Sac. Giuseppe Savatteri e
Brutto (1755-1802)
Bello, elegante, colto, raffinato, ricco, sprezzante - quanto
casto non è dato sapere - questo prete svetta sia nelle vicende della famiglia
sia in quelle della locale storia. Leonardo Sciascia, avvalendosi di dati di
seconda mano, tenta di infilzarlo, ma commette una delle sue solite
manipolazioni storiche per prevenzioni ideologiche. Il sac. Giuseppe Savatteri
ha coraggio, cultura e intraprendenza tali da osare un’impari contrapposizione
con il suo potente (e dispotico) vescovo agrigentino. Entra nell’intricata storia
del beneficio del Crocifisso.
Quando, il Tinebra Martorana - un famiglio della discutibile
consorteria dei Tulumello - si accinge, nel 1897, a scrivere la storia del
paese, non gli sembra vero di dilatare il senso di un documento giudiziario -
che invece di venire custodito negli archivi del Comune, sta fra le carte
private del barone Tulumello - per dileggiare un Savatteri, la famiglia ostile
ai suoi protettori, che fra l’altro lo facevano studiare da medico a spese
dell’Amministrazione comunale.
Quello sui cui il Tinebra trama è il carteggio del Caracciolo
su cui abbiamo già detto. Ripetiamo quello che riguarda il nostro sacerdote:
«17. La Gran Corte dia le pronte
provvidenze di giustizia, onde li cittadini non soffrano aggravij - A febbraio
p.p. in die 16 - Li naturali della terra di Racalmuto, sentendosi molto gravati
di questo esattore ed amministratore Prete d. Giuseppe Savatteri
nell’esigenza del terragiolo dentro e fuori di questo stato, quanto nell’avere
agumentato la Baglìa a tutti li poveri giornalieri, formando una Cascia o
Statica come anche esatte a forza di prepotenze pignorando sin anco gli
utensili delle loro moglie e pratticando molte estorsioni.
«Pregano l’E.V. di ordinare il
conveniente per non vedersi pur troppo soverchiati.»
Al Tinebra Martorana mancano competenza e penna per
fronteggiare la complessa vicenda della lotta al baronaggio siciliano da parte
del discutibile Caracciolo (l’agiografica visione dei laici del Settecento e
del postumo Sciascia lascia oggi il tempo che trova). Il Tinebra, dunque,
compatta scarne e disparate “notizie storiche” in un capitoletto sul Settecento
e velenosamente rubrica (pag. 184): «1785 - Soprusi praticati dal sac. Giuseppe
Savatteri, arrendatore di Racalmuto, verso i poverelli.» Non parve vero a Leonardo
Sciascia di rigonfiare quell’appunto per una delle sue solite tiritere
anticlericali. Nessuna ricerca storica,
da parte sua; nessun approfondimento; nessuno spunto critico. Scrive dunque lo
Sciascia [1]:
«Ecco il rapporto di un altro funzionario al Tribunale della
Real Corte sui “soprusi praticati dal sacerdote Giuseppe Savatteri, verso i
poverelli”» e giù, senza analisi critica, il testo di un’evidente lettera
anonima, che crediamo essere dovuta alla penna del malevolo arciprete
Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il Savatteri aveva affilato
le armi per l’usurpazione del beneficio del Crocifisso.
Prosegue Sciascia: «Il bello è che dopo questo rapporto il
Tribunale della Real Corte ordinava al giudice criminale di Regalpetra [alias
Racalmuto] “di far restituire ai borgesi tutti gli oggetti che il sacerdote
Savatteri aveva ad essi pignorati”, forse i lettori non lo crederanno ma la
cosa è andata davvero così”.» Con buona pace di Sciascia, a noi pare che le
cose erano molto più complesse e coinvolgono la politica dei re Borboni di
Napoli, che è quanto dire.
D. Giuseppe Savatteri e Brutto morì nella peste del 1802; il
Liber annota: n.° 312, c. 19, D. Giuseppe Savatteri e Brutto, 27 februarii 1802
d’anni 47. Il vescovo non lo aveva voluto come beneficiale della Communia. Il
Savatteri faceva però parte della neo-confraternita della Mastranza. Non pare
molto diligente nell’annotare le messe che era tenuto a celebrare per i
confrati defunti: subisce delle sanzioni. Così risulta annotato in registri
della confraternita.
Abbiamo prima
ragguagliato sull’interdetto del 1713, ora ci pare opportuno riportare alcune
annotazioni disseminate nei registri parrocchiali della Matrice.
1713 (Morti dal 1714 al
1724)
Dopo il 28 agosto 1719:
L’interditto fu imposto
dall’Ill.mo e Rev.mo Signor D. Francesco Remirens Arc. E Vesc. di Girgenti con
il consenso della S. Sede nella Chiesa Cathedrale di Girgenti e in tutta la
Diocesi fu sciolto la domenica di Agosto al dì 27 [1719] dell’ora vigesima
seconda dal rev.mo Sig. Dr. D. Giuseppe Garucci (?) Can. Teo. E Vic. Generale
Apostolico con l’Autorità della S. Sede.
Morti 1707-1714 (Die 3 7bris 1713 VII Ind.)
Vigilia Sanctae Rosaliae
hora vigesima fuit affixum interdictum generale locale in hac terra Racalmuti.
Battesimi 1711-1716 -
pag. 450.
Ad perpetuam rei memoriam
Die tertio septembris septimae inditionis 1713 Vigilia Sanctae Rosaliae nostrae
Patronae hora vigesima, fuit affixum interdictum in Civitate Agrigenti et in
eiusdem Dioecesi ab Ecc.mo et rev.mo D.no D. Francisco Remirens Episcopo
dictorum
Archipresbitero D.re D.
Frabritio Signorino 1713.
Il Lo Brutto fu
personaggio di spicco; arciprete, in simpatia delle varie autorità vescovili,
di famiglia presso l’ultimo conte Del Carretto, dispensatore di benefici e di
mozzette clericali, finì – come si disse – sepolto in Matrice, osannato da una
lapide a spese del nipote dottor Antonio Pistone:
Matrice ex Cappella
dell’Annunziata.
Monumentum hoc
mortalitatis, quod jure sacelli propriis sibi facultatibus ascito, ante aram
Virginis huius templi patronae, familia Brutto paraverat, doctor don Antonius
Pistone, hic situs, velu optimus heres, honorifico lapide, qui suos suorumque
cineres decentius conderet, exornatum curavit, votumque expletum est. -
Kalendis Septembris MDCC - Post eius obitum anno sexto.
(Stemma - Pampini - leone
alato ... elmo chiomato del milite)
LA PARENTESI SABAUDA E QUELLA AUSTRIACA
Se volessimo
dare le coordinate degli sviluppi politici dalla fine del dominio spagnolo
sulla Sicilia (1713) ed l’avvento dei Borboni (1735), dovremmo fare riferimento
al trattato di Utrecht che inventa il regno sabaudo in Sicilia; alla rivolta
antisovoiarda con l’assalto di Caltanissetta alle truppe sabaude in ritirata
del 1718 ed al quindicennio di dominio austriaco, dal maggio del 1720 al 30
giugno 1735 quando Carlo III di Borbone giurava nel duomo di Palermo
l’osservanza dei Capitoli del regno.
Il vescovo Ramirez che prima
di recarsi in esilio lancia l’interdetto che investe Racalmuto apre questo tumultuoso
periodo: l’investitura da parte dei Gaetani della contea di Racalmuto, che
cadde il 7 agosto 1735 ed il decesso dell’arciprete Filippo Algozini (20
ottobre 1735) lo chiudono sotto un
duplice profilo: quello feudale, ma in senso involutivo, visto che si ritorna
ad una feudalità vessatoria che la morte dell’ultimo conte del Carretto nel
1710 aveva di molto rilassata, e sotto quello ecclesiastico con il ritorno agli
arcipreti d’estrazione locale, molto più legati ai loro parrocchiani. Francesco
Torretta inizia una serie di racalmutesi al vertice del locale clero (sia pure
come “economo-vicario” ) che si protrae – fatta eccezione per la scialba
arcipretura di Antonio Scaglione - sino
ai nostri giorni.
Sull’interdetto
del 1713 parliamo altrove. Sotto i Sabaudi si intensifica la presenza militare.
Ad Agrigento c’è una Sargenzia composta, tra l’altro, da due compagnie di
cavalleggeri: una a Naro e l’altra a Racalmuto, nonché da die compagnie di
Fanteria a Naro ed a Sutera con 550 soldati. Il contingente di Racalmuto è di 9
cavalli e 65 fanti. L’onere finanziario ricade sulle “università” tra le quale
viene ripartito il c.d. “donativo”. [2]
Col passaggio sotto
l’Austria, nel 1720 v’è un allentamento della morsa militare e l’ordine
pubblico ne risente: resta celebre il caso[3] del bandito Raimondo Sferrazza di
Grotte, tra i cui affiliati un qualche racalmutese vi dovette essere. Lo
Sferrazza fu giustiziato a Canicatti il 30 aprile 1727. Iniziò la sua attività
criminale vera e propria nel 1723. Vittima dello Sferrazza risulta tale Mariano
Calci di Racalmuto.
Da Prizzi arriva a
Racalmuto il successore di d. Fabrizio Signorino: don Filippo Algozini, che non
dura più di un quinquennio. Muore nel 1735 e pare non abbia lasciato un buon
ricordo nei suoi confratelli se costoro si limitano ad annotarne la morte sul
LIBER, al n° 220 seccamente, senza alcuna sottolineatura. Invero era stato un
arciprete alquanto vivace, piuttosto energico e sicuramente preciso ed
ordinato. Ci lascia un tariffario che illustra ad abbondanza quanto fiscale
fosse la Chiesa di allora: veramente tassava dalla culla alla tomba come
abbiamo avuto modo di rappresentare una volta in una nostra mal tollerata
conferenza alla Fondazione Sciascia. I balzelli venivano pudicamente denominati
diritti di stola; il maggior peso si
aveva per i matrimoni per i quali vi è una casistica tanto puntigliosa quanto
invereconda; ecco, infatti, l’ampia gamma di aliquote per tasse matrimoniali
dovute alla locale Matrice.
1731
Tariffario dei diritti di stola per
il matrimonio celebrato in chiesa, a Racalmuto, sotto l’arciprete Algozzini, originario di Prizzi:
Sponsali 1731 al 1738
LIBER PROCLAMARUM
PRO NUPTURIENTIBUS ET
ORDINIS SACRIS INSIGNIRI CUPIENTIBUS
E ANNO 1731 QUO FUI IMMISSUS
IN HAC MATRICI RACALMUTI
EGO PHILIPPUS ALGOZINI
PRITIENSIS
S.T.D. ARCHIPRESBITER USQUE
AD ANNUM 1770
TASSA PER L'INCARTAMENTI
se la sposa esiste in
questa terra
LE SPESE SONO CIOE'
PER LETTA REGOLARE AL
PARROCO DELLA TERRA DOVE
ABITA IL SPOSO-------- T. 1
SEDE DI DENUNCIE---------- T. 2 10 GRANI
ORDINE PER IL COPIARI TESTES
T. 1
LETTERE ALLA G.C. : T. 1
P. SOVRATASSA DI DETTA LETTERA
NELLA QUALE DONA LICENZA
DI SPOSARSI T.
1
TASSA T. 3 10
GRANI
-----------
---------------------
-----------
T. 10 0
..
LETTERA REG.RE AL PARROCO T. 0 10 GRANI
TESTI T . 2
??
T. 1
LIC. REGOLARE T. 2 10 GRANI
TASSA DELLA LETTERA DI GI.GNTI T. 10 GRANI
//
15 GRANI
----------- --------------------- -----------
T. 7 5 GRANI
SE PERO' LA SPOSA E' FUORI PARROCCHIA
ORD. DEL COPIARE LI TESTES T. 1
SEDE DI
DENUNCIA
T. 2 10
Dobbiamo però
alla penna dell’Algozini un preciso inventario
delle ricche suppellettili che ormai dotavano la Matrice; in più abbiamo
una descrizione preziosa dell’assetto organizzativo della locale arcipretura,
in uno con la raffigurazione dell’interno della chiesa dell’Annunziata, nonché
con altri dati di rilievo anche socio-economico.
L’Algozini lascia,
comunque, in sospeso la questione del quadro della Maddalena che si continua ad
attribuire a Pietro d’Asaro; l’arciprete si limita ad annotare: “Altare di S.
Maria Maddalena: item il quadro con la figura di detta Santa” e non ne indica
l’autore; per lui – come per noi – l’autore è anonimo. Se una congettura
personale è permessa, tendo a credere che il quadro sia stato commissionato
dall’Agrò in prossimità del 1637 (molto dopo dunque dalla datazione 1622 di cui
a pag. 66 del Catalogo del 1985), in nome e per conto di qualche confraternita della Matrice o della Fabbrica; consegnato agli eredi,
costoro con l’accordo del 1641, s’impegnano a sistemarlo nella già operante
Cappella della Maddalena, il cui spazio antistante viene acquisito per la
“carnalia” del sacerdote defunto e dei suoi eredi, previa destinazione alla
“Fabbrica” di un censo annuo di
un’oncia, prescelto tra i legati del sac. Santo Agrò. Singolare è il fatto che
nel 1731 si è perso il ricordo della tomba del sacerdote benefattore e
l’Algozini si limita ad annotare che «non sono sepolture sotto le predelle
dell’altari” e che in tutta la chiesa le gentilizie di specifici “patronati” sono
solo quattro ed appartengono ai « fratelli del SS. Sacramento; ai Petrozzelli, ai Lo Brutto ed agli Acquista”». Ma già a partire dal 1654
non si rintraccia nei libri contabili della Fabbrica il cennato censo di un’oncia
dell’eredità Agrò[4].
L’elaborato
algoziniano che si conserva presso l’archivio vescovile di Agrigento ci
fornisce un insostituibile spaccato della comunità racalmutese in pieno regime
austriaco. Il 28 giugno 1731, l’arciprete consegna al visitatore pastorale un
folto fascicolo di «notizie che dona il
Molto Rev. Dr. Filippo Algozini archipresbitere di detta terra, alle dimande
nelle istruzioni dell’Ill.mo e Rev.mo D. Lorenzo Gioeni, vescovo di Girgenti
per la visita pastorale.» Quel celebre vescovo era di recente nomina (con
bolla pontificia dell’11 dicembre 1730, esecutoriata in Palermo il 5 gennaio
1731) e all’inizio dell’estate è già a Racalmuto per un controllo ficcante e
pignolo. Fornisce un questionario dettagliatissimo cui l’arciprete deve dare esaustive
risposte. Una fatica improba per lui, ma buon per noi che siamo così in grado
di disporre di una stratigrafica ricognizione della comunità di Racalmuto a
quasi un terzo del Settecento.
Unica la
parrocchia, ma quindici le chiese “secolari”, nove nell’abitato e sei nelle
campagne; inoltre sei sono quelle dei “regolari”. In totale ben 21 luoghi di
culto e cioè:
le n°
quindici “secolari” sparse per il paese:
1.
la Matrice chiesa sotto titolo della
SS.ma Annunciata ; il Rettore ed Amministratore il M.to
Rdo Archipresbitere Dr D. Filippo Algozini;
2.
Oratorio del SS.mo Sacramento sotto
titolo di S. Tomaso d’Aquino, il Rettore il sud.o Dr D.
Filippo Algozini Archiprete, ed i congionti Mo Scibetta e Mo
Giuseppe di Rosa, che l’amministrano;
3.
Chiesa sotto titolo di S. Maria del
Monte, il Rettore clerico coniugato Agostino Carlino, Rdo Sac. D. Pietro
Signorino ed Onofrio Busuito congionti, che l’amministrano;
4.
Chiesa sotto titolo di S. Rosalia,
amministrata dalli Giurati di questa terra come Padroni;
5.
Chiesa sotto titolo di S. Anna, il
Rettore clerico coniugato D. Calogero Sferrazza congionto a Sigismondo
Borsellino e Diego Emmanuele che l’amministrano;
6.
Chiesa sotto titolo di S. Micheli
Arcangelo, il Rettore e Amministratore il Rev. Sac. D. Francesco Pistone;
7.
Oratorio sotto titolo di S. Giuseppe,
il Rettore Dr. D. Giuseppe Grillo , notaio Nicolò Pumo ed Ignazio
Mantione congionti;
8.
Chiesa sotto titolo di S. Maria
dell’Itria amministrata dal Rev.do Sac. D. Pietro Signorino Beneficiale;
Chiesa sotto titolo di S. Nicolò di Bari amministrata dal
R.do Sac. D. Gaspare d’Agrò mansionario della Catredale di Girgenti, e per esso
dal R.do Sac. Dn Isidoro Amella procuratore.
Queste le
annotazioni che riguardano le chiese di campagna, denominate “chiese fora le
Mura”:
1.
Chiesa sotto titolo di S. Maria della
Rocca, il Retttore o amministratore Sac. D. Vincenzo Avarello;
2.
Chiesa sotto titolo di S. Maria di
Monteserrato, in cui si celebra la povera festa dalli pij devoti;
3.
Chiesa sotto titolo di S. Maria della
Providenza amministrata da D. Paolo Baeri Patrono;
4.
Chiesa sotto titolo di S. Marta
amministrata da Pietro Mulè Paruzzo procuratore;
5.
Chiesa sotto titolo di S. Gaetano
amministrata dall’Ill. Marchese di S. Ninfa come Padrone;
6.
Chiesa sotto titolo del SS.mo
Crocifisso, amministrata dal Rev. Sac. D. Antonio La Lomia Calcerano fondatore.
Dichiarato
che non vi erano “cappelle ed oratori domestico” (queste saranno di moda alla
fine del Settecento e si protrarranno sino alla seconda metà del XX secolo),
ecco la descrizione dei monasteri che sono “cinque conventi de’ regolari ed un
monastero di Donne”:
1.
Convento di S. Maria del Carmine;
2.
Convento di S. Francesco de Padri
Minori Conventuali;
3.
Convento di S. Maria de Padri Minori
osservanti;
4.
Convento di S. Giovanni di Dio de’
PP. Fateben fratelli;
5.
Ospizio di S. Giuliano de’ PP. di S.
Agostino della Congregazione di Sicilia;
6.
Monastero de Monache dell’ordine di
S. Francesco.
E si precisa
che all’epoca non vi erano conventi soppressi.
A Racalmuto
operava un ospedale “sotto la giurisprudenza dei Padri fatebenfratelli giusta
li loro privilegi”. Non vi erano ancora monti di pegno.
In compenso operavano due
confraternite e cinque “compagnie”.
1.
Confraternità di S. Maria di Giesù,
li Rettori sono Pietro Casucci, Pietro d’Agrò, Vincenzo Missana e Giovanne
Farrauto; si fanno ogn’anno nella Prima domenica di gennaro;
2.
Confraternità di S. Giuliano, li
Rettori sono Giovanne d’Alaymo, Ippolito Fucà, Giuseppe Savarino e Vito
Mantione, il loro governo dura anno uno, incominciando dalla Prima Domenica di
Gennaro;
3.
Compagnia del SS. Sacramento,
Governatore il Mo R.do D. Filippo Algozini, congionti Mo
Giacinto Scibetta e Mo Giuseppe Di Rosa, il loro governo dura tre
mesi, incominciando dalla domenica infra “octavam Corporis”;
4.
Compagnia del Thaù fondata nella
Chiesa di S. Anna, Governatore D. Calogero Sferrazza, congionti Sigismondo
Borsellino e Diego Emmanuele; dura il loro officio tre mesi, incominciando
dalla Domenica più prossima all’otto che ch’incide del mese, li presenti furono
fatti all’8 Giugno 1731;
5.
Compagnia dell’Anime del Purgatorio
fondata nella Chiesa di S. Micheli Arcangelo, Governatore Raimondo Borcellino
minore, congionti Rev.do Sac. D. Santo Farrauto e Santo La Matina Calello; il
loro officio dura quattro mesi incominciando dalla Prima Domenica di Gennaro;
6.
Compagnia di S. Maria del Monte,
Governatore Clerico Coniugato Agostino Carlino, congionti R.do Sac. D. Pietro
Signorino ed Onofrio Busuito; il loro officio dura anno uno, incominciando
dalla Prima Domenica di Settembre;
7.
Compagnia di S. Giuseppe, Governatore
Dr D. Giuseppe Grillo, congionti Notaro Pumo ed Ignazio Mantione; il loro
officio dura quattro mesi incominciando dalla seconda domenica di Gennaro.
8.
Ci viene fornito un dato
anagrafico di notevolissima importanza: sapendo quanto precisi erano gli uomini
della Chiesa, possiamo essere certi che davvero a Racalmuto, nel giugno del
1731, c’erano 1200 famiglie con 5.134 anime o abitanti che dir si voglia (in
media 4,28 componenti per ogni nucleo familiare). Nutritissima la compagine
ecclesiastica: 28 sacerdoti, di cui però ammalati cronici 24. In ogni modo un
sacerdote ogni 42 famiglie oppure ogni 183 abitanti. Ecco l’elenco:
1.
Il
Mo Rev. Archipresbiter Dr D. Filippo Algozini;
2.
Il
Mo Rev. D. Salvatore Lo Brutto Vicario Foraneo;
3.
Sac.
D. Filippo Cino;
4.
Sac.
D. Francesco Pistone;
5.
Sac.
D. MichalAngelo La Mendola;
6.
Sac.
D. MichalAngelo Rao;
7.
Sac. D. Ignazio Laudito;
8.
Sac.
D. Paulo Spagnolo;
9.
Sac.
D. Gerlando Carlino;
10.
Sac. D. Antonino Macaluso;
11.
Sac. D. Francesco Torretta;
12.
Sac. D. Gaspare Casucci;
13.
Sac. D. Vincenzo Casucci;
14.
Sac. D. Leonardo La Matina;
15.
Sac. D. Calogero Pumo;
16.
Sac. D. Giovan Battista Pumo;
17.
Sac. D. Antonino Mantione;
18.
Sac. D. MichalAngelo Savatteri;
19.
Sac. D. Isidoro Amella;
20.
Sac. D. Vincenzo Avararello;
21.
Sac. D. Francesco De Maria;
22.
Sac. D. Antonio La Lomia Calcerano;
23.
Sac. D. Baldassare Biondi;
24.
Sac. D. Pietro Signorino;
25.
Sac.
D. Orazio Bartolotta;
26.
Sac. D. Antonino d’Amico minore;
27.
Sac. D. Ignazio Pumo;
28.
Sac. D. Santo Farrauto.
Ma le vocanzioni non
mancavano; erano già diaconi: Melchiore Grillo ed il nostro Servo di Dio padre
Elia Lauricella. Baldassare d’Agrò aveva ricevuto l’ordine minore del
suddiaconato; c’erano 7 accoliti: Francesco Grillo; Vito Gagliano; Vincenzo
Amendola; Antonino Busuito; Giuseppe Alferi; Ludovico Amico; Diego Martorana;
semplici esorcisti: Gaetano Raspini e Grispino Tirone; giovani lettori:
Emmanuele Cavallaro; Vincenzo Alfano; Santo di Naro; Calogero Vinci; Leonardo
Castrogiovanne; un solo ostiario: chierico Ignazio Picone; i chierici tonsurati
erano Orazio Sferrazza, Francesco Savatteri e Nicolò Milano. Tutti gli ottimati
racalmutesi, o almeno quelli che cominciavano ad esserli nel secolo dei lumi ma
anche dell'irrompere di una nuova classe, quella borghese, vi sono
rappresentati. Le famiglie escluse, non sono ancora di riguardo. Tra queste i
Tulumello che poi domineranno. I Matrona mancano perché ancora non scesi a
Racalmuto.
Alcuni signori amano
essere chierici “coniugati”, forse per i benefici del Santo Offizio: D.
Domenico Grillo; D. Calogero Sferrazza; D. Paulo Baeri. Ad un livello inferiore
troviamo i chierici “coniugati” Agostino Carlino, Francesco Farrauto e Giuseppe
Chiovo.
La pletora dei sacerdoti era però
eccessiva e non tutti i ministri di Dio erano modelli di santità o almeno
disponevano di un pur ristretto bagaglio di nozioni teologiche e morali da
potere essere autorizzati al sacramento della confessione: solo cinque, oltre
all’arciprete, erano facoltizzati: il vicario Lo Brutto, uno solo dei Casucci:
Gaspare, don Francesco Torretta, don Baldassare Biondi e don Leonardo La
Matina.
E passiamo ora ai
conventi. Iniziamo dai Carmelitani.
Il priore era un
racalmutese DOC: il sacerdote padre Carlo Maria Casucci, assistito dal sac. D.
Pietro Paolo Roccella. Il padre lettore, il sac. Antonio Monticcioli era in
trasferta a Trapani. Stavano al Carmine, a beneficiare delle laute rendite i
fratelli – i “fratacchiuna” – fra Elia Salemi, Fra Angelo La Rosa e fra
Gerlando Montagna.
I francescani conventuali
erano quelli del convento di S. Francesco; dovevano essere in quel momento in crisi:
un solo sacerdote, padre Giuseppe Cimino – che giureremmo essere di Grotte, e
fra Paulo Surci (semplice “fratello”).
Non così invece a S.
Maria di Gesù: quattro sacerdoti, venuti tutti da lontana via a godersi le
tante rendite (P. Michelangelo da Lentini, P. Ludovico da Licata, P. Giovan
Battista da Mussomeli e P. Bonaventura da Canicattì) e quattro “fratacchiuna”
(fra Pasquale da Racalmuto, fra Gaetano da Cammarata, fra Giiovanni Battista da
Racalmuto e fra Geronimo da Racalmuto). Stavano al convento attiguo alla
chiesa; appartenevano all’ordine francescano dei Minori Osservanti; coltivavano
le feraci terre ove ora c’è il cimitero e sino al 1866 riuscivano a cavarne del
buon vino, sia pure con alterna fortuna.
A S. Giovanni di Dio,
adibito soprattutto ad ospedale, non c’erano sacerdoti ma solo due “fratelli”:
fra Bernardo Sassi e fra Vincenzo Mercante, decisamente forestieri. Le
lamentele fatte al Papa da parte del vescovo Ramirez non erano poi infondate.
Il convento di S.
Giuliano doveva essere chiuso da almeno mezzo secolo ed invece eccocelo vivo e
vitale – sia pure ora inquadrato nell’ordine di S. Agostino della Congregazione di Sicilia. Quanto sia ricco lo
vedremo quando commenteremo una dichiarazione dei redditi, con annesso stato
patrimoniale, del 1754. Qui dimorano tre sacerdoti (P. Agostino da Racalmuto,
P. Ignazio da Geraci e P. Anselmo da Adriano) e tre “fratelli” (fra Giuseppe da
Racalmuto, fra Agostino da Racalmuto e fra Giuseppe da Caltanissetta). I
fratelli laici dovevano sguinzagliarsi per le campagne per la “ricerca”, le
elemosine in natura, ad onta delle cospicue rendite.
Ed ora è il turno del
convento delle monache di S. Chiara. Vi pullulano ben 22 recluso, in uno spazio
che per quanto ampio costituiva una specie di carcere per donne di diversa
estrazione, di diversa età e persino di diversa cultura. Venivano sepolte nella
graziosa chiesa della Batia. Ora, il pavimento della vecchia chiesa è ridotto a
sala di conferenza. I loro resti umani vengono calpestati senza rispetto
alcuno, senza un ricorso, senza un fiore. Almeno quelle derelitte del 1731
ricordiamole qui, con come e cognome.
L’abbadessa era suor
Domenica Rizzo ed è dubbio che fosse di Racalmuto. Le fungeva da vicaria suor Rosa Renda. Provenivano da
famiglie di spicco: suor Gesua Maria Lo Brutto, suor Maria Stella Sferrazza,
suor Maria Lanciata Di Benedetto, suor Maria Grazia Casucci, suor Maria
Crocifissa Signorino, suor Claradia Amella, suor Maria Gioacchina Brutto, suor
Angelica Maria Signorino, suor Francesca Maria Biondi, suor Maria Scolastica
Signorino; da forestieri o da famiglie non altolocate che riuscivano a
sistemare le figlie superflue tra le cosiddette clarisse, ove il pane
quotidiano era almeno assicurato: Suor Giuseppa Maria Caramella, suor Pietra
Margherita Zambito, suor Maria Serafica Zambito, suor Carla Maria Provenzano,
suor Antonia Maria Raspini.
E con loro, le novizie
Vita Vinci e Orsola Guadagnino. Tre “converse” – all’ultimo gradino di quella
opprimente gerarchica monastica – erano tutte del luogo: soro Geronima
Martorana, soro Elisabetta La Licata e soro Angela Rizzo. Un tratto di penna
dell’Algozini e poi più nulla per queste vite umane, per queste vittime di una
condizione femminile settecentesca, echeggiata appena dalla Maraini quando ebbe
a raccontare la lunga vita di Marianna Ucria. Ma qui non c’è neppure il
benessere del dominio aristocratico.
I benefizi ecclesiastici
sono appena quattro: uno è in possesso dell’arciprete e gli altri sono
semplici: quello di S. Antonio viene goduto da d. Gaspare Casucci; l’altro di
S. Maria dell’Itria da don Pietro Signorino, quello che lascerà tanto alla
chiesa del Monte; ed infine quello di S. Nicolò di Bari assegnato a don Gaspare
d’Agrò.
I mansionari, i preti
salmodianti a pagamento in Matrice, sono ancora dodici, come aveva voluto il
fondatore, l’arciprete Lo Brutto e, a scorrere la lista, ci si sorprende che
autorizzati a ricevere le confessioni sono solo d. Salvatore Lo Brutto, d.
Gaspare Casucci e d. Francesco Torretta; gli altri (don Filippo Cino, don
Francesco Pistone, don Vincenzo Casucci, don Giambattista Pumo, don Isidoro
Amella, don Gerlando Carlino, don santo Farrauto, don Antonino d’Amico e Matina
e don Antonino d’Amico e Morreale) sono bravi a cantare le ore canoniche ma non
sono ritenuti all’altezza delle confessioni, specie delle donne. Per converso
don Baldassare Biondi e don Leonardo La Matina vengono ritenuti idonei ad
impartire l’assoluzione dai peccati, ma sono per il momento tenuti lontano dai
benefici economici che il cantare Vespro e Compieta fa conseguire. Don Nardu
Matina non sarà mai beneficiale venendo a decedere nel 1733 (LIBER, n° 216);
Baldassare Biondi (+ 29 ottobre 1771) farà carriera, diverrà vicario foraneo e
raggiungerà la ragguardevole età di 82 anni (LIBER, n° 284).
Racalmuto non ospita eretici
o scomunicati; è tutto sommato morigerato e rispettoso della religione e dei
precetti della chiesa. L’Algozini può così rispondere all’apposito paragrafo
del questionario:
1.
Non vi sono scomunicati, , né
sospesi, interdetti o che non abbiano adempito la communione paschale, o non
osservato le feste, né publici usurarij, concubinarij, adulteri, solamente
Lorenzo Scibetta è diviso da sua moglie che ostinatamente abita in Aragona,
Diego di Giglia da Maria sua moglie che pure ostinatamente non lo vuole,
siccome Giuseppe Lo Brutto di Gaetana d’Anna sua moglie; né pure vi sono
giocatori scandalosi né inimici;
2.
Vi sono due maestri di scuola, rev.do
sac. D. Calogero Pumo ed il Diacono D. Melchiorre Grillo;
3.
Quattro medici fisici dr. D. Giuseppe
Grillo, dr. D. Giuseppe Amelli, rev. Sac. D. Ignazio Pumo, ed il clerico
coniugato D. Calogero Sferrazza;
4.
Chirurghi dui il clerico coniugato D.
Giuseppe Sferrazza e D. Antonino Amelle;
5.
Due levatrici, Angela Rini e Maria
Schillaci, ambi di buoni costumi e sanno la forma del Battesimo.
Seguiamo ora, passo passo,
come l’arciprete Algozini descrive la Matrice:
1.
Il titolo della chiesa è Maria SS.ma
dell’Annunciazione ;
2.
Si celebra la festa nel giorno
proprio;
3.
Non vi sono abusi;
4.
La chiesa non è consecrata;
5.
Il Padrone è il vescovo;
6.
Fu eretta alli 20 giugno 4a
Ind. 1621;
7.
Nella Cappella di S. Maria del
Suffraggiov’è la Liberazione dell’Anime ogni lunedì e nell’ottava de morti ad
septemnium per breve concesso dalla Stà di Benedetto XIII di fel. mem. a 17
settembre 1728 e nessuno altare ha Padrone.
Della struttura della Chiesa
1.
Questa Chiesa Matrice è construita
con due ordini di colonne, con che si forma la nave e due ali;
2.
Ha semplice tetto;
3.
Non dona umidità;
4.
Vi sono sei finestre, cioè tre con
vitriate e tre senza;
5.
delle quali entra vento;
6.
le pareti della chiesa in alcune
parti sono di piedre quadrati, in alcune con incrostatura in alcune incolte;
7.
senz’erbe;
8.
La fabrica da pertutto ben soda;
9.
senza veruna servitù;
10.
v’è choro situato nell’altare
maggiore dell’istesso sito della Cappella;
11.
senza sedili o stalli distinti, ma
fra breve vi si faranno ad eccitazione del detto rev. Archiprete;
12.
non v’è separazione di luoco per le
donne;
13.
il pavimento è di gisso intiero.
Disponibili anche notizie
sullo stato dell’edificio e sul suo assetto interno:
1.
Tocca alla Maramma la reparazione che
ha onze 3.15.6 di rendite annue e cioè: dal sac. Isidoro Amella onze 2; dal
rev.do sacerdote don Vincenzo Casucci e consorti tarì 13.19; da Antonino di
Salvo Ruggeri tarì 4.10; dagli eredi di Giovan Battista Petruzzella e consorti
tarì 10.10; da Giovanne d’Alaymo Trombetta tarì 8.5; dall’erede di Salvatore
Corbo tari 8.2.
2.
S’amministrano dalli quattro deputati
della chiesa che sono il rev. Archip. Dr. D. Filippo Algozini, il rev. Vicario
Foraneo D. Salvatore Lo brutto, don Francesco Pistone e don Gaspare Casucci.
L’Algozini ci informa che
«v’è dentro la Cappella del SS.mo Sacramento di questa Chiesa Madre la
compagnia del Santissomo Sacramento; l’officiali sono l’antedetto rev.do
arciprete dr. D. Filippo Algozini, M° Giacinto Scibetta e M° Giuseppe di
Rosa.» Aggiunge: «Dentro questa Matrice
chiesa non vi sono cappellanie se non le sacramentali che adesso sono il rev.do
sacerdote D. Francesco Torretta ed il rev.do sacerdote D. Leonardo La Matina.»
Abbiamo peraltro «un
beneficio di S. Antonio Abbate posesso come sopra dal rev.do sac. Don Gaspare
Casucci.» Al servizio della Matrice sono i chierici Pietro Santo Maura e Santo
di Naro: il loro stipendio e di 8 onze, quattro pagari dal rev. Arciprete, due
dalla Cappella del SS.mo Sacramento, onze 1.10 dalla Cappella di Maria del
Suffraggio e tarì 20 «d’altre tre Cappelle in ragione di tarì 6 per una, oltre
tarì 10: incirca di venti.»
Ed ecco, di estremo
interesse storico, la descrizione e la disposizione degli altari:
1.
Vi sono quattordeci Altari, il
Maggiore;
2.
quel del venerabile;
3.
della SS.ma Annunciata;
4.
di S. Maria del Suffraggio;
5.
del SS.mo Crocifisso;
6.
di S. Vito;
7.
di S. Giovan Battista;
8.
di S. Leonardo;
9.
di S. Antonio Abbate;
10.
di S. Ignazio;
11.
della Ss.ma Assunzione;
12.
delli S.ti tré Reggi;
13.
di S. Giuseppe;
14.
di S. Maria Maddalena.
«Per quante diligenze
s’abbiano fatto – soggiunge l’arciprete – non si sa dell’erezione di
ciascheduna.» Nel dettaglio: «Sono l’altaretti conservati nello stipite e non
ve ni sono portatili; sono intieri nelli sigilli delle Reliquie; ve n’è uno
[altare] privilegiato di S. Maria del Suffraggio; nessun altare ha padrone; non
hanno rendite per suppellettili e manutenimento, se non quelli che si devono
contribuire dalli celebranti secondo la tassa e reduzione ultimamente fatta.
L’altare però di S. Ignazio ha tarì 19 annui dovuti cioè: tarì 12 da Pietro
Mulè paruzzo in virtù di contratto per l’atti di not. Michelangelo Vaccaro a 10
settembre 7a 1713, e tarì 7 dal notaio Michelangelo Vaccaro in virtù
del contratto per l’atti del quondam notaio Francesco Pumo a 11 gennaio X
a ind. 1717.»
Gravano sugli altari vari
pesi per messe:
1.
La cappella del SS.mo Sacramento
messe n° 163;
2.
Cappella della SS.ma Annunciata messe
n° 58;
3.
Cappella di S. Giuseppe messe n° 144;
4.
Cappella delli S. Tré Reggi messe 3;
5.
Cappella di S. Maria del Suffraggio
messe n° 914.
«Oltre d’altri sei
Cappellanie cotidiane trattenute dalla detta Cappella del Suffraggio, secondo
denota la Tabella in Sacrestia.»
L’inventario del Casucci.
Questo l’arredo della
chiesa e degli altari secondo
l’inventario del tempo:
«Questo è l’inventario di tutti i beni mobili e stabili semoventi,
frutti, rendite, raggioni azzioni e spese di qualsiviglia sorte della chiesa
Matrice di Racalmuto, sotto il di Primo Aprile 1731, fatto per me D. Gaspare
Casucci Economo di detta Chiesa con la presenza e l’assistenza delli Rev.di
Sac. D. Filippo Cino e D. Gerlando Carlino previamente informati dei beni,
frutti e rendite, e sono l’infrascritte:
La sudetta chiesa
Matrice è posta nella strada del Castello a frontespizio della Piazza;
ha d’un lato le case di M° Giuseppe Di Rosa e dall’altro le case della ven.le
Compagnia si S. Giuseppe.»
Qui il Casucci si addentra
in una ricostruzione storica che non sembra avvalorata dai documenti da noi investigati. Ad ogni buon
fine, quella ricostruzione casucciana la riportiamo egualmente:
«Fu finita di fabriche l’anno 1620: benedetta con licenza di Monsignor
Vescovo di Girgenti sotto li 20 Giugno di detto anno.» A nostro avviso, c’è
qui l’abbaglio della strana ripartizione della parrocchia tra don Vincenzo del
Carretto e don Paolino d’Asaro del 1608 ed il successivo ricongiungimento delle
due parti in capo alla chiesa dell’Annunciata sotto un unico arciprete che a
noi risulta essere don Filippo Sconduto. Il Casucci non ci pare molto ferrato
nella storia della sua chiesa.
Attendibile invece quando
parla delle Cappelle, di cui curava in definitiva l’amministrazione:
La Cappella della SS.ma Annunciata fu fondata e dotata da D.
Gaspare Lo Brutto e Leonora d’Asaro con obbligo di 58 messe. [..] Li
superlettili di detto Altare, come di tutti gli altri altari e chiese sono li
seguenti:
In primis una Cappella bianca di lama, con sue tunicelle,
casubula, cappa, stole manipoli e palio;
Item una Cappella violacea di lama, con suoi Tunicelle,
casubula, cappa, stole, manipoli e palio d’altare;
Item una cappella virde, con sue tunicelle, casubula, cappa,
stole manipoli e palio d’altare;
Item una Cappella rossa, con sue Tunicelle, casubula, cappa,
stole manipole e palio d’altare;
Item una Cappella nigra di felba [5] con scuti ricamati, con sue tunicelle, casubula, cappa, stole manipole e
palio d’altare;
Item una casubula di stolfo russa , con sue stola e manipole;
Item una casubula bianca d’asprino con manipola e stola;
Item dui casubuli nigri, con suoi stole e manipoli;
Item dui casuboli violaci usati con stole e manipoli;
Item trè casubuli russi usati con stoli e manipoli;
Item una casubula bianca raccamata di seta usata con stola e
manipole;
Item una casubula verde usata con stola e manipole;
Item sei cammisi boni, cioè tre di tela d’Olanda e tre di
tela sottile, con suoi cingoli ed ammitti;
Item altri tre cammisi usuali per la giornata, con suoi
cingoli ed ammitti.
Altare maggiore
In primis un quadro di S. Pietro e Paulo di Pittura, con
cornice scartocciata indorata d’oro;
Item n° sei candilieri con suoi vasi e rami usati;
Item n° sei tabole per ornamento dell’altare, indorate di
mostura;
Item una cornice dell’altare indorata di mostura;
Item la carta di gloria, con l’Imprincipio e lavabo;
Item due tovagli d’altare;
Item un tappito vecchio per detto altare.
L’ulteriore precisazione
che abbiamo dall’Algozini, datata 1° giugno 1731, parla anche di un dischio foderato di damasco verde usato.
Altare della SS.ma Annunciata
Item la statua della SS.ma Annunciata con l’Angelo, di
ligname indorati di mistura;
Item un Reliquario di Ligname indorato di mistura con sue
reliquie dentro;
Item due candilieri con sua croce usati;
Item una carta di gloria, con l’Imprincipio e lavabo;
Item due tovaglie usate per l’altare;
Item una cornice indorata di mistura per detto Altare;
Item tré pialli d’altare usati;
Item un lampero di ramo.
In più, stando
all’integrazione dell’inventario da parte dell’Algozini: sei candileri con suoi vasi novi indorati di mistura con sei rami di
talco novi.
Altare di S. Maria del
Suffraggio
Item un quadro di pittura con sua cornice indorata;
Item sei candileri con la croce e sei vasi;
Item sei rami usati;
Item quattro candileri piccoli;
Item una carta di gloria col’imprincipio e lavabo con le
cornici indorate di mistura;
Item Item due tovaglie d’altare;
Item un palio di seta violaceo e bianco con cornice indorata
di mistura per detto Altare;
Item un lamperi di ramo novo.
Altare del SS.mo Crocifisso
Item l’Immagine del SS.mo Crocifisso con la croce indorata;
Item un quedretto di Maria delli Setti Dolori con sua
cornice;
Item quattro candileri con sua croce usati;
Item una carta di gloria con l’Imprincipio e lavabo; con “concice indorata” (v. Algozini);
Item un palio d’altare di pittura con cornice indorata, che è “di stolfo violetto e rosso con
gallone d’oro, novo” (vedi inventario del 1° giugno 1731).
Integra l’Algozini: sei candileri con sei vasi indorati di
mistura novi; sei rami di talco stagnolati novi;
Altare di S. Vito
Item L’imagine di S. Vito di ligname;
Item una tovaglia ed un palio d’altare usati.
Altare di S. Giovanni Battista
Item un quadro con la
figura di detto santo con la cornice;
item l’imprincio e lavabo usati, item un palio di pittura;
itemdue candilera vecchi, ed una croce senza pede.
Altare di S. Leonardo
Item un quadro con la figura di detto santo;
Item una tovaglia ed un palio di pittura;
Altare di S. Antonio Abb.
Item la statua del santo di ligname;
Item quattro candileri con sua croce e rami vecchi;
Item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo;
Item una tovaglia per detto altare;
Item un palio d’altare di pittura;
Item un lamperi di ramo.
Altare di S. Ignazio.
Item il quadro con sua cornice indorata di mistura;
item quattro anegli per candeleri;
item una croce usata;
item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo;
item un palio d’altare di pittura con cornice indorata di
mistura.
Altare della SS.ma Assunzione
Item il quadro con sua cornice;
item quattro candileri vecchi;
item carta di gloria con l’imprincipio e lavabo vecchi;
item un palio d’altare di pittura con sua cornice.
Altare delli santi tre Reggi
Item il quadro di pittura;
item due candileri con sua croce
item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo.
Altare di S. Giuseppe
Item la statua di detto santo con il suo Bambino di legname
indorati
Item sei candileri con suoi vasi e rami usati, e croce;
item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo
item un palio d’altare di seta vecchio con sua cornice;
item due tovaglie per detto altare.
Altare di S. Maria Maddalena.
Item il quadro con la figura di detta santa;
item sei candilera con la croce, quattro vasi e quattrorami;
item la carta di gloria con l’imprincipio e lavabo;
item palio d’altare di seta con cornice indorata di mistura.
Altare del SS.mo Sacramento
Item una custodia di marmo con suo tabernacolo indorato. Item
un Padiglione di seta violaceo con sua guarnizione d’argento;
item quattro candileri con sua croce;
item quattro vasi per li rami;
item dui tovaglie per l’altare;
item un palio d’altare di seta con sua cornice indorata.
L’Algozini aggiunge: due padiglioni di tela stampata; un
portaletto di damasco rosso con suo gallone d’argento usato; sei candileri con
suoi vasi e rami di talco stagnolati, una campanella nova per servizio delle
messe e due padiglionetti per l’ogli santi.
Ovvio che è la sacrestia ove
sono custoditi paramenti sacri, ornamenti vari, addobbi ed altro. Significativo l’inventario, anche perché
potrà un domani servire per un museo parrocchiale veramente rievocativo della
vita religiosa dei nostri antenati, contadini e pii.
Item dui crocifissi per la preparazione;
item dui chiomazzelli per detta preparazione verdi usati;
item altri dui di tela per detta preparazione;
item due coverte di tela per detta preparazione;
item uno stipo grande con altri due piccoli a lato novi;
item due coverte per il fonte battesimale di seta violetta
con frinza ed altra di coiro con frinza, usati;
item due dischi;
item un’ombrella per il fonte battesimale;
item quattro lanterni novi;
item una coverta di tela rossa sopra la boffetta della
cridenza;
item un portale di tela per l’organo;
item una stola di stolfo rossa;
item altra stola di damasco di diversi colori;
item una fodera per l’ombrella;
item un palio d’altare dinnanzi il battisterio;
item una sponza di ramo;
ietm un lamperi di stagno;
item una pisside con il piede di ramo;
item un altro vaso a forma di pegno con il piede d’argento
per il stabile;
item un baldacchino d’asprino con li quattro asti indorati;
item un stendardo d’aspino, con altri due palietti del
medesimo drappo;
item un ombrello del medesimo drappo d’asprino con n°
venticinque campanelli d’argento di bolla;
item altri sei palietti, cioè due di stolfo e l’altri di
diversi colori, con suoi lanterni ed asti;
item altro baldacchino bianco ed un stennardo usuali;
item una sfera grande con il piede d’argento con la lonetta
indorata;
Item l’incensero e navetta con sua cocchiarella d’argento;
item una sponza d’argento ;
item tre calici con piedi di ramo indorati, con tre patene;
item altro calice con il piede d’argento con sua patena;
item una cocchiara d’argento per il fonte battesimale;
item dui vasetti d’argento per l’oglio santo del battesimo;
item altro vaso per l’oglio santo dell’estrema unzione;
item tre paviglionetti per il vaso del SS.mo Viatico;
item tre portaletti per la custodia;
item una tovaglia bianca di taffità con guarnazione
d’argento;
item altra tovaglia di taffità bianca vecchia;
item cinque corporali;
item n° undeci veli di calici di tutti colori usuali;
item n° dieci borze con suoi palli di diversi colori;
item cinque messali usuali;
item quattro missaletti;
item una cassetta con tre vasi di stagno con l’oglio santo;
item un rituale e graduale vecchi;
item dui calamara di stagno con una bussola nel battisterio;
item un particolario; item un sicchetto di ramo;
item due boffette nella sacrestia, tre cascie vecchie, un
scabello, un genuflessorio, tre tovagli di facci, dui chiomazzella di felba
russa usati, un crocifisso per il Pulpito, una cappa e tonicella neri lavorati,
item tre incerati, un tisello (o tusello v.s.) di legname, un triangolo di
ferro con cilio di cera, altro triangolo per le tenebre;
item quattro campanelli;
item una tela azola per la porta;
item tre confessionarij;
item una seggia per il SS.mo Viatico;
item un organo di cinque registri ed un polpito;
item tre trispiti;
item tre campane nel campanile, cioè una grande di sei
cantara, altra mezzana di due, ed il segno.
Si chiude qui l’inventario
che reca la sottoscrizione del sacerdote D. Gaspare Casucci, economo e quella
del sacerdote D. Gerlando Carlino.
Nelle visite pastorali,
il clero doveva sobbarcarsi alle spese per il vescovo, vettovaglie , cibarie ed
ospitalità per il giorno e per la notte. L’arciprete, il vicario foraneo ed il
procuratore del clero partecipavano all’eventuale Sinodo. Per il cosiddetto
“cattedratico” l’arciuprete doveva sborsare 6 tar’ annui. Ministero della cura
si chiamava l’ufficio sacerdotale generale. Sappiamo che in quel tempo era
parroco Filippo Algozini di Prizzi, consacrato sacerdote nel 1712. Quando
giunge il Gioieni era parraco di Racalmuto da «tre mesi e giorni dieci»; era di
nomina pontificia (con breve di papa Clemente XII) e nel 1731 aveva 43 anni.
L’arciprete «risiede ed
amministra la cura dell’Anime per se stesso e li suoi coadiutori sono il rev.do
sac. D. Francesco Torretta ed il rev.do sac. D. Leonardo La Matina cui le si
somministrano onze 12». Due chieri sono inoltre al servizio della Matrice, a
pagamento.
Ancor oggi sono godibili
i libri parrocchiali, in definitiva per l’amorevole cura dell’arciprete
Algozini, guarda caso: non era neppure racalmutese. Trattasi dei seguenti
libri: «parrocchiali, cioè de Battezati, de Matrimonij, dello stato dell’Anime
(invero, al momento v’è un salto delle numerazioni delle anime passandosi da
quella del 1654 a quella del 1755), de morti, osservando il metodo prescitto
dal rituale romano con alfabettarsi; libri de confermati non si ha ritrovato
per quante diligenze abbia fatto.»
“Sermoni pastorali” ogni
domenica e tutte le feste comandate; la dottrina cristiana viene insegnata il
dopo pranzo di tutte le feste dall’arciprete
che si serve “della dottrina di Bellarmino in volgare per li figlioli"
” del "catechismo romano" per gli adulti. Una menda: “non v’è scola
per la dottrina”.
Ancor oggi ammiriamo il
primo libro delle “denuncie da farsi al popolo” che è proprio dell’Algozini:
ivi «ogni domenica si denunciano tutte le feste e vigilie e si pubblicano gli
editti del vescovo e del S.to Officio”. Quest’ultima denominazione – che
avrebbe fatto drizzare le orecchie di Sciascia – resta solo un flatus vocis,
visto che nulla di orripilante è dato di rintracciare nel citato volume
parrocchiale. Leggiamo, ad esempio, questo tediosissimo bando (come si vedrà
non vi è nulla degno della Santa Inquisizione, almeno nella versione ormai
corrente): «Avendo pervenuto alla notizia del Procuratore Generale de’ Santi
Luoghi di Gerusalemme che molte persone abbiano detenuto, impedito, occupato, sottratto,
et in altro uso convertito l’elemosine,
legati, denari, ed altri, in qualsivoglia modo spettanti a detti Santi Luoghi,
essendovi anche di tal occupazione, detenzione, sottrazione et impedimento
scienti alcune persone i quali per rispetto umano non vogliono rivelarlo, per
ordine di Monsignore Ill.mo vescovo di Girgenti si fa canonica monizione a
tutte le suddette persone che dovessero rivelare, e ciò fra il termine di
giorni 15, cinque de’quali se l’assegnano per il 1° termine, 5 per il 2° e 5 per
il 3°, quale spirato e non fatti li suddetti riveli si procederà da esso Mons.
Vescovo e Sua E.C.V. alla fulminazione della sentenza della scomunica contro li
scienti e non revelanti li detinenti, occupanti, impedienti e sottraenti
l’elemosine dìsuddette. – 1731 Xa ind. Ottobre.» L’avrà spegato l’arciprete Algozini a quei
basiti contadini racalmutesi, tutti alla messa della domenica? Se no, davvero
avevano poco da capire. Così come anche noi stentiamo a scoprire le ragioni che
spingono il “devoto e santo vescovo” Gioieni a quelle veementi minacce di
scomunica … contro ignoti. A meno che, dopo l’interdetto, erano proprio i preti
locali ad accaparrarsi i proventi della vendita delle bolle della crociata; in
questo caso erano davvero faccende interne e prudenza voleva che si si facesse
scandalo. Avrà l’Algozini farfugliato qualcosa per non disobbedire al vescovo
ed al contempo non disorientare i suoi parrocchiani, i nostri antenati?
In quel periodo approda a
Racalmuto M° Filippo Agostino Bianco ed intende sposare “Marca Peri, schetta,
figlia legittima e naturale di M° Rosario e Vita Peri di questa suddetta terra
di Racalmuto.» Il cognome Bianco fu celebre anche ai miei tempi per la spiccata
personalità di don Pasqualino. Il Pepi è patronimico scomparso da Racalmuto
a memoria d’uomo. Mastro Filippo Bianco
era stato davvero un girovago e fu fatica improba per l’amanuense della Matrice
trascrivere tutti quei toponimi esteri in cui il nubendo aveva dimorato più o
meno a lungo: dalla Plagia del Marchesato di Brandeburgo alla terra di Aisein,
ove si recò quando aveva 29 anni; «indi andò a travagliare da lavorante» in un
paio di città estere e dopo finì a Proohoki per approdare a Vienna, passare in
Lungaria, a Preseburg, in Raap, in Ophm. Ritorna a Vienna, ma non definitivamente:
passa a Craaz e quindi a Piumma. Finalmente ritorna in Sicilia “con un vascello
inglese” «e stette trè mesi in Palermo, di là un mese al Mazzarino, poi
quindeci giorni a Butera, indi nove mesi in questa terra di racalmuto», ove
intende accasarsi. Per stabilire lo stato libero, povera curia arcipretale!. Ma
ci riuscirono: nessuno ebbe da eccepire dopo le pubblicazioni del 29 giugno,
del 5 e 22 luglio del 1733. Pubblicazioni peraltro fatte gratis. E così:
«desponsati fuerunt per me don Franciscum Torretta cappellanum , de licentia
Parochi, sub die 24 julii 1733. Testes fuerunt Gaspar Giglia et Nicolaus S.
Angelus, et postea benedicti fuerunt per sacerdotem Salvatorem Lo Brutto.
Registrati gratis.» Frattanto una
famiglia riemergeva dopo un appannamento, la famiglia Savatteri. Il 2 febbraio
1732 il chierico Giovanni Savatteri, dovendo accedere all’ordine subdiaconale,
può dichiarare pubblicamente che gli è stato costituito questo cospicuo
“patrimonio”: una Cappella di onze dieci annuali con l’onere di Messe dieci
fora data nell’Altare di S. Leonardo, in Serradifalco, come appare per
contratto di fundazione ed elettione stipulato per l’atti di notaro Simone Boni
sotto li 14 gennaro 1732; ed in supplemento una vigna consistente in migliara
cinque con tumuli dui e mondelli dui di terre vacue confinata con la vingna di
notarr Michael Angelo Vaccaro, e altri confini, nella contrada di Bovo, e
numero cinque case conlaterali confinati con le casi di D. Vincenzo La Matina
nel quartieri del Monte come appare in virtù di donazione stipulata per l’atti
di Notari Nicolò Pumo.» La formula di rito si concludeva con questo
“monitorio”: «pertanto se alcuno sapesse che detto patrimonio sia simulato,
fiduciario, o che non sia bastante o di realtà lo venghi a denunciare.»
A S. Giovanni di Dio
c’era l’ospedale. Affidato ai padri Fatebenefratelli, questi – e non solo
allora – parevano più intenti a farsi i fatti loro che a badare all’assistenza
degli ammalati di Racalmuto. Ma, quando subivano degli “sgarbi”, si avvalevano
delle censure religiose dei loro confratelli della Matrice per tentare di
ritornorare in possesso dei loro beni, violentemente asportati. «Si notifica ad
ogn’uno – ci tramanda l’Algozini – qualmente nel mese di dicembre del 1732,
avendo andato il P. Priore del venerabile Convento di S. Giovanne di Dio per
alcuni affari di detto venerabile convento nella città di Palermo, in detto
tempo, per causa della sua assenza fu fatto notabile danno al detto convento
con averci derubato molto mobile,come formento, sommacco, oglio, e robba di
tela, e molta robba di comestibile ed altro in grave danno e detrimento del
detto venerabile convento, e perché vi sono alcune persone scienti
dell’antedetto, e per rispetto umani non vogliono rivilarlo, intanto fra il
termine di giorni quindeci … avessero da rivelare tutto quello e quanto sanno
di verità altrimenti detto termine elasso e non fatto rivelo alcuno dalli
scienti dell’antedetto, si procederà contro di essi dalla G.C.V. a fulminazione
di scomunica. 1733 XI Ind. Primo 8 e 15 Marzo.» La Gran Curia Vescovile non
credo che abbia sortito effetto alcuno da questa minaccia di scomunica contro
ignoti: voler spezzare con la paura dell’inferno il senso d’omertà che già
allora doveva essere forte a Racalmuto, era pia illusione. E poi a vantaggio di
chi? Di un religioso del Continente che sopra S.Anna ci stava solo per
arraffare le rendite che erano state distolte da Girolamo del Carretto e sua
moglie Melciorra Lanza da un antico, umanitario scopo: la cura degli ammalati
dereletti.
In quel tempo le feste
particolari di Racalmuto, almeno quelle che si celebravano in Matrice, erano
quelle che celebrative di: «S. Giuseppe, SS.mo Crocifisso, S. Antonio Abbate»
nonché quella della SS.ma Annunciata. Non erano, però, occasioni di peccato o
motivi per dar scandalo: «non vi sono male consuetudini – affermava l’Algozini,
e noi dobbiamo credergli – e le vedove per la mestitia giungono più tosto il
tempo della Messa e così ancora le zitelle spose.» Il pudico vescovo Gioieni
poteva star dunque tranquillo.
Sontuose processioni, si
avevano, poi, per il SS.mo Sacramento, nel giorno del Corpus Domini e per tutta
l’Ottava. Inoltre, il giorno delle Rogazioni, dell’Ascensione, nel giorno di S.
Marco, in quello di S. Maria di Giesù, di Maria del Carmine e di Rosalia:
Ci viene descritta una
processione solenne: la processione del Santissimo «si fa come quella della
Cattedrale; le mazze dell’ombrella e Baldacchino si portano dalli Giurati senza
disparere, con tanti lumi quanto intervengono alla Processione, tanto di
confrati quanto di regolari e clero; la spesa del lume è somministrata
d’ogn’uno di per sé o dal Corpo della Communità.» L’arciprete lamentava
«l’abuso che alcuni regolari portano la Croce senza pallio, ne’ Defonti.»
Ci colpisce la
meticolosità con cui andavano celebrati gli atti fondamentali della vita
religiosa. Il battesimo: «si trasferisce poch’ore dalla nascita del figliolo;
senza necessità non si battezzano infanti in casa; nel sabato santo e nel
precedente della Pentecoste con si battezza con rito solenne.» Noi moderni
difficilmente riusciamo a comprendere come mai quello che per noi è atto
d’amore, per l’arciprete Algozini un abuso che intende assolutamente sradicare:
«non s’ha potuto riparare – accusa – al disordine di alcune madri tengono l’infante
in letto ante annum». E se anche i genitori facevano l’amore, il bimbetto di un
anno poteva davvero scandalizzarsi? Prurito clericale.
L’Eucarestia «si porta all’Infermi giusta la forma
prescritta di Paulo V, con diciotto lumi» a spese della Compagnia del SS.mo
Sacramento: il clerico accompagnava il sacerdote con il Rituale e l’Acqua
Santa. Quanto al sacramento della Confessione – tema scottante – era assicurato
che «le sedie confessionali stanno il Logo aperto della Chiesa con le
finestrelle e latte minutamente perforate, e con le grate spesse di legno. …
Non si ammettono le donne di confessarsi
di faccia a faccia.» Il problema è quello degli infermi che vengono
confessati in tempo per colpa dei medici che «il più delle volte … non
osservano la Chiama» E l’Algozini incalza: «il disordine che corre circa
l’infermi s’è che senza tal necessità alle volte dimandano il SS.mo Viatico ad
ora intempestiva.»
Ovviamente «li matrimonij
si celebrano in chiesa, con la messa pro sponsis, non in casa, se non con licenza
del Vescovo [come abbiamo visto per il pittore Di Benedetto, n.d.r.]». Sta iniziando l’indagine
ecclesiastica di appurare preventivamente se la volontà è davvero libera: «si
sta introducendo – ci segnala l’Algozini – d’esplorarsi la volontà delli sposi
separatamente.» Il guaio era che già i nubendi qualche carezza se la
scambiassero prima delle nozze. Apriti cielo! «Li sposi alle volte – esagera
l’Algozini – coabitano prima di contrarre il Matrimonio per verba de’ presenti
ma occultamente.»
Il rituale della morte è da
brivido: «lo fa il Parroco quest’Officio per se stesso quando non ha altra
occupazione». In ogni caso si segue un testo dovuto al Principe di Ramacca
(sarebbe da cercare) e ci si attiene al Rituale di Paolo V.
Poi le esequie: «si
osserva il Rituale ad amussim (a
puntino); si paga di mercede per ogni defonto sepellendosi nella Parochia a
ragione di tarì 8.10, cioè tarì 3 per sepoltura e tarì 4 per obitoe tarì 1.10
per Croce.» Abbiamo notato una lievitazione del prezzo della buona morte nel corso del Seicento che ora diviene
decisamente alto. Intanto, scemava il tenore di vita dei meno abbienti e tanti
che per orgoglio giammai avrebbero chiesto l’elemosina per il punto di
morte sono ora costretti a farlo ed a
seppellire i loro morti nella carnaia della chiesa “gratis pro Deo”. Aspetto
questo che francamente ci turba. Abbiamo pertanto una volta stigmatizzato il
costume alquanto lugubre di speculare anche sulla morte da parte delle autorità
ecclesiastiche, asserendo:
«I preti - allora - collaboravano, anche nello stanare evasori e falsi
“miserabili”. La faccenda fiscale era allora, come oggi, faccenda seria,
ficcante, perturbativa. Era una faccenda fiscale quadripartita: tasse per il
barone prima e conte poi per i suoi diritti “dominicali”; “tande” per
l’estranea e sfruttatrice Spagna; imposte comunali e, poi, tasse - e tante- di
natura religiosa.
Queste ultime, secondo una nostra stima, erano la metà di
tutta l’incidenza tributaria: andavano dalle decime arcipretali (chiamate
primizie) ai “diritti di quarta” della
Curia vescovile; dai gravami basati su un falso diploma del 1108 (quello di
Santa Margherita) in favore di un canonicato agrigentino che nulla aveva a che
fare con Racalmuto (sappiamo di canonici beneficiari saccensi) ai tanti balzelli
per battezzarsi, sposarsi in chiesa, avere il funerale religioso. Beh! la
chiesa tassava il fedele racalmutese dalla culla alla tomba.»
Il passo della relazione
Algozini che abbiamo prima riportato, se
non giustifica l’asprezza del tono, una qualche ragione ce la dà.
E se si voleva una
sepoltura in altra chiesa, aumentava il costo: «in altra chiesa tarì 5 ne si
paga altro funerale se non che la quarta della cera». Anche per i bambini c’era
la «quarta di Monsignor Vescovo, però si pagano soli tarì 1.10 e competisce a
Monsignor Vescovo la quarta parte tanto dell’obito de grandi quanto dell’obito
dei figlioli.» Una nota di costume: «non vi sono abusi delle donne dolenti e
congionti del defonto». Dobbiamo arguire che l’usanza delle prefiche o si era
estinta o si era attenuata fino a non apparire un abuso agli occhi
dell’arciprete Algozini.
Nel tempo della Quaresima,
un apposito predicatore veniva chiamato dal di fuori per le sue roventi omelie
volte al pentimento ed alla redenzione. E questo nell’ampia Matrice. Ciò invece
non si reputava indispensabile nel tempo dell’avvento. Occorreva risparmiare,
anche perché le spese per il predicatore incombevano sull’Università: pare che
ascendessero ad un’onza e 2.5 tarì.
Erano compiti della
parrocchia: a) benedire e distribuire le candele; b) fornire le palme nei
giorni debiti ; c) e ciò a carico dell’arciprete; d) benedire e distribuire le
ceneri; e) benedire solennemente il fonte battesimale, ogni anno nel sabato
antecedente alla Pentecoste; sguinzagliare i sacerdoti per la benedizione delle
case. Allora come oggi.
I problemi
dell’aggiornamento del clero locale in materia di morale e nelle questioni
teologiche? L’Algozini ragguaglia di avere «istituito un’adunanza di casi
coscienza e di sacra scrittura due volte la settimana [anche se] non v’è
costituzione che la precetti; il metodo che si propone e risponde d’uno
dell’adunati il caso della coscienza, ed al punto della sacra scrittura. Tiene
appresso di sé la Bibbia sacra, il cristiano instruito del P. Segnari ed altre
sue opere, il Nesembergh, Crasset, ed altri ascetici; di Morale, il Bonacina
Viva, Sayro, Azorio, Toleto ed altri
simili.
Trascriviamo ora
pedissequamente il capo sesto, che contiene notizie di dettaglio molto
importanti per comprendere la congiuntura storica di quel momento.
«Circa le notizie deve
dare il Paroco della menza Parochiale, del beneficio e della persona. Della
persona [del Parroco]: il suo nome è D. Filippo Algozini di Prizzi, d’anni 44;
è sacerdote, Dottore in filosofia e teologia, revisore de’ libri nella Corte
Archiepiscopale di Palermo.
«Il beneficio ha Ciesa
propria [come abbiamo sopra descritto];
«Si chiama
l’archiprestato di Racalmuto, sotto titolo della SS.ma Annunziata; l’è stato
conferito della S. Sede; [di benefici, l’arciprete] ne possiede uno solo, [ed
è] beneficio libero. Le rendite sono un tumolo di formento e un tumolo d’orgio
per ogni casa, le vedove però un solo tumolo di formento, esclusi li fuggiti,
miserabili e mali pagatori. Non vi sono beni alienati né usurpati; e questi sono
Primizie, perché le decime tutte spettano a Mons. Vescovo e Catedrale.»
Ci viene qui spiegato il
termine Primizie che pare fosse, dunque, una pretassazione a favore del
Parroco; mentre le decime vere e proprie – quelle che si facevano risalire al
celebre privilegio del 1099 – erano di pertinenza del Vescovo e dei Canonici
della Cattedrale e venivano sottratte ad ogni ingerenza del locale arciprete.
Sulle Primizie
arcipretali gravavano pesi ed oneri non indifferenti: 12 onze per i cappellani;
4 onze per i sacrestani; tarì 6 per il «catredatico»; onze 5 per il Seminario
di Girgenti; tarì 20 per diritti erariali; onze 12 per aggi esattoriali; tarì 6
per la cera di S. Gerlando; tarì 6 per “l’oglio santo”; onze 4 «per
sollennizzare la festa di Natale»; onza 1 «per la festa di Pascha»; onze 4 «per
l’altre feste mobili dell’Anno, cioè Pentecoste, Ascensione, quadragesima,
tenebri e simili; onze 2 per la Candelora; tarì 24 per le palme; onze 3 «per
spese a minuto di Santuzzi, incenzo, libri parrocchiali, censi di
confessionarij, purghe di sepolture, conze di vasi d’argento ed altri; onza una
e tarì 18 per lavare la biancheria della chiesa; onze 7 per la quarta funerale
incirca; onze 4 per sartatetti di superlletili; onze 2 per candele a chi paga
la primizia; onze 4 “per provedere gli Altari”; [circa] onze 3 per “peregrini,
spesa d’Erarij della G. C. Vescovile, visita, di cui non se ne sa il proprio
stabilimento” ». Insomma, sull’arciprete Algozini gravavano, a suo dire, oneri
per 70 onze e 20 tarì.
E allora vediamo quali
erano gli altri benefici.
«Delle notizie deve dare
il paroco circa i Legati e celebrazione de’ Messe», s’intitola il capo XI. Il
parroco, in effetti, è tenuto a celebrare messe:
«In tutte le feste
solenni e domeniche dell’anno; per li fratelli e sorelle di S. Maria del
Soffraggio due messe solenni nell’anniversario, una nel primo lunedì di
quadragesima ed altra nell’ottava dei defonti, ed una messa cantata cotidiana
conventuale; per li fratelli del SS.mo Sacramento, una messa cantata
nell’anniversario de defonti. Per il rev.do archipreste dr. D. Salvatore
Petrozzella una messa cantata nel Lunedì del Corpus Domini; per D. Geronimo
Provenzano una messa cantata nel giorno del suo anniversario; per Giovanna
Grillo una messa cantata nell’ultimo vennerdì d’agosto.»
«La Cappella della SS.ma
Annunciata tiene obligo di far sodisfare l’infrascritte messe, cioè: per
l’anima di Don Gaspare Brutto messe n° dieci per reduzione fatta dal fu Ill.mo
Monsignor Vescovo de la Pegna a 9 settembre 1727, in virtù di testamento del
detto rev.do di Lo Brutto per gli atti di notar Natale Castrogiovanne a 3
ottobre prima Indizione 1617: al
presente si pagano per Domenico d’Alaimo sopra li beni da lui possessi messe
10; Per Leonora e Bartolomeo d’Asaro messe n° 43 cioè per la detta Leonora n°
28 e per d. Bartolo n° 15 come per detta reduzione fatta dal dettoIll.mo de la
Pegna nel di sopra citato, in virtù di testamento di detta Leonora per gli atti
di notar Pietro Bell’omo ad 8 febraro prima indizione 1663: al presente si
pagano cioè onze 2 per Onofrio Busuito ed onze 1 per l’eredi di Giuseppe
Macaluso Alessi sopra il loro beni: messe n° 43; per tutti quelli avessero
fatti legati alla detta Cappella Messe n° 5 ordinati dal detto Monsignor della
pegna per detta reduzione: messe n.° 5».
La Cappella del SS.mo
Sacramento era gravata dall’obbligo di n° 162 messe e cioè n.° 29 per l’anima
di donna Melchiora Paruta Ramirez, giusta atto del notaio Castrogiovanne del 18
maggio 1592 ed a spese del Principe di Campofiorito; n° 24 per Costanza Lo
Brutto, in virtù di atto del notaio Michelangelo Morreale del 5 dicembre 1636,
con un onere di un’onza dovuta da Simone Sorce e tarì 21 dovuti dagli eredi di
Salvatore La Matina; n° 9 per Francesca Casuccio per atto del 1638 ; n.° 29 per
Orsola d’Afflitto per atto del 1654; nà 1 per l’arciprete dr. D. Salvatore
Petrozzella; n° 43 per mastro Libertino Falletta; n° 4 per soro Anna di
Palermo; n.° 12 per il sacerdote don Santo La Matina; n.° 10 per il sacerdote
D. Antonino Macaluso; n° 1 per soro Grazia d’Agrò.
Nella Cappella di S.
Giuseppe dovevano recitarsi queste messe: n° 141 per l’anima del rev.do sac. D.
Giovan Battista d’Acquista; n° 1 per don Geronimo Provenzano; n° 2 messe
cantate per l’anima dell’arciprete dr. D. Pompilio Sammaritano, per obbligo della
Compagnia di S. Giuseppe.
Nella Cappella di S.
Maria del Suffragio si celebravano: n° 8 messe per l’anima di Baldassare
Promontoro; n° 9 per don Gaspare Lo Brutto; n° 2 per D. Giovanni Macaluso; n° 5
per Antonino Sferrazza; n° 12 per Giovanna Grillo; n° 10 per il rev. Sac. D.
Giuseppe Sanfilippo; n° 17 per il sac. D. Girolamo Scirè; n° 43 per Francesco
La Licata; n° 56 per Antonino Sferrazza;
n° 14 per il sacerdote don Giovan Battista Baeri; n° 4 per Vincenzo Castronovo;
n° 240 “per diverse persone descritte nella giuliana”; n° 72 per il sac. Don Giuseppe Vella; n° 4
per Giuseppe La Matina; n° 2 “per l’anima di tutti li contribuenti; n° 10 per
il sac. D. Giuseppe Lo Brutto; n° 10 per d. Giuseppe Lo Brutto e Petrozzella;
n° 10 per il notaio Isidoro Lo Brutto; n° 6 per don Francesco Lo Brutto; n° 58
per il sac. Don Calogero Cavallaro.
In quella “delli Tré
Regi” abbiamo n° 3 messe per don Santo
La Matina.
Importante ancora il ruolo
delle associazioni cattoliche laiche; in sommo grado le cosiddette Compagnie. A
capo stava il Governatore con due assistenti che venivano chiamato “congionti”.
Spettava loro l’amministrazione dei beni e venivano eletti con voto segreto.
Duravano dai pochi mesi ad un massimo di un anno, ma potevano venire rinnovati.
La carica era a titolo gratuito. La Compagnia aveva rendite che spesso
risalivano alla notte dei tempi.
In particolare, abbiamo
informazioni sulla compagnia del SS.mo Sacramento cui si deve la chiesa di S.
Tommaso d’Aquino. «Fu fondata per quanto s’ha potuto con diligenza indagare
nell’anno 1632: in tempo di Urbano VIII»; da quel tempo comunque intervennero
le approvazioni episcopali ad ogni successione sino al predecessore del
Gioieni. La confraternita aveva sede nella chiesa di S. Tommaso d’Aquino, santo
che la Compagnia festeggiava nel giorno della sua ricorrenza. Ancora, a quel
tempo, la chiesa non era consacrata ed era sotto il padronato della medesima
Compagnia. Della chiesa si ignorava il tempo dell’erezione, ma, appunto per
ciò, diveva essere piuttosto vetusta. Diciamo che risaliva per lo meno alla
prima metà del Seicento. «La struttura della chiesa è a forma di oratorio; il
tetto di tavoli è buono e non piove. Vi sono due finestre impannate; le pareti
sono buoni; vi sono sessanta stalli di legno per fratelli; la fabrica si fa a
spese delli fratelli. Ha d’entrata onze 12 dovute da don Francesco Maria per
gabella di duodeci pecori di detta Compagnia; di più tarì otto dovuti
annualmente da mastro Desiderio Troisi sopra una casa sita in quartiere di S.
Margheritella confinante con mastro Giovanne Di Vita e Filippa La Caro,
lasciateci da Costanzo di Benedetto in virtù di testamento; di più tiene Tumulo
0-1-2 di terra incirca nella contrata al Mulino Vecchio [..]; di più tarì 4 di
rendita .. sopra vigna e terreno nella contrata della Noce; di più tarì 7 sopra
vigna e sommacco nella contrata di Casali Vecchio.» La Compagnia teneva
fiscelle di api, n° 50 pecore e da ultimo i Fratelli dovevano versare nelle
casse sociali 5 grana al mese. Il loro vestiario era caratteristico: sacchi
bianchi con mantello bianco orlato di nero e con la figura del SS.mo
Sacramento, figura che era reiterata negli stendardi e nelle “verghe”. Nel 1731
erano iscritti 80 fratelli; dopo un
noviziato ed una “prova”, con voto segreto di “tutti gli officiali e fratelli”
si veniva ammessi alla Fratellanza.
La tumulazione avveniva
di solito nelle chiese. Il cimitero principale era alla Matrice. «Nel pavimento
della chiesa – scrive sempre l’Algozini
- vi sono n° 10 sepolcrare; non sono sotto le pradelle dell’Altari; ve
ne sono quattro Padronati: una delli fratelli del SS.mo Sacramaneto, altra
delli Petrozzelli, altra delli Brutti ed altra dell’Acquisti.» Sorprende che
non si citi quella dello sciasciano personaggio di don Santo d’Agrò.
Una notizia piuttosto
inestricabile è la seguente: «vi è cemiterio dentro l’istessa chiesa murato da
per tutto, e però non ci è chiave, né Croce, né speciale benedizione del
Vescovo.» Un’antica “carnaria”, pensiamo noi, che nel 1731 non solo era andata
in disuso ma era stata, forse per motivi igienici, totalmente sotterrata ed
ermeticamente chiusa. Riteniamo che si tratti di quella che frettolasamente
dovette essere aperta al tempo della gavissima peste del 1671.
Notizie di contorno: il
campanile era alto 65 palmi circa e non era coperto ma poteva venire raggiunto
agevolmente con una scala interna definita comoda; era munita di tre campane
come abbiamo già detto che erano state benedette dao precedenti arcipreti su
licenza del vescovo. Il campanile non aveva entrata autonoma: «non v’è porta
perché si salisce dalla medesima chiesa.»
Notevole la sacrestia: «è
a tetto, vi sono tre finestre impannate, in una parte umida. Il pavimento [è]
di gisso; non vi sono armarij; è mediocremente provista di superlettili sacri
secondo l’inventario; la spesa di providerla appartiene al rev.do Arciprete e
legatarij di messe.»
La Matrice non era
subordinata ad alcuno: non v’era jus
patronatus come ad esempio a Grotte che determinerà il cosiddetto scisma
alla fine dell’Ottocento. Al tempo dell’Algozini «non c’era casa Parochiale, né
cose mobili destinate alli Rettori, ma ogni soccessore o se la loca o se la
fabrica per sé». Singolare caso quello della Cappella del Santissimo
Sacramento, in possesso di «cinquanta fiscelli d’api con l’eredi del rev.do
sacerdote D. Calogero Cavallaro» (+ 12 gennaio 1730).
[1] )
Leonardo SCIASCIA, Le parrocchie di Regalpetra - ed. Laterza 1982 Bari U.L., pag.
21.
[2] ) )
Il Regno di Vittorio Amedeo II di Savoia, nell’Isola di Sicilia dall’anno
MDCCXIII al MDCCXIX – Documenti raccolti e stampati per ordone della Maestà del
re d’Italia Vittorio Emanuele II – Torino, Eredi Botta 1863, pp. 304-305.
[3] ) Calogero Valenti, Grotte – origini e vocende storiche, Grotte 1996, pp. 199-210.
[4]) Tra
le carte della Matrice è però custodito un documento che si riporta
in appendice che comprova la rendita della Cappella della Maddalena, risalente
appunto a don Santo d’Agro, che si continua apercepire ancora nel Settecento e
nell’ Ottocento.
[5] )
Drappo di seta col pelo più lungo del velluto: felpa.
[6] )
piccolo sopraccielo, baldaccino = dossello.
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