martedì 1 luglio 2014

Chi oggi trascende il responso giudiziario e si mette a formulare giudizi di valore lesivi dell'onore del Messana solo sulla base delle dissolte insinuazioni del Li Causi è un falsario.

L'on.le Girolamo Li Causi nel 1947 insinua gravi accuse contro il questore Messana.  Leggiamole assieme.
 
Assemblea Costituente. Seduta del 15 luglio 1947 
Intervento di Girolamo Li Causi 
LI CAUSI. Onorevoli colleghi, non è la prima volta che ci occupiano della Sicilia e credo che non sarà nemmeno l'ultima…
UBERTI. Speriamo che sia l'ultima!
PRESIDENTE. Onorevole Uberti, la prego di non cominciare ad interrompere.
MANCINI. È intolleranza!
LI CAUSI. … ed è un bene; perché il processo dichiarificazione che è in corso, determinato appunto dall'azione delle masse, deve essere condotto fino in fondo, ed è necessario che tutto il paese segua, aiuti, intervenga in questo processo di chiarificazione nella nostra Isola. Se è vero che in Sicilia recentemente, fatto credo unico finora nella storia, è intervenuto in visita ufficiale l'ambasciatore degli Stati Uniti, che ha preso contatto col Governo regionale, ha concesso interviste, fatto delle dichiarazioni, esortato il popolo siciliano a guardarsi dal rinunciare alla libertà individuale; se è vero che l'Isola, ha una particolare importanza strategica, ci rendiamo conto come sia indispensabile che tutto il Paese, posto continuamente in sussulto da campagne di stampa sugli avvenimenti siciliani, in base a notizie deformate, esagerate o minimizzate secondo il punto di vista degli interessi, abbia la conoscenza esatta di quella situazione, chiarisca le responsabilità e soprattutto si renda conto di una situazione che nella sua sostanza è semplicissima, ma che è infinitamente complessa, complicata com'è per collusioni e legami intimi che sussistono, sulla base della struttura sociale della Sicilia, tra vita politica, mafia e banditismo.
uesta la serie di orrenti misfatti di cui si era reso colpevole il Ferreri. Ebbene, non appena la banda è sterminata e dei cinque componenti rimase vivo solo il Ferreri, la prima cosa che egli dice è: "Salvatemi la vita, perché sono il confidente dell'Ispettore di pubblica sicurezza dottor Messana". Avviene che nel momento in cui l'ufficiale dei carabinieri vuole accertare questo, il bandito gli afferra l'arma e tenta di strappargliela: l'altro si difende e lo fredda. Nella perquisizione presso il padre del Ferreri viene trovato un permesso di armi rilasciato da poco tempo dalla questura di Trapani. Le autorità si informano: com'è possibile che un affiliato alla banda Giuliano abbia un permesso d'armi regolare? Risulterebbe che c'è stato l'intervento dell'Ispettore di pubblica sicurezza per farglielo rilasciare. Che cosa ci conferma nella convinzione della esistenza di questo intervento? Ce lo indica un fatto molto grave. Malgrado ci sia stato il referto di tutto ciò che era stato trovato addosso ai cadaveri, l'Ispettore di pubblica sicurezza manda un suo dipendente a sottrarre il permesso d'armi, e se lo porta a Palermo. Una indagine più profonda potrebbe accertare che anche addosso al principale "Fra Diavolo", cioè a Ferreri (l'Ispettorato di pubblica sicurezza lo definiva addirittura un Giuliano e mezzo) sarebbe stato trovato un documento di identità a nome, niente di meno, di un milite dell'Arma dei carabinieri. C'è di più. Ad Alcamo ci sono testimoni i quali hanno visto, un'ora o due ore prima che il conflitto avvenisse, l'automobile dell'Ispettore di pubblica sicurezza Messana, che accompagnava un altro ufficiale dello stesso ispettorato di pubblica sicurezza, e appreso che il Messana avrebbe avuto un incontro con la banda Ferreri.
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Dinanzi a giudici certo non benevoli, il comm. Ettore Messana, sotto giuramento, fiero, preciso, sicuro, controbatte così a quelle antiche insinuazioni del parlamentare comunista:

  
Il bandito Giuliano
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La strage di Portella della Ginestra


Documenti sulla strage

Documento 13


VERBALE INTERROGATORIO


DELL’ISPETTORE VITO MESSANA [rectius ETTORE]




Verbale di continuazione di dibattimento del 20 luglio 1951

[cartella 4, vol. V, n. 5]



D’ordine del Presidente, introdotto il testimone Messana Ettore fu Clemente di anni 66, nato a

Racalmuto (Agrigento) e domiciliato in Roma, Ispettore di Ps.

Interrogato in merito ai fatti della causa, risponde:



«Fui mandato in Sicilia a capo dell’Ispettorato Generale di P.S. per la Sicilia nel maggio 1945 e vi

rimasi fino a tutto luglio 1947. Il decreto che istituì l’Ispettorato è dell’aprile 1945 e funzione di tale

organo fu quella di integrare l’opera repressiva e preventiva nell’eliminazione del banditismo ed in

genere della delinquenza associata in Sicilia».

D. R. «Io ebbi a mia disposizione 750 carabinieri, 350 agenti e 14 funzionari, che distribuii in tutte le

province della Sicilia da Messina a Trapani. Fui io che istituii i nuclei di carabinieri e polizia nei

centri dove a me sembrò che dovessero essere istituiti. Le mie prime operazioni feci nelle province

di Agrigento e di Catania. Verso la fine del 1945 incominciò ad affiorare l’attività della banda

Giuliano. Tale fatto fece aumentare la mia attività tanto più che la banda Giuliano e quella di Avila

si erano poste al servizio dell’Evis».

D. R. «Ebbi notizia dei fatti di Portella nelle ore pomeridiane del 1° maggio 1947. Mi recai ad una

riunione indetta dal prefetto Vittorelli, dove si stabilì una certa azione da svolgersi. L’indomani mi

recai a Piana degli Albanesi ed a San Giuseppe Jato, ove già si era proceduto all’arresto di quattro

persone ad opera di un nucleo dipendente dall’Ispettorato e dove si era proceduto a largo

rastrellamento arrestando centinaia di persone sospette, le quali però furono quasi tutte rimesse in

libertà. Non essendo emersa a loro carico alcuna responsabilità».

D. R. «Tutto ciò venne fatto ad opera della questura che si limitò poi a denunciare solo i quattro

arrestati».

D. R. «In una riunione tenuta anche alla presenza dell’Ispettore Generale di P. S. Rosselli, inviato a

Palermo dal Ministero, fu deciso da quest’ultimo che la direzione delle indagini dovesse essere

affidata al questore Giammorcaro e fu così che io passai alle dipendenze di costui».

D. R. «Si venne frattanto a conoscenza che il 1° maggio era stato sequestrato, dopo la sparatoria, un

campiere, certo Busellini, del quale non si seppe nulla per tanti giorni e che poi fu trovato ucciso in

un fossato da un nucleo alle mie dipendenze».

D. R. «Non so se il ritrovamento del cadavere del Busellini avvenne a mezzo di cani poliziotti od a

mezzo solo di ricerche».

D. R. «Mi sembra di ricordare che sul petto del cadavere del Busellini fu trovato un cartello con la

scritta «questa è la fine dei traditori», la qualcosa ci convinse che il delitto era stato consumato dalla

banda Giuliano. Tale convinzione ci facemmo anche per il delitto di Portella poiché ci convincemmo

che colui che aveva ucciso Busellini era uno di quelli che aveva sparato a Portella».

D.R. «Noi dell’Ispettorato, fin dal primo momento, pensammo che la strage di Portella era da

attribuirsi alla banda Giuliano, perché il fatto era avvenuto nella zona così detta d’imperio della

banda stessa, mentre l’Angrisani ed il Guarino avevano orientamento diverso».

D. R. «Tale convincimento da parte dell’Ispettorato fu però rafforzato dal rinvenimento del cadavere

del Busellini».


Contestatogli che nel verbale di rinvenimento del cadavere del Busellini non vi è traccia del cartello

rinvenuto sul suo cadavere, risponde:



«Può darsi che io abbia un cattivo ricordo di tale fatto, ma pure mi sembra di ricordare così».

D. R. «Le indagini continuarono e solo nel giugno avvennero i primi fermi effettuati dal nucleo

centrale comandato dal colonnello Paolantonio, il quale mi riferiva lo sviluppo di esse».

D. R. «Il rapporto n. 37 fu redatto quando io non ero più Ispettore Generale in Sicilia, essendo stato

sostituito il 1.8.47 dal questore di Napoli Coglitori».

D. R. «Quasi tutti i fermi avvennero durante la mia permanenza in Sicilia ed io, giorno per giorno,

venivo informato di quanto si riusciva a sapere dai fermati».

D. R. «L’Ispettorato aveva dei confidenti ed inoltre era in contatto con alcuni elementi che ci

ponevano in comunicazione con il bandito Ferreri Salvatore».

D. R. «Io nessun contatto diretto ebbi col Ferreri, solo ebbi rapporti con lui tramite i suddetti

elementi di collegamento».

D. R. «Escludo che Ferreri mi abbia fatto sapere i nomi di coloro che avevano partecipato all’azione

di Portella; può darsi che qualche indicazione l’abbia data al colonnello Paolantonio oppure ad un

altro funzionario di P.S., certo Zappone, che io avevo dislocato nella zona di Partinico e che fu

ucciso a Borgetto in un agguato».

D. R. «Il nostro convincimento che l’azione di Portella era dovuta alla banda Giuliano fu

maggiormente rafforzato dal riconoscimento effettuato da quattro cacciatori sequestrati in quella

mattina del 1° maggio, i quali in una fotografia di persona a cavallo riconobbero proprio colui che

ritenevano fosse il capo del gruppo che li aveva sequestrati».

D. R. «Il colonnello Paolantonio, fin quando io restai in Sicilia, non mi parlò mai del fermo di alcuno

ritenuto partecipe della strage di Portella per confidenze avute dal Ferreri».

D. R. «Escludo di aver avuto mai rapporti con Pisciotta Gaspare, come escludo di avergli rilasciato

un tesserino di riconoscimento sia al suo nome che a quello di Faraci Giuseppe».


Contestatogli che il Pisciotta ha affermato invece di aver avuto rilasciato un tesserino proprio da lui

che glielo fece recapitare tramite Ferreri, risponde:



«Escludo nel modo più reciso che ciò sia avvenuto».


Richiamato l’imputato Gaspare Pisciotta e contestatagli la dichiarazione resa dall’Ispettore

Messana a proposito del tesserino, risponde:



«Il tesserino lo ebbi tramite Ferreri, portava la firma Messana, aveva i timbri dell’Ispettorato, fu

strappato ed io spero che colui che lo ha strappato, se ha coscienza, lo dirà».

D. R. «Luca potrà dire qualcosa in merito, può darsi che il tesserino esista ancora, ma a me risulta

che fu stracciato».


Il teste Messana:


D. R. «Io facevo da organo propulsore nell’attività dei miei funzionari; dissi loro di indagare anche

sulla ragione per cui Giuliano fece l’azione di Portella ma nessuno di essi mi parlò mai su tale fatto».

D. R. «Andai via dalla Sicilia il 31.7.1947 e quindi non mi occupai più della cosa».


A domanda dell’Avv. Sotgiu, risponde:


«Non ricordo di aver rilasciato al Ferreri un tesserino di libera circolazione, ma non escludo che esso

possa essere stato rilasciato da altri sotto il mio nome, essendo io il capo dell’Ispettorato. Devo dire

per altro che la mia firma ufficiale è quasi inintellegibile come Messana, anzi ritengo che sia del

tutto inintellegibile».

D.R. «Non rilasciai tesserini di libera circolazione ai confidenti, non so se ne furono rilasciati a mio

nome dai miei dipendenti che nulla mi riferivano intorno al rilascio di essi poiché ognuno ha i propri

confidenti ed intorno a noi si mantiene il più stretto riserbo anche con i superiori».

D.R. «Io fornivo il danaro che mi richiedevano per i confidenti ai miei dipendenti, i quali mi

rilasciavano ricevuta sulla quale si limitavano a dire. -- per un confidente- senza indicarne le

generalità».

D.R. «Certamente i rapporti col Ferreri iniziarono prima della strage di Portella. Ricordo di aver

saputo, attraverso la fonte Ferreri, che Giuliano voleva attentare alla vita dei dirigenti del Partito

Comunista di Palermo, fra i quali il Li Causi. Informai per la opportuna vigilanza il questore e fu il

colonnello Paolantonio che avvisò direttamente il Li Causi».

D.R. «Al padre del Ferreri feci dare un porto d’armi, ma ciò rientrava nel progetto di venire

all’arresto di Giuliano. Sentii parlare del rinvenimento del predetto porto d’armi sul cadavere del

Ferreri, ma ciò non constatai personalmente».

D.R. «Escludo che il padre del Ferreri facesse parte della banda Giuliano».

D.R. «Non mi risulta che dopo l’amnistia dell’Evis Giuliano abbia mantenuto rapporti con persone

insospettabili».

D.R. «Dopo di me all’Ispettorato ci fu Coglitore, poi Modica, poi Spanò, poi Verdiani»

D.R. «Non ricordo i nominativi dei componenti la banda Giuliano».

D.R. «Esiste un rapporto intorno alle bande armate dell’Evis ed all’attività da esse spiegate, rapporto

redatto dal nucleo centrale alle mie dipendenze».

D.R. «Sono a conoscenza dei nomi in esso compresi, può darsi che l’elenco contenuto in detto

rapporto non sia completo e non comprenda tutta la materia, essendo potuta qualcosa essere sfuggita

e qualcosa sopraggiungere».

D.R. «Non ricordo il nome di Genovesi Giovanni tra i confidenti della polizia, né so se egli sia stato

interrogato dal colonnello Denti».


A domanda dell’avv. Crisafulli, risponde:


«Per il fatto di Portella venne in Sicilia un Ispettore generale del Ministero, come di solito avviene

quando succedono fatti di una certa rilevanza».

D.R. «Detto Ispettore riunì tutti gli organi di polizia in questura e poiché ogni organo comunicò i

risultati delle indagini svolte, l’Ispettore volle che le varie attività fossero coordinate e quindi, senza

esautorare e sostituire alcuno, dette la direzione al questore Giammorcaro al quale doveva essere

comunicata ogni attività degli organi di polizia. Tutto ciò per quanto riguarda i fatti di Portella».

D.R. «Mi fu detto che il Ferreri fu operato di appendicite».


A domanda dell’avv. Sotgiu, risponde:


«Non mi risulta che al Ferreri sia stata rilasciata una tessera intestata a Salvo Rossi, autista del

colonnello Paolantonio».


A domanda dell’avv. Crisafulli, risponde:


«Parlando di un rapporto Coglitore mi riferivo solo al rapporto firmato dal maresciallo Lo Bianco

relativo ai fatti di Portella»


A domanda del Pisciotta Gaspare, risponde:


«Escludo di essere stato io a consegnare i mitra al Ferreri, né mi risulta che ciò sia stato fatto da

qualcuno dell’Ispettorato. A quell’epoca avevamo penuria di armi».


Il Pisciotta aggiunge:


«I cinque mitra servirono per l’azione di Portella, secondo quanto mi disse Ferreri».


Dopo di che il Presidente rinvia la prosecuzione del dibattimento all’udienza del 23.7.1951 ore 9,30.



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Non venne in mente ai giudici di rinviare a giudizio il Messana per FALSA TESTIMONIANZA. Con sentenza passata in giudicato le versione Messana resta assodata e indiscutibile. Quanto affermato, meglio insinuato, dal parlamentare comunista evapora nel nulla.

Chi oggi trascende il responso giudiziario e si mette a formulare giudizi di valore lesivi dell'onore del Messana solo sulla base delle dissolte insinuazioni del Li Causi è un falsario.

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