CAPITOLO 2
(Laura Taverna)
IL MODELLO A CORREZIONE DELL’ERRORE
2.1.
I MODELLI ADL
Poiché i dati
economici sono il risultato di processi di scelta dinamici da parte dei singoli
agenti economici, i cui comportamenti e le cui aspettative individuali
determinano, a livello aggregato, le fluttuazioni dinamiche dell’intero sistema
economico, il tempo rappresenta una dimensione necessaria nell’analisi
econometrica. Pertanto, l’esigenza di giungere ad una migliore comprensione del
funzionamento del sistema economico, in relazione alle ipotesi di teoria
economica che lo caratterizzano (ciò rende interessante differenziare il
comportamento di breve periodo dal comportamento di lungo periodo) e la
necessità di poter disporre di un modello che abbia caratteristiche idonee a
produrre buone previsioni legittimano la specificazione dinamica dei modelli
econometrici.
Caratteristica
preminente del modello dinamico è che la variabile dipendente è funzione di un
insieme di variabili esplicative osservate in periodi diversi di tempo,
producendo relazioni non solo istantanee tra variabili, ma anche differite nel
tempo.
Nell’analisi
econometrica l’esplicitazione della dinamica avviene o attraverso l’operatore
ritardo oppure mediante l’introduzione di polinomi nell’operatore ritardo. L’operatore
ritardo, solitamente indicato con L (dall’inglese Lag), è una funzione che permette di traslare nel tempo un processo
stocastico. Tale operatore associa a la variabile ritardata
. Applicando l’operatore L, ad una variabile, un numero k di volte, la variabile viene traslata di
k periodi, cioè .
I polinomi
nell’operatore ritardo L, indicati con a(L),
sono definiti dall’espressione . I ritardi polinomiali del tipo a(L) vengono utilizzati molto spesso in econometria, principalmente
per la scrittura compatta di due tipi di modelli:
·
i
modelli autoregressivi di ordine m,
indicati sinteticamente con AR(m),
che sono del tipo:
a(L), con ~N(0,)
e si caratterizzano per il fatto che la
variabile y evolve in funzione della
propria storia passata.
·
i
modelli a ritardi distribuiti finiti di ordine m:
in cui si suppone, anche qui,
distribuito normalmente con media 0 e varianza .
In questa seconda categoria di
modelli la y dipende invece dai
valori presenti e passati di altre variabili.
Una classe
più ampia di modelli che raggruppa le due tipologie anzidette è rappresentata
dai modelli di tipo autoregressivo e a ritardi distribuiti, rispettivamente di
ordine m ed n, che vengono indicati con ADL(m,n)[1] (dall’inglese Autoregressive–Distributed Lag) e che sono genericamente espressi
dall’equazione:
con ~N(0,)
in
cui è la componente
autoregressiva, mentre la componente cosiddetta di «ritardo distribuito» è
rappresentata da e . Facendo ricorso all’operatore ritardo, il modello ADL(m,n) può scriversi in modo compatto nella
forma:
.
Il modello ADL(m,n) presenta delle proprietà importanti:
1.
è
“stabile” se le radici dell’equazione (indicate con λ)[2] sono superiori all’unità in valore
assoluto, ossia ;
2.
presenta
“fattori comuni” se alcune delle radici del polinomio a(L) sono uguali alla radici del polinomio b(L).
Questa categoria di modelli gode inoltre di
importanti proprietà di lungo periodo, che rendono i modelli stessi
estremamente interessanti poiché consentono di creare, anche per tale via, un
collegamento tra la specificazione econometrica e la teoria economica (spesso
la teoria economica è abbastanza esplicita sul comportamento di lungo periodo,
fino al punto che in talune circostanze test sulla teoria economica possono
essere condotti direttamente sulle proprietà di lungo periodo della stessa).
Un caso
semplicistico, ma denso di elementi indispensabili per gli studi economici, dei
modelli ADL si ha sotto la condizione , ossia quando esiste un solo ritardo per ogni
variabile. Il modello ADL(1,1), generalmente, si scrive:
.
Questo
modello, è un caso particolare della classe, già di per sé ristretta, dei
modelli lineari dinamici di una singola equazione. Tuttavia i modelli ADL(1,1)
sono molto utilizzati nelle analisi empiriche perché godono di una
caratteristica importante: ogni tipo di modello di singola equazione in
econometria è un caso particolare di ADL(1,1).
Hendry
sostiene, infatti, una modellizzazione estremamente interessante, detta «dal
generale al particolare» che consiste nel porre delle restrizioni al modello
generale per poter esprimere nel modo più congeniale il singolo problema
economico avvalendosi di un modello semplificato rispetto a quello generale. I
modelli ADL(1,1) godono di una particolare caratteristica che vale in qualsiasi
caso di modellizzazione e non solo in quello dal generale al particolare: “se
un membro di questa classe di modelli viene considerato come un modello che ha
generato i dati osservati, ciò ha come conseguenza l’accettazione congiunta di
ogni altro modello della classe meno ristretto rispetto a quello considerato,
unitamente alle restrizioni necessarie a ricondurre il modello generale a
quello particolare prescelto”[3].
2.2.
IL MODELLO CON IL MECCANISMO A
CORREZIONE DELL’ERRORE
Il modello dinamico generale del tipo ADL(1,1) può essere
riparametrizzato in modo da essere espresso in una forma che si è rilevata di
particolare interesse sia per la performance empirica che per le sue proprietà
teoriche.
Dato
il modello ADL(1,1) espresso nella forma tipica:
dove ~N(0,) e con in cui si assume che
l’errore sia normalmente distribuito con media 0 e varianza , sottraendo ad entrambi i membri , l’espressione anzidetta viene così trasformata:
e aggiungendo
e sottraendo a destra di quest’ultima la quantità l’espressione viene
ulteriormente modificata in tal senso:
.
Ponendo
, , e ordinando
opportunamente i termini si perviene all’espressione:
(1)
che rappresenta la forma tipica secondo cui si
presenta un modello con meccanismo a correzione dell’errore (in cui, qualora per semplicità, si ometta il
termine noto lasciando invariato il significato del modello rimanga invariato).
La
peculiarità dei modelli con MCE consiste nel fatto che essi permettono di
combinare una certa flessibilità nella specificazione dinamica, con proprietà
interessanti nel comportamento di lungo periodo; sostanzialmente il modello con
MCE consente di catturare la dinamica del sistema e, contemporaneamente, di
incorporare le proprietà di equilibrio suggerite dalla teoria economica. Nella
formula (1) l’aggiustamento alle variazioni della z avviene in modo proporzionale in base al coefficiente , pertanto il parametro viene detto
“coefficiente d’impatto” o “risposta proporzionale” ed esprime la relazione di
breve periodo, ossia le variazioni della y
in seguito alle variazioni della variabile esplicativa z. Il modello espresso in questa forma incorpora, inoltre, l’equilibrium-correction mechanism, (indicato con ECM),
che esprime le deviazioni dall’equilibrio statico e misura l’errore commesso
dagli agenti nel periodo precedente; alla luce di tale disequilibrio gli agenti
correggono o rivedono le loro decisioni
su y, apportando l’opportuna
variazione in questa variabile. Infine, il parametro c rappresenta il “coefficiente di lungo periodo” che riflette appunto
l’andamento di lungo periodo della serie.
I modelli con MCE presentano svariati
vantaggi. Un primo vantaggio di ordine pratico si riscontra nella fase di stima
e di inferenza: le variabili (cioè la variazione
del periodo corrente) e (cioè la deviazione
dell’ultimo periodo dall’equilibrio) non presentano, in genere, un grado di
correlazione elevato e quindi i parametri e possono essere stimati
con i metodi di stima consueti senza incorrere nel problema della
multicollinearità. Inoltre, poiché i modelli ADL(1,1) e i modelli con MCE sono
isomorfi, le proprietà di cui godono gli ADL(1,1) valgono anche per i modelli
con MCE; infatti, imponendo opportune restrizioni, in adesione alla logica di
modellizzazione dal generale al particolare, anche dal modello con MCE si può
pervenire a dei modelli estremamente interessanti per gli studi economici
(quali: il modello ad aggiustamento parziale, il modello con restrizione a
fattor comune; modello nei tassi di crescita).
Un modello
ECM gode di tre ulteriori vantaggi che lo rendono un modello di base per la
ricerca empirica:
·
suggerisce
dei collegamenti con la teoria di serie storiche cointegrate;
·
può
essere interpretato come una regola di controllo o servomeccanismo;
·
ha
sperimentato successi empirici nei modelli di serie storiche.
Una critica spesso avanzata, dagli analisti delle serie storiche, alla
formulazione classica di un modello econometrico ha riguardato la
caratteristica della stazionarietà delle variabili utilizzate. Effettivamente, sono
molto frequenti i casi di serie storiche caratterizzate da andamenti crescenti
o decrescenti al variare del tempo (trend),
tali serie sono dette “non stazionarie nei livelli”. La proprietà di
stazionarietà permette di considerare il processo omogeneo rispetto al tempo.
In letteratura esistono due diverse nozioni di stazionarietà: la stazionarietà
forte e quella debole.
La stazionarietà in senso forte fa riferimento a tutta la distribuzione
del processo e implica che la distribuzione di probabilità del processo sia
invariante rispetto a traslazioni dell’asse dei tempi. La stazionarietà in
senso debole invece fa riferimento solo ai momenti primi (valore atteso) e
secondi (varianza). La stazionarietà in senso debole si verifica qualora il
valore atteso e la varianza siano finite e indipendenti dal tempo, mentre la
covarianza dipende esclusivamente dal ritardo.
Si vuole soffermare l’attenzione sul concetto di integrazione. “Una
variabile si dice «integrata di
ordine d», in simboli ~I(d), se, dopo
aver applicato d volte l’operatore
differenza , essa può essere rappresentata per mezzo di un processo ARMA[4] stazionario, invertibile e non
deterministico”[5]. Da tale definizione discende che
una variabile integrata di ordine 0, I(0),
è stazionaria nei livelli, mentre una serie integrata di ordine 1 è stazionaria
nella differenza prima. Le principali differenze tra i processi integrati di
ordine zero e quelli integrati di primo ordine sono stati introdotti da Engle e
Granger. In particolar modo essi sostengono che una serie I(0): ha una varianza indipendente dal tempo; ha una memoria
riguardo al suo passato che è limitata nel tempo, con la conseguenza che gli
effetti derivanti dall’introduzione di un’innovazione sono transitori; le
osservazioni tendono a fluttuare intorno alla media; le autocorrelazioni tra
osservazioni successive decrescono rapidamente all’aumentare della distanza
considerata tra le osservazioni. In una serie I(1), invece: la varianza dipende dal tempo e tende ad aumentare
indefinitamente quando t tende ad
infinito; il processo ha memoria pressoché infinita e quindi l’innovazione
finirà per influire in modo permanente sul processo; presenta un andamento erratico
e ad oscillazione ampia; le autocorrelazioni tra osservazioni successive
tendono all’unità a prescindere dalla distanza considerata tra le osservazioni.
Alcune critiche sono state mosse ai modelli econometrici costruiti su
variabili non rese preventivamente stazionarie e che presentano quindi il
pericolo di regressione spuria[6]. Tali critiche sono scaturite da
considerazioni di natura prettamente statistica, in quanto l’inferenza
effettuata sulla base di variabili non stazionarie, risente in modo negativo
della caratteristica di non stazionarietà. Tale problema scaturisce
innanzitutto dal fatto che l’utilizzo tale e quale delle variabili impedisce,
in larga misura, l’applicazione dell’usuale teoria asintotica all’analisi delle
proprietà degli stimatori dei minimi quadrati delle osservazioni non converge
al momento secondo della variabile. Inoltre le usuali statistiche utilizzate
per la verifica di determinate ipotesi, quali la significatività dei parametri
e possibili restrizioni su questi, non possiedono le distribuzioni che
correntemente vengono utilizzate per il calcolo dei valori critici dei test. In
particolare, le distribuzioni dei test di tipo t di Student e di tipo F
divergono all’aumentare della numerosità campionaria e, quindi, non esistono
valori critici dei test asintoticamente corretti.
Tali motivazioni inducono a costruire modelli utilizzando le variabili
opportunamente trasformate in modo da renderle stazionarie. Esistono svariati
metodi per eliminare il trend. Gli effetti del tempo possono essere eliminati
eseguendo una regressione rispetto al tempo e calcolando i residui tra la serie
iniziale e quella successiva.
Un’altra soluzione più semplice per detrendizzare una serie consiste nel passaggio
dai livelli di una generica serie temporale alle rispettive differenze prime; questa
metodologia apporta l’effetto basilare di cancellare completamente la
componente di trend con l’ onere di perdere una sola osservazione ( passando da
T a T-1 dati). Ovviamente anche una serie integrata di ordine d può essere detrendizzata applicando d
volte l’operatore , perdendo le informazioni fornite da d osservazioni.
Eppure i
modelli basati solo su variabili espresse in differenze prime non soddisfano
generalmente le relazioni di lungo periodo indicate dalla teoria economica, e
quindi non danno alcuna informazione su queste (semplicemente perché non ne
contengono).
Il modello
con MCE vanta una caratteristica di rilevante importanza: permette di tener
conto delle critiche poc’anzi evidenziate e, nello stesso tempo, di non perdere
le informazioni sulle relazioni di lungo periodo fornite dalla teoria
economica.
Dato il
modello con MCE nella sua forma generale, se si considera noto il parametro c e se le variabili , e sono stazionarie è
possibile operare una stima del modello stesso con il metodo dei minimi
quadrati ordinari. Se è legittimo supporre che y e z siano entrambe di
ordine uno e quindi le differenze sono stazionarie[7], occorre effettuare qualche
precisazione per quanto riguarda il grado di integrazione della variabile .
Generalmente,
combinazioni lineari di variabili non stazionarie producono variabili a loro
volta non stazionarie, ma talvolta si verifica la condizione di cointegrazione,
ossia è possibile che esista una particolare combinazione lineare delle
variabili tale da far elidere tra loro i movimenti di lungo periodo della y e della z, divenendo essa stessa stazionaria. La cointegrazione consiste
quindi nel far abbassare il grado di integrazione delle serie originarie. Più
tecnicamente, si può evocare la definizione fornita da Engle e Granger secondo
cui: “le componenti del vettore [8] sono dette cointegrate di ordine d e
b, in simboli ~CI(d,b), se:
·
le
variabili e , che compongono , sono entrambi I(d)
· esiste un vettore tale che la
combinazione è I(d-b) con .”
In cui il
vettore φ è detto «vettore di cointegrazione».
Il teorema
afferma inoltre che se le componenti del vettore sono cointegrate di
ordine e , allora il processo generatore dei dati (DGP) della serie è
esprimibile nella forma con MCE, cioè:
dove , costituisce il vettore
di cointegrazione, d(L) è un
polinomio di ordine finito nell’operatore ritardo, e sono congiuntamente white noise e che implica che se le
variabili sono cointegrate la deve apparire almeno
in una equazione. Ossia nel caso di un modello con due sole variabili il
vettore di cointegrazione se esiste è
unico perché il numero massimo di vettori di cointegrazione tra n serie è n-1. È bene inoltre precisare che una singola equazione può essere
sufficiente per catturare la dinamica di breve periodo attorno all’unica
relazione di equilibrio tra due variabili non stazionarie; in tale contesto gli
unici problemi che si pongono sono problemi di stima relativi al metodo di
individuazione della relazione di lungo periodo.
Affinché
le variabili siano cointegrate è necessario che tutte le componenti del vettore
abbiano proprietà di
lungo periodo tra loro compatibili, ossia le variabili che presentano andamenti
tendenziali diversi non possono essere cointegrate.
Una particolarità degli stimatori di serie cointegrate è la cosiddetta
«superconsistenza». Date le variabili y
e z, entrambe integrate di ordine 1 e
per le quali vale la relazione di lungo periodo , se y è
cointegrata con z la convergenza in
probabilità dello stimatore verso il valore vero
di c è più rapida di quanto avviene
nel caso di regressione standard tra variabili I(0). A tale risultato si perviene se la variabile y dipende solo dalla variabile z.
La connessione esistente tra la teoria della cointegrazione e il modello
dinamico con MCE si manifesta attraverso la relazione ~I(0)[9] ed è formalizzata nel teorema di
«rappresentazione» di Granger. Il quale afferma proprio che, se le componenti
del vettore , supposto per semplicità composto da due soli componenti, [ ]’ sono cointegrate di ordine e , allora il processo generatore dei dati è esprimibile nella
forma con MCE.
Nella specificazione e nella stima del modello bisogna prestare
particolare attenzione a determinati fattori: non è possibile includere
liberamente in una regressione statica variabili che presentano un diverso
ordine di integrazione (cioè caratterizzate da non stazionarietà di tipo
diverso); nell’introdurre ritardi nella specificazione dinamica questi devono
riguardare tutte le variabili che figurano nella regressione statica e non
escluderne a priori alcune.
2.3.
I TEST DI STAZIONARIETÁ E DI COINTEGRAZIONE
Condizioni necessarie per l’applicabilità del modello con meccanismo a
correzione dell’errore sono quindi che le serie e siano integrate di
ordine 1 (da cui discende la condizione di stazionarietà delle loro differenze
prime) e che le stesse siano cointegrate di ordine 1.
La stazionarietà di una serie può essere analizzata osservando il trend
sottostante la serie stessa. Sia dato il modello:
(1) con ~N(0,)
dove la
variabile t indica il tempo. Esso
incorpora due diversi tipi di trend alla cui rimozione si può procedere
seguendo metodologie diverse.
Ponendo e , il modello appena esposto viene denominato, in letteratura,
random walk o «processo stazionario
nelle differenze» ed è caratterizzato dalla presenza di un trend stocastico.
Infatti, sotto tali condizioni il trend può essere rimosso con l’uso dell’operatore
differenza .
Se, invece, si suppone e il modello riproduce
un processo «stazionario nel trend», cioè un modello con trend deterministico;
in quanto sotto tali valori parametrici il trend viene spiegato dalla
componente deterministica δt. In tal
caso si suppone che i movimenti di lungo periodo della serie seguano una
evoluzione di tipo deterministico e che i movimenti di breve periodo siano
essenzialmente spiegati da un modello autoregressivo stazionario.
Data la divergenza del trend a seconda dei valori assunti dai parametri
del modello, cui seguono effetti completamenti diversi, i risultati empirici
del modello devono essere interpretati con estrema cautela.
Alla luce di quanto appena detto è legittimo supporre che l’accettazione
dell’ipotesi nulla e δ=0 è consistente con l’ipotesi di un modello stazionario nelle
differenze, mentre rimane ambiguo il caso in cui si rifiuti tale ipotesi nulla.
Dickey e Fuller hanno dimostrato che se viene usato un test F per sottoporre a
verifica , i valori critici a cui fare riferimento non sono quelli
delle tavole standard della F, ma dei valori significativamente diversi.
Eppure in un modello AR(1) del tipo:
(2) con ~N(0,)
la condizione
di stazionarietà si verifica quando .
Pertanto è possibile utilizzare un test per sottoporre a verifica la condizione
di non stazionarietà , contro l’ipotesi alternativa di stazionarietà . Quando si è sotto l’ipotesi alternativa la stima del
parametro può essere ottenuta, come di consueto, mediante lo stimatore dei
minimi quadrati ordinari, la cui distribuzione è approssimativamente normale e
la statistica-test utilizzata è:
~.
Quando, invece, la distribuzione della
statistica t non è più la t di
student con (n-k) gradi di libertà. La verifica della stazionarietà avviene,
quindi, mediante un test sulle radici unitarie.
Sfruttando la proprietà di invarianza del metodo OLS a trasformazioni
lineari il modello AR(1), come sopra tipizzato, può essere equivalentemente
espresso nella forma:
(3) .
Un test per sottoporre a verifica può continuare ad
essere basato sul rapporto-t, ma la
distribuzione campionaria di tale statistica, sotto non è più la t di Student, ma una distribuzione non
standard. Di conseguenza i valori critici della distribuzione t di Student non possono essere
utilizzati per definire la regione critica di tale test. Lo studio di tale
problematica congiuntamente alla necessità di avvalersi di metodologie adeguate
per la verifica della presenza di radici unitarie nelle serie storiche ha
indotto la letteratura ad effettuare svariati studi in merito, fra i quali
risultano molto interessanti quelli effettuati da Dickey, che ha tabulato la
distribuzione della statistica data dal rapporto-t in presenza di radici unitarie, e da Fuller. Qualora si faccia
ricorso a tale tabulazione il test viene indicato con τ e viene definito test di
Dickey e Fuller (DF)[10]. La distribuzione τ è una
distribuzione non standard, fortemente asimmetrica a sinistra e per la quale la
distribuzione normale costituisce un’approssimazione molto scadente. I valori
critici del test si trovano in corrispondenza di valori negativi
significativamente inferiori a meno 2.
Sulla base della regressione (3) è possibile ottenere uno stimatore per , , che permette di sottoporre a verifica l’ipotesi di
stazionarietà di e la statistica-test,
in questo caso, viene così modificata:
.
A fianco a questi test, gli stessi studiosi hanno introdotto un’altra
classe di test, ADF, che possono essere utilizzati in quanto colmano
determinate problematiche cui si incorre quando ci si avvale dei test DF. In
primo luogo, è bene considerare che qualora si voglia sottoporre a verifica la
condizione di stazionarietà di un processo AR di ordine superiore al primo
(bisogna cioè sottoporre a verifica la presenza di radice unitaria in un
processo AR di ordine superiore al primo) ci si avvale di un test Dickey-Fuller
aumentato, ADF (dall’inglese Augmented
Dickey Fuller). Infatti, se si suppone di avere un modello del tipo AR(2)
nella forma:
che può
essere riparametrizzato come: , in cui e , affinchè sia verificata la condizione di stazionarietà è
necessario che sia che siano inferiori
all’unità in valore assoluto.
La procedura di test proposta da Dickey e Fuller è invariante per trasformazioni
lineari o per riparametrizzazioni del
modello, con la conseguenza che processi AR di ordine superiore possono
facilmente essere utilizzati “aumentando” la regressione mediante
l’introduzione di ritardi successivi della differenza prima della variabile
dipendente. Infatti la presenza di una radice unitaria in un processo AR(p)
corrisponde ad un valore nullo del coefficiente di , e, se la radice unitaria viene imposta, il modello diviene
un AR(p-1) in Δ.
Un ulteriore motivo per “aumentare” il modello (3) consiste nel fatto che
esso può facilmente produrre residui autocorrelati, con la conseguenza di non
poter disporre di uno stimatore efficiente per il coefficiente α. Per evitare tale inconveniente Dickey
e Fuller suggerirono di modificare il modello introducendo ritardi successivi
della variabile dipendente in numero tale da ottenere residui che siano innovazioni.
Si ha, allora:
.
È bene precisare che per tali test l’ipotesi nulla è che la serie sia non
stazionaria, pertanto il risultato cui si dovrebbe giungere mediante l’impiego
del test τ è di rifiutare l’ipotesi nulla in favore della stazionarietà.
I risultati teorici sviluppati nell’ambito della teoria della
cointegrazione e la loro utilizzazione nell’ambito della modellizzazione di
breve periodo fanno emergere due tipi di problemi strettamente connessi fra
loro: il problema della verifica statistica dell’ipotesi di cointegrazione; la
stima del vettore di cointegrazione.
I principali test di verifica della cointegrazione sono stati elaborati
da Engle e Granger e da Sargan e Bhargava.
Engle e Granger proposero un test a due stadi. Nel primo stadio si
effettua una stima del coefficiente di lungo periodo che può essere ottenuta
semplicemente considerando lo stimatore OLS del coefficiente della regressione
statica sulla relazione di lungo periodo , avendo verificato che e siano effettivamente
cointegrate. Il secondo stadio consiste nella stima e nella modellazione
dell’equazione di breve per in funzione di , di valori ritardati di entrambe tali variabili, di altre
variabili stazionarie e di .
[1] Le lettere tra parentesi
indicano il numero massimo di ritardi rispettivamente di y e z.
[2] Che ovviamente saranno
esprimibili come funzioni dei coefficienti polinomiali con i=0,1,…,m.
[3] Cappuccio e Orsi.
[4] I processi ARMA, processi
autoregressivi a media mobile, sono dei processi stazionari definiti attraverso
equazioni lineari nell’operatore ritardo; in questi processi la y dipende dai valori passati della
variabile stessa e dai valori presenti e passati dell’errore. (Cfr Gardini e
altri)
[5] Cappuccio e Orsi
[6] La regressione spuria si
verifica quando le variazioni della variabile dipendente sono attribuibili al
fattore temporale e non a meccanismi economici.
[7] E, in quanto tali,
integrate di ordine zero.
[8] Il vettore di variabili consta di p componenti con generici gradi di
cointegrazione d e b.
[9] In quanto se ~I(1) non può
esistere nessun equilibrio, per l’impossibilità di sommare serie integrate di
ordine diverso.
[10] La distribuzione della statistica DF
per viene ulteriormente
modificata se nel modello figurano il termine noto o un termine costante e la
variabile trend.
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