CAPITOLO 1
GLI IMPIEGHI
BANCARI E IL RISCHIO DI CREDITO
1.1. LE RECEBTI EVOLUZIONI DEL
SISTEMA BANCARIO ITALIANO
Durante gli anni Novanta il sistema
bancario ha subito profonde trasformazioni. In quegli anni si è assistito a
cambiamenti alimentati dalla deregolamentazione dell’attività creditizia, dal
progresso nel campo delle telecomunicazioni (che ha consentito alle banche di
servire clienti localizzati in aree geografiche prima difficilmente
raggiungibili)[1], dall’integrazione dei mercati finanziari, dal processo
di unificazione monetaria[2]
(l’eliminazione del rischio di cambio favorisce, nell’area dell’euro,
l’espansione dell’attività delle banche in mercati diversi da quello di
origine, rimuovendo barriere alla concorrenza tra i sistemi bancari nazionali)
e dalla privatizzazione delle banche, che ha reso pienamente contendibile la
proprietà delle banche, infatti, gli intermediari creditizi si confrontano
attualmente su mercati aperti alla concorrenza, interna ed estera.
Sul piano legislativo, l’azione di riforma del sistema
bancario italiano ha preso avvio a partire dal 1990 con l’approvazione della
legge n. 218 (c.d. legge Amato) che
mira: a favorire la ricapitalizzazione delle banche; a conferire agilità e
trasparenza alla loro azione; a permettere una precisa individuazione dei
doveri e delle responsabilità degli organi cui è affidata la gestione; a
sottolineare il carattere di attività d’impresa dell’attività bancaria; a
facilitare i processi di ristrutturazione aziendale e di concentrazione delle
banche, favorendo quindi la crescita dimensionale delle stesse. Il punto focale
della riforma risulta comunque essere la trasformazione degli istituti bancari
pubblici esistenti nel territorio nazionale in s.p.a. o in società coopertive
per azioni o a responsabilità limitata; l’adozione della forma societaria
avrebbe comportato un miglioramento dei livelli di efficienza gestionale. Alla
luce delle valutazioni effettuate in questi ultimi anni bisogna riconoscere che
l’intervento del legislatore del 1990 è stato meritorio.
Alla legge Amato
hanno fatto seguito due tappe fondamentali che hanno segnato il processo di
trasformazione del sistema creditizio in Italia: l’approvazione del D. Lgs. n.
481/1992, con cui è stata recepita la II
Direttiva di coordinamento bancario e l’emanazione del Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D. Lgs. 1
settembre 1993, n. 385 entrato in vigore il 1° gennaio 1994).
L’innovazione principe
scaturita dall’approvazione del D. Lgs. 14 dicembre 1992, n° 481 è indubbiamente
la possibilità, fornita alle banche italiane, di ispirarsi a modelli operativi
simili a quelli adottati dalle loro maggiori concorrenti europee. La Direttiva,
infatti, definiva i contenuti dell’attività degli enti creditizi che possono
liberamente stabilirsi in tutti i paesi della Comunità e operare in essi in
base al principio del «mutuo riconoscimento» (ossia, il riconoscimento, da
parte di ciascuno Stato membro, della regolamentazione dei mercati creditizi
adottata negli altri Stati della Comunità). Grazie a tale normativa si assiste
in Italia alla nascita di un nuovo modello di banca.
I principi cardine del TULB possono invece essere così
sintetizzati:
·
L’attività bancaria è definita come quella costituita
dalla raccolta del risparmio tra il pubblico e dall’esercizio del credito (in
cui per raccolta di risparmio si intende l’acquisizione di fondi con obbligo di
rimborso sia sotto forma di depositi sia in altra forma).
·
Viene sancito in modo formale e definitivo il
principio della despecializzazione del sistema bancario sotto il profilo:
istituzionale (tutte le categorie di banche devono assumere la forma di
società), temporale (superamento della distinzione fondata sulla scadenza del
credito) ed operativo (possibilità di operare su una gamma di strumenti e
servizi finanziari più ampia in modo da competere con le banche estere).
Con
l’introduzione del principio della despecializzazione istituzionale e temporale
dell’attività bancaria è caduta la distinzione tra banche di credito ordinario
e istituti di credito speciale. A tutte le banche è stata accordata un’ampia
libertà di scelta per quanto concerne la loro operatività e adesso l’attività
si svolge senza alcun vincolo temporale, ma con alcune limitazioni quantitative
e particolari controlli disposti dalle autorità che vigilano sulla stabilità
del sistema relativamente all’operatività a medio-lungo termine, onde contenere
la rischiosità aziendale.
Ulteriori innovazioni in
campo creditizio sono state dettate dalla legge n. 474 del 1994, mediante la
quale è stato avviato il processo di privatizzazione nel settore bancario.
La banca, scaturita dal processo riformatore degli
anni Novanta è dunque una banca–impresa e in quanto tale è protesa a
riconvertirsi da mero soggetto mutuante denaro (con tutti gli oneri gestionali
connessi) a soggetto erogatore di servizi di consulenza, di pianificazione e di
controllo del portafoglio clienti; i nuovi margini di utile si configurano,
quindi, come commissioni per un’attività a rischio ridotto (rispetto alle
operazioni di puro impiego) e a costi in economie di scala.
La rimozione dei vincoli amministrativi all’esercizio
dell’attività bancaria e il riconoscimento della natura imprenditoriale
(scaturiti dalla nuova normativa) hanno accresciuto il peso del comportamento
bancario nell’allocazione territoriale dei prestiti. La «liberalizzazione degli
sportelli» e la trasformazione delle banche da istituti di credito di diritto
pubblico a società per azioni hanno fatto dipendere sia le scelte di
localizzazione degli sportelli che le condizioni per la concessione dei
prestiti dai comportamenti massimizzanti delle imprese bancarie (e non da
vincoli esogeni posti in essere dalle Autorità monetarie).
Nella seconda metà degli
anni Novanta si è assistito ad una diffusione capillare degli sportelli sul
territorio nazionale che ha migliorato la disponibilità di servizi bancari sia
al Centro-Nord che nel Mezzogiorno.
In definitiva, i mutamenti
normativi hanno eroso la demarcazione tra i comparti tradizionali
dell’industria finanziaria (bancario, finanziario e assicurativo), inducendo le
banche a modificare la propria attività. Queste hanno ampliato la gamma dei
servizi offerti nei settori con migliori prospettive di sviluppo e redditività
(ad esempio, la gestione del risparmio, la prestazione di servizi finanziari
alle imprese) e ridotto il peso di comparti con basso valore aggiunto (ad
esempio la custodia titoli, in misura crescente effettuata da operatori
specializzati).
1.2. LA
COMPOSIZIONE DEGLI IMPIEGHI BANCARI
Le principali fasi dell’attività bancaria rimangono
comunque quella della raccolta e quella degli impieghi dei mezzi finanziari.
Poiché l’obiettivo delle banche è quello di raggiungere elevati volumi di
impieghi in prestiti e vista l’importanza che gli impieghi rivestono quale
principale voce dell’attivo si vuole qui soffermare l’attenzione proprio su
questi.
Le risorse finanziarie raccolte vengono impiegate
dalle banche, secondo svariate modalità, seguendo un’oculata politica d’impiego
al fine di trarre i maggiori vantaggi possibili.
Nella gestione bancaria i prestiti vengono solitamente
suddivisi in due macroclassi: i crediti commerciali e i crediti al consumo.
I primi sono in larga parte destinati ad usi
produttivi, in quanto vengono concessi ad imprese che li utilizzano per
sostenere le proprie attività e sono, a loro volta, distinti in crediti per
cassa e crediti per firma. I prestiti per cassa si contraddistinguono per il
fatto che il loro utilizzo da parte del cliente implica per la banca almeno
un’uscita monetaria e almeno un’entrata monetaria, quest’ultima connessa al
rimborso che normalmente segue, a distanza di tempo, la concessione e
l’utilizzo del prestito.
I crediti di firma si differenziano da quelli per
cassa perché con essi la banca si impegna ad assumere o a garantire
l’obbligazione di un terzo soggetto. In particolare, se la banca autorizza il
terzo a spiccare o fare spiccare tratte su se stessa e si impegna ad
accettarle, concede un credito di accettazione; se invece la banca garantisce
l’obbligazione del terzo concede un credito di avallo oppure un credito di
fideiussione (se la garanzia è data in altra forma). I crediti di firma
assumono notevole importanza in quanto possono facilitare alle imprese
l’ottenimento di mezzi finanziari necessari per soddisfare i fabbisogni
finanziari di breve o medio-lungo termine.
A
fianco ai crediti per cassa e a quelli per firma nella prassi bancaria esiste
un’altra categoria di prestiti destinati a sostenere il consumo: il credito al
consumo e le carte di debito e di credito. Questi ultimi hanno avuto larga
espansione negli ultimi anni, quando si è assistito a un generale ripensamento
delle opzioni di erogazione del credito, in funzione di tre obiettivi: la
massima frammentazione possibile del rischio di insolvenza (perciò la sua
polverizzazione in una molteplicità di operazioni a valenza ridotta);
l’individuazione di nuovi mercati, che offrano più significativi margini di
utile; la fidelizzazione del cliente ottimale. Tale ricerca ha condotto le
aziende di credito a una scelta innovativa: incrementare il volume di risorse
disponibili per il credito al consumo e investire ingenti mezzi per una
riconversione delle proprie strutture interne.
Una
problematica che assume particolare attenzione nella gestione bancaria risulta
essere, dunque, la politica dei prestiti; ossia, il complesso di scelte in
materia di ammontare assoluto e relativo dei mezzi finanziari da impiegare in
prestiti, di composizione qualitativa di questi ultimi e di criteri che stanno
alla base della valutazione e della selezione dei crediti a essi connessi.
Lo
sviluppo del volume degli impieghi in prestiti dipende sia da fattori esogeni
(di ambiente e di mercato) che da fattori endogeni alla banca, tenendo conto
degli eventuali vincoli pubblici derivanti dalle misure di politica monetaria e
dalle norme di vigilanza prudenziale.
I
principali fattori esterni che incidono sul volume dei prestiti sono collegati
alle variabili che determinano l’andamento della domanda di credito. Infatti,
sul piano delle grandezze aggregate, la dinamica dei prestiti dipende dal
processo di formazione e di distribuzione del prodotto lordo (il quale riflette
le decisioni di spesa corrente e di investimento delle imprese, della pubblica
amministrazione e delle famiglie). Da un’analisi del mercato del credito
bancario negli anni immediatamente successivi alla crisi valutaria del 1992 si
evince che l’attività di impiego è stata interessata da un’ampia
ridistribuzione delle quote di mercato, su cui ha inciso la composizione della
clientela delle banche. Un secondo fattore esterno esplicativo della dinamica
degli impieghi bancari è rappresentato dalla struttura e dal funzionamento del
sistema finanziario che condizionano le possibili forme di copertura del
fabbisogno esterno degli operatori. Tali fattori – decisioni di spesa e scelte
di copertura – determinano la crescita potenziale dei prestiti. Ulteriori
fattori che incidono sulla dinamica potenziale degli impieghi del sistema
bancario vanno ricercati tra gli elementi che toccano più da vicino le
situazioni aziendali, quali la struttura delle attività economiche presenti
nell’area dell’intervento della banca. Infine il volume degli impieghi bancari
dipende dalla struttura del mercato bancario e dalle relazioni concorrenziali
che la qualificano.
I
principali fattori interni da cui dipende il volune dei prestiti possono essere
ricondotti agli obiettivi del soggetto economico, alle caratteristiche dei
mezzi amministrati, alla struttura della banca e all’organizzazione della
stessa.
1.2.1 L’andamento degli impieghi
dopo l’introduzione del D. Lgs. 385/93.
Poiché
gli impieghi, se analizzati a livello di sistema, possono essere intesi come
indicatore del tasso di sviluppo di una nazione, si avverte l’esigenza di
osservarne l’evoluzione in Italia, in un contesto ricco di trasformazioni,
quale quello in cui è stato coinvolto il sistema bancario nell’ultimo decennio.
In adesione a quanto esposto
in merito alla disciplina legislativa sul sistema bancario, il 1994 e, ancor
più, gli anni ad esso immediatamente successivi possono essere considerati
degli anni estremamente interessanti da analizzare al fine di verificare i
risvolti immediati apportati dall’introduzione del Testo Unico. Per quanto
riguarda gli impieghi la stessa Banca d’Italia fornisce dati molto
interessanti. Dalla relazione annuale emerge, infatti, che nel corso del 1994
gli impieghi delle banche residenti sono aumentati dello 0,9%. L’andamento
crescente degli impieghi delle banche permane anche negli anni a seguire.
Nonostante ciò, nel 1996 la dinamica degli impieghi si mantiene piuttosto
bassa. Le principali cause di tale bassa dinamica vanno individuate nel
rallentamento dell’attività produttiva e di investimento, nella riduzione
dell’indebitamento delle società pubbliche di partecipazione, nell’elevata
capacità di autofinanziamento delle imprese e nell’ampliarsi del divario fra i
tassi sui prestiti e quelli sulle attività finanziarie. Ma già nel corso del 1997 l’accelerazione dell’attività produttiva
e l’aumento degli investimenti in scorte hanno favorito la ripresa dei prestiti
bancari, che sono tornati a crescere. Nel 1998 la crescita degli impieghi si
configura come una delle condizioni favorevoli allo sviluppo
dell’intermediazione creditizia dovute al completamento del processo di convergenza
dell’economia verso la moneta unica. L’andamento crescente degli impieghi
erogati dalle banche italiane ha interessato dunque tutti gli anni Novanta,
come è facilmente desumibile dal grafico (costruito su dati mensili) qui
riportato:
Graf. 1 – Andamento degli impieghi nella seconda
metà degli anni Novanta.
(valori
espressi in miliardi di lire)
Fonte: Appendici alla
Relazione Annuale della Banca d’Italia – anni 1994/1999. Dati mensili.
Nel
1994 le banche hanno seguito politiche volte a modificare la composizione dei
prestiti per forma tecnica, a vantaggio delle operazioni a medio e a lungo
termine: tali operazioni sono aumentate del 7,3% (che si andava ad aggiungere
all’11,2% registrato l’anno precedente). Questo rallentamento, nella tendenza
crescente, è quasi interamente spiegato dall’andamento dei crediti alle
amministrazioni pubbliche, il cui tasso di crescita si è più che dimezzato nel
1994.
La crescita degli impieghi appena evidenziata
si è rivolta, nell’intero periodo di osservazione, soprattutto alle imprese,
alle famiglie produttrici nonché a quelle consumatrici, che hanno maggiormente
beneficiato della ripresa ciclica. Da tale ripresa però sono rimasti esclusi i
comparti nei quali l’attività produttiva ha mostrato segni di debolezza; quali
il settore dei servizi e quello dell’edilizia, in cui si è assistito
addirittura ad una riduzione rispetto agli anni precedenti. Una contrazione ben
più ampia si è registrata negli impieghi verso società finanziare (contrazione
dovuta ad una più attenta gestione degli affidamenti, in un settore in cui sono
rapidamente aumentate le insolvenze). Va tuttavia sottolineato che per i
prestiti concessi alle società finanziarie e assicurative si assiste ad
un’inversione di tendenza a partire dal 1996, quando l’indebitamento bancario è
tornato a crescere dopo tre anni di rimborsi netti, e già nel 1997 tale settore
riporta un aumento di quasi il 20%. Questo rialzo è attribuibile
alla forte ripresa dell’attività delle società di credito al consumo e di
factoring, per le quali il credito bancario costituisce la fonte principale di
finanziamento.
Nel 1999 si denota una
tendenza inversa per quanto riguarda i prestiti alle imprese, che hanno fatto
registrare un rallentamento. Tale decelerazione ha riguardato essenzialmente i
finanziamenti al settore dell’industria. Una leggerissima crescita si è notata,
invece, nel settore dei servizi. L’accelerazione della domanda dei prestiti da
parte delle famiglie creditrici è stata utilizzata per l’indebitamento a più
lunga scadenza.
La
forte espansione degli impieghi è stata finanziata dalle banche con interventi
volti ad aumentare l’indebitamento netto sull’estero (al fine di evitare un
rialzo generalizzato dei tassi sulla raccolta interna) e a ridurre drasticamente
il portafoglio titoli, in presenza di tassi di interesse nominali e reali molto
contenuti rispetto al passato.
Una precisazione importante da fare è inerente
alle divergenze allocative a livello territoriale: l’andamento crescente degli
impieghi è, infatti, stato più sostenuto nelle regioni del Nord rispetto al
Centro e il divario si fa ancora più forte rispetto alle regioni meridionali.
La
tendenza positiva è proseguita anche nei primi anni del terzo millennio;
difatti già nel 2000 l’espansione dell’attività economica in Italia ha
alimentato la domanda di prestiti e ha contribuito a ridurre le perdite su
crediti. La domanda di prestiti è pervenuta agli enti creditizi soprattutto da
parte delle imprese di maggiori dimensioni, al fine di finanziare l’espansione
degli investimenti e i processi di ristrutturazione aziendale, e da parte delle
famiglie per l’acquisto di immobili e beni durevoli.
Tale
accelerazione del credito ha però riguardato solo la componente a breve
termine, quella a medio e a lungo termine ha subito un rallentamento dopo gli
aumenti registrati alla fine degli anni Novanta. Sotto un profilo settoriale si
evidenzia che la crescita dei prestiti è stata rivolta soprattutto alle imprese
industriali, tra cui, quelle che ne hanno maggiormente beneficiato sono le
imprese del settore energetico. Non va affatto sottovalutata la crescita nel
settore dei servizi, pari al 20,0%, alimentata innanzitutto dai finanziamenti
alle società di telecomunicazioni e da un numero ristretto di operazioni di
importo elevato in altri comparti. Nel 2000 si registra un rallentamento del
credito al consumo concesso da banche e società finanziarie; tale decremento è
ascrivibile essenzialmente alla decelerazione dei finanziamenti concessi
mediante carte di credito, dovuta ad alcune ingenti operazioni di
cartolarizzazione.
Nel
2001 le ripercussioni negative della sfavorevole congiuntura economica e
finanziaria in Italia e nelle altre maggiori economie si sono rivolte anche al
settore creditizio, in cui si è osservata una decelerazione dell’attività di
prestito che ha riguardato tutte le categorie di clientela, ovviamente con peso
diverso a seconda dei settori. Difatti, il rallentamento è stato più accentuato
per le grandi imprese e per le società finanziarie. I prestiti concessi da
banche italiane a clienti residenti in Italia sono aumentati del 7,4% (a fronte
del 13,1% del 2000). Tale decelerazione ha interessato principalmente le
imprese e le società finanziarie e assicurative. In misura molto contenuta sono
cresciuti i prestiti all’industria manifatturiera, sia perché il settore ha
risentito delle difficoltà congiunturali che hanno colpito lo stesso e anche
per la ristrutturazione finanziaria di alcuni gruppi che hanno ridotto
l’indebitamento bancario utilizzando i fondi raccolti attraverso aumenti di
capitale ed emissioni di obbligazioni. Mentre, il rallentamento dei
finanziamenti al settore dei servizi è in larga misura riconducibile alla
diminuzione dei prestiti alle imprese delle telecomunicazioni. I prestiti alle
famiglie, anche se in discesa rispetto al 2000, continuano a crescere ad un
ritmo sostenuto; tali prestiti sono utilizzati sia per l’acquisto di immobili
che per il credito al consumo.
Anche
in questi ultimi anni permane la divergenza territoriale dell’andamento degli
impieghi, tale attività è stata più sostenuta nelle regioni
centro-settentrionali che in quelle meridionali.
Nel
2002 si assiste ad un rallentamento dei prestiti nei primi mesi dell’anno, per
poi accrescersi nei mesi successivi. In quest’ultimo anno occorre annoverare
due inversioni di tendenza: la crescita degli impieghi, pari al 6,3 per cento[3],
ha superato quella del PIL in termini nominali e l’espansione è stata più
sostenuta per le imprese con sede nel Mezzogiorno. La decelerazione dei prestiti,
iniziata nel 2001 e accentuatasi durante il 2002, ha interessato soprattutto i
finanziamenti alle imprese, con particolare riguardo al settore manifatturiero
e a quello dei servizi; mentre sono aumentati i finanziamenti alle società di
costruzione e quelli concessi alle finanziarie di partecipazione a capo di
gruppi con un’ampia presenza nel settore immobiliare. Per quanto riguarda,
invece, i prestiti alle famiglie si è registrato un aumento rispetto al 2001 e
tale crescita è in larga misura riconducibile ai finanziamenti concessi per
l’acquisto di abitazioni; rilevante è stato anche l’incremento del credito al
consumo e dei finanziamenti a fronte dell’utilizzo di carte di credito.
Il
grafico qui riportato dà un’idea di come si sono mossi gli impieghi negli anni
più recenti:
Graf. 2 – Andamento degli impieghi per gli
anni 2000-2002.
(valori espressi in milioni di euro)
Fonte: Appendici alla Relazione della Banca d’Italia – anni 2000/2002. Dati mensili
1.3. IL RISCHIO E LA CENTRALE DEI
RISCHI
Nonostante
gli sviluppi positivi che arreca l’attività di prestito occorre ricordare che
questa è un’attività altamente rischiosa e che l’andamento del portafoglio
prestiti condiziona in modo determinante la performance
di un’azienda bancaria e la sua stabilità; perciò le autorità di vigilanza
bancaria invitano, con sempre maggiore insistenza, gli istituti creditizi a
munirsi di strumenti e metodi volti a prevedere e anticipare le dinamiche della
clientela, al fine di intervenire tempestivamente e ridurre, ove possibile, i
rischi di perdita.
La
natura del rischio in campo economico–finanziario è legata alla possibilità che
il risultato di una particolare operazione, misurato ex post, sia diverso da quello previsto e atteso ex ante. Pertanto, il concetto di
rischio configura una situazione di incertezza nella quale non si conosce
l’esito finale di un determinato evento (il rischio è tanto maggiore quanto più
numerosi e differenti sono gli esiti possibili).
Nella
gestione bancaria si individuano allora diverse categorie di rischi e lo stesso
schema dello stato patrimoniale è strutturato in maniera tale da porre in
risalto le principali famiglie di rischio creditizio assunto dalle banche. Il
maggiore rischio cui incorre la banca è legato all’evenienza che il debitore
non sia in grado di rimborsare integralmente il suo debito alle scadenze
convenute, ossia non assolve, in tutto o in parte, agli obblighi di rimborso
del capitale e pagamento degli interessi. Ciò è dovuto alla divergenza
temporale esistente tra la concessione del prestito e il rimborso dello stesso;
può infatti accadere che le condizioni di affidabilità del cliente che
supportavano la concessione si deteriorino durante la vita del prestito e che
impediscano la sua regolare conclusione. Tale rischio comporta quindi la
possibilità di perdite definitive sui crediti in essere per la banca gravando
in modo più o meno pesante sulla sua situazione economica, finanziaria e
patrimoniale. Il rischio legato alla faillite
del soggetto finanziato, che assume le vesti di controparte della banca, di cui
si è fin qui parlato, è denominato rischio di credito o di insolvenza.
Una
sottospecie del rischio di credito è il rischio di liquidità. Questo viene
considerato un caso particolare del rischio di credito perché contempla
l’ipotesi in cui il cliente assolve ai propri obblighi monetari, ma in tempi
diversi e successivi rispetto a quelli prestabiliti, obbligando la banca a
sopportare un onere, non previsto, dovuto all’esigenza di copertura che viene
soddisfatta con ricorso al mercato interbancario o con forme di raccolta a
breve termine.
Il
concetto di rischio, insito nella concessione dei prestiti bancari, può essere
scisso in: rischio economico, che riguarda la redditività aziendale ed è
strettamente connesso al rischio di credito, ossia l’eventuale insolvenza
definitiva dell’impresa affidata, che comporti una perdita certa per il
capitale non rimborsato e/o per gli interessi non corrisposti e rischio
finanziario, che riguarda la liquidità aziendale e si manifesta come diretta
conseguenza dell’insolvenza definitiva dell’impresa affidata. Tale rischio può
anche essere riferito all’eventualità che il rapporto, pur non comportando
immediatamente una perdita certa, si trasformi tuttavia in un immobilizzo
finanziario.
Pertanto, poiché il rischio rappresenta un tema di
centrale interesse per l’intero sistema economico, in quanto un debitore
inadempiente non rimborsa né le banche, né le aziende industriali o commerciali
creditrici, si avverte l’esigenza di quantificare il rischio stesso per
minimizzarlo e rendere, quanto più possibile, ottima l’attività bancaria. A tal
fine in Italia è stata istituita nel 1962, dal CICR e affidata alla Banca
d’Italia, la Centrale dei Rischi, più precisamente definita come Servizio per la
centralizzazione dei rischi bancari. Tale istituto obbliga tutte le banche a
comunicare mensilmente alla Banca d’Italia i crediti accordati alla clientela
superiori a importi prefissati (nonché i relativi utilizzi) e le posizioni a
sofferenza senza alcun limite di importo, e impegna la Banca d’Italia a
segnalare alle banche, per ogni nominativo per il quale abbiano comunicato la
concessione di fido, la situazione riassuntiva dei crediti censiti al nome
dello stesso, con l’indicazione, per ciascuna categoria di crediti,
dell’importo globale accordato, di quello utilizzato (senza indicazione del
nome delle banche concedenti) e degli eventuali elementi di patologia esistenti
nelle relazioni di credito che la clientela intrattiene con altri intermediari
creditizi (sofferenze, passaggi a perdita, sconfinamenti, crediti scaduti,
garanzie escusse senza esito). Tale servizio concerne le posizioni di coloro
che sono già affidati al sistema bancario e permette alle banche che hanno
effettuato questi affidamenti di conoscere la posizione di rischio globale
dell’affidato verso l’
[1]
L’utilizzo delle nuove tecnologie può accrescere in misura considerevole l’efficienza sia nella fase di produzione
(selezione della clientela, gestione del rischio, back office), sia in quella della distribuzione di servizi
all’ingrosso (intermediazione mobiliare) e al dettaglio (gestione del
risparmio, vendita di carte di credito).
[2] Il processo di
unificazione monetaria ha avuto dei risvolti soprattutto per quanto riguarda i
provvedimenti di politica monetaria. Infatti la responsabilità della politica
monetaria unica è stata assunta dal Consiglio direttivo della Banca centrale
europea (BCE), composto dai Governatori delle Banche centrali nazionali (BCN) e
dai membri del Comitato esecutivo e l’obiettivo prioritario di tale politica,
dettato dal Trattato di Maastricht, è la stabilità dei prezzi dell’area nel suo
complesso.
[3] In diminuzione rispetto
all’anno precedente in cui il tasso di crescita dei prestiti era del 7,2%.
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