lunedì 23 giugno 2014

Calogero Restivo, l'esule poeta racalmutese

Un paesaggio così, lugubre a sera, incerto, vagolo, come rantolo  di donna sconfitta nell'amore e nella vita, a me non mi si addice. Torno al paesello, aspro, maschio, ilare e beffardo e in questo giorno di giugno caldissimo, il paesello mio, la mia vera Sicilia, poco importa se pruni e fiori spinosi, e stoppie ora già gialle non conoscono sospiri d'amore; anzi!  sogghignano perché si è maschi e non ci si rammollisce come verginelle tali rimaste ancora a tarda età. Mi giungono voci pietose e odio ascoltarle, mi sembrano erinni sgraziate, senza ragione ringhiose: le ho sentite l'altra sera in quello splendore della mia atavica patria, la Grecia grande, quella anche del greco teatro d'Aretusa.  Apollo così le spregiava: "fanciulle decrepite antiche bambine , con le quali nessuno mai si è unito: nessun dio, nessun uomo, nessuna bestia". Non sono io certo tipo da vagheggiare per il tronfio ciarliero vacuo Apollo, non sono stato mai neppure candidato a sindaco del paese mio. Eppure io amo poeti che seppure di vena diversa  dalla mia, pure hanno analogo sangue , sangue intriso di sale, zolfo e caciummo: greco, ma prima ancora sicano e millenni ancora prima troglodita, temprato ai calori e alle tempeste, ai fulmini e alle mie notti lunari, di quell'antro cui ora dànno l'improprio nome di un frate eretico, mai esisistito. E quello è anche il sangue mio. Amo questo poeta di Racalmuto, scarno, incisivo, colto, raffinato, profondo, disperato: ha nome CALOGERO RESTIVO;  noi a Racalmuto abbondiamo di nomi così insoliti per una lingua greca che aborre da ogni cacofonico udire: e poi ci vezzeggiano come fossimo LILLI, noi che mai saremo liliali ad onta di chi ha voglia di vederci guitti o di dichiararci prostatici. Donne in sterile disuso o dalle bizzarrie visionarie per madonne slave.
Calogero Restivo in RAHAL MAUTH (ed altre) canta per me:

Ora so che ti appartengono
come l'erba nata da zolle
dure come pietre
che cresce stentata
sui monti che ti comprendono,
come i fichi d'india
selvatici ed incolti
lungo stradoni polverosi,
come le campane delle tue chiese
rauche sempre
e stonate
anche quando suonano a festa.
[Calogero Restivo]

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