lunedì 1 febbraio 2016


D. R. «Verso le ore 11 del primo maggio 1947, fui avvertito dal capitano Del Giudice di quanto a

lui aveva comunicato il sottotenente Ragusa e che era avvenuto a Portella della Ginestra. Dopo gli

accordi presi col comandante di Legione mi recai con una compagnia di militari a Piana degli

Albanesi; ove trovai lo stesso sottotenente Ragusa, che aveva già inviato a Portella della Ginestra

alcuni uomini, mentre egli si era fermato a Piana per provvedere alla prima assistenza sanitaria ai

feriti che cominciavano ad arrivare. Una parte della compagnia inviai da un lato del Pelavet mentre

l’altra parte al mio comando seguì la zona della strada che congiunge Piana a S. Giuseppe Jato. Fu

fatto un rastrellamento e furono fermate delle persone sospette. Ci fu indicata la strada battuta da

coloro che si erano trovati sulla Pizzuta, ma non fu possibile raggiungere alcuno. Intanto, su

indicazione di ragazzi, fermai Troia, Grigoli, Marino ed Elia, che immediatamente interrogai. Da

quanto essi dissero, dalle deposizioni dei testi, che avevano indicati come alibi, mi convinsi che

erano estranei al fatto. Poiché da qualcuno era stato indicato il modo di vestire all’americana di

coloro che erano stati sulla Pizzuta, ebbi la convinzione che il delitto doveva attribuirsi alla banda

Giuliano i cui componenti vestivano l’abito all’americana. Furono fermate circa 200 persone delle

quali la gran parte fu liberata nulla risultando a loro carico, ne furono trattenuti una decina fra cui un

tale che riferì di essere stato avvicinato in quell’occasione da quattro persone armate. Attraverso

indagini si accertò che le quattro persone erano dei cacciatori, che, identificati, furono da me e

Guarino interrogati a Palermo e le loro dichiarazioni furono trasmesse all’Autorità giudiziaria. Ai

quattro cacciatori furono fatte vedere delle fotografie di alcuni appartenenti alla banda Giuliano ed

essi non ne riconobbero alcuno poiché le fotografie ritraevano i predetti quando erano ancora ragazzi

e data la lunga permanenza in montagna avevano subito delle modificazioni fisionomiche.

Riconobbero solo una persona a cavallo che essi dicevano facesse da capo. Era precisamente

Giuliano».

D. R. «L’Ispettorato generale di P. S. esplicò sin dal primo momento la sua attività facendo affluire

a Portella alcuni nuclei mobili di carabinieri che da esso dipendevano. Non so se e quale altra attività

sia stata esplicata dallo Ispettorato a Palermo, posso dire però che i quattro (Troia e compagni)

furono fermati dall’Ispettorato e passati a me per competenza, poiché io dirigevo le indagini».

D. R. «Restai per più di un mese a Piana degli Albanesi insieme con Guarino e dopo andai in

licenza».

D. R. «La sera stessa del primo maggio quando giunsi a Portella seppi da alcuni carabinieri dei

nuclei, che erano stati rinvenuti dei bossoli quasi alle falde della Pizzuta. Poiché mi risultava che era

stato fatto uso anche di armi automatiche ordinai al sottotenente Ragusa di esplorare la zona e di

accertare le postazioni esistenti. Quella sera stessa il Ragusa accertò due postazioni. Sopravvenuta la

notte, l’operazione fu rinviata all’indomani ed il 2 maggio il Ragusa stesso accertò altre quattro

postazioni di cui una per fucile mitragliatore».

D. R. «Non potetti di persona ispezionare le zone per accertare le postazioni; accertai le due più

basse perché quelle più alte erano accessibili solo a ragazzi ed infatti vi andarono i soldati ed il

sottotenente Ragusa».

D. R. «I bossoli che venivano da essi rinvenuti erano consegnati a me e posti tutti in un sacchetto,

furono inviati all’Autorità giudiziaria con un verbale descrittivo nel quale vi era indicata la qualità

dei proiettili essendovene anche di tipo americano».

D. R. «Credo di aver trasmesso all’Autorità giudiziaria più di 300 bossoli».

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