorni: la fortezza, sede del feudo (in senso giuspubblicistico) di
Gibillini [1],
pertiene, a dire il vero, alle nobili famiglie medievali dei Podiovirid; Simone
di Chiaromonte, Moncada, Alagona, De
Marinis e Telles, Giardina Guerara ed altri, una lunga storia che trascende il
dato segnaletico che la pur pregevole pubblicazione turistica fornisce,
n.d.r.]. La strada continua per altri km.3,5 alla zolfara Gibellina. Indi
prosegue fino, hm. 13,5, a Montedoro.[Nulla sulle interessantissime necropoli
sicane; nulla sulle “garbere” del Monte Pernice; nulla sull’ipogeo cristiano
delle “grotticelle”; nulla sui cinquecenteschi mulini ad acqua a valle di
Racalmuto; nulla sugli “zubbi” di S. Anna (ove esplodono scisti di flora
tropicale); nulla sulle “calcarelle” note a Solino e che Brydone cercava ancora
nel ‘700; nulla sugli insediamenti bizantini attestati da ritrovamenti
numismatici al centro dell’attenzione dei più grandi bizantinisti; nulla sulle
“tabulae sulphuris” studiate da Mommsen nell’ottocento ed attualmente motivo di
lambiccamento dei più accorti archeologi romanisti; nulla sui fenomeni carsici
così atipici in un’isola del mediterraneo e nulla tant’altro, n.d.r.]. ”
Non val la pena - anche per il TCI - attivare un parco
letterario in un cosiffatto territorio? Non si reputa del caso propiziare studi
storici, scavi archeologici, ricerche paleografiche in una plaga - per sua
ventura patria di Leonardo Sciascia - ove dovranno prima o poi affluire
scienziati, storici, archeologici alla scoperta di mondi antichi i cui flebili
echi si nascondono ancora nel grembo di quella terra e che non è bene che siano
negletti o peggio deformati da pur eccelse pubblicazioni turistiche? Noi
tentiamo qui una qualche progettazione: senza inquinamenti politici, senza
cointeressamenti sospetti, senza padrinati colpevoli.
SEZIONE II
Descrizione delle modalità ipotizzate
per la gestione del Parco Letterario
Abbiamo qua e là sufficientemente precisato come
intenderemmo gestire il Parco: affidatane la direzione al dott. Taverna, la
nostra associazione sarebbe il soggetto “no profit” che veicolerebbe i fondi
per dar lavoro alle altre associazioni della specie pullulanti a Racalmuto, per
commissionare alle competenti imprese locali (la società a capitale misto,
Infotar, Arcon, aziende turistiche operanti già a Racalmuto, etc.) l’esecuzione
delle opere e dei manufatti occorrenti in ordine alle finalità dei vari laboratori
che ci si accinge a descrivere.
La tempistica può succintamente prefigurarsi nel
succedersi delle seguenti fasi:
a) studi e ricerche;
b) commissione delle opere e dei
manufatti occorrenti;
c) pratiche burocratiche varie
(richiesta del comodato dei locali del vecchio ed abbandonato Ospedale; fitto
delle vecchie case; postulazione di comodato di luoghi pubblici, locali
comunali oggi in stato di abbandono, etc.);
d) opere murarie occorrenti;
e) attrezzatura di locali per renderli
idonei alla realizzazione degli scopi prefissi (musei, esposizioni,
registrazioni, allocazione di archivi, installazioni multimediali e via
dicendo);
f) concertazioni con Curia, parroci,
sindaci, amministratori provinciali, organi pubblici, associazioni teatrali,
registi cinematografici, presidente del circolo Unione di Racalmuto per la
messa a punto dei progetti di cui in seguito;
g) reperimento delle forze lavoro occorrenti;
h) avvio dei vari laboratori;
i) svolgimento di relativi compiti;
j) afflusso dei risultati nelle
collegate società d’informatica;
k) attività editoriale su supporto
cartaceo, ma, soprattutto, su CD-ROM;
l) attivazione dei siti Internet per
navigare nell’intero mondo del costituendo Parco Letterario intestato a Sciascia.
* * *
Ma ritorniamo a quella che crediamo la nostra idea
vincente: i laboratori.
Più che un titolo serve una descrizione anche prolissa
ma forse più esplicita. Li abbiamo sopra definiti:
) organizzazione di itinerari
turistici ispirati all’opera di Sciascia con modalità e percorsi inconsueti;
) istituzione di musei (religiosi, etnografici,
storici) che pur rifacendosi alle notazioni sciasciane sappiano valorizzare la
sconfinata - ma per il momento solo parzialmente conosciuta - storia di Racalmuto
e dei dintorni (Grotte, Naro, Montedoro, Bompensiere, Milena);
) scuole di alta specializzazione nei settori della
diplomatica, paleografia, archeologia, microstoria, settori di specifico
riferimento a Racalmuto ed al suo inestimabile patrimonio archivistico,
archeologico e storico;
) sofà psicanalitico per una inusitata indagine sui
testi di Sciascia e per una concreta fruizione dei risultati a fini
terapeutici, specie nel settore della labilità mentale senile;
) concertazione di iniziative volte al recupero del
dialetto racalmutese, della tradizione musicale locale, del canto gregoriano
quale nei secoli scorsi clero, sodalizi monacali e le peculiari confraternite
racalmutesi salmodiavano come i tanti “libri cantorum” custoditi nelle chiese di
Racalmuto comprovano ed in certo senso tramandano;
) coordinamento con i centri culturali di Grotte per
il recupero della tradizionale teatralità di questa periferia agrigentina;
) collegamento con il locale circolo Unione per
un’ardita riesumazione dello sciasciano “circolo della concordia” con i suoi
veridici personaggi, le sue atmosfere sociali, il suo scenario, le sue vetuste
sale: un micromuseo in un normale e funzionante circolo quale continua ad
essere;
) compartecipazione maggioritaria in una società mista
con il Comune cui demandare iniziative imprenditoriali nel campo del turismo
locale;
) costituzione di una società di capitali per
rilanciare il vecchio progetto di una traslazione cinematografica delle
“Parrocchie di Regalpetra” che il regista racalmutese Beppe Cino - discepolo di
Rossellini - da tempo agogna di girare;
) attività traslativa dei disparati risultati conseguiti
in CD-ROM navigabili o in siti Internet a disposizione del mondo dei navigatori
informatici.
Descrizione del laboratorio sub 1) organizzazione di itinerari turistici ispirati
all’opera di Sciascia con modalità e percorsi inconsueti
Si è visto sopra come in tema di escursioni Racalmuto
viene ridotto nelle guide del TCI in una sola (ed invero asfittica)
possibilità: andare al Castelluccio, come faceva La Caico Hamilton con la sua
macchina fotografica al sorgere di questo ormai tramontato secolo. Invero,
escursioni affascinanti, piene del succo gastrico della prosa
sciasciana, paesaggisticamente inobliabili, verso il cielo
(Castelluccio, “zubbio” di S.Anna, “garbere” di Monte Pernice”, grotta di fra
Diego), verso il mare (la celeberrima “Noce” di Sciascia, l’opalescente
“scavo morto”; il mistero bizantino della “Montagna”; la visionarietà
‘peccaminosa’ del “Cozzo della Loggia”), verso l’ancestralità nichilista
(l’adombrato cammino verso gli inferi delle terre della Cicuta o di Cugni
Longhi), verso la dannazione sulfurea (Cozzo Tondo, Quattro Fanaiti, Pian della
Botte) e quella viscerale del sale (Pantanelle, Sacchitello), verso le radici
dei progenitori sicani (dalle necropoli sino ai confini di Monte Campanella nel
nisseno, oltre Milena sino alle Raffe), queste ed altre escursioni - con poco
dispendio tracciabili e con profitto e gioia dello spirito realizzabili - sono
pronte a venire ideate. Ritocchi, momenti d’incontro, concertazioni tra le
esistenti associazioni specie di giovani e, subito, siffatte escursioni
potrebbero venire segnalate persino dalla ineguagliabile Guida del TCI.
L’effettuazione delle escursioni dovrebbe, però,
trascendere dal vieto vedere di frettolosi turistici, stracchi per l'estenuante
guida delle loro automobili: carretti siciliani, tradizionalmente istoriati,
trainati da giumente bardate più e meglio delle locali, antiche contesse
carrettesche, comodi comunque per dissimulata tappezzeria, dovranno
accompagnare quei turisti che, a margherita, verranno dall’orgia della spettacolarità
agrigentina e che potranno immergersi nella sonnacchiosa civiltà di una
plurimillenaria sopravvivenza contadina, sicula anzi inimitabilmente sicana.
Strade da tracciare, ma come le vecchie trazzere;
posti di ristoro da approntare, ma con i limiti della radicatissima “avara
povertà di Catalogna”; accattivanti ricezioni con suoni e luci di atavica
estrazione; modernissimo contrasto con proiezioni di originali “cassette” e con
“videate” della rivoluzionaria editoria multimediale (che Infotar, già, per suo
conto sta approntando); accompagnatori ed assistenti, colti, giovani,
adeguatamente istruiti, tutto ciò rientra nella ipotesi di lavoro che si vorrà
attuare con il laboratorio in questione.
Descrizione del
laboratorio sub 2) istituzione di
musei (religiosi, etnografici, storici) che pur rifacendosi alle notazioni
sciasciane sappiano valorizzare la sconfinata - ma per il momento solo
parzialmente conosciuta - storia di Racalmuto e dei dintorni (Grotte, Naro,
Montedoro, Bompensiere, Milena);
S’intendono realizzare in Racalmuto almeno tre tipi di
micromusei:
a) parrocchiale;
b) etnografico, ma a percorso articolato
lungo tutte le principali arterie della vecchia Racalmuto;
c) storico con preminente caratteristica
della virtualità.
Museo Parrocchiale.
Racalmuto vanta una Matrice ove si custodisce un
patrimonio archivistico che è un “unicum” in tutta la Sicilia: i documenti più
antichi risalgono al 1550; i dati della locale diplomatica travalicano il
secolo XV. Oggi quel patrimonio è criminosamente abbandonato in ripostigli
insicuri, in armadi di fortuna, alla mercé del primo venuto. Trasferire questo
patrimonio in un museo parrocchiale - giuridicamente, s’intende, sotto l’egida
della Curia, cui compete lo jus disponendi per diritto canonico - si
rende ormai improcrastinabile.
Del pari, l’immensa quantità di vestiario antico, di
paramenti sacri, di labari, altaretti, di ciò che nel gergo ecclesiastico si
denominava “iogalia” andrebbe salvato dalle tarme, dall’incuria e dalla
idiota pirateria che la stanno devastando, nelle mefitiche, vecchie e malconce
sagrestie di tutte quelle chiese che abbiamo prima menzionato, anche ad
integrazione delle guide turistiche oggi disponibili.
E’ un salvataggio doveroso che deve avvenire in un
museo - ci pare come quello parrocchiale che proponiamo. Ma non basta, dai
diplomi, dagli atti notarili, dalle visite diocesane e da altro affiorano
termini inusitati di antica biancheria ecclesiastica (camici, amitti, mozzette
e via di seguito), nomi di paramenti, indicazione di arredamenti che ben
tipicizzano una vecchia chiesa locale, un costume religioso oggi dismesso. Il
museo - affidandone la reinvenzione a fabbriche del luogo specializzate del
tipo della costituenda ARCON - appronterà sale, esposizioni ove questo perduto
materiale tessile o ligneo potrà risorgere almeno in una imitazione
attendibile.
Studi, ricerche, foto, percorsi musivi, materiale
vario dovrà accedere in CD-ROM navigabili, in siti Internet. Passi dell’opera
sciasciana daranno lustro, senso, allusività al museo: Sciascia non fu
religioso; fu certo intriso di soggezioni chiesastiche.
Museo Etnografico.
Presi in affitto talune delle tante case dirute che
oggi affliggono il vecchio centro storico di Racalmuto, esse, dopo piccoli
lavori di restauro, renderanno, come dal vivo, con sceneggiatura, fotomontaggi,
arredi contadini originali o ricostruiti, il contesto socio-economico di una
civiltà oggi del tutto tramontata. Atti notarili, materiale in disuso,
“cantarani”, “currioli”, “pitazzi” etc. consentono una siffatta - per noi
suggestiva - rievocazione in loco,
nelle vecchie case terrane, in quelle “solerate”, nei “dammusi”, nelle
“arcove”, negli anfratti delle annesse, inverosimili stalle; coi letti
all’antica, con le “frazzate”, con i “catoj” - e non è questa la sede per
continuare.
I “riveli” del 1595 consentono individuazione delle
vecchie contrade, delle case dei vecchi notabili, dei miseri giacigli dei
“jurnatara”, delle case terranee
“coniunctae et collegatae” nei caratteristici cortili dei ”burgisi”, dei
“mastri”.
Sappiamo persino qual era il peculio del citatissimo
pittore Pietro d’Asaro:
389 - Rivelo che il Cl. Don Pietro d'Asaro, clerico coniugato
di questa terra di Racalmuto presenta con giuramento nell'officio del signor D.
Giacomo Agliata capitano d'arme del Regno nella nuova numerazione delle anime,
e facultà in virtù di bando d'ordine di d. sig. cap.no d'arme in detta terra a
25 novembre Va ind. 1636 [cfr. Maria Pia Demma: Percorso biografico ed
artistico, in Pietro d'Asaro “il Monocolo di Racalmuto” - Racalmuto 1985, p. 23
e pag 30 - "Archivio di Stato di Palermo - Tribunale del Real Patrimonio,
Riveli del Comune di Racalmuto, anno 1637, vol. 607, f. 389 r.]
Anime
m Cl. d. Pietro d'Asaro c. di casa d'anni cinquantasette
o Vincenza moglie
m. Michel Angilo d'anni dodici
m. Gio:battista d'anni quattordici
o. Rosalea
o. Dorothea
o. Ninfa figli
o. Gioanna madre
m. e. Giuseppe di Beneditto d'anni diecidotto discepolo
m. Angilo Lo Sardo garzone d'anni dodici
o. Caterina e
o. Natala zitelle
Beni
stabili
Una casa in otto corpi solerati e terrani in questa terra,
quartieri di S. Giuliano confinante con la Casa di Pietro di Giuliana e via
publica dove habita, quale un anno per l'altro franca di conti si potria locare
onze quattro che à 7 per 100 il capitale di cinquantasette e
quattro........................ 57. 4
Una casa terrana in un corpo di detta terra, quartieri predetto,confinante con la casa di
Pietro di Giuliana e via pubblica, quale un anno per l'altro franca di conti l'hà soluto e suole locare tarì
quindici che à 7 per cento. il capitale onze 7
e tarì quattro............................................. 7. 4
Altra casa terrana in tre corpi in detto quartieri confinante
con la casa di Giovanni Lo Sardo quale un anno per l'altro franca di conti l'ha
soluto e suole locare onza una e tarì 12
che à 7 per 100 il capitale onze 21 e tarì 12
..........................21.12
Una vigna di cinque migliara nella contrada del Serrone
territorio di questa predetta terra confinante con la vigna di Giacomo Xibetta
e vigna di Francesco di Laurenzo, della quale un anno per l'altro ricava botti
quattro di musto che ragionato ad onze 2.18. la botte importa onze diece e tarì
dodici delli quali deduttine onze sette per tutti conti a ragione di onze 1.12.
per migliaro restano onze tre e tarì dodici che à 7 per cento. il capitale onze
quarantotto e tarì sei .....................................48.6
[390]
Terra lavorativa salme due con migliara sei di pianta
infruttifera dentro nella contrata della Montagna territorio predetto
confinante con la Chiusa di Stefano d'Agrò, e chiusa di Giuseppe Casuccio quale
ragionata ad onze 2.20. la salma importa onze cinque e tarì diece che à 7 per
100 il capitale settantasei e tarì
cinque..............................................76.5
e più terra lavorativa salma una nella contrada di Garamoli
territorio predetto confinante con la terra di Salvatore d'Acquista e con la
Chiusa di Giuseppe Ferraro, quale ragionata come sopra importa onze due etarì
venti che à sette per cento il capitale onze trentotto e tarì due
........................38.2
Rendite
Dà Mario Morreale di questa predetta terra onze tre e tarì
quindici iure sub.nis s.a una sua vigna e chiusa nella contrata di la fico
territorio di detta terra che à 10 per 100 il capitale onze trentacinque
.........................................35.
Dalle infradette persone di d.a terra onze due e tarì quindici
sopra l'infrascritti loro beni in detta terra e suo territorio iure subiug.nis
cioè onze 1.2 da Francesco la Matina
sopra una sua vigna e chiusa et tt. 28 da Maria Macaluso rel. del q.m
Vincenzo sopra una sua chiusa e tt. 15 dà Pietro Sferlazza Marramao, su una sua
vigna che à 10 per 100 il capitale onze
venticinque................................................25.
--------------
onze [/'] 308.3
====================
Beni
mobili
Prezzo di detta pianta infuttifera importa onze trenta ...30
Una giumenta di sella di pelo baio di prezzo onze 8 ...... 8
frumento seminativo dentro la suddetta prima chiusa
tt.na [tummina] dudici che ragionata ad onze 4.26 la
salma importa onze tre e tarì
venti........................3.20
--------
41.20
=========
Gravezze
stabili
Paga ogni anno s.a tutti li suoi suddetti beni onze sei e tarì
sei iure prop.tis all'Ill.mo conte di detta terra che à 7 per cento il capitale
onze ottantasette e tarì due ...................87.2
e più paga sopra detti beni iure subiug.nis cioè onze 1.18
alla Cappella della SS.ma Nunziata tt.24 alla Cappella del SS.mo Sacramento e
tt. 18 alla Compagnia del Suffraggio che a 10 per 100
[391]
il capitale importa onze trenta.........................30.
-------
onze 117.2
===============
Gravezze
mobili
Deve onze ducento a Leonora d'Asaro di detta terra re: dal q.m
Bartholo d'Asaro per causa et compenso delle sue doti assegnatele per
testamento di d.o q.m Bartholo in notaio Simone d'Arnone di detta terra di
onze....................................200
===============
Ristretto
Maschi d'età 1
d'altri 4
femine 7
_____
anime 12
======
Giumente di S. .....1
Beni stabili .........308.03
Beni mobili........... 41.20
----------- 349.23
gravezze stabili......117.2.
gravezze mobili.......200
----------- 317.2.
----------
liq.
onze 32.21.
===========
(Trombino)
Terra Racalmuti die 14
dicembris V ind. 1636
Fonte, questa di sopra, come tant’altre per
ricostruzioni intelligenti, di grande risalto storico, per un peripatetico
museo insolitamente etnografico, entro le cinta muraria del vetusto paese di
Racalmuto. Le case contadine come Sciascia qua e là rievoca; gli arredi miseri
come Sciascia sussume nei suoi amari apologhi: “... quel 6 maggio 1622, i
regalpetresi certo mangiarono con la salvietta, come i contadini
dicono per esprimere solenne soddisfazione.”; i posti ove le donne si
“spicciano e fanno cannola”, proprio come vuole Sciascia in Occhio di Capra; le
cucine affumate e soffocanti all’interno delle case con gli arredi del tempo,
con i vecchi arnesi, ed anche i forni a paglia di vecchia data che tutto
affumavano, anche le lenzuola quelle rare volte che si mettevano nelle
sgangherate “trabacche” (Occhio di Capra dà spunti, suggerimenti, richiami per
una memoria demente). Qui bastano solo accenni: disposti sempre a fornire una
lunghissima dissertazione, un eruditissimo intreccio tra letteratura sciasciana
e tradizione popolare, tutta rievocabile in queste sparse sedi del nostro
agognato museo etnografico racalmutese.
Museo Storico
Del pari, in una sorta di collaterale del museo
parrocchiale, dovrà essere organizzato un piccolo museo storico racalmutese ove
raccogliere la breve silloge di carte risorgimentali, ma soprattutto, ove
convogliare i tanti microfilm di documenti relativi a Racalmuto che si annidano
nell’archivio notarile di Agrigento, negli archivi statali di Palermo, negli
archivi spagnoli.
Si scrive con rabbia che ad Agrigento giacciono
polverosi i rolli notarili di Racalmuto, pressoché incolsultabili. Si afferma
infatti:
“Agrigento con il suo
Archivio di Stato - nella speranza che il suo direttore si decida ad aprirlo
agli studiosi - custodisce ben n° 69
Rolli di atti notarili che minuziosamente scandiscono la vita paesana di Racalmuto
dal 1561 al 1608; n.° 71 per il periodo 1600-1707, n.° 195 per il tempo
1700-1816; n.° 56 per il tratto 1801-1860.
Quel materiale
archivistico è praticamente ignoto. Tolta qualche curiosità di padre Alessi che
ebbe a cercarvi con l’ausilio di un paleografo atti per il suo Pietro d’Asaro,
la cronaca diuturna di Racalmuto si sta polverizzando nell’Archivio di Stato di
Agrigento - sbarrato l’anno scorso agli studiosi dalla protervia burocratica.
La vendita di un mulo,
la cessione di una “jnizza”, la suggiogazione di una casa, il “pitazzu” di un
“inguaggiu”, vita, morte, sposalizio, tasse, risse, organizzazioni sociali,
ruolo di preti monaci e chierici, rettori e governatori di confraternite, il
pulsare della vita economica, sociale e religiosa di ogni giorno della
Racalmuto del tempo, il suo espandersi demografico ed il suo drammatico
falcidiarsi per l’esplodere di pesti, tutto ciò è il vivido quadro che i
polverosi registri notarili non rivelano per la neghittosità degli storici
racalmutesi.
Ed i politici, oggi,
anche quelli di sinistra che oggi per la prima volta siedono sugli scranni
assessoriali di Racalmuto, potrebbero ovviarvi: penso a cooperative di giovani,
a prestiti pubblici comunali - la mia passata professionalità in questo campo mi rende in ciò particolarmente avvertito -
volti a finanziare ricerche d’archivio, scuole di paleografia - giacché leggere
quei documenti non è da tutti - , ad
incentivi economici; a borse di studio etc ...”.
E’ superfluo precisare che sbocco di un siffatto
micro-museo è quello informatico: dai soliti CD-ROM, agli ipertesti, ai siti
Internet, ai percorsi virtuali nella strumentazione d’avanguardia da installare
nelle sale del Museo, specie per i giovani, specie per i turisti non
disattenti.
Descrizione del laboratorio sub 3) scuole di alta specializzazione nei settori
della diplomatica, paleografia, archeologia, microstoria, settori di specifico
riferimento a Racalmuto ed al suo inestimabile patrimonio archivistico,
archeologico e storico;
Trattasi di laboratorio che discende spontaneamente
dalle precedenti iniziative: nei locali dei musei dovranno venire approntate
sale - a precipua conformazione multimediale - ove l’insegnamento sarà
immancabile, di sicuro efficace, presumibilmente affollato.
Descrizione del laboratorio sub 4) sofà
psicanalitico per una inusitata indagine sui testi di Sciascia e per una
concreta fruizione dei risultati a fini terapeutici, specie nel settore della
labilità mentale senile
E’ il punto clou del Parco ma è anche quello più
ostico. Sciascia ebbe problemi familiari di non poco momento: non manca di
farvi esplicito, coraggioso riferimento in “Fuoco all’anima” che è poi il suo
vero testamento; la sua ultima confessione. La Vedova ne ha proibito la
diffusione. Là, invero, Sciascia è esplicito: il suicidio del suo giovane
fratello; il delirio senile del padre; l’ossessività delle vecchie zie e
molt’altro. Lasciano traccia queste alienanti vicende nell’opera letteraria di
Sciascia? Noi siamo convinti di sì.
Nei vetusti locali di un ospedale che i trambusti
espoliativi della riforma sanitaria hanno sottratto ai racalmutesi, alle
volontà testamentarie di antichi e recenti benefattori locali, l’opera
letteraria sciasciana può essere davvero oggetto “unico” per una sperimentazione
psicanalitica. I tanti giovani laureati in psicologia, in medicina - che come
si dice in loco: passeggiano -
potrebbero esemplarmente dedicarvisi. L’associazione si premurerebbe di
ottenere dalla preoccupatissima USL - oggi in ambasce per avere fatto deperire
locali e dotazioni sanitarie - il “comodato” dello stabile: lo potrebbe
riconvertire con spesa tutto sommato modica.
Ma non in un mero esercizio sperimentale d’indole
psicanalitica dovrà esaurirsi l’iniziativa. Collegati con i centri universitari
siciliani, i giovani del luogo dovranno porre in essere una inconsueta casa di
cura. I vecchi di labile mente - e Racalmuto purtroppo abbonda di siffatti
disgraziati, lasciati al ludibrio di una pubblica piazza, ora insofferente, ora
indifferente - potranno trovarvi asilo, cure, assistenza discreta, scientifica,
forte dei risultati di una per il momento non intentata ricerca medica.
Descrizione del laboratorio sub 5) concertazione di iniziative volte al recupero
del dialetto racalmutese, della tradizione musicale locale, del canto
gregoriano quale nei secoli scorsi clero, sodalizi monacali e le peculiari
confraternite racalmutesi salmodiavano come i tanti “libri cantorum” custoditi
nelle chiese di Racalmuto comprovano ed in certo senso tramandano
Il titolo di per sé chiarisce e giustifica il tipo di
laboratorio che s’intende porre in essere.
Si vuole innanzitutto salvaguardare il dialetto
racalmutese che Sciascia tanto amo e spesso trasla nella sua opera letteraria:
termini come “esperiente”, “mi stranizza”, “salinari” “catoneggiare” ricorrono nei suoi lavori proprio
nell’accezione del dialetto “veicolare” racalmutese. Qualcuno vorrebbe polemizzare con il defunto
Sciascia usando proprio il comune dialetto natale:
“
Littra a Nanà, Provessuri sabbenadica, - questo
un esempio che ci pare molto esplicativo del concetto -
Occhiu
di crapa - mi scusassi - mi pari chi avi l’occhiu tanticchia fanzu.
Ddruoccu, Vossia dici cca è racarmutisi, sin’ad un certu puntu: che è
racarmutisi - cioè - sino a lu nannu di sò nannu e cca iddru si chiamava
Leonardo. Ma è propriu accussì, provessu’? Cuminciammu a diri ca lu nannu di so
nannu si chiamava Caliddru, Caliddru com’a mia. ’N’talianu, mastro Calogero
Sciascia. Si taliammu li libbra ca cci stannu ancora a l’Itria, vidiemmu ca iddu
era uno di la mastranza, era piu e divotu e quannu murì, li missi griguriani a
l’Itria ci li diciva lu parrinu Peppi Pirrera. Mastru Liddru Sciascia era
racarmutisi originali: si marità lu 24 frivaru di lu 1802, sempre a Racarmuto
cu na racarmutisa, la figlia di mastru Pasquali Scibetta e di la gnura Lillina
Nalbone. Sò pà, nni lu 1802 era già muortu; ma sò matri, nò. Chista era una
Alfano e si chiamava di nomu Nucenzia.
E lu
patri di lu nannu di sò nannu, cu era? Si chiamava mastru Leonardu Sciascia. Omu
ancora cchiù piu di lu figliu. Nzumma, ’un gn’era comu a Vossia, ca ci piaci
dire di esseri scumunicato come lu fratacchiuni fra Ddecu.
Era
piezzu grossu di la mastranza: zelatore, si firma o miegliu fu lu figlio
Cicciu ca si firmà pi iddu e pi sso pà.
Si
talia ’n’antica carta di l’Itria unni si
ddicidi pi la bona morti (ccu li dovuti
scongiuri), m’havi a dari raggiuni. ’Un ci l’haiu pi ora ccà ssa carta, ma la
prossima vota cci la puortu.
Lu patri di lu nannu di sò nannu era anch’iddu racarmutisi,
e racarmutisi era lu nannu: mastru Giovanni, sapi chiddu ca si marità, sempri a
Racarmutu, cu la figlia di li Scibetta, gnura Anna e ca murì a 68 anni lu 28 di
marzu di lu 1766; e fu seppellitu ’ntra la fossa cumuni a S. Franciscu.
Faciennuci li cunti, happi a nasciri attorno a lu 1698. Chistu forsi nun gn’era
di Racarmuto ma di Giurgenti. Sò pà: mastru Leonardo, maritatu cu la gnura
Vicenza Quagliata, era giurgintanu e si nni vinni a Racarmuto ma nni li primi
di lu 1700, ddu seculu inzumma chiamatu di li lumi e ca a Vossia pari ca cci
piaci assà. Se nun mi cridi, taliassi chi scrivino li parrina di Racarmuto, in
occasioni di lu matrimoiniu di lu figliu di ’ssù primu Scascia racarmutisi, lu
capostipiti di la sò famiglia:
1726 - 29.9.1726:
SCIASCIA GIOVANNI M.° del fu m. Leonardo e Vincenza Quagliato vivente olim
jugati Civitatis Agrigenti et Parochiae S. Petri, [sposa:] SCIBETTA ANNA.
Vossia è sicuru ca lu nannu di sò nannu era nadurisi e si
chiamava Nardu, mastru Nardu. ’Un gn’è bberu, provessu. Lu ‘mbrugliaru. Sapi cu
era ddru nadurisi? era chiddru ca nni li libra di la matrici è accussì scrittu:
../6/1799 Sciascia
Giuseppe de' furono Onofrio di Buonpensiero e Giovanna [sposerà]Borzellino Anna
di Vincenzo (al presente abitatrice di Buonpensiero) [e figlia di] Maria.
Registro degli Sponsabili: pubblic. giugno 1799 - 16,23,24.
Lu zzi Peppi Sciascia, nadurisi - iddu sì -, cu la sò
famiglia nun cci trasi propriu nenti. M’havi a cridiri provessu’. Mi scusassi e
sabbenadica.
Liddru Taverna.”
Editare periodici in stretto dialetto racalmutese
sarebbe intento della nostra associazione.
Il laboratorio poi dovrebbe dare vita ad una schola
cantorum di giovanissimi che diretti dai maestri che a Racalmuto non mancano
riediti i tanto celebri canti gregoriani, nella versione del tesoro
archivistico della Matrice in campo della secentesca editoria musicale.
Descrizione del laboratorio sub 6) coordinamento con i centri culturali di Grotte
per il recupero della tradizionale teatralità di questa periferia agrigentina
Quanto abbiamo detto sopra sul punto, specie allorché
abbiamo tracciato il budget, è del tutto esaustivo sulla latitudine dell’iniziativa:
più che altro s’intende supportare il centro teatrale della vicina Grotte
(terra anch’essa presente nell’opera sciasciana) sotto il profilo economico
acciocché sia in grado di mettere in scena - in via permanente - il teatro
dello scrittore racalmutese.
Nel 2000 verrà aperto quel gioiellino che è il teatro
comunale di Racalmuto: sarà aperto alla lirica, che Sciascia non sembra avere
amato più di tanto; dovrà ospitare la prosa, questa sì cara a Sciascia. Il
Laboratorio Teatrale Luchino Visconti di Grotte sembra creato apposta per
supplire alle carenze del genere che oggi si lamentano a Racalmuto. A
Racalmuto, recitare stabilmente - come si dice - Sciascia sarà doveroso e dovrà
avvenire nel Teatro prediletto dallo Scrittore. Supplent Cryptae! Supplisca
Grotte.
In Occhio di Capra una sapida ironia: vi si legge “gruttisi. Grottesi. Di Grotte, paese a
tre chilometri da Racalmuto; e più piccolo. I grottesi che venivano a Racalmuto
erano derisi dai ragazzi con questa strofe, variamente scandita o cantata:
“Grutti gruttisi/ cu li corna tisi/ scorcianu cani/ e fannu cammisi” [..] Si
irrideva così alla povertà dei grottesi: e davvero il paese deve essere stato
poverissimo; ma nella sua povertà, più vivo di Racalmuto. [ ...] E oggi, per
l’intraprendenza commerciale di alcuni, Grotte è più ricco di Racalmuto.” Grato
il paese celebra un premio dall’ammiccante nome di Racalmare. Vi ebbe un
riconoscimento Vasquez Montalban. Con accondiscendenza ora la vedova Sciascia -
lei così ritrosa - presiede il premio Racalmare: Racalmuto le è invece ostico,
ma in fin dei conti, viene da lontano. (Dice il marito in Fuoco all’anima: “D. E
poi ti sei sposato, presto se non sbaglio - R. Avevo ventiquattro anni. -
D. Ed era insegnante anche tua moglie Maria? - R. Sì, a Racalmuto. D. Ma
lei non è di Racalmuto. - R. No, ha vinto il concorso per insegnare lì, ma
è originaria della provincia di Catania ed è nata a Petralia. Suo padre era
maresciallo dei carabinieri, e allora si spostavano da un paese all’altro. - D.
E l’hai conosciuta quando insegnavi a Racalmuto. - R. No, perché io,
prima di fare l’insegnante, sono stato impiegato al Consorzio agrario di
Racalmuto.)
I grottesi amano alla follia Sciascia. Antonio Carlisi
scrisse nel 1995: “il nostro paese [cioè Grotte] ha sempre amato considerare
Sciascia, oltre che di Racalmuto anche di Grotte: tant’è che il Consiglio
Comunale, nella seduta del 27 giugno 1986, gli conferì la cittadinanza
onoraria. Un amore verso la sua persona, che Sciascia ricambiò altrettanto
amorevolmente, lasciando alla nostra comunità tanti bei ricordi. Come quando
gli venne proposto di aiutarci ad istituire e addirittura a presiedere il
Premio Racalmare e Lui, già conosciuto ed apprezzato in tutto il mondo, con la
semplicità e la modestia di cui tanto si è parlato e scritto, ma soprattutto
con quella dolce affabilità che lo distingueva, disse di accettare
[...].” Siamo scivolati sul patetico, ma
tant’è: tanto quanto rende convincente una concertazione con Grotte per alcuni
laboratori del Parco.
Descrizione del laboratorio sub 7) collegamento con il locale circolo Unione per
un’ardita riesumazione dello sciasciano “circolo della concordia” con i suoi
veridici personaggi, le sue atmosfere sociali, il suo scenario, le sue vetuste
sale: un micromuseo in un normale e funzionante circolo quale continua ad
essere;
Il Circolo Unione può considerasi la fucina ove si
forgiò il giovanissimo Sciascia nell’approccio alla “blasfema ironia” che ne
fece uno scrittore di peso mondiale. Si sa: ascoltava le salaci parodie di tal
don Luigi Messana - velato appena dalle sembianze raffigurative di don Ferdinando
Trupia - e prima in Galleria, poi nelle “Parrocchie” il parodistico
sproloquiare su tutti e su tutto del socio nato solo per lasciare
“un’affossatura” nelle poltrone del Circolo della Concordia divenne
anima di un fare letteratura oltre il formalismo dei Rondisti, in cui
Sciascia, adolescente, stava affogando. (“Ma a parte l’affezione che ho
sempre avuto per l’opera di Savarese - ebbe una volta a polemizzare il
Nostro - e specialmente là dove tocca i miti e le storie della terra
siciliana, debbo confessare che proprio sugli scrittori “rondisti” - Savarese,
Cecchi, Barilli - ho imparato a scrivere. E per quanto i miei intendimenti
siano maturati in tutt’altra direzione, anche intimamente restano in me tracce
di un tale esercizio.”)
Si è detto in sede d’inventario cosa s’intende fare
per restituire quella realtà locale all’intelligenza dei vecchi e nuovi cultori
di Sciascia. Pubblicazioni in CD-ROM, traslazione in Internet del ricco
patrimonio fotografico del Circolo, restituzione dell’ambiente alla raffigurazione
sciasciana, ristrutturazioni di sale ed arredi, come ai tempi della
frequentazione del giovanissimo Sciascia.
Si vuole, in altri termini, un minimuseo compresente
con il reale dimorare di nuovi soci, per tanti versi simili a quelli stilizzati
ed ibernati nelle “forme ipotattiche” che Pasolini credeva di riscontrare in
Sciascia. Un socio del Circolo Unione sta stendendo note e cenni storici
esordendo: “ Il circolo Unione l’anno venturo, nel 1999, compie 160 anni: è
il più vecchio circolo di Racalmuto, il più glorioso, quello maggiormente
emblematico di una classe media con aspirazioni nobiliari. Oggi è di certo meno
pretenzioso, più riservato, amante del pettegolezzo d’alto bordo - tra il
politico, il sociale, l’irriverente, il caustico, il miscredente. A sera pochi
soci ormai cercano di perpetuare il cicaleccio arrogante, impietoso ed ilare
dei personaggi passati alla storia (letteraria) per la penna di Leonardo
Sciascia. Ma di don Ferdinando Trupia, di Martinez, di Lascuda, di don Carmelo
Mormino, del dott. La Ferla, di don Antonio Marino ormai neppure l’ombra. I
loro eredi - quasi tutti professionisti affermati in Continente o a Palermo -
hanno ritenuto di potere sbeffeggiare il circolo dei loro sbeffeggiati (da
Sciascia) antenati facendosi espellere per morosità da una deputazione
post-sessantotto, di estrazione non nobile e talora persino proletaria. La
fuoriuscita dei virgulti degli antichi galantuomini vorremmo dire è persino fisiologica.
A sera, ora, tocca alla facondia suadente e beffarda
di Guglielmo S. mantenere viva la conversazione al circolo: gli fa eco il
tranchant assiomatismo di Calogero S.; sorride con intelligente silenzio
Gioacchino F.; fino a qualche anno fa scoppiava l’ira funesta dell’avv.
Salvatore C.; al dott. Gioacchino T. il compito del divertito spettatore;
Ignazio P. ascolta silente, ma si arrabbia se gli toccano la sua Democrazia; il
Presidente non è faceto: se occorre stigmatizza; Salvatore S. arriva tardi, in
tempo per un paio di sorrisi se Guglielmo S. è in vena nelle sue sforbicianti
allusioni. Quando vado a Racalmuto, partecipo anch’io a tali dibattiti
serotini: nessuno ha voglia di prendermi sul serio: provoco, sono provocato,
insolentisco, vengo insolentito: la serata passa piacevole: val la pena di
pagare quel piccolo contributo quale socio con “dimora precaria”.
Di tanto in tanto arrivano poesie in vernacolo: sono
composizioni miserande, cattive, senza gusto: sono intollerabili. I soci però
sembrano divertirsi lo stesso.
Leonardo Sciascia trasse motivi ed argomenti per il
suo iconoclasto deridere i poveri galantuomini di Racalmuto. Vi era associato;
lo eleggevano deputato e persino cassiere. Ma amava stroncare quei figuri nati
effettivamente per lasciare “un’affossatura nelle poltrone del circolo”. Ebbe
il cattivo gusto di morire lasciando in sospeso il pagamento dei “buoni”
associativi: inflessibili i membri della deputazione non mancarono di
verbalizzare nel 1992 la circostanza.
Lo scrittore è disinvolto nell’accennare alle gloriose
origini del circolo: “Il circolo della concordia - annota quasi con prosa
burocratica [2] - prima denominato dei
nobili, poi della concordia poi dopolavoro 3 gennaio, sotto l’AMG sede della
Democrazia Sociale (il primo partito apparso in questa zona della Sicilia
all’arrivo degli americani e dagli americani protetto) e infine ribattezzato
della concordia, pare sia stato fondato prima del 66, se appunto nel 66 la
popolazione infuriata contro le sabaude leve, istintivamente trovando un certo
rapporto tra la leva che toglieva i figli e i nobili che se ne stavano al
circolo molto volenterosamente vi appiccò il fuoco; ma pare ne ricevessero
danno soltanto i mobili, le persone si erano squagliate al primo avviso, le
sale restarono superficialmente sconciate.”
Quanto a storia locale ci reputiamo più fortunati di
Sciascia e siamo in grado di retrodatare di almeno un trentennio la fondazione
dello storico circolo. Se si spulcia l’Archivio di Stato di Palermo, Segreteria
di Stato presso il Luogotenente generale, Polizia vol. 412, si rinviene il
“Notamento dei Così detti Caffè e luoghi di riunione esistenti nei vari Comuni
di questa Provincia ..., Girgenti, 26 agosto 1839.” Sotto tale data abbiamo
dunque la consacrazione ufficiale del nostro circolo o se si vuole il
riconoscimento giuridico. Scrive Carmelo Vetro
[3]
“In provincia i sodalizi si registrano a Licata (due circoli), Palma,
Racalmuto, Ravanusa, Bivona, Villafranca, S. Giovanni, Santa Margherita,
Montevago, Sciacca, Naro, Canicattì, Alessandria, Campobello, Cammarata,
Caltabellotta, Menfi, Sambuca, Burgio ed Aragona: tutti con i loro bravi
regolamenti, autorizzati dalle autorità di polizia, ... E’ da dire che molti di
questi circoli erano favoriti dall’autorità locale che in tal modo poteva
registrare gli umori politici e gli orientamenti prevalenti. Non a caso
parecchi sodalizi nascono negli anni Trenta dell’Ottocento dopo la tempesta
politica del 1820-21 ed il tentativo borbonico di riavvicinarsi agli
intellettuali e borghesi.” Siamo pressoché certi che il circolo sorgesse in
piazza su un marciapiede “sopraelevato rispetto al resto della piazza, ove era
vietato, per inveterata consuetudine, passeggiare alla ‘gente comune’ ... Si
aveva così un effetto quasi grottesco, che sottolineava la gerarchia feudale,
essendo i notabili una ‘spanna’ più alti degli altri”. Il Vetro soggiunge: “Un
rigido cerimoniale regolava l’ammissione dei nuovi soci ai vari circoli.... si
poteva essere ammessi riportando la maggioranza di “voti segreti per bussoli”,
nell’assemblea dei soci. Ogni due anni venivano eletti quattro deputati, il più
giovane dei quali faceva da segretario. Nelle assemblee avevano diritto di voto
i soli contribuenti. Ai deputati erano affidati la “polizia interna” e il “buon
ordine della conversazione. Nelle sere di gala la conversazione era illuminata
“a cera”. Al circolo erano ammessi solo “gli associati, le loro mogli, i figli
e le figlie nubili e fratelli conviventi nella stessa casa”. Infine gli ospiti
non si dovevano “permettere di
discorrere e discutere di cose” che si allontanavano “dallo scopo di una onesta
conversazione”. Parimenti vietata era la lettura di fogli, giornali, libri o
stampe non autorizzati dalla polizia. ... I contribuenti avevano la facoltà di
presentare alla conversazione “forestieri distinti e di loro conoscenza,
chiesto il permesso ai Deputati, salvo alla deputazione di deliberare in
seguito l’esclusione se non li avesse riconosciuti “meritevoli”. ... Il circolo era provvisto dei “fogli
officiali” di Palermo e di qualche
altro giornale letterario. Un cameriere ed un “bigliardiere” si occupavano di
servire i soci con un vestito decente e a testa scoperta”. Un puntuale
tariffario stabiliva le quote da versare
per i diritti di gioco. Le illuminazioni “a cera” erano ordinariamente previste
nella sera di gala ed in talune ricorrenze. ... Leonardo Sciascia ci introduce
nello spazio dorato, quasi senza tempo del Circolo della concordia di
Regalpetra, dove vecchi e nuovi notabili vengono a celebrare il rito della
fedeltà al passato ed alimentare inutili sogni di difesa dei propri privilegi.
Il circolo è situato nella parte centrale dei corso: “Consiste di una grande
sala di conversazione, con tappezzeria di color pesco e poltrone di cuoio
scuro, una sala di lettura, tre sale da gioco”. I soci del circolo non sono,
ormai, più i ricchi: “I ricchi si trovano nel circolo del mutuo soccorso, una
società operaia che è venuta trasformandosi ...; il più ricco dei “don” non
possiede più di dieci salme di terra” ma i soci del circolo della Concordia
“continuano ad essere il sale della terra”. Anche qua si discute di politica
“scienza di cui molti soci del circolo si sentono al vertice e fanno previsioni
che, verificandosi poi fatti esattamente opposti, si possono considerare
attendibilissime.” Dopo la politica, le donne. E allora “le mani si muovono a
plasmare nell’aria grandi corpi di donne, donne si gonfiano nell’aria come
mongolfiere. Non è più uno scherzo ora, tutti ci sono dentro, lo studente
ascolta le confidenze del giudice di corte d’appello in pensione”. Nella
rappresentazione letteraria la ritualità della “conversazione”, che
autogratifica con la sua immobilità l’Olimpo paesano, dà quasi un senso alla
stessa esistenza: ci si sente, allora, “lievi e giustificati, d’aver vissuto
tutta la giornata soltanto per attendere, come una novità, come una grazia
insolita e particolare, quest’ora che compendia le ragioni ideali del mondo,
che chiarifica e motiva finalmente l’esistenza, rianima l’immoto flusso dei
giorni, riattacca la morta gora dell’abitudine al canale della continuità”. Una
continuità che nell’illusione di molti esercita, ancor oggi, come un fossile
vivente, esercita il fascinoso richiamo di un’elitaria società che più non
esiste.”
Un Parco
Letterario cui si concede un piede dentro un cosiffatto Circolo, appena appena
rifatto il consunto maquillage,
sarebbe “fantasmatico”, termine che tal Onofri conia - a spese della
ormai decennale spettralità di una Fondazione locale che si rifà a “Sciascia” -
per la nostra vitalissima Racalmuto.
Descrizione del laboratorio sub 8) compartecipazione maggioritaria in una società mista con il
Comune cui demandare iniziative imprenditoriali nel campo del turismo locale;
E’ in fase di gestazione una società
mista tra il Comune di Racalmuto ed i privati con intenti altamente sociali. La
nostra associazione intenderebbe partecipare alla sottoscrizione del capitale
sociale al fine di farne punto di sbocco di tante iniziative connesse al Parco
Letterario, specie con particolare riguardo a quelle a sfondo turistico.
La società dovrebbe denominarsi SIRAC
spa - Racalmuto ed avrebbe per scopo sociale:
“ogni iniziativa volta alla
valorizzazione delle risorse artistiche, archeologiche, paesaggistiche,
paleologiche, archivistiche ed affini concernenti, anche in via indiretta, il
paese di Racalmuto. A tal fine potrà venire svolta ogni attività sussidiaria
sia pure a carattere finanziario per la realizzazione di studi e ricerche e
conseguenti pubblicazioni a stampa o su base informatica, come pure per il
tramite di Internet.”
La contiguità tra Parco e tale
società di capitali a partecipazione comunale è di tutta evidenza: sinergie tra
le due entità sono facilmente ipotizzabili. Per la nostra associazione - non
avente scopo di lucro - appoggiarsi su tale entità semipubblica è basilare per
efficaci interventi in campi in cui non è agevole operare senza strutture
societarie di natura capitalistica.
Descrizione del laboratorio sub 9) costituzione di una società di
capitali per rilanciare il vecchio progetto di una traslazione cinematografica
delle “Parrocchie di Regalpetra” che il regista racalmutese Beppe Cino -
discepolo di Rossellini - da tempo agogna di girare;
L’argomento è stato sopra adeguatamente rappresentato
per doverne qui ripetere i tratti salienti. Un lancio cinematografico che renda
visibile al grande pubblico la simbiosi tra Sciascia e Racalmuto avrebbe
imponderabili effetti pubblicitari, quanto alla esplosione di flussi turistici
di massa. Sembra ciò di tutta evidenza: sarebbe davvero un felice battesimo per
il Parco letterario.
Descrizione del laboratorio sub 10) attività traslativa dei disparati
risultati conseguiti in CD-ROM o in siti Internet a disposizione del mondo dei
navigatori informatici.
Si è detto in esordio della presente seconda sezione:
tutta l’attività del Parco deve sfociare in elaborati informatici. Le scuole
professionali di Racalmuto, Favara e Caltanissetta - al presente particolarmente
operanti nella didattica del settore - potranno fornire tecnologie
d’avanguardia, personale specializzato, docenti agguerriti nel campo della
multimedialità ed in misura tale da assicurare la buona riuscita del progetto
che qui si è illustrato.
SEZIONE III
Descrizione delle potenzialità imprenditoriali e di
sviluppo locale, che devono contenere indicazioni sia sulle ipotesi di imprese
che possono nascere attorno al Parco, sia sui soggetti che eventualmente
possono costituire tali imprese.
Il Parco - ove finanziato - coopererebbe al sorgere
della società mista SIRAC, una novità assoluta nel mondo addormentato della
finanza locale siciliana. Con criteri di sana imprenditorialità la SIRAC
sarebbe di sicuro in grado di attivare un turismo di massa a Racalmuto,
determinando in vario modo un preziosissimo indotto per corone circolari di
imprese similari di una nuova, efficiente imprenditorialità privata. Questa,
oggi a Racalmuto, nell’agrigentino, nel nisseno, latita o si arrabatta
maldestramente. Non vogliamo qui tornare su quanto detto con toni anche aspri
prima, nella sezione introduttiva. A quelle note qui ci rifacciamo. Quelle note
qui richiamiamo: un rinvio ricettizio, si direbbe in diritto
Giovani industriali racalmutesi, giovani artigiani,
mostrano intenso interesse - e lo attestano formalmente - a questa nostra
visione del Parco: richiamarsi a Sciascia che tanto sfruttò, letterariamente
parlando, questo centro dell’altipiano di Racalmuto, è contropartita anche di
natura economica. Sciascia che trasformò la misera Regalpetra de “la neve, il
natale” in un apologo mondiale - arrecante a lui solo fortune cospicue -
Sciascia, ora defunto, è tenuto a risuscitare la Racalmuto economica, con il turismo
con un Parco al suo nome. Certo vi è una Fondazione a suo nome a Racalmuto, ma
un suo corifeo - tal Di Grado - strilla su un foglietto locale: “... fra quanti
hanno disertato ... i prestigiosi eventi promossi dalla Fondazione, [tanti] ora lamentano scarse attività e
presenze: ma quali? Frizzi e la carrà? Il poeta incompreso di Villafranca
Sicula e il preside in pensione di Montalbano Elicona? E’ fatale. Il villaggio
globale telemediatico e, all’inverso, l’eterno Strapaese delle sagre della
ricotta (e della poesia) reclamano i loro idoli. Non li avranno, naturalmente:
non dalla Fondazione, che non è una Pro-loco né un’azienda del turismo
[da sottolineare e ricordarsene se si vorrà premiare un qualche parco, a questo
alternativo, sotto l’egida di una tale Fondazione, n.d.r.], non è un
assessorato allo spettacolo, né un ufficio di collocamento. Che cos’è allora?
... La Fondazione è un’istituzione culturale, un luogo di studio e di
produzione scientifica.” Tanta spocchia che frattanto ha succhiato improduttivamente
una decina di miliardi a carico dell’Erario, di quel mondo “della ricotta” che
le tasse le paga, del disprezzato “villaggio globale telemediatico” e nulla ha
prodotto. Si parla della giapponese Takeya. Chi è? Si accenna ad Heydenreich.
L’euro ce ne svelerà forse la fisionomia. Invero, si è prodotto solo un
libricino che stravisa, con lo stesso Sciascia, un’accusa di testardaggine ad
un nostro secentesco frate (con propensioni verso il delitto di nefando)
con un tenace concetto di ereticale sublimazione. Dieci miliardi spesi
per cercare di capire quali furono i rapporti tra Sciascia ed il settecento o
tra costui e (l’odiato) dilettantismo.
Il nostro Parco intende bypassare tale Fondazione
(forse pronuba di un progetto concorrente), tale verginale concetto della
supercultura.
Per contro andiamo cercando nella scuola, in quella
professionale, le nuove spinte per una svolta economica a Racalmuto. Nei
giovani neo-laureati - tanti e massicciamente disoccupati - vogliamo scoprire
forze latenti per avveniristiche ricerche nel settore della psichiatria. Vogliamo convogliare a Racalmuto quelle
squadre di archeologi che hanno reso noto in tutto il mondo la contermine
Milena. Racalmuto e Milena si adagiano nella stessa plaga sicana. Milena,
assegnata nel secolo scorso alla provincia di Caltanissetta, si è potuta
sottrarre alle angustie archeologiche dei responsabili agrigentini (propensi
solo a discettare sulla Magna Grecia, sulle vie del sale dei Micenei, sui
romani); ha investigato l’autoctono mondo dei sicani. Un monumento appare il
lavoro testé pubblicato: si guardi la raccolta di scritti intitolata: Dalle
Campagne alle Robbe - La storia lunga di Milocca-Milena. Ci piace qui
citare passi dell’introduzione di Vincenzo La Rosa: “Il motivo del nostro
interesse scientifico per il territorio alla confluenza fra il Platani e il
Gallo d’Oro, era costituito [il 4 dicembre 1977] dalle scarne testimonianze
micenee, segnalate un decennio prima da E. De Miro. [...] Ma la ricerca si è
fatalmente allargata ai diversi periodi della preistoria, non disdegnando
neanche età più recenti, almeno sino alla medievale. [..] Le ricognizioni di
superficie ... rivelarono ben presto la funzione strategica dell’area, vero e
proprio crocevia nei diversi momentidell’età preistorica.”
Ora Milena vanta uno schema geomorfologico
interpretativo del territorio (e Racalmuto a ridosso, no); il suo fenomeno
carsico sotterraneo è stato studiano (quello del tutto simile di Racalmuto,
no); studiosi ci ragguagliano sui suoi lineamenti floristici e vegetazionali
(per Racalmuto dobbiamo accontentarci delle belle ma vaghe fotografie di un
dilettante). Sappiamo ora tanto dell’insediamento preistorico di Serra del
Palco sito a Milena (gli analoghi di Piana di Botte, del Ferraro, di Fra Diego,
del Castelluccio, del Canalotto, di Grotticelle giacciono ignoti e, come nel
caso delle Grotticelle, frettolosamente sotterrati, per volontà superna dei
BB.CC. di Agrigento, se per avventura e per lavori abusivi vengono alla luce.)
Milena vanta scavi sistematici che hanno portato alla luce un insediamento
neolitico a Serra del Palco con le sue belle ceramiche dell’età del Rame, che
hanno consentito di studiare alcuni resti umani eneolotici provenienti dal
deposito funerario di contrada Menta e dalla località Pirito, che hanno fatto
luce sulla stazione di Mezzebbi risalente al Bronzo Antico, che hanno scoperto
le tholoi di Monte Campanella, che hanno rinvenuta la nuova stazione
preistorica allo zubbio di Monte Conca. Racalmuto, lì a due passi, deve per il
momento accontentarsi della sbiaditissima corrispondenza dell’ottocentesco ing.
Mauceri o di queste volenterose note di un dilettante:
“ L'immigrazione agricola di popoli che vengono
fatti risalire al XVIII secolo a.C. venne documentata durante i lavori della
ferrovia nel 1879. (Cfr. L. Mauceri: Notizie su alcune tombe .. scoperte fra Licata e Racalmuto, in Ann.
Inst. Corr. Arch., 1880). I pochi reperti fittili finirono dispersi nei
sotterranei di un qualche museo siciliano. Le tombe a forno dei pressi della
stazione ferroviaria di Castrofilippo sono del tutto sparite per la distruzione
delle successive cave di pietra.
L'altro insediamento è quello che l'ingenuità delle
cartoline illustrate locali definisce 'tombe sicane', site attorno alla grotta
di Fra Diego. In mancanza di ufficiali campagne di scavi - che le competenti
Autorità continuano a denegare, anche se la patria di le imporrebbe - dobbiamo
accontentarci delle intuizioni dilettantesche e delle tante segnalazioni che
dal '700 in poi si rincorrono. Il cospicuo numero di tombe a forno dimostra
l'esistenza di gruppi estesi, dediti ai culti mortuari dell'inumazione in forma
fetale, con i cadaveri forse spolpati a bagnomaria e forse legati per la paura
di una vendicatrice resurrezione che i nostri antenati pare nutrissero. (Cfr.
S. Tine': L'origine delle tombe a forno in Sicilia, in 1963, p. 73 ss.).
Quei cosiddetti antichi Sicani, installandosi attorno
alla grotta di Fra Diego, avranno trovato il salgemma delle vicinanze e
fors'anche lo zolfo, all'epoca sicuramente reperibile anche in superficie.
Risale alla tarda età romana lo strambo passo di Solinoche il Tinebra Martoran
riferisce - a nostro avviso fondatamente - al territorio di Racalmuto. Ma
rispecchia, di certo, una tradizione millenaria. Solino scrive che il sale agrigentino,
se lo metti sul fuoco, si dissolve bruciando; con esso si effigiano uomini e dei (C.I. Solinus, 5\
18;19). Ancora nel '700 il viaggiatore inglese Brydone andava alla ricerca di
quei fenomeni. Sommessamente pensiamo che v'è solo confusione tra sale e zolfo,
entrambi già conosciuti dai nostri preistorici antenati. Con lo zolfo si
foggiavano statuette del tipo dei 'pupi', dei 'cani', delle 'sarde' di
'surfaro' che ai tempi della mia infanzia circolavano ancora.
Sale, zolfo e gesso Racalmuto li avrebbe ereditati
dagli sconvolgimenti del, quando alle “grandi lacune terziarie progressivamente
evaporate <sarebbe seguito> un processo di sedimentazione che avrebbe
avuto per protagonisti non solo i principi della fisica e della chimica, ma
addirittura uno straordinario
microscopico batterio, il desulfovibrio desulsuricans capace di nutrirsi
di petrolio greggio e di rubare ossigeno al solfato di calcio dando luogo ad
idrogeno solforato che, attraverso una normale ossidazione, avrebbe partorito
lo zolfo nativo” (Pratesi e Tassi, Guida alla natura della Sicilia, Milano
1974, p. 21 ss). Ci diverte alquanto l'idea che le ricchezze della rampante
borghesia ottocentesca di Racalmuto si debbano a quel geologico vibrione.”
Il Parco Letterario potrebbe davvero ovviare a queste
(gravissime) indolenze delle autorità di settore: anche a Sciascia sarebbe
piaciuto conoscere sulla base di campagne di scavi scientifiche le sue
ancestrali origini, il suo vero DNA, il suo battesimo sicano. Forse non avrebbe
congedato questa pagina - sublime letterariamente, ma vagola concettualmente -
che così suona: “A Racalmuto sono nato [..] E così profondamente mi pare di
conoscerlo, nelle cose e nelle persone, nel suo passato, nel suo modo di
essere, nelle sue violenze e nelle sue rassegnazioni, nei suoi silenzi, da
poter dire quello che Borges dice di Buenos Aires: “ho l’impressione che la mia
nascitasia alquanto posteriore alla mia residenza qui. Risiedevo già qui, e poi
vi sono nato”. Mi pare cioè di sapere del paese molto di più di quel che la mia
memoria ha registrato e di quel che dalla memoria altrui mi è stato trasmesso:
un che di trasognato, di visionario, di cui non soltanto affiora - in sprazzi,
in frammenti - quella che nel luogo fu vita vissuta per quel breve ramo
genealogico della mia famiglia che mi è dato conoscere (e tutto finisce, nel
risalire il tempo, a un Leonardo Sciascia, nonno di mio nonno, che nei primi
dell’Ottocento venne a Racalmuto dal vicino paese di Bompensiere per
esercitarvi il mestiere di conciatore di pelli), ma anche tutta la storia del
paese dagli arabi in poi. Ed ecco un fatto di per sé borgesiano, del Borges di
natura e quotidiano: non riesco ad immaginare, a vedere, a sentire la vita di
questo paese prima che gli arabi vi arrivassero e lo nominassero. Ed è
piuttosto facile scoprirne la ragione: la mia residenza qui, quella residenza
che di molto precede la nascita, è cominciata con gli arabi, dagli arabi.”
Di sicuro avrebbe saputo che il nonno di suo nonno non
era né Leonardo, né di Bompensiere, né conciatore di pelli. Era sì un mastro,
pio e devoto, colonna della locale Maestranza, ma figlio e nipote e pronipote di racalmutesi: si
chiamava, manco a dirlo, Calogero ed il mestiere era ben diverso da quello di
conciapelli. Gli archivi della Matrice che si vogliono rendere accessibili agli
studiosi con un apposito laboratorio avrebbe fugato ogni incertezza
genealogica. Il pessimismo sciasciano forse non sarebbe stato neppure scalfito,
ma qualcosa di diverso il Nostro avrebbe di sicuro scritto: di meno allucinante,
di meno confessorio dell’oscurità del suo profondo Ego.
La presente fioca potenzialità imprenditoriale del
luogo può allora essere di insormontabile ostacolo ad un Parco Letterario di
così pregnante validità?
Non mancano comunque imprese già operanti o in corso
di costituzione che potrebbero efficacemente coadiuvare il Parco. Abbiamo
accennato ad Infotar. Abbiamo parlato di ARCON. Stralciamo dallo statuto di
INFOTAR: “ Art. 4. - La società ha per oggetto la produzione di strutture
informatiche (hardware e software) con particolare riguardo all’edizione di
ipertesti scientifici, storici, legali, didattici ed affini in cd-rom corredati
da adeguati supporti a stampa. A tal fine potrà venire svolta ogni attività
sussidiaria sia pure a carattere finanziario per la realizzazione anche in
propri stabilimenti degli elaborati in
oggetto. La società potrà svolgere operazioni per il reperimento o
l’investimento di fondi - nel rispetto delle leggi vigenti - sia in connessione
dell’oggetto sociale sia per un più agevole conseguimento dello scopo. La
società potrà quindi rilasciare fideiussioni attive e passive per l’ottenimento
di finanziamenti e contributi pubblici e privati volti all’attività sociale. In
collegamento, alla società non è interdetta ogni iniziativa di studio, ricerca
anche archeologica , s’intende nel rispetto delle leggi e previe le debite
autorizzazioni, volta allo studio ed alla valorizzazione della realtà
archeologica, storica, archivistica e documentale sia di profilo laico che
religioso avente riguardo a Racalmuto ed al suo territorio.”
La costituenda ARCON sarà un atelier racalmutese ad
alta tecnologia informatica: si avvarrà di hardware e software per la
confezione di capi di abbigliamento d’alta moda, ma soprattutto cercherà di
creare articoli tessili d’antiquariato specie nel campo ecclesistico. Si legge
nel testamento di una bizzarra benefattrice racalmutese, Donna Aldonza del
Carretto sorella del conte Giovanni Del Carretto, di una ricca veste di stile
spagnolo, regalata ad una serva, che val davvero la pena di ricostruire.
Dall’inventario di don Giovanni del Carretto,
trucidato in quel di Palermo nel 1608, ARCON trarrà dati e suggerimenti per
confezioni di costumi antichi. Trascriviamo passi da cui trarre i costumi
predetti:
Inventarium bonorum repertoriatorum
in domo illustris d. Joannis del Carretto
Comitis Regalmuti & intro una Camera
Item un paramento di cojro
dorato vecchio di pezzi quindici e piccoli.
Item un’altra littera con
quattro tavole e dui trispiti ad un pede.
Et cinque matarazzi
quattro pinti di tila azola bianca ed uno bianco pieno di lana siciliana.
Item dui para di lenzuoli uno grosso ed altro
sottile.
Item un altro paviglione
di tila vecchio.
Item cinque frazzati tri
biamchi, et una russa ed una virdi.
Item un pezzo di paramento
nigro.
Item tri baulli russi con
fodera gialna dentro la quale vi sono l’infrascritti robbi cioè:
Uno stuccio di testa
d’ebbano.
Un paviglione di tila di
lenza con suo intaglio lavorato di seta carmicina.
Item un altro paviglione
di tela bianca con suo cappello.
Item un cortinaggio di
raso carmicino frinzato d’argento consistente in pezzi dodeci con suo
tornialetto incluso.
Item un stipo di legname
verde dentro lo quale vi sono li robbi infrascritti.
Item un paviglione di
tirzanello leonato con li suoi frinzi di sita di lo medesimo colore consistenti
in pezzi cinque usato.
Item dui paviglioni di
taffità, seu bagattelli di Napoli di diversi colori con li suoi frinzi bianchi
di sita rusata virdi e gialna ed altri colori.
Item una culltra di tila
d’argento bianca per tabuto.
Item un cortinaggio di
tirzanello giallo vecchio con li suoi pezzi inclusa la cultra e tornialetto.
Item un altro cortinaggio
di damasco foderato con sua frinza d’oro minuto consistente in otto pezzi
inclusa la cultra e tornialetto.
Item un altro cortinaggio
di damasco torchino con frinza di seta torchina ed argento usato consistente in
otto pezzi come l’altri.
Item uno cortinaggio di
damasco russso vecchio con suoi frinzi attorno di seta russa consistente in
otto pezzi come l’altri.
Item una coperta di Tem.to
di velluto nero con passamani d’oro fino e chiodi d’oro.
Item un paramento di
bagattello di Napoli di diversi colori russo, verdi, usato.
Item quattro barrachani di
cuttuni bianco torchisci usati.
Item un paviglione di mezza
raxia murata con sui frinzi attorno consistente in pezzi cinque inclusi lo
tornialetto, cultra e cappello.
Item cinque cappi di raxia
nigri con suoi cappucci vecchi, uno gippone di panno di galbo di Fiorenza misto
con li fasci attorno di raso murato straziato usato et una canzuna del proprio
panno.
Item una cascia di tavole
d’abito grande dentro la quale vi sono ventiquattro frazzate bianche e russe
usate e vecchie.
Item un’altra cascia
simile dentro la quale vi sono diversi strazzi di nessun valore.
Item un’altra cascia
simile dentro la quale vi sono l’infrascritti robbi cioè li coxini di velluto
nigro con li suoi giombi.
Item una coltra bianca di
tila di lenza di battista usata.
Item un’altra cultra
murisca vecchia.
Quattro casci di tavole
veneziane di scritture.
Tri altre vacanti.
Quattro forceri seu baulli
tri fo.ni ed uno di cojo nero.
Item diecisetti casacche
di lo conti cioè sette di panno e dieci di seta e tiletta ed unocoijretto
d’umbra foderato di tirzanello bardiglio dentro li quali vi sono li robbi
infrascritti cioè tri vestiti di velluto nero di raso e tirzanello vecchi e
straziati.
Item quattro camisi
quattro para di calsuni, di tila usati e vecchi.
Otto para di peduni vecchi
di tila.
Cinque casci di abito vecchi,
quattro pieni di scritture ed una vacante.
Una fiaschera di cojo
alleonato con 8 fiaschi di vetro dentro.
Item una balestra coperta
di vacchetta gialna con suo coccano simile.
Una cucuzza con suo collo
e coperchio di stagno tundu fatta a fiasco.
[112]
Quattro zagaglie dove sono
appisi li casacchi.
Item quattro con la figura
di scandarbeccho.
Uno scrittorio di nuci
vecchio picciolo in altra stanza di detto guardarobba.
Item una buffetta grande
di noce e cerasa con suoi piedi et item un letto di camino con suo cortinaggio
di damasco giallo con finzi allionati con suo tornialetto in pezzi vecchi.
Un altro letto di camino
vacante vecchio.
Item una lettica di camino
indorata di velluto seu damasco russo e tila.
Item una sigetta di camino
a mano.
Item due forzeri dentro le
quali vi sono da uno trenta canni di tovaglie di tavola in pezzi sottili
tessuti ad occhio, otto altri tovagli di tavola sottili ed ottanta stuiabocchi
parti in lotto e parti per uno del medesimo modo.
Item quatro di tila di
cera della cruci con sua guarnizioni.
Tre fiaschi di rame rosso
di tenere acqua rosa.
Intra l’altra stanza longa
della guardarobba:
Ventidue matarazzi di
diversi tili, gravi, azzoli, e bianchi vecchi pieni di lana siciliana.
Item quattro trabacchi di
nuci con suoi fornimenti.
Intro quattro casce di
tavola di abito longhe:
Tre altre trabacche
simili.
Intro tri altri casci
intro le quali vi è una porta deorata.
Item una buffetta di nuci
grossa pinta vecchia.
Due vanchi di tavola
vecchi infoderati di cojo.
In primis dudici seggi di
nuci con li coiri azoli retropuntati con li frinzi capicciola torchina usati.
Quattro altri seggi
simili.
Item quattro lenzuoli di
tela sottile usati.
Item una tovaglia di
tavola frandanisausata.
Item quattro tovaglie
piccoli, una cultra di tila imbuttita bianca ed una cultra di taffità carmicino
canciante, dui cannati e dui piatti di porcillana.
Item un baullo dui linzola
di tela sottile, quattro cammisi, dui tuvagli di testa, un quatro
dell’annunciata di capizzo di argento piccolo, ed un’altro quatretto, una
capizzana, uno marzapano con cose minuti, una scatola con cosi di donna
piccola.
In lo terzo baullo vi sono
quindeci pezzi di tila grossa di circa canni 35.
Item uno cascione di
tavola veneziana, quattro dentro la quali vi sono l’infrascritte robbe cioè una
coperta di cocchio di velluto negro infoderato di plattina d’oro, un cappotto
di raso pardiglio infoderato di tila d’argento, una borzetta di raso pardiglio
infoderato di selba, una ciucca nigra, otto gipponi di seta ed altri cosi e
guarnito d’oro, uno faudellino di velluto a fondo d’oro, una fakdetta
tirzanello d’oro, una faudetta di tirzanello giallo, altro faudellino di
tirzanello nigro alionato, una robba di velluto d’oro torchino.
Una robba di tirzanello
lavorata nigra inforrata di taffità, una faldetta di tila d’argento bianca, con
cottetto russo nigro interpato, un cottetto di tila d’argento bianco, un
cottetto di raso bardiglio cappellato foderato di tirzanello zollino, una robba
di taffità seu velo nigro, dui manti di donna di sita, una faudillino vecchio
nigro, una cultra torchina e russa e taffità, una cultra di tila d’oro russo.
Item una robba di sita
nigra, un pezzo di panno russo per commoglio. Item una cascetta di velluto
torchino con passamani d’oro e piedi e cornici dorati dentro la quale ci sono
li cosi infrascritti cioè: un cannistro di figlianda di diverse cose di tila
bianca e sita lavorati consistenti in corticelli, tovagli, fasci, collaretti ed
altri cosi minuti lavorati di sita ed oro. Item una scrivania di sita gialna e
vecchia. Item un scrittorio d’ebbano lavorato d’avolio ed argento vacanti.
Item un’altra stanzia di
detto guardarobba.
Item due matarazzi di tila
azola e bianchi grossi pieni di lana siciliana, usati.
Item otto spati con suoi
foderi e guardie tra li quali vi sono tre adorati e dui pugnali.
Item otto piomazzi delli
medesimi di tila e lana.
Item una littera di vento
distanti.
Item dui cento pezzi di
libri di diversi sotti e storij grandi e piccoli.
Item un firriolo nero di
panno di spagna usato.
Item una conca grande di
fuoco alla napolitana con suo coperchio lavorata di rame rosso.
Item un’altra conca
piccola del medesimo modo lavorata.
Item quindeci pezzi di
panni di arazza cioè setti virdini e le otto signati di Mercurio.
Item dui tappiti di tavola
usati cioè l’uno di lana e l’altro di seta.
Item cascia d’abito grande
di dentro la quale vi sono l’infrascritti robbe cioè:
Item un paramento di
damasco paglino e carmisino usato consistenti in pezzi undici. Item un altro
paramento di damasco turchino con suoi zinefi di velluto del proprio colore.
Item un paviglione di lanetta di Calabria gialna, con suoi zinefi attorno gialni
e neigri in pezzi tre.
Item sei portali
..torchini con l’armi di russo del Carretto usati. Item una copetta longa con
la toppa alla tedesca. Item una piccola boffetta di plattina d’argento con li
piedi di legname.
Item un’altra cascia
d’abito di teniri paramenti dentro li quali vi sno diecidotto pezzi di cojro
dorati tra piccoli e grandi.
Item dodici quatri con
l’effigie di diversi personaggi piccoli in tila.
Item quattro littere di
tavola con suoi trispiti ad un piede. Item un scarfatore di rame rosso.
Item dodici altri patretti
simili.
Item un [116] bragiero
d’argento gisillato di peso libb: 20.....................................come
l. 20
asserisce mastro Giovanni
Cappino stente essere ingessato con lo rame e ligno con una testa di coiro.
Item un cortinaggio di panno di Cultrac con suoi frinzi di capicciola
consistenti in cinque pezzi vecchio; item dentro un’anticamera che si va suso
alo guardarobba.
In primis dodici quatri
dell’effogie dell’Imperatori Romani. Item setti pezzi di cojo dorati tra piccoli
e grandi vecchi strazzati.
Entro la retrocamera un
paramento di panno di razza inverditia e personaggi vecchi consistenti in pezzi
sei.
Item una trabacca di nuci
vecchia picciola usata. Item un paviglione di damasco verde con suo cappello di
velluto verde con li frinzi parti d’oro in li frinzi a lo cappello grande d’oro
e sita virdi e a lipedi di lu pavigliuni frinzetta piccola.
Item tri matarazzi di tila
bianca suttili pieni di lana siciliana, un paro di lenzuoli di tila sottili.
Item una culta bianca di vento. Item dui frazzati bianchi usati. Item una
littera con quattro tavole con suoi trispiti ad un piede. Item dui maratazzi di
tila bianca pieni di lana siciliana. Item un paviglione di saja rosato vecchio.
Item un altro paro di lenzuola,
Item una buffetta di nuci
quatra con suoi piedi et un tappito sopra vecchio. Item dodici seggi di nuci
vecchi di coiro. Item se quatri piccioli di diversi personaggi. Item dui quatri
grandi cioè uno di San Francesco di Paola e l’altro di caccia e verdure. Item
un lettro, quatro di sita gialna. Item un portale di panno verde.
Item una cascia di nuci
ferrata e foderata d’abito dove vi sono riposti l’infrascritti robbi cioè:
In primis cinque para di
coniali con suoi calsi dorati di raso stampato con li suoi trappi doderati di
russo vecchi
Item un cappotto di
murmorino usato.
Item un paviglione di tela
bianca lavorata alli punti di sita carmicina e suoi fascetti di sita e di
Napoli usata. Item un altro paviglione di tila bianca usato con suo gruppo.
Item undeci cappelli inforrati cioè otto di feltro, tre lavorati, dui di
tirzanello usati. Item quattro berrette di tela e villuto usati. Item sei
monteri di seta vecchi. Item un vestito di Baratto usato. Item un cappuni di
Giambilotto di levanti inforrato di velluto lavorato ed usato. Item firraiolo
di rasetto nigro inforrato di taffità usato. Item un altro firraiolo di tiletta
inforrato di taffità. Item un arbonus bianco murisco usato. Item una cascia di
tirzanello di armari nigro foderata dell’istesso usato. Item un altro firraiolo
di muc
ajale nigro usato. Item un
altro firriolo di Buratino infoderato di taffità nigro usato.
Item un altro firraiolo di
Giambello di levanti foderati di taffità seu baratto usati. Item un cammisolo
alla guglia di seta carmicina lavorato allo petto di oro usato. Item novi para
di calsoni di mocajali terzanello e gambilotto usati. Item venti gipponi usati
di diversi drappi, site, mucajale terzanelle, russo e gambilotto, inforrato di
tila bianca usati. Item un cabubo di lanetta di Calabria guarnito di passamani
d’oro in foderato di panno di baetta russa. Item una robba di casa di panno di
Barsalona inforrata la mettà di villuto nigro guarnita di passamano d’oro fino
usata. Item una robba di casa fatta a firriolo di Macajali usato. Item un Agnus
Dei di cira lavorato atorno di seta ed oro. Item un trucco foderato di panno
verde con suoi piedi. Item quattro portali di Barsellota vecchi. Item un pezzo
di panno di raso vecchio. Item un orologio di ferro con suoi fornimenti. Item
una carrozza di nuci coperta di cojo di cavvhetta di Fiandra inforrata di
velluto nigro nova tutta con suoi guarnimenti. Item un altra carrozza di nuci
coperta di vacchetta di Fiandra nigra. Item una lettica di camino coperta di
vacchetta ed infoderata di tila azola con li suoi fornimenti e selloni vecchi.
Item un’altra lettica di
legname vecchia.
Item cinque selle vecchi
con suoi freni e guarnizioni.
Item due selle di velluto
vecchi con suoi guarnizioni e freni.
Item lo paramento di
Vincenzo di Settimo per cui pignorato di damasco turchino.
Item novi piatti piccoli
d’argento senz’armi novi.
Robba della Camera di Leonardo Campisi.
Item una maldrappa di
punto dalla nuona memoria plana.
Un’altra di panno con la
sua frinza nigra di detto Signore.
Un’altra di velluto nigro
di d.° Signore con la sua frinza.
Un’altra di tiletta con la
sua frinza della Nuona Memoria.
Un’altra maldrappa di
villuto con sua frinza, parte lavorata. Un’altra di tila vecchia con li suoi
passamani e frinze. Un’altra di velluto vecchio con suoi passamani. Una sella
di velluto nuova guarnuta di passamano con suoi guarnimenti di velluto. con
suoi giumbi della buona memoria. Dui selle nuove guarnute di velluto con due
fascie con li suoi guarnimenti di coiro. Una sella bardiglia guarnuta di
velluto con le sue staffe e con il suo guarnimento simile di velluto nigro.
Item una sella vecchia con suo guarnimento di panno nigro con le staffe e
maldrappa con suo freno di cavallo . . . . Item una sella di coiro invellutato
di mezamina col suo guarnimento senza staffe. Un’altra sella di velluto nigra
guarnuta con suo passamano d’oro, con suo guarnimento di velluto senza staffe.
Altra sella alla giomenta con suo guarnimento e staffe con la sua coperta alla
moresca.
Item una sella di coiro di
posta; dui para di staffi alla giannetta; un guarnimento di tila vecchio; un
guarnimento alla moresca con sue drappe di ramo dorate; due para di tavolette
di velluto carmicino per cavalcare le donne. Due assettiti di velluto carmicino
con la sua frinza simili per una lettica; quattro bandilori di damasco
carmicino con li suoi giumbi e capi per detta littica; un paro di staffi nigri;
cinque spati delli quali ne tiene una Liberanti per ordine del sig.re d:
Vincenzo Sette Capardi, delle quali ne tiene una Marsilio con uno scuto dorato;
un capizzuni; un coccano di scopettina; sei freni di coiro guarnuto per
servizio; un fiasco di stagno; quattro per annivare acqua e vino. Item una
sella di coiro vecchia con suo guarnimento; dui staffi vecchi; una cascia
grandi pri teniri robba; due banchetti di ligno; dui selloni; altre due li
tiene il Principe di Rabia; quattro
selle vecchi per diverse genti; dui bardoni per ammanzare muli; dui fusti di
ligno; un fusto rotto di ligni; una sella di villuto vecchia con sua frinza; una
sella bianca per cavalcare; una sella azzariata guarnuta; un’altra di velluto
gialna.
Sei butti e dui
carratelli.
Una cascetta per fiaschi.
Due landoni di ferro per
stalla.
Dui para di ferri.
Dui catini grossi per
detti.
Una catina di testali di
cavallo.
Una botte di racina.
Un sopracollo di carrozza.
Un baullo vecchio.
Una lettica vecchia con
sua scala.
Novi casci vecchi.
Tre altri casci piccoli.
Dui vasi di legno.
Quattro seggi vecchi.
Una sigetta guarnuta di
sella bianca.
Quattro . . . bianchi
vecchi.
Un letto con due matarazzi
con due frazzate, una vecchia e l’altra minuta e linzola vecchi. Tre silleri
dove stanno li selli.
Una tavola dove stanno li
freni.
Dui tavoli dove stanno li
lapardi.
Quattro puppi guarnuti
d’oro e seta del coccio deorato.
Lo cocchio deorato;
l’altro cocchio senza cartali, senza sopraceli, di coiro; due tovagli grossi.
Arcon e artigianato locale sapranno bene fronteggiare
le richieste del Parco in tema di costumi ed attrezzi di foggia antica,
consentendo la realizzazione dei musei di cui si è detto.
SEZIONE IV
Documenti che dimostrino la disponibilità alla
concertazione locale e l’adesione da parte di più soggetti sociali, quali enti
locali, associazioni di categoria, gruppi organizzati, associazioni culturali o
di volontariato, ecc.
Si allega la documentazione richiesta, che ci appare
del tutto idonea a corrispondere all’avvertita esigenza di estendere il Parco
alle realtà sociali racalmutesi e a quelle dei centri del circondario. Si
noteranno assenze di enti autarchici territoriali: è una esclusiale
intenzionale. Evitare inquinamenti di ogni sorta è assillo di questa
associazione, specie in un territorio non esente da infiltrazioni malavitose.
Gli appetiti politici sono altresì fonte di preoccupazione: fomentare il clientelismo
elettorale con fondi apparentemente destinati ad iniziative culturali o sociali
è vezzo diffuso nelle classi dirigenti di queste parti. L’associazione vuole
starne lontano, anche a costo di vedere vanificare il suo progetto che con
tutta franchezza reputa meritevole di ogni attenzione.
NOTA FINALE
Purtroppo si è venuti a conoscenza del “concorso di
idee” per un parco letterario molto tardi: pur di inviare la nostra adesione
entro il termine di scadenza, si sono affrettati i tempi di lavorazione. Testi
non ricontrollati adeguatamente, difetti formali, precipitose concertazioni
appannano la formulazione della nostra proposta. Ce ne scusiamo e ce ne
rammarichiamo. Vogliamo sperare nella comprensione e nella benevolenza dei
nostri esaminatori. Pronti, comunque, come siamo a fornire ogni ragguaglio, a
produrci nelle debite rettifiche a semplice richiesta. In ogni caso ringraziamo
per l’attenzione che ci verrà riservata.
[1]
Emerge come il feudo di
Gibillini sia cosa ben diversa dalla contea racalmutese. Per Gibillini,
s’intende il territorio degradante tutt’intorno al castello - oggi denominato
Castelluccio - e non soltanto la contrada della omonima miniera, che forse un
tempo non faceva neppure parte di quella terra feudale.
Il primo accenno storico a Gibillini risale al 21
aprile 1358 ;[1] il diplomatista così sintetizza il
documento che non ritiene di pubblicare:
“Il Re concede al milite Bernardo
de Podiovirid e ai suoi eredi il castello de GIBILINIS, vicino il casale
di Racalmuto e prossimo al feudo Buttiyusu [feudo posto vicino SUTERA,
v. doc. prec., n.d.r.], già appartenuto al defunto conte SIMONE di
CHIAROMONTE traditore, insieme a vassalli, territori, erbaggi ed altri
dritti; e ciò specialmente perchè il detto Bernardo si propone a sue spese di
recuperare dalle mani dei nemici il detto castello e conservarlo sotto la regia fedeltà: riservandosi
il Re di emettere il debito privilegio, dopoché il castello sarà ricuperato
come sopra.”
Pare che Bernardo de Podiovirid non
sia riuscito a prendere possesso di Gibillini: il feudo ritorna prontamente in
mano dei Chiaramonte. Simone Chiaramonte è personaggio ben noto e fu
protagonista di tanti eventi a cavallo della metà del XIV secolo. Michele da
Piazza lo cita varie volte. Il fiero conte ebbe dire recisamente a re Ludovico
“prius mori eligimus, quam in potestatem et iurisdictionem incidere catalanorum”: preferiamo morire
anziché finire sotto il potere e la legge dei catalani. Mera protesta, però; il
Chiaramonte è costretto a fuggire in esilio presso gli angioini. Scoppia la
guerra siculo-angioina che si regge sull’apporto dei traditori. Per Michele da
Piazza, i chiaramontani, che pur vivevano nella loro tirannica fede, non
contenti né soddisfatti di tanta immensa strage, da loro inferta ai siciliani,
si rivolsero agli antichi nemici della Sicilia per spogliare dello scettro re Ludovico.
Nel marzo del 1354 i primi rinforzi
angioini pervennero a Palermo e Siracusa. In tale frangente fame e carestia si
ebbero improvvisi in Sicilia, favorendo gli invasori. Ne approfittò Simone
Chiaramonte “capo della setta degl’italiani - secondo quel che narra Matteo
Villani - [promettendo] ai suoi
soccorso di vittuaglia e forte braccia alla loro difesa: i popoli per l’inopia
gli assentirono”.[1] Prosegue Giunta [1] “queste premesse spiegano il rapido
inizio dell’impresa dell’Acciaioli, il quale accanto a 100 cavalieri, 400
fanti, sei galere, due panfani e tre navi da carico, si presentò “con trenta
barche grosse cariche di grano e d’altra vittuaglia”, sì da ottenere festose accoglienze da parte dei Palermitani “che
per fame più non aveano vita”, nonché il rapido dilagare della insurrezione a
Siracusa, Agrigento, Licata, Marsala, Enna “e molte altre terre e castella””.
Tra le quali possiamo includere tranquillamente Racalmuto e Gibillini.
Simone Chiaramonte muore a Messina
avvelenato nel 1356, un paio d’anni prima del citato documento. Ma da lì a pochi anni, Federico IV, detto il Semplice
riuscì a riconciliarsi con i Chiaramonte e nel febbraio del 1360 accordava un
privilegio tutto in favore di Federico della casa chiaramontana.
Il feudo di Gibillini appare
sufficientemente descritto nell’opera del San Martino de Spucches .[1] Secondo l’araldista il feudo di
Gibillini, quello di Val Mazara, territorio di Naro, da non confondersi con
l’altro ancor oggi chiamato di Gibellina, appartenne, “per antico possesso”
alla famiglia Chiaramonte. Fu Manfredi Chiaramonte a costruirvi la fortezza,
quella che ora è denominata Castelluccio. L’ultimo della famiglia a
possedere il feudo fu Andrea Chiaramonte, quello che, dichiarato fellone, ebbe
la testa tagliata a Palermo nel giugno
del 1392, nel palazzo di sua proprietà, lo Steri.
Re Martino e la regina Maria
insediarono quindi Guglielmo Raimondo Moncada, conte di Caltanissetta. Il feudo
divenne ereditario, iure francorum, con obbligo di servizio militare e cioè con due privilegi,
il primo dato in Catania il 28 gennaio 1392 (registrato in Cancelleria nel
libro 1392 a foglio 221) [1]; col secondo diploma, dato ad
Alcamo, li 4 aprile 1392 e registrato in Cancelleria nel libro 1392 a foglio
183, fu dichiarato consanguineo dei sovrani, ebbe concessi tutti i beni stabili
e feudali, senza vassalli, posseduti da Manfredi ed Andrea Chiaramonte, dai
loro parenti e dal C.te Artale Alagona, beni siti in Val di Mazara, eccetto il
palazzo dello Steri ed il fondo di S. Erasmo e pochi altri beni. Nel 1397 ad
opera del cardinale Pietro Serra, vescovo di Catania e di Francesco Lagorrica,
il Moncada fu deferito come reo
di alto tradimento, avanti la gran Corte, congregata in Catania; ivi con
sentenza 16 novembre 1397 fu dichiarato fellone e reo di lesa maestà ed ebbe
confiscati tutti i beni. Morì di dolore nel 1398.
Subentrò Filippo de Marino, fedelissimo
vassallo del Re (1398); non abbiamo la data precisa della concessione; per quel
che vale il de Marino figura possessore del feudo di Gibillini nel ruolo del
1408 dello pseudo Muscia.[1]
Il feudo pervenne successivamente a Gaspare
de Marinis, forse figlio, forse parente. Da questi, passa al figlio Giosué de Marinis che ne acquisì
l’investitura il 1° aprile 1493 more francorum, [1] per passare quindi a Pietro Ponzio de Marinis,
investitosene il 16 gennaio 1511 per la morte del padre e come suo primogenito. [1] Costui sposò
Rosaria Moncada che portò in dote i feudi di Calastuppa, Milici, Galassi e Cicutanova,
membri della Contea di Caltanissetta, come risulta dall'investitura presa dalle figlie Giovanna e Maria il 22 settembre 1554 (R. Cancelleria, III
Indizione f.96).
Succede Giovanna De Marinis
e Telles, moglie di Ferdinando De Silva, M.se di Favara con investitura del 15
gennaio 1561, come primogenita e per la morte di Pietro Ponzio suddetto
(Ufficio del Protonotaro, processo investiture libro 1560 f. 271).
Maria De Marinis Moncada
s'investì di Gibillini il 26 dicembre 1568, per donazione e refuta fattale da
Giovanna suddetta, sua sorella (Ufficio del Protonotaro, XII Indiz., f.479) .
Beatrice De Marino e
Sances de Luna s'investì di due terzi
del feudo il 17 ottobre 1600, per la morte di Alonso de Sanchez suo marito, che
se l'aggiudicò dalla suddetta Giovanna, M.sa di Favara (Cancelleria libro
dell'anno 1599-1600, f. 15); peraltro v’è pure un’investitura di questo feudo,
datata 7 agosto 1600, a favore di Carlo
di Aragona de Marinis, P.pe di Castelvetrano, figlio di detta Maria de Marinis
(R. Cancelleria, XIII Indiz., f.160); un’altra investitura la troviamo in data
28 agosto 1605 a favore di Maria de Marinis per la morte di Carlo suo figlio
(R. Cancelleria, III Indiz. , f. 491); dopo non ci sono investiture a favore
dei Moncada.
Diego Giardina s'investì di due terzi il 24 gennaio 1615, per
donazione fattagli da Luigi Arias Giardina , suo padre, a cui le due quote furono vendute da Beatrice
suddetta, agli atti di Not. Baldassare Gaeta da Palermo il 5 dicembre 1608
(Cancelleria, libro 1614-15, f. 265 retro). Vi fu quindi una reinvestitura in
data 18 settembre 1622, per la morte del Re Filippo III e successione al trono
di Filippo IV (Conservatoria, libro Invest. 1621-22, f. 283 retro).
Subentra - sempre nei due
terzi - Luigi Giardina Guerara con investitura del 28 febbraio 1625, come
primogenito e per la morte di Diego, suo padre (Cancelleria , libro del 1624-25, f. 214); viene quindi reinvestito il 29 agosto 1666
per il passaggio della Corona da Filippo IV a Carlo II (Conservatoria, libro
Invest. 1665-66, f. 119). Il Giardina
morì a Naro il 24 novembre 1667
come risulta da fede rilasciata dalla Parrocchia di S. Nicolò.
Diego Giardina da Naro, come
primogenito e per la morte di Luigi suddetto, s'investì dei due terzi il 7
ottobre 1668 (Conservatoria, libro
Invest. 1666-71, f. 89).
Luigi Gerardo Giardina e
Lucchesi prese l’investitura il 9 settembre 1686 dei due terzi, per la morte e quale figlio
primogenito di Diego suddetto (Conservatoria, libro Invest. 1686-89, f. 17).
Diego Giardina Massa
s'investì il 26 agosto 1739, come primogenito e, per la morte di Luigi Gerardo
suddetto, nonché come rinunziatario
dell'usufrutto da parte di Giulia Massa, sua madre, agli atti di Not. Gaetano Coppola
e Messina di Palermo, del 1° ottobre 1738 (Conservatoria, libro Invest.
1738-41, f. 58).
Giulio Antonio Giardina
prese l’investitura dei due terzi il 3 dicembre 1787, come primogenito e per la
morte di Diego suddetto (Conservatoria, libro Invest. 1787-89, f. 25).
Diego Giardina Naselli s'investì
dei due terzi del feudo di Gibellini il 15 luglio 1812, quale primogenito ed
erede particolare di Giulio suddetto (Conservatoria vol. 1188 Invest.,
f. 124 retro); non ci sono ulteriori investiture o riconoscimenti.
Ma a questo punto scoppia il caso Tulumello. Il San
Martino de Spucches non segue bene le vicende feudali di Gibillini. Comunque nel successivo volume IX - quadro
1454, pag. 221 - intesta: “onze 157.14.3.5 annuali di censi feudali - GIBELLINI
- Cedolario, vol. 2463, foglio 204” ed indi rettifica:
“Giulio GIARDINA GRIMALDI, Principe di Ficarazzi
s'investì di due terzi del feudo di GIBELLINI a 3 dicembre 1787 come figlio
primogenito ed indubitato successore di Diego GIARDINA e MASSA (Conservatoria,
libro Investiture 1787-89, foglio 25).
1. - Quindi vendette agli atti di Not. Salvatore
SCIBONA di Palermo li 22 luglio 1796 a D. Giovanni SCIMONELLI, pro persona
nominanda annue onze 157, tarì 14, grana 3 e piccioli 5 di censi sopra salme
57, tumoli 11 e mondelli 2 di terre, dovute sul feudo di Gibellini; e ciò per
il prezzo in capitale di onze 3500 pari a lire 44.625. Il detto Scimoncelli
dichiarò agli atti di Notar Giuseppe ABBATE di Palermo che il vero compratore
fu il Sac. D. Nicolò TOLUMELLO. Per speciale grazia accordata dal Re a 29 aprile
1809 fu confermato lo smembramento di dette onze 157 e rotte dal feudo di
GIBELLINI già effettuate senza permesso Reale (Conservatoria, libro Mercedes
1806-1808, n. 3 foglio 77).
2. - D. Giuseppe Saverio TOLUMELLO
s'investì a 7 giugno 1809 per refuta e donazione a suo favore fatte dal Sac. D.
Nicolò sudetto agli atti di Notar Gabriele Cavallaro di Ragalmuto li 22 aprile
1809 (Conservatoria, libro Investiture 1809 in poi, foglio 40). Questo titolo
non esce nell'“Elenco ufficiale diffinitivo delle famiglie nobili e titolate di
Sicilia” del 1902. L'interessato non ha curato farsi iscrivere e riconoscere.”
[2]
) Leonardo Sciascia: Le parrocchie di Regalpetra - Morte dell’Inquisitore, Bari
1982, pag. 51.
[3]
) Carmelo Vetro - L’associazionismo borghese nella Sicilia dell’800: le case di
compagnia - in Il Risorgimento, anno XLVI n. 2-3 - Milano 1994, pag. 301
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