Vi vengono segnati i
sacerdoti che celebrano il battesimo. Sono costoro i cappellani della Matrice
(operante nella chiesa di S. Antonio). Non riscontriamo mai la presenza
dell’arciprete (né don Gerlando d’Averna, né quello che si considera il suo
predecessore, don Tommaso Sciarrabba
(“Arciprete e canonico della cattedrale di Girgenti anno 1553”, annota il Liber
citato, c. 1 n.° 2).
I cappellani officianti
risultano:
don Vincenzo Colichia;
don Antonino La Matina;
don Dionisi Lombardo;
don Antonio Castagna.
Il primo atto di battesimo della Matrice di Racalmuto
Anno 1554 Viene Battezzato il figlio di Gilormo La Licata
Inferno
Il sacerdote celebrante è il rev. Presti Vincenzo
Colicchia
La maggior frequenza si
registra per don Vincenzo Colichia e per don Dionisi Lombardo. Entrambi vengono
segnati con il titolo di “presti” (prete).
Di nessuno di loro si fa il più vago cenno nel “Liber”. Nella successiva
documentazione del 1570/71, riappare soltanto il cappellano don Antonino La
Matina.
I cappellani del periodo successivo
(1570/1571):
Don Vincenzo d’Averna;
Don Jo Cacciatore;
Don Antonino D’Auria;
Don Giuseppe Garambula;
Don Antonino La Matina;
Don Filippo Macina.
E’ il periodo centrale
dell’arcipretura di don Gerlando D’Averna che spesso presiede alla funzione
battesimale. Su don Vincenzo d’Averna ci siamo già abbondantemente soffermati.
Abbiamo pure accennato a don Antonino La Matina, presente negli atti del
periodo precedente del 1564 (o giù di lì). Sul D’Auria, Cacciatore e Garambula
non disponiamo di altri dati. Fra tutti questi cappellani, il solo ricordato
dal Liber è don Filippo Macina (c. 1 n.° 8).
Stando ai cognomi, il D’Auria, il La Matina e Jo Cacciatore possono
essere stati benissimo indigeni. Il Macina ed il Garambula appaiono oriundi.
I
cappellani del periodo 1575/76
Don Vincenzo d’Averna;
don Lisi Provenzano.
I salti della
documentazione disponibile ci portano a questa quarta indizione anticipata
(1575/76). I battesimi vengono ora suddivisi solo tra il d’Averna ed il
Provenzano. Su entrambi ci siamo dilungati in precedenza. Arciprete di
Racalmuto è ancora don Gerlando d’Averna
I cappellani del
periodo 1579/1582:
Don Michele Abate;
Don Monserrato d’Agrò;
Don Lisi Provenzano;
Don Giuseppe d’Averna.
Nei fascicoli dei
battesimi del 1579 appare segnato come arciprete Don Michele Romano, dottore in
sacra teologia (S.T.D.). Nel Liber vengono citati Abbate (n.° 24), Monserrato
d’Agrò (n.° 7) , Giuseppe d’Averna (n.° 13) e naturalmente l’arc. Romano ( n.°
4). Il Provenzano è segnato come diacono (n.° 18) non si sa se per errore o
perché c’era veramente un diacono Luigi Provenzano morto il 20 luglio 1600.
I
cappellani del periodo 1583/84:
Don Monserrato d’Agrò;
Don Francesco Nicastro;
Don Paolino Paladino;
Don Lisi Provenzano.
Arciprete del tempo è don
Michele Romano che appare in qualche battesimo. Rispetto al precedente periodo
appaiono per la prima volta don Francesco Nicastro e don Paolino Paladino:
entrambi sono annotati nel Liber, ma senza alcun altro dato all’infuori del
nome e cognome.
Don Giuseppe
Romano
Annotato nel Liber (c. 1
n.° 17) si riscontra solamente in questa nota a margine del libro parrocchiale
delle trascrizioni dei matrimoni 1582-1600:
Die 24 ottobris Xa ind.s 1597, mi detti lu cunto
don Leonardo Spalletta delli sponczalicii a mia don Joseppi Romano come
procuraturi di mons.r ill.mo.
L’arc. don
Michele Romano era morto solo da poco tempo (28 luglio 1597). Che vi sia un
qualche vincolo di parentela, è congetturabile.
Arciprete
Michele Romano
Ha tutta l’aria di essere
il primo arciprete d’origine racalmutese. Insediatosi attorno al 1579, succede
a don Gerlando d’Averna. Muore il 28
luglio 1597, prossimo al suo ventennio di arcipretura. Ebbe forse ad acquisire
un discreto patrimonio, fatto sta che il vescovo Horozco intenta una lite al
conte del Carretto per rivendicare i beni successori del defunto arciprete
Romano. Il Vescovo ne fa cenno in una sua difesa inviata al Vaticano, ove fra
l’altro si legge:
« [.....]Il detto Conte di Raxhalmuto per respetto che s’ha voluto occupare la
spoglia[1] del arciprete morto di detta sua terra facendoci far certi testamenti et
atti fittitij, falsi et litigiosi, per levar la detta spoglia toccante à detta
Ecclesia, per la qual causa, trovandosi esso Conte debitore di detto condam
Arciprete per diverse partite et parti delli vassalli di esso Conte, per
occuparseli esso conte, come se l’have occupato, et per non pagare ne lassar quello
che si deve per conto di detta spoglia, usao tal termino che per la gran Corte
di detto Regno fece destinare un delegato seculare sotto nome di persone sue
confidenti per far privare ad esso exponente della possessione di detta
spoglia, come in effetto ni lo fece privare, con intento di far mettere in
condentione la giurisditione ecclesiastica con lo regitor di detto Regno. »
A
distanza di secoli non è facile sapere chi avesse ragione. Di certo, il Romano
durante la sua vita non si mostra contrario ai Del Carretto. Sul punto di morte
è persino propenso a favorire il conte facendogli - a dire del vescovo - «certi testamenti et atti fittizij,
falsi e litigiosi».
L’arciprete
Romano deve vedersela con il primo conte di Racalmuto, Girolamo del Carretto -
divenuto tale nel 1576 - e, dopo il 9 agosto 1583, con il successore,
l’avventuroso Giovanni del Carretto, che finirà trucidato a Palermo il 5 maggio
1608. Entrambi furono però signori di Racalmuto che amarono starsene a Palermo.
L’arciprete Romano ebbe a che fare più con gli amministratori comitali, quali
Cesare del Carretto e Girolamo Russo, che non con gli altezzosi titolari. E
l’intesa sembra essere stata buona, anche quando si trattò di stabilire, nel
1581, oneri e tributi di vassallaggio.
Quando
scende a Racalmuto un parente dei del Carretto per battezzare il figlio di un
personaggio eccellente, in quel tempo operante nella contea, l’arc. Romano è
ovviamente presente:
“Adi 9 marzo VIe Indiz. 1593 Diego
figlio del s.or Gioseppi e Caterina di VUO fu batt.o per me don Michele Romano
archipr.te - il Compare fu l'Ill'S.or Don Baldassaro del CARRETTO - la Conbare
l'Ill'S.ora Donna Maria del Carretto''
In
ogni caso, nei raduni del popolo, chiamato ad avallare gravami tributari,
l’arciprete si mantiene, almeno formalmente, al di sopra delle parti e non
appare neppure come teste.
Arciprete
Alessandro Capoccio
Il
Vescovo Horozco lo nominò arciprete di Racalmuto nell’estate del 1598. Il
Capoccio aveva vari incarichi presso la Curia Vescovile di Agrigento e non aveva
tempo di raggiungere la sede dell’arcipretura: mandò due suoi rappresentanti,
muniti di formalissimi atti notarili.
Presso la Matrice può leggersi questa nota apposta al margine di un atto
matrimoniale:
«DIE 16 Julii XIe Indi.nis
1598: ''Pigliao la possessioni don Vito BELLISGUARDI et don Antonino d'AMATO
(?) procuratori di don Lexandro Capozza p. l'arcipretato di Racalmuto come
appare per atto plubico''.» (cfr. Atti della Matrice: STATO DI
FAMIGLIA - M A T R I M O N I - 1582-1600
)
Tre
anni prima, don Alexandro Capocho era stato inviato a Roma, al posto del
Covarruvias, per presentare la prima relazione 'ad limina' dei Vescovi di
Agrigento al Papa[2]. Nell'atto di delega del
12 settembre 1595 "Don Alexandro Cappocio' viene indicato come "Sacrae theologie professor eiusque [del
vescovo] Secretarius”.
In
Vaticano si conserva il processo concistoriale di quel vescovo (Archivio
Vaticano Segreto - Processus Concistorialis - anno 1594 - vol. I - (Agrigento)
- ff. 30-62.). La testimonianza del Capoccio è, a dire il vero, schietta e per
niente compiacente (f. 36v e 37).
Sintetizzando
e traducendo dallo spagnolo ricaviamo questi dati:
«Depone
il dottor Don Alexandro Capocho, suddiacono naturale del Regno di Napoli e
residente per il momento in questa
corte. Egli testimonia che conosce il detto signor Don Juan de Horoczo y
Covarruvias di vista e solo da due mesi, poco più poco meno, e di
non essere né familiare né parente dell’ Horozco».
Salta quindi ben dodici domande che attenevano
alle origini ed alla vita del futuro vescovo. La sua testimonianza è quindi
molto minuziosa sulla Cattedrale di Agrigento (circostanza che non ci pare qui
conferente). ‘Conosceva piuttosto bene Agrigento per esservi stato due anni,
poco più poco meno’.
Per quanto tempo il
Capoccio sia stato arciprete di Racalmuto, s’ignora. Sappiamo che subentrò
l'Argumento, nominato nel marzo del 1600.[3] Quel che appare sicuro è che
l’arciprete Capoccio non fu presente in alcun atto di battesimo o nella
celebrazione di un qualsiasi matrimonio nella parrocchia racalmutese di cui per
un biennio fu titolare. A sostituirlo nelle incombenze pastorali fu di certo
don Leonardo Spalletta, il cappellano di cui gli atti parrocchiali testimoniano
zelo ed assidua presenza.
I CONVENTI DI
RACALMUTO NEL ‘500
CENNI INTRODUTTIVI
Non crediamo che vi
siano stati conventi a Racalmuto nei
primi quarant’anni del ‘500: solo attorno al 1545 è di sicuro operante il
convento di S. Francesco, ove erano insediati i padri francescani dell’Ordine
dei Minori Conventuali. In certi documenti vescovili che riguardano il sac. don
Lisi Provenzano abbiamo rinvenuto elementi tali da suffragare questa antica
datazione del convento. L’altro cenobio che appare alla fine del secolo, quello
dei carmelitani, sorge all’incirca verso il 1575 se diamo credito alla lapide
dell’avello del primo priore padre Paolo Fanara, quale ancora si legge nella
chiesa del Carmelo (la chiesa sembra invece essere esistita già dal tempo della
visita del Tagliavia nel 1540 ed è citata nel testamento del barone Giovanni
del Carretto).
Giovan Luca Barberi parla
di un convento benedettino presso Racalmuto, ma gli ereduti locali negli ultimi
tempi sono propensi a ritenere che il chiostro fosse quello di S. Benedetto, in
territorio di Favara.
Quanto all’altro convento
francescano, quello dei Minori di Regolare Osservanza, esso, seppure se ne
parla già nel 1598, inizia la sua attività nei primi anni del ‘600.
Per tutto il Cinquecento
non vi sono conventi femminili a Racalmuto. Il primo - quello di S. Chiara -
comincerà ad operare verso il 1645.
Convento di S. Francesco.
Sappiamo con certezza che
il 21 novembre 1545 il convento di S. Francesco era operante. Noi pensiamo che
sin dagli esordi furono i padri minori conventuali ad occupare il convento,
sotto l’egida di Giovanni del Carretto. Pietro Rodolfo Tossiniano, vescovo di
Senigallia, accenna a questo convento racalmutese nel libro 2° della sua
Historia Serafica. Il maltese Filippo Cagliola nel 1644, fa un discorso un poco
più articolato e, descrivendo le “Almae sicilienses Provinciae ordinis Minorum
Conventualium S. Francisci”, prende in considerazione anche Racalmuto in questi
termini:
LOCUS RACALMUTI
[custodia agrigentina]. suae fondationis certam non habet notam, cum scripturas
omnes grassantis pestis insumpserit
lues. Quam ob rem annus 1576 a THOSSINIANO inscriptus, ad reparationem
Ecclesiae, post eliminatum languorem, non ad fundationem referendus; pugnaret
siquidem secum Auctor, qui a Comite Ioanne, certam pecuniam pro Ecclesia
reparatione, legatam asserit, anno 1560. Ecclesia denuo excitata, imperfecta
iacet, locus iuxta arcem a Friderico Claramontano constructa, situs amoenus,
qui fabricis non spernendis incrementa suscepit. Ecclesia Divo Francisco
dicata.[4]
Dunque non era nota la
data di fondazione, per la distruzione dell’archivio nel tempo della grande
peste del 1576. Questo stesso anno viene indicato dal Tossiniano come data di
fondazione, subito dopo la cessazione del flagello. Ma questi cade in
contraddizione con se stesso, dato che afferma che il conte Giovanni [invero
era barone] ebbe a lasciare una certa somma nel 1560 per riparare la chiesa. La
chiesa, invero, di nuovo eretta, giace ora incompleta vicino al castello
edificato da Federico Chiaramonte, in un luogo ameno e con un notevole
chiostro. Essa è dedicata a S. Francesco.
Il barone Giovanni del
Carretto, a dire il vero non aveva tanto pensato alla chiesa ma alla sua tomba.
Egli lasciò cento onze per la sua cappella tombale. Ed altri mezzi per la
celebrazione di messe in Conventu Sancti
Francisci dictae Terrae, che dunque nel 1560 era attivo.
Francescani conventuali nel
1593
Da una ricerca del prof.
Giuseppe Nalbone risulta che nel 1593 stanziassero a S. Francesco i seguenti
religiosi:
1
|
1593
|
COLA ANDREA
|
GAITANO
|
PADRE PRIORE
|
2
|
1593
|
GIOVANNIANTONIO
|
TODISCO
|
FRA
|
3
|
1593
|
SEBASTIANO
|
D ' ALAIMO
|
FRA
|
4
|
1593
|
FRANCESCO
|
BARBERIO
|
FRA
|
5
|
1593
|
GIO
|
BARBA
|
FRA
|
6
|
1593
|
LODOVICO
|
DI SALVO
|
FRA
|
7
|
1593
|
GIUSEPPE
|
LA MATINA
|
FRA
|
Francamente non
conosciamo granché di tutti questi francescani: abbiamo, ad esempio, alcuni
accenni nell’atto di donazione di quel singolare personaggio che fu Antonella
Morreale, rimasta vedova piuttosto giovane di Leonardo La Licata. Il rogito è
datato 9 gennaio 1596 e ad un certo punto stabilisce:
Et voluit et mandavit ditta donatrix
quod dittus Jacobus donatarius ...debeat ac teneatur supra dicto ut supra
donato solvere uncias decem po: ge: in pecunia fratri Lodovico de Salvo ordinis
Sancti Francisci, filio magistri Rogerij consanguineo dittae donatricis infra
annos duos cursuros et numerandos a die mortis dittae donatricis in antea hoc
est anno quolibet in fine unc. unam in
pacem pro vestito ispius Lodovici pro Deo et eius anima ipsius donatricis et
solutis dictis unc. 10 ut supra dictus Jacobus de Poma donatarius per se et
successores teneatur et debat pro dittis unc. decem anno quolibet in perpetuum
solvere unciam unam redditus supra dicto
loco de supra donato dicto ven.li conventui Sancti Francisci dictae Terrae
Racalmuti eiusque guardiano mentionato pro eo et successoribus in ipso conventu
in perpetuum legitime stipulante in quolibet ultimo die mensis augusti
cuiuslibet anni incipiendo solvere anno quolibet in perpetuum pro Deo et eius
anima ipsius donatricis pro celebratione tot missarum celebrandarum per fratres
dicti ven. conventus
Fra Ludovico de Salvo era
dunque un consanguineo della Morreale. Nella donazione si parla di sussidi per
il suo vestiario. Per le messe v’è un altro legato di un’oncia annua in favore
del padre guardiano.
Il guardiano padre Cola
Andrea Gaitano
La Morreale si ricorda di
questo priore anche a proposito della sistemazione della non chiara vicenda del lascito da parte del
marito di un vestito appartenente a don
Cesare del Carretto. In dialetto, ella dispone piuttosto prolissamente che:
Item ipsa
donatrix pro Deo et eius anima ac pro anima ditti condam Leonardi olim eius
viri titulo donationis preditte post mortem ipsius donatricis ... donavit et
donat ditto ven. conventui Sancti Francisci
ditte terre uti dicitur: una robba
di donna di villuto russo chiaro con li soi passamanu di oro, quali robba ditta
donatrichi teni in potiri suo in pegno del sig. don Cesaro il Carretto, la
somma dello quali pignorationi ipsa donatrici non si recorda, per tanto essa
donatrici voli chè si il detto del Carretto paghira ditto conventu seu suo
guardiano la reali summa per la quali robba fui inpignorata, chè in tali casu
lu guardiano di detto convento chè tunc forte serra sia tenuto restituiri ditta
robba a ditto del Carretto et casu chè il detto del Carretto non si recapitassi
detta robba oyvero non declarira la summa per la quali detta robba sta
pignorata voli la detta donatrichi chè lu guardiano di detto convento habbia di
obtenere lettere di executione et per quella somma chè serra revelato il detto
guardiano debbea detta robba per detta somma ad altri personi inpignorarla et
quelli denari convertirli et expenderli in
subsidio et bisogno di detto conventi et fari diri tanti missi per
l’anima di detta donatrici et il ditto condam Leonardo per li frati di detto convento
et quoniam sic voluit ditta donatrix et non aliter nec alio modo.
Il
nome del padre guardiano doveva essere padre Cola Andrea Gaitano: non è
certamente racalmutese, mentre originari del paese appaiono tutti gli altri sei
fraticelli.
Fra Ludovico de Salvo
La famiglia cui apparteneva fra Ludovico Salvo
è così censita nel rivelo del 1593:
36
|
360
|
Salvo (de) Mg. Ruggero,
soldato anni 45
|
Nora de Salvo moglie;
Santo anni 14; Ludovico 11; Francesco 7; Ivella; Caterina; Vincenza
|
confina con La Lattuca Paulino
|
abita al Monte
|
Nel
1602 consegue i quattro ordini minori e pare che non sia andato oltre.
Un’annotazione del vescovo Bonincontro del 1608 farebbe pensare che fra
Ludovico abbia lasciato il convento e si sia secolarizzato. Lo troviamo infatti
fra i chierici sottoposti alla giurisdizione dell’ordinario diocesano:
Ludovico
di Salvo an 26 cons. ad 4 m. ord. die 23 martii 1602 ... S. Francisci
Fra
Ludovico era nato a Racalmuto nel 1581 come da questo atto di battesimo:
19
|
7
|
1581
|
Lodovico
|
Rogieri m.o
|
Salvo
|
Nora
|
[1]) Ciò
che alla morte del prelato ricade nel dominio del Governo durante la sede
vacante: spoglio.
[2]) Archivio Segreto Vaticano - Relationes ad Limina - 18A - f.
1.
In
spagnolo, il Covarruvias così presentava il Capocho alla Sacra Congregazione
competente:
«Quando no veniera negocios en esta Corte a
que embiar a Don Alexandro Capocho mi secretario, me diera contento embiarlo a
hacer riverencia a V.S.Ill.a y darle cuenta de las cosas de por aca, como lo
hara Don Alexandro ...el obispo de Girgento».
[3]) Cfr.
Atti Matrice: STATO DI FAMIGLIA - M A T R I M O N I
- 1582-1600. E’ ivi annotato: «Di la
maiori ecclesia di Racalmuto pigliao possisioni don Andria Argumento a li 7 di
marzo XIII ind.1600».
[4]) ALMAE
SICILIENSES PROVINCIAE - ORDINIS MINORUM
CONVENTUALIUM S.FRANCISCI - a patre magistro Philippo CAGLIOLA - a MILITA.
"Sicilia francescana
secoli XIII-XVIII a cura di Filippo ROTOLO" Venetiis, MDCXLIV - Officina
di Studi Medievvali - Via del Parlamento, 32 - 90133 PALERMO - 1984. pag. 108
[Petrus Rodulfus THOSSINIANUS, Episcopus Senegallensis ordinis nostri, in
Historia Serafica - v. per RACHALMUTUM lib. 2] .
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