RACCOLGO L'ANALISI, CONTESTO LA STORIA, DEPLORO LE PROGNOSI.
Calogero Taverna
Popolare di Vicenza e Veneto Banca, vi racconto la peggior gestione di una crisi bancaria
L'analisi di Angelo De Mattia
Vigilanza unica, Commissione Ue e Tesoro italiano sono stati capaci di segnare un record a proposito della Popolare Vicenza e di Veneto Banca: la peggiore gestione di una crisi bancaria dal secondo dopoguerra. Personalmente, ho potuto osservare le vicende bancarie per oltre mezzo secolo, di cui 40 anni trascorsi in Banca d’Italia: mai si era verificata una gestione così confusa, così indecisa, così incoerente con le premesse teoriche sbandierate, nella quale si sia potuto osservare un Tesoro così impotente di fronte alle acrobazie comunitarie sul concetto di aiuto di Stato. La gestione della crisi delle banche di Sindona e dell’Italcasse negli anni Settanta e, poi, quella dell’Ambrosiano negli anni Ottanta, per finire alla crisi del Banco di Napoli negli anni Novanta – quando la Banca d’Italia aveva gli esclusivi poteri di intervento – sono distanti anni-luce, per la rapidità e l’efficacia delle soluzioni, per le modalità e i contenuti rispetto a quella delle due banche venete. Si dirà che c’è di mezzo ora la nuova normativa europea.
Ma questa non potrebbe legittimare le contraddizioni, le irresolutezze, le inadeguatezze sotto il profilo tecnico che hanno caratterizzato questa vicenda. Anzi. Si era detto, a suo tempo, che con la nuova normativa (la Brrd) sarebbe cessato l’onere per i contribuenti nei casi di salvataggi bancari e, invece, il caso si conclude, per il momento, con un esborso del Tesoro a favore di Intesa quale supporto finanziario a fronte del fabbisogno di capitale generato dall’operazione per 3,5 miliardi, ai quali va aggiunto un importo di 1,2 miliardi a sostegno delle misure di ristrutturazione aziendale, sempre da parte di Intesa, nonché la concessione di una garanzia dello Stato per l’adempimento degli obblighi a carico delle banche in liquidazione e per gli impegni assunti nei confronti della banca acquirente. Si somma a ciò una garanzia pubblica concedibile fino all’importo complessivo di oltre 10 miliardi per il finanziamento che verrà concesso da Intesa al momento dell’avvio della liquidazione e a fronte degli obblighi di riacquisto dei crediti deteriorati. Nel complesso, si arriva a 17 miliardi. Per l’impegno, a fondamento della nuova disciplina, a non porre le crisi a carico dei cittadini che pagano le imposte non c’è male.
Si era opposto costantemente dalla Direzione Competition della Commissione Ue che non sarebbero state consentite violazioni del divieto di aiuti di Stato, interpretato nel modo onnicomprensivo in cui la direzione lo configura. Ebbene, abbiamo appreso che vi è aiuto di Stato se per la ricapitalizzazione precauzionale pubblica la somma a carico dello Tesoro non viene integrata, in questo caso, da 1,2 miliardi di apporto privato, mentre, quando lo Stato può arrivare a erogare, per titoli diversi, fino a 17 miliardi non vi è più – magicamente con un colpo di scena degno di Houdini – violazione di quel divieto perché, afferma la Commissaria Margrethe Vestager, non si possono creare perturbazioni economiche nel Veneto: ma perché prima, con la precauzionale, le si sarebbero provocate? E a questo proposito, come è possibile che la disponibilità di alcuni fondi internazionali a sottoscrivere, con diverse modalità tecniche, l’importo anzidetto sia stata lasciata cadere senza alcun riscontro formale da parte di Bruxelles, ma solo per le vie brevi? È una questione opaca che esige un chiarimento responsabile e urgente: diversamente, sarebbe quanto mai opportuno che il ministro dell’Economia fosse invitato a dare le necessarie spiegazioni in Parlamento dopo avere smentito tassativamente poco più di dieci giorni fa che era allo studio un piano per la liquidazione delle due banche. «Quali sarebbero state le alternative?», chiede Padoan. La prima era quella di insistere sulla ricapitalizzazione precauzionale anche senza l’apporto privato mettendo in conto l’eventuale procedura di infrazione – che sarebbe arrivata, se intrapresa, solo dopo diversi mesi – e la necessità di portare la Commissione davanti alla Corte di giustizia europea. Si sarebbe potuto, in alternativa, negoziare una riduzione dell’importo a carico dei privati e conseguire l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi, che già è impegnato in una controversia presso la Corte anzidetta a proposito della natura dei suoi interventi. Avrebbe potuto e dovuto essere esplorata l’ipotesi prospettata dai fondi sopra ricordata. Sono solo alcune delle possibilità per non accedere alla liquidazione. In ogni caso, non bisognava arrivare sul ciglio del burrone.
Indubbiamente, Intesa Sanpaolo ha fatto nel migliore dei modi i propri interessi e, dunque, la responsabilità di un giudizio negativo su quanto è accaduto non ricade su di lei, bensì sui soggetti richiamati all’inizio, ivi compresa la Vigilanza unica che da oltre due anni controlla le due banche: nessuno le chiede conto del suo operato?
La vicenda dovrebbe essere fortemente istruttiva per gli interventi da compiere senza ritardo sulla normativa europea, che ha dimostrato il suo completo fallimento, e sui soggetti comunitari chiamati a sostenerne l’applicazione. Se non ora, quando?
Ma questa non potrebbe legittimare le contraddizioni, le irresolutezze, le inadeguatezze sotto il profilo tecnico che hanno caratterizzato questa vicenda. Anzi. Si era detto, a suo tempo, che con la nuova normativa (la Brrd) sarebbe cessato l’onere per i contribuenti nei casi di salvataggi bancari e, invece, il caso si conclude, per il momento, con un esborso del Tesoro a favore di Intesa quale supporto finanziario a fronte del fabbisogno di capitale generato dall’operazione per 3,5 miliardi, ai quali va aggiunto un importo di 1,2 miliardi a sostegno delle misure di ristrutturazione aziendale, sempre da parte di Intesa, nonché la concessione di una garanzia dello Stato per l’adempimento degli obblighi a carico delle banche in liquidazione e per gli impegni assunti nei confronti della banca acquirente. Si somma a ciò una garanzia pubblica concedibile fino all’importo complessivo di oltre 10 miliardi per il finanziamento che verrà concesso da Intesa al momento dell’avvio della liquidazione e a fronte degli obblighi di riacquisto dei crediti deteriorati. Nel complesso, si arriva a 17 miliardi. Per l’impegno, a fondamento della nuova disciplina, a non porre le crisi a carico dei cittadini che pagano le imposte non c’è male.
Si era opposto costantemente dalla Direzione Competition della Commissione Ue che non sarebbero state consentite violazioni del divieto di aiuti di Stato, interpretato nel modo onnicomprensivo in cui la direzione lo configura. Ebbene, abbiamo appreso che vi è aiuto di Stato se per la ricapitalizzazione precauzionale pubblica la somma a carico dello Tesoro non viene integrata, in questo caso, da 1,2 miliardi di apporto privato, mentre, quando lo Stato può arrivare a erogare, per titoli diversi, fino a 17 miliardi non vi è più – magicamente con un colpo di scena degno di Houdini – violazione di quel divieto perché, afferma la Commissaria Margrethe Vestager, non si possono creare perturbazioni economiche nel Veneto: ma perché prima, con la precauzionale, le si sarebbero provocate? E a questo proposito, come è possibile che la disponibilità di alcuni fondi internazionali a sottoscrivere, con diverse modalità tecniche, l’importo anzidetto sia stata lasciata cadere senza alcun riscontro formale da parte di Bruxelles, ma solo per le vie brevi? È una questione opaca che esige un chiarimento responsabile e urgente: diversamente, sarebbe quanto mai opportuno che il ministro dell’Economia fosse invitato a dare le necessarie spiegazioni in Parlamento dopo avere smentito tassativamente poco più di dieci giorni fa che era allo studio un piano per la liquidazione delle due banche. «Quali sarebbero state le alternative?», chiede Padoan. La prima era quella di insistere sulla ricapitalizzazione precauzionale anche senza l’apporto privato mettendo in conto l’eventuale procedura di infrazione – che sarebbe arrivata, se intrapresa, solo dopo diversi mesi – e la necessità di portare la Commissione davanti alla Corte di giustizia europea. Si sarebbe potuto, in alternativa, negoziare una riduzione dell’importo a carico dei privati e conseguire l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi, che già è impegnato in una controversia presso la Corte anzidetta a proposito della natura dei suoi interventi. Avrebbe potuto e dovuto essere esplorata l’ipotesi prospettata dai fondi sopra ricordata. Sono solo alcune delle possibilità per non accedere alla liquidazione. In ogni caso, non bisognava arrivare sul ciglio del burrone.
Indubbiamente, Intesa Sanpaolo ha fatto nel migliore dei modi i propri interessi e, dunque, la responsabilità di un giudizio negativo su quanto è accaduto non ricade su di lei, bensì sui soggetti richiamati all’inizio, ivi compresa la Vigilanza unica che da oltre due anni controlla le due banche: nessuno le chiede conto del suo operato?
La vicenda dovrebbe essere fortemente istruttiva per gli interventi da compiere senza ritardo sulla normativa europea, che ha dimostrato il suo completo fallimento, e sui soggetti comunitari chiamati a sostenerne l’applicazione. Se non ora, quando?
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