Fa
alta letterura di certo Sciascia quando scrive in Occhio di Capra:
«Isola nell’isola, ...la mia terra, la mia
Sicilia, è Racalmuto.. E si può fare un lungo discorso su questa specie di
sistema di isole nell’isola: l’isola-vallo
.. dentro l’isola Sicilia, l’isola-provincia dentro l’isola-vallo, l’isola
paese, dentro l’isola-provincia, l’isola-famiglia dentro l’isola-paese,
l’isola-individuo dentro l’isola-famiglia ...». Un discorso questo che oggi
si può leggere persino nelle banali riviste patinate del tipo “Meridiani”. Se
il passo ha un valore metafisico, filosofico, di incomunicabilità
esistenzialistica, non oso addentrarmici, ma se vuol essere nota storica su
Racalmuto, ebbene mi pare proprio inattendibile.
La
Racalmuto - quella che si dipana dal 1271 sin ad oggi - è solo uno scisto della
storia ma tutta quanta vi si riverbera. Se leggo il magistrale libro di
Fernando Braudel su “Civiltà e Imperi del Mediterraneo nell’età
di Filippo II” e nel frattempo trascrivo carte, diplomi, atti notarili,
‘riveli’ e simili del Cinquecento racalmutese, scatta un’assonanza
sorprendente: le linee e le scansioni
della storia mediterranea trovano eco, conferma, oppure una riprova o un
completamento o una specificazione proprio nel nostro paese, nelle appannate
note delle sue vicende.
E la
documentazione da me esaminata è solo una minima parte di quanto è disponibile
presso gli archivi: da quelli parrocchiali a quelli agrigentini, per non
parlare di quelli di Palermo o di Roma o di Torno o di quanto trovasi su
Racalmuto in Spagna, a Barcellona o a Simancas o a Madrid e persino a Vienna.
Racalmuto,
la patria di Sciascia, potrebbe essere davvero un laboratorio di ricerca
storica; potrebbero attuarsi iniziative culturali per approcci originali e
mirati verso nuove forme di microstoria. Con positivi riflessi sull’occupazione
giovanile locale.
Non
sappiamo se siamo riusciti a superare le secche dell’eruditismo municipale.
Abbiamo, comunque, tentato di abbozzare un contesto storico in cui Racalmuto è
studiato per quelli che ci sembrano i suoi connotati: una terra baronale con
gli alti e bassi della sua popolazione, con le sue “tande” da ripartire, con le
traversie della famiglia del Carretto che si riverberavano sui paesani, con le
pretese della curia vescovile che sovrastava sul clero locale e debordava
nell’assetto civile, con il sorgere e l’affermarsi di confraternite laiche, con
l’invadente ruolo conventuale di
francescani e carmelitani, con i rapporti tra il feudo maggiore e quelli minori
contermini di Gibillini, Bigini, Gructi e Cometi, con l’assetto della proprietà
terriera, con gli oneri domenicali del conte sulle case e sulle terre, con il
terraggio ed il terraggiolo, con la tematica della finanza locale.
Quattro
quartieri: Santa Margaritella, S. Giuliano, Fontana e Monte, con al centro la
gloriosa chiesetta di Santa Rosalia, quadripartivano l’abitato comitale, come
moderne circoscrizioni. Funzionari di quartieri con i loro cognomi ancor oggi
presenti a Racalmuto censivano, vigilavano, tassavano. I preti - allora -
collaboravano, anche nello stanare evasori e falsi “miserabili”. La faccenda
fiscale era allora, come oggi, faccenda seria, ficcante, perturbativa. Era una
faccenda fiscale quadripartita: tasse per il barone prima e conte poi per i
suoi diritti “dominicali”; “tande” per l’estranea e sfruttatrice Spagna; imposte
comunali e, poi, tasse - e tante - di natura religiosa.
Queste
ultime, secondo una nostra stima, erano in taluni periodi la metà di tutta
l’incidenza tributaria: andavano dalle decime arcipretali (chiamate primizie)
ai “diritti di quarta” della Curia
vescovile; dai gravami basati su un falso diploma del 1108 (quello di Santa
Margherita) in favore di un canonicato agrigentino che nulla aveva a che fare
con Racalmuto (sappiamo di canonici beneficiari saccensi) ai tanti balzelli per
battezzarsi, sposarsi in chiesa, avere il funerale religioso. Beh! la chiesa tassava
il fedele racalmutese dalla culla alla tomba.
*
* *
Il
lavoro di ricerca si appoggia e presume la pluriennale indagine che è stata
svolta sui libri parrocchiali di Racalmuto. Sono libri, ripetesi, che annotano
nascita e morte, battesimo e matrimonio, precetto pasquale di ogni racalmutese,
senza distinzione di classe sociale o di propensioni religiose, dal 1554 sino
ad oggi. Dapprima lo stato moderno non si preoccupò di questi aspetti anagrafici;
quando poi cominciò a farlo incontrò spesso - come avvenne per Racalmuto nei
primi anni dopo l’Unità - l’astio vandalico delle popolazioni inferocite e in
gran parte quelle note burocratiche finirono irrimediabilmente distrutte.
Ma
alla Matrice di Racalmuto, no. Solo una
mano sacrilega strappò qualche foglio, magari per provare l’indubitabile
origine racalmutese di Marco Antonio Alaimo, nato sicuramente a Racalmuto nei
pressi di via Baronessa Tulumello il 16 gennaio 1591, diversamente da quello
che attestano le pretenziose lapidi comunali e come invece afferma l’Abate d.
Salvatore Acquista nel suo saggio sul medico racalmutese del 1832, pag. 25.
Ed a
ben guardare quel libretto, sembra proprio lui - l’autore - il vandalico che ha
sottratto il foglio di battesimo di M. A. Alaimo. Mi riprometto di rintracciare
quel foglio tra quei cinque sacchi di scritti che l’esecutore testamentario
Giuseppe Tulumello depositò nella Biblioteca Lucchesiana il 24 aprile 1879. ([1])
* * *
Le
carte della matrice di Racalmuto sono un po' stregate: appaiono vendicatrici.
Basta che uno storico locale si sbilanci in ricostruzioni storiche che
prescindano dalla loro consultazione per scattare la vendetta: esse stanno lì
per sbugiardare il malcapitato paesano. Esigono rispetto, deferenza, assidua frequentazione e meticolosa attenzione.
Quando
il giovane studente in medicina - il Tinebra Martorana - si mise a scrivere improvvisandosi storico
locale, nella totale ignoranza dei libri parrocchiali, questi lo hanno
ridicolizzato smentendolo impietosamente specie nelle fantasiose saghe dei del
Carretto, della vaga vedova di Girolamo, nello scambio di sesso del figlio
Doroteo (che invece era una Dorotea longeva e per nulla uccisa dalla cornata di
una capra: voce popolare questa raccolta dal Tinebra). Dispiace che il grande
Leonardo Sciascia si sia fatto travolgere dal suo fidato storico e sia
incappato in spiacevoli topiche, specie nell’anticlericale attribuzione di un
nefando crimine al frate Evodio Poliziense - che davvero era un pio monaco e
che a Racalmuto, se vi mise mai piede,
ciò avvenne poche volte e per compiti istituzionali e conventuali,
limitandosi solo ad edificanti incontri con i suoi confratelli di S. Giuliano.
In ogni caso Frate Evodio Poliziense poté frequentare Racalmuto quando Girolamo
del Carretto - che secondo Sciascia fu fatto trucidare dal monaco - era poco
più che tredicenne.
Non
fu, poi, questo Girolamo del Carretto ad essere tiranno di Racalmuto in modo
“grifagno ed assetato” secondo il lessico del Tinebra, né fu lui (ma i suoi
tutori) ad accordarsi con i maggiorenti di Racalmuto per una promessa di
affrancamento in cambio di 34.000 scudi (vedi sempre il Tinebra); né egli è
colpevole del “terraggio” e del “terraggiolo” e di tutte quelle altre
nefandezze che sono l’humus
storico-culturale delle Parrocchie di Regalpetra o di Morte dell’Inquisitore.
Quando il conte morì non aveva ancora raggiunto l’età di venticinque anni e da
oltre un anno con atto di donazione tra vivi si era liberato di tutti i suoi
beni in favore dei due figli Giovanni - quello giustiziato poi a Palermo nel
1650 - e Dorotea ( e non Doroteo); egli, inoltre, aveva nominato
amministratrice e tutrice la giovanissima moglie Beatrice di cui, peraltro, si
conosce bene il cognome. Era, costei,
una Ventimiglia.
(E tanto grazie alle recenti scoperte
d’archivio del prof. Giuseppe Nalbone. Siffatte carte ci forniscono anche
notizie su Dorotea del Carretto, divenuta marchesa di Geraci che risulta
defunta da poco nel 1654 [pro comitatu Racalmuti et Baronia Gibellini, filii
filiaeque donnae Dorotheae Carrecto Marchionissae defunctae Hieratij et
praefati d.ni Joannis Comitis Rahalmuti sororis - f. 267 v.]. Il 1654 è l’anno
della restituzione da parte del Re di Spagna a Girolamo del Carretto dei suoi
domini racalmutesi con diploma emesso nel
Cenobio di S. Lorenzo il 28
ottobre 1654).
Anche
il pur meritevole Eugenio Napoleone Messana incappò in disavventure storiche
per avere disatteso le carte della Matrice. Si credeva incontrollabile e
storicizzò una frottola di famiglia facendo sposare nel ‘500 tal Scipione [o
Sypioni o Sapioni] Savatteri ad una inesistente figlia dei Del Carretto per
legittimare una inverosimile ascendenza nobiliare. Impietosamente - anche qui -
i libri di matrimonio e di battesimo della Matrice di Racalmuto danno i dati
anagrafici di detto Scipione Savatteri, oriundo peraltro da Mussomeli, di
rispettabile stato piccolo borghese, andato sposo ad un’altrettanta plebea
Petrina Saguna:
12/10/1586 - SAVATERI SCIPIONI DI PAOLINO E BELLADONNA
sposa SAGUNA PETRINA DI ANTONINO E MARCHISA.
Benedice le nozze: don Paolino Paladino -TESTI:
Montiliuni Gasparo notaro e cl. Cimbardo Angilo
Superfluo
aggiungere che quella “Marchisa” - madre di Petrina - è solo un singolare nome
e nulla ha a che fare con storie di nobiltà locale.
* * *
Se poi
consultiamo le tantissime carte dell’Archivio della Matrice sulle congregazioni
o sui pii legati e simili, abbiamo piacevoli sorprese sulla vera storia di
Racalmuto. Certo, svanisce nel nulla la vicenda del prete Santo d’Agrò che da
solo costruisce l’attuale Matrice: anche qui ci troviamo di fronte ad una
distorsione del Tinebra, che viene ripresa da Sciascia per una sua
impareggiabile rilettura. E’ però una rilettura che esplode in una irriverente
raffigurazione dell’incolpevole e probo sacerdote Agrò: questi viene immerso in
deliri erotici ed addirittura proteso in viaggi allucinati, deposto sulle
spiagge del deliquio sensuale, e, con immagine spagnola, sommerso nell’Alumbramiento onirico (vedi Sciascia:
Introduzione al Catalogo illustrato delle opere di D’Asaro, pag. 20).
E dire
che sarebbe bastato un fugace sguardo ad un atto transattivo degli eredi di
detto sacerdote - atto transattivo che
si conserva in Matrice - per fugare tali
infamanti sospetti e rispettare la verità storica sulla “fabbrica della
Matrice”; la quale ben due rolli - sia detto per inciso - seguono passo passo,
sino al primo ventennio dell’ottocento. Per lo meno si sarebbero evitate
ricadute che non si possono non lamentare in libri pubblicati non più tardi
dell’altro ieri.
Nessun commento:
Posta un commento