Lettere a Patrizia
Cara Patrizia.
Il lontano dì 11 ottobre 2006 mi rassegnavi un CD sinteticamente
titolato “….Molto di me …”. Ora, lo
confesso: non l’aprii neppure. A noi persone intelligentissime (ma senza altri
orpelli) capita spesso una violenta interruzione della mente. Ed a me, allora,
accadde in modo violentissimo. Fu tanto invadente da impedirmi persino la
modulazione della parola. Seguo per il momento le teoriche del Groddeck sull’Es per intuirne la genesi. Depressione
gravissima, per dirla secondo il volgo.
Ed è stata faccenda lunga, visto che solo questa estate, costretto
dalla mia adorata moglie a ritornare, dopo anni, nella mia Racalmuto, ho avuto
un risveglio che ancora dura. Ritornato il 2 gennaio dalla Sicilia mi sono
incuriosito per quel CD dalla emblematica copertina di pochi insensi colori per
un irregolare cerchio di fuoco tenue solcato da un raggio rosso che origina da
un vago coso di color bianchiccio: un simbolismo insomma per nulla esplicito,
pudicamente allusivo, forse censurato da un Es
di appartenenza femminea, che chiamerei, con ripiccata ascendenza ellenica, per
non cadere nel turpiloquio a me estraneo, mondo dell’efebeia gunaichea.
Mi darai del supponente (lo sono) dello snob della mente (mi piace
esserlo).
Nel retro della copertina sta scritto: “… molto di me …Se segui l’istinto
della tua curiosità … puoi incontrare la mia ….
Creatività ….” Molti i puntini sospensivi. Quanta titubanza … ma
quanta alterigia! Francamente non ho capito molto. Non credo ad uno strale
troppo diretto. Forse uno stralcio del vezzo efebico di scrivere versi per se
stessi, meglio: per se stesse.
Ma supponiamo che si tenti la mia “curiosità” (invero quella mia è
ficcante critica corrosiva che ha fatto di me un valente agente ispettivo della
Vigilanza Bancaria prodiga di compensi economici che mi hanno permesso , contro
le mie attitudini, di vivere dignitosamente).
Mi si dice che vi si filma il percorso artistico di un ventennio
(1986-2006) dell’artista PATRIZIA DI
POCE (alias PAT). Solo tre note di commento: tutte dei primissimi anni del’90.
A meno di un lustro dall’esordio. Allora, però, tali sullodati critici
(Sulprizio, Calabrese, Balla) avevano solo audaci cimenti d’esordio. Il
Calabrese parla addirittura di vagiti.
Eppure tutti e tre in un punto concordano: il sibilo erotico di quell’astratto
dipingere.
Sulprizio sbircia nei quadri alla ricerca di “immagini nate da
sensualità”; Calabrese ha occhio per colori romani “impudichi o sensuali”;
Balla vi gira attorno, ma è sempre lì: “competizione tra istinto e ragione”.
Noi Alessandro Balla lo conosciamo molto bene: viene da una titanica scuola
pittorica di famiglia: spatole, pennelli, colori, cromatiche superficie li ha
succhiati sin dal latte materno. Cara Patrizia – ora te lo posso confessare – a
Balla la tua pittura delle origini non era congeniale. Apprezzava invece i tuoi
manufatti: ed il tuo evolversi artistico infatti là ti ha portato.
E di là, dovrei partire: solo che ignoro del tutto quello che mi dici
produci da un quinquennio almeno in quel di Massa, con l’apollineo marmo.
Schivo di colori o meglio di enfaticismo
cromatico. E ciò invece mi sembra ti attanagliasse in esordio.
Trascrivo:
Ecco un tuo quadro. Datato 1990. Vi è aggancio alla tua vita? La tua è
genialità scaturente da un momento di gioia? Di liberazione? Di sofferenza? E’
un moto di umana aggressività? Sorge da un istinto materno represso? Da una
evanescente enfasi esistenziale? Che urlava il tuo Ego? Come censurava il tuo Es?
Ha ragione Groddech che l’Es in
difesa suggeriva, sprigionava mali fisici? Oscurava la vista per non vedere?E
quante altre domande si potrebbero affastellare.
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