D. R.
«Verso le ore 11 del primo maggio 1947, fui avvertito dal capitano Del Giudice
di quanto a
lui
aveva comunicato il sottotenente Ragusa e che era avvenuto a Portella della
Ginestra. Dopo gli
accordi
presi col comandante di Legione mi recai con una compagnia di militari a Piana
degli
Albanesi;
ove trovai lo stesso sottotenente Ragusa, che aveva già inviato a Portella
della Ginestra
alcuni
uomini, mentre egli si era fermato a Piana per provvedere alla prima assistenza
sanitaria ai
feriti
che cominciavano ad arrivare. Una parte della compagnia inviai da un lato del
Pelavet mentre
l’altra
parte al mio comando seguì la zona della strada che congiunge Piana a S.
Giuseppe Jato. Fu
fatto
un rastrellamento e furono fermate delle persone sospette. Ci fu indicata la
strada battuta da
coloro
che si erano trovati sulla Pizzuta, ma non fu possibile raggiungere alcuno.
Intanto, su
indicazione
di ragazzi, fermai Troia, Grigoli, Marino ed Elia, che immediatamente
interrogai. Da
quanto
essi dissero, dalle deposizioni dei testi, che avevano indicati come alibi, mi
convinsi che
erano
estranei al fatto. Poiché da qualcuno era stato indicato il modo di vestire
all’americana di
coloro
che erano stati sulla Pizzuta, ebbi la convinzione che il delitto doveva
attribuirsi alla banda
Giuliano
i cui componenti vestivano l’abito all’americana. Furono fermate circa 200
persone delle
quali
la gran parte fu liberata nulla risultando a loro carico, ne furono trattenuti
una decina fra cui un
tale
che riferì di essere stato avvicinato in quell’occasione da quattro persone
armate. Attraverso
indagini
si accertò che le quattro persone erano dei cacciatori, che, identificati,
furono da me e
Guarino
interrogati a Palermo e le loro dichiarazioni furono trasmesse all’Autorità
giudiziaria. Ai
quattro
cacciatori furono fatte vedere delle fotografie di alcuni appartenenti alla
banda Giuliano ed
essi
non ne riconobbero alcuno poiché le fotografie ritraevano i predetti quando
erano ancora ragazzi
e data
la lunga permanenza in montagna avevano subito delle modificazioni
fisionomiche.
Riconobbero
solo una persona a cavallo che essi dicevano facesse da capo. Era precisamente
Giuliano».
D. R.
«L’Ispettorato generale di P. S. esplicò sin dal primo momento la sua attività
facendo affluire
a
Portella alcuni nuclei mobili di carabinieri che da esso dipendevano. Non so se
e quale altra attività
sia
stata esplicata dallo Ispettorato a Palermo, posso dire però che i quattro
(Troia e compagni)
furono
fermati dall’Ispettorato e passati a me per competenza, poiché io dirigevo le
indagini».
D. R.
«Restai per più di un mese a Piana degli Albanesi insieme con Guarino e dopo
andai in
licenza».
D. R.
«La sera stessa del primo maggio quando giunsi a Portella seppi da alcuni
carabinieri dei
nuclei,
che erano stati rinvenuti dei bossoli quasi alle falde della Pizzuta. Poiché mi
risultava che era
stato
fatto uso anche di armi automatiche ordinai al sottotenente Ragusa di esplorare
la zona e di
accertare
le postazioni esistenti. Quella sera stessa il Ragusa accertò due postazioni.
Sopravvenuta la
notte,
l’operazione fu rinviata all’indomani ed il 2 maggio il Ragusa stesso accertò
altre quattro
postazioni
di cui una per fucile mitragliatore».
D. R.
«Non potetti di persona ispezionare le zone per accertare le postazioni;
accertai le due più
basse
perché quelle più alte erano accessibili solo a ragazzi ed infatti vi andarono
i soldati ed il
sottotenente
Ragusa».
D. R.
«I bossoli che venivano da essi rinvenuti erano consegnati a me e posti tutti
in un sacchetto,
furono
inviati all’Autorità giudiziaria con un verbale descrittivo nel quale vi era
indicata la qualità
dei
proiettili essendovene anche di tipo americano».
D. R. «Credo di aver trasmesso
all’Autorità giudiziaria più di 300 bossoli».
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