LO STUPRO DELL’INTELLETTO
(della serie: il ragionamento che palle)
La rete, nonostante tutti i suoi difetti, ha ormai
occupato lo spazio della discussione pubblica,
con un mix superficiale di linguaggi vecchi e
nuovi. Ha conquistato la “ggente”, ma anche un
pezzo di mondo intellettuale, e soprattutto quello
politico. Gli effetti sono concreti e rapidissimi.
Tutto ciò che passa sul Web diventa un contagio,
si diffonde endemicamente, tant’è che il dilagare
di una notizia in rete si definisce “virale”. Questo
processo ha innescato un tale fenomeno globale
di diffusione e di mescolanza di informazioni,
da generare un flusso incontrollabile e patologico
di notizie. La comunicazione ha dunque rotto gli
argini delle gerarchie, rimodulando il verso e il
senso della propria funzione: non ci sono più le
priorità, né di valori né di coerenza: la verità è
come svanita, il vero e il falso si eguagliano, la
manipolazione e l’assurdo si contendono gli spazi,
il kitsch e il banale aspirano alla raffinatezza,
l’orrido rosicchia il terreno all’estetica del bello,
mentre l’ignoranza assume, ormai, pose gladiatorie.
In quest’orgia inarrestabile di prepotenze verbali e
culturali, ri-fioriscono parodie rivoluzionarie che si
nutro di cattiva cultura. E la cattiva cultura si
afferma attraverso linguaggi rozzi e spuri che
rincorrono il cattivo gusto della "ggente", saltando
ogni filtro di buon senso, di civiltà, di stile, di
eleganza, di gentilezza. L’unico filtro diventa la
propria individuale percezione, che si trincera nel
chiuso del proprio fortino telematico, dove ognuno
s’immagina dotto e infallibile. Questo globale
rimescolamento antropologico dell’estetica del
linguaggio, ha prodotto un nuovo lessico (semplice
e familiare) volgarmente definito "gentismo", una
variante molto più rozza e scadente del populismo.
In buona sostanza, l’anima del gentismo (tanto caro
a molti politici, mezzibusti e anchorman) è di sicuro
il risentimento. Quello delle piazze arrabbiate, dei
talk show manipolati, dei comizi rissosi, dei blog
fanculisti, dei post imbecilloidi. Tutti accomunati
dall’idolatria della ggente. Il gentismo ha successo
perché il suo discorso è difficile da disarticolare in
quanto non ha nessuna linearità. È una narrazione,
sincretistica e disarmonica, priva di responsabilità,
e quindi indimostrabile. Il gentista "se ne frega",
non teme le contraddizioni, attinge a destra e a
sinistra,propugna uguaglianza e giustizia ma è tifoso
del liberalismo, o del fascismo. Il suo argomentare
rancoroso e incolto è qualunquismo ideologico, una
pessima parodia della ribellione, un linguaggio
composto da brandelli di storie rimescolate alla buona.
Come la storia del fantomatico Piano Kalergi, agitato
dal negazionista della shoah Gerd Honsik, secondo cui
esiste un piano europeista volto a sostituire i popoli
occidentali con masse di immigrati e meticciato vario.
Insomma, il gentismo va oltre le fake news, lo scherzo,
la goliardia, la stupidità, ma mira a cancellare la storia
e la cultura mediante lo spappolamento di ogni verità
e di ogni ragionamento.
Hank
(della serie: il ragionamento che palle)
La rete, nonostante tutti i suoi difetti, ha ormai
occupato lo spazio della discussione pubblica,
con un mix superficiale di linguaggi vecchi e
nuovi. Ha conquistato la “ggente”, ma anche un
pezzo di mondo intellettuale, e soprattutto quello
politico. Gli effetti sono concreti e rapidissimi.
Tutto ciò che passa sul Web diventa un contagio,
si diffonde endemicamente, tant’è che il dilagare
di una notizia in rete si definisce “virale”. Questo
processo ha innescato un tale fenomeno globale
di diffusione e di mescolanza di informazioni,
da generare un flusso incontrollabile e patologico
di notizie. La comunicazione ha dunque rotto gli
argini delle gerarchie, rimodulando il verso e il
senso della propria funzione: non ci sono più le
priorità, né di valori né di coerenza: la verità è
come svanita, il vero e il falso si eguagliano, la
manipolazione e l’assurdo si contendono gli spazi,
il kitsch e il banale aspirano alla raffinatezza,
l’orrido rosicchia il terreno all’estetica del bello,
mentre l’ignoranza assume, ormai, pose gladiatorie.
In quest’orgia inarrestabile di prepotenze verbali e
culturali, ri-fioriscono parodie rivoluzionarie che si
nutro di cattiva cultura. E la cattiva cultura si
afferma attraverso linguaggi rozzi e spuri che
rincorrono il cattivo gusto della "ggente", saltando
ogni filtro di buon senso, di civiltà, di stile, di
eleganza, di gentilezza. L’unico filtro diventa la
propria individuale percezione, che si trincera nel
chiuso del proprio fortino telematico, dove ognuno
s’immagina dotto e infallibile. Questo globale
rimescolamento antropologico dell’estetica del
linguaggio, ha prodotto un nuovo lessico (semplice
e familiare) volgarmente definito "gentismo", una
variante molto più rozza e scadente del populismo.
In buona sostanza, l’anima del gentismo (tanto caro
a molti politici, mezzibusti e anchorman) è di sicuro
il risentimento. Quello delle piazze arrabbiate, dei
talk show manipolati, dei comizi rissosi, dei blog
fanculisti, dei post imbecilloidi. Tutti accomunati
dall’idolatria della ggente. Il gentismo ha successo
perché il suo discorso è difficile da disarticolare in
quanto non ha nessuna linearità. È una narrazione,
sincretistica e disarmonica, priva di responsabilità,
e quindi indimostrabile. Il gentista "se ne frega",
non teme le contraddizioni, attinge a destra e a
sinistra,propugna uguaglianza e giustizia ma è tifoso
del liberalismo, o del fascismo. Il suo argomentare
rancoroso e incolto è qualunquismo ideologico, una
pessima parodia della ribellione, un linguaggio
composto da brandelli di storie rimescolate alla buona.
Come la storia del fantomatico Piano Kalergi, agitato
dal negazionista della shoah Gerd Honsik, secondo cui
esiste un piano europeista volto a sostituire i popoli
occidentali con masse di immigrati e meticciato vario.
Insomma, il gentismo va oltre le fake news, lo scherzo,
la goliardia, la stupidità, ma mira a cancellare la storia
e la cultura mediante lo spappolamento di ogni verità
e di ogni ragionamento.
Hank
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