Lettera terza patrizia
Ma bando alle querimonie soggettive, rievocative, virulente, invocative,
permalose, invettive: le rimembranze di un vecchio sono astiose, riprovevoli,
volte all’oblio; che cosa posson dire? Dare la cifra di un fallimento esistenziale,
che tale è per ogni essere vivente la senescenza. Dopo il gaudioso inferno della
giovinezza e della maturità, ecco arrivare l’angoscioso declino della
decadenza, simile ad un purgatorio a tempo determinato; e si arriva quindi al
paradiso eterno, alla morte sotterra senza più luce, senza più amore, senza più
piacere, ed anche senza più dolore, senza più rimpianti, senza più nulla. Chi
afferma il contrario, ci dia la prova. Come lo santificheremmo? Lo
divinizzeremmo persino: qualcuno scrisse ego
sum via, et veritas, et vita. Quanto a supponenza ve n’è di più di quella
di una donna in euforia creativa. Era l’apocalittico Giovanni che sembra averlo
trascritto. Ma il dicitore triplicemente possente nulla seppe rispondere ad un
Pilato, superbo romano, che irridendo chiedeva la mensura della veritas.
Patrizia Di Poce vive il 1990 (non so quanti anni avesse, non molti
comunque) in esplosione vitale: non pù vagiti, non più pueriltà cromatiche, ed
anche se riluttante agli onirici futurismi altrui, esplode cromaticamente.
Perché? Guardate questa tela:
Non ha titolo, non ha figure esplicite; la gamma dei colori resta ancora parca, il simbolismo è
ambiguo, il bianco (segno del puro?) latita; il rosso (sanguis redemptionis? O luxuria?
De sesto? De nono?) avvolge, penetra,
dilata; un umiliato giallino (lo scialbo annuire del maschio? O il lucore
dell’opaco vivere il quotidiano?) non
penetra, se penetra muta in divampante rosso. Tanti i cerchi, le corone
circolari, grecamente abbiamo peristili, cripte di ipogeica vita, orgoglio
dell’efebeia gunaichea. Il bitorzolo si fa rosso per sua forza o per inondazione
di chi domina, all’inverso della convenzione? Ambiguità, ambiguità. Ambiguità,
ma solo per chi legge, per chi osa assidersi nell’accidia curiosa. Di là c’è la
vita, la gioia, la forza creativa. Senza pudori, altezzosamente. Se la pittura
è un dialogo tra un segreto che solo l’artista conosce e la sottomessa petulanza
di chi osserva, quel dialogo c’è tutto nella tela della Di Poce, che giammai
dipanerà il mistero di tale sognante
ambiguità.
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