giovedì 31 dicembre 2015
i prischi arcipreti (e preti) di Racalmuto(senza velami congetturali).
mercoledì 30 gennaio 2013
ARCIPRETI E SACERDOTI NELLA SECONDA META' DEL CINQUECENTO
ARCIPRETI E SACERDOTI NELLA SECONDA META’ DEL CINQUECENTO
Don Aloysio (Lisi) Provenzano
Questo sacerdote traspare dai registri di battesimo e di matrimonio della Matrice. Il suo ministero sembra discontinuo. Nel biennio 1575-1576 dovette avere funzioni di cappellano ed il suo nome si alterna con quello di don Vincenzo d’Averna negli atti di battesimo. Ancora nel 1581 è uno degli officianti della Matrice ed il 19 settembre 1581 battezza Paolino d’Asaro, fratello del pittore e futuro sacerdote racalmutese.
In tale veste compare sino al 1584, dopo subentrano altri cappellani come don Paolino Paladino e don Francesco Nicastro. Don Lisi Provenzano riappare successivamente nei documenti della Matrice, ma come teste nella celebrazione di matrimoni (ad es. il 28 settembre 1586) o come semplice padrino in battesimi (come quello di Francesco Castellana del 3.10.1587 ).
La sua presenza a Racalmuto è attestata sino al 1593 come da un atto di matrimonio, da cui però risulta che il Provenzano non è più cappellano della Matrice.
La figura di d. Lisi Provinzano emerge invero da un documento dell’Archivio Vescovile di Agrigento che risale al 31 ottobre 1556. Se ne ricavano alcuni tratti biografici. Ma soprattutto è la vita paesana a metà del XVI secolo che traspare. Val quindi la pena di riportarne alcuni brani.
Siamo stati supplicati da parte del Rev. presti Aloysio Crapanzano del tenor seguente: .. da parte del rev. presti Aloisio Provenzano della terra di Racalmuto, subdito della giurisdizione di V.S. ... In tempi passati venendo a morte lo condam ... di Salvo della ditta terra, fece il suo testamento agli atti dell’egregio condam notaro Vito Jandardoni et per quello inter alia capitula legao all’esponente pro Deo et eius anima et in satisfatione de suoi peccati tarì dudici anno quolibet sopra tutti li soi beni hereditari durante la vita di esso esponente per una missa da dovirisi diri in die lunae cuiusvis hebdomadis .. in ecclesia Sancti Francisci dictae terrae per ipse esponente. Et mancando, che tali tarì dudici li havissero li frati di ditto convento durante la vita di esso esponente, si como per ditto legato appare in ditto testamento fatto ni li atti de ditto notaro Vito 21 novembre iiij ind. 1545. Et perché lo esponente si trovao absenti da ditta terra alla morte del ditto testatore, che havea stato in Palermo et ad altri parti per soi negotij et non habbi mai notitia di tale legato et li frati di ditto convento quello si exigero con diri che ipsi voleano dire tali missa.
Appena saputa la faccenda del legato, il sacerdote si dichiara disponibile alla celebrazione della messa per l’anima del di Salvo. Ma i frati sono riluttanti e non consentono al Provenzano di celebrare quella messa nella chiesa del loro convento. Quindi il sacerdote si trova nell’impossibilità di adempiere all’obbligo nelle modalità volute dal testatore. Egli non può celebrare
ditta missa per la repugnantia di ditti frati in la loro ecclesia; pertanto supplica V.S. sia servita provvedere et comandare che ipso exponente possa satisfare la volontà di ditto defunto in diri la missa ogni lune cuiusvis hebdomadis in alcuna altra ecclesia in ditta terra di Racalmuto ben vista a V.S. Rev.da et comandare alli heredi di ditto defunto che di ditti tarì dudici anno quolibet staiono de rispondere et quelli dari allo esponente con la conditione ordinata e fatta per lo defunto che quando mancasse per sua colpa e defetto recada al ditto convento di santo Francesco. Et ita petit et supplicat. ..
Il vicario generale dell’epoca don Rainaldo dei Rainallis dà quindi disposizioni al vicario del luogo perché faccia un’inchiesta e ragguagli il vescovado.
Quel che emerge con chiarezza è dunque la vita piuttosto girovaga di questo nostro prete del Cinquecento che per affari si reca a Palermo ed in altre località ed è tanto affaccendato da non sapere neppure di un legato in suo favore. Non meraviglia certo che il di Salvo s’induca a lasciare a favore di questo sacerdote, durante vita, un legato di dodici tarì per una messa la settimana, il giorno di Lunedì, da celebrarsi nella chiesa di S. Francesco. Le disposizioni testamentarie pro Deo et anima in remissione dei propri peccati investivano i vari strati della popolazione. Non sorprende che i frati siano riluttanti a concedere il permesso di celebrare nella loro chiesa a sacerdoti secolari. Se messe di suffragio sono da dire, possono benissimo essere loro ad adempiere ogni volontà testamentaria al riguardo. Ovviamente percependone le elemosine. A chi abbia dato ragione il Vicario Generale, se ai frati o a d. Lisi Provenzano non sappiamo, ma propendiamo a credere che sia stato quest’ultimo a venire favorito. Non per nulla, qualche anno dopo il sacerdote si stabilisce a Racalmuto e qui svolge funzioni da cappellano.
Il documento è comunque importante perché ci fornisce qualche dato sul convento e sulla chiesa di S. Francesco. L’uno e l’altra erano dunque operanti da prima del 1545. Stanziano a Racalmuto padri francescani che dispongono della chiesa ed erano sottratti alla giurisdizione del vescovo agrigentino. Nella visita pastorale del 1540-43, il vescovo Tagliavia omette ogni riferimento ai francescani. Eppure abbiamo motivo di ritenere che essi fossero già insediati. Nel 1548 il convento possedeva una bottega in piazza e ciò risulta dalla bolla di riconoscimento della confraternita di S. Maria di Juso datata 21 maggio 1548 ( A.C.V.A. - Registro Vescovi 1547-48, p. 142).
Con i padri dell’Ordine dei Minori Conventuali di S. Francesco, ebbe dunque a confliggere don Lisi Provenzano attorno al 1556 per un legato del 1545. Il convento francescano precede quindi di almeno 15 anni il 1560, data ritenuta di fondazione dal Tossiniano. Al 1560 risale, invero, il testamento di Giovanni del Carretto che accenna alla chiesa di S. Francesco ed al convento ma in questi termini:
Del pari lo stesso spettabile Testatore volle e diede mandato al predetto d. Girolamo del Carretto, suo figlio primogenito ed erede particolare, di far celebrare delle messe nel convento di S. Francesco di detta terra. Inoltre dispone che sia costruita una cappella in un luogo da scegliersi in detta chiesa dal suddetto erede particolare ed a tal fine saranno da spendere 100 onze entro due anni dalla morte del testatore. La Cappella è da fabbricarsi per l’anima del predetto testatore e dei suoi predecessori.
Inoltre decide di venire sepolto nella chiesa di S. Francesco con l’abito francescano:
Item elegit eius corpus sepelliri in Ecclesia Sancti Francisci dictae Terrae indutus ordinis ditti Sancti Francisci et ita voluit, et mandavit.
Anche da qui emerge che S. Francesco esisteva da tempo.
Il Sac. Lisi Provenzano visse, dunque, gli anni del suo sacerdozio tra Palermo, altri luoghi e Racalmuto. Ordinato già nel 1545, all’epoca cioè del testamento del di Salvo, nacque a Racalmuto qualche tempo prima del 1520. Morì attorno al 1597.
Nel 1584 fa una donazione alla chiesa di S. Maria Inferiore (di Gesù) di tt. 6 annui, cedendo un censo annuo su una casa una volta appartenuta a Violante Petruzzella:
Actus donationis o. - 6.
Pro ven: Eccl. Sanctae Marie inferioris - cum p.ro Aloisio Provenzano.
Die xxiiij° septembris xiij^ ind. 1584
Reverendus presbiter Aloisius Provenzano de Racalmuto coram nobis mihi notario cognitus pro anima sua titulo donationis et omni alio meliori modo sponte cessit et cedit ven: Eccl. Sanctae Mariae Inferioris dictae terrae per eum Mattheo La Paxuta rettore mihi cognito omnia jura quae et quas habuit et habet in et super tt. 6 census quolibet anno solvendi contra magistrum Joseph Cachiatore super domo olim Violantis Petrocella virtute contractus facti in actis meis die etc.
Testes m.j Joseph Lomia et Jacobus de Poma.
Arciprete Gerlando D’Averna
Con bolla pontificia del 13 novembre 1561 ( Archivio Segreto Vaticano - Registri Vaticano - Bolla n.° 1911 - f. 211 e ss.), Pio IV nomina arciprete di Racalmuto don Gerlando D’Averna (chiamato nel documento Giurlando de Averna). La bolla viene indirizzata al diletto figlio, arciprete e rettore della chiesa di S. Antonio di Racalmuto, diocesi di Agrigento.
Pius episcopus servus servorum Dei. Dilecto filio Giurlando de Averna rectori archipresbitero nuncupato parrochialis ecclesiae archipresbiteratus nuncupatae Sancti Antonij terrae Rachalmuti Agrigentinae diocesis, salutem et apostolicam benedictionem.
E’ del tutto rituale l’apprezzamento che giustifica la concessione papale del lontano beneficio dell’arcipretura racalmutese, ma è pur sempre un riconoscimento di meriti:
Vitae ac morum honestas aliaque laudabilia probitatis et virtutum merita, super quibus apud nos fide digno commendaris testimonio, nos inducunt ut tibi reddamur ad gratiam liberalem.
Ci appare oggi strano come una prebenda così striminzita fosse di concessione pontificia. All’epoca era invece una consuetudine ed il papa mostra di esserne un custode geloso et attento. Ne fa accenno nel corpo della stessa bolla, dichiarando illegittima ogni usurpazione da parte di qualsiasi autorità:
Dudum siquidem omnia beneficia ecclesiastica cum cura et sine cura apud Sedem apostolicam tunc vacantia et in antea vacatura collationi et dispositioni nostrae reservavimus, decernentes ex tunc irritum et inane si secus super hijs a quacumque quavis auctoritate scienter vel ingnoranter contingeret attemptari.
In un siffatto quadro giuridico si colloca, dunque, il beneficio di Racalmuto, un beneficio che, comunque, tal Sallustio - già rettore ed arciprete di Racalmuto - non ha reputato utile mantenere e l’ha restituito nelle mani del Papa.
Et de inde parrochiali ecclesia archipresbiteratus nuncupata Sancti Antonij terrae Rachalmuti Agrigentinae diocesis per liberam resignationem dilecti filij Salustij humilissimi nuper ipsius ecclesiae rectoris archipresbiteri nuncupati, de illa quam tunc obtinebat in manibus nostris sponte factam et per nos admissam apud Sedem predictam vacantem.
L’arcipretura di Racalmuto, cui rinuncia anche il chierico Cesare, viene alla fine assegnata al D’Averna per i suoi meriti:.
Noi, quindi vogliamo concederti una speciale grazia per i tuoi premessi meriti, e assolvendoti da ogni eventuale censura, disponiamo che tu ottenga tutti i singoli benefici ecclesiastici con cura e senza cura (d’anime) e tutto quanto ti compete in qualsiasi modo, comunque e per qualsiasi quantità; ed in particolare gli annessi frutti, redditi e proventi che costituiscono una pensione annua di 24 scudi d’oro italiani secondo la ricognizione fatta dalla Santa Sede quando ebbe ad accordarla al predetto Sallustio, pensione che in ogni caso non supera i sessanta ducati d’oro come tu stesso affermi.
E vogliamo ciò anche se sussiste una qualche riforma insita nel corpo delle leggi visto che la predetta chiesa è riservata alla disponibilità apostolica in forma speciale e generale.
Pertanto ti conferiamo il beneficio con l’autorità apostolica che ci compete, giudicando irrituale ed inefficace ogni altra contraria decisione di qualsiasi autorità che abbia ritenuto di poterne disporre, scientemente o per ignoranza. E ciò vale anche verso chi tenterà in futuro di arrogarsi poteri dispositivi.
Intorno a quanto precede, diamo mandato per iscritto ai venerabili fratelli nostri, i vescovi Amerin/ e Muran/ nonché al diletto Vicario del venerabile fratello nostro, il vescovo di Agrigento, affinché loro due o uno di loro, direttamente o per il tramite di qualcuno introducano Te o un tuo procuratore nel materiale possesso della chiesa parrocchiale e degli annessi diritti e pertinenze e lo facciano per la nostra autorità. Non manchino, altresì, di difenderti, dopo avere rimosso qualsiasi altro detentore, facendoti dare integro il resoconto della chiesa parrocchiale e degli annessi frutti, redditi, proventi e doti. A ciò non osti qualsiasi contraria costituzione di papa Bonifacio Ottavo, di pia memoria, nostro predecessore, né ogni altra decisione apostolica. Del pari, nessuno può richiedere per sé o per il proprio legato un qualche diritto di omaggio o un qualunque beneficio ecclesiastico in base a lettere o in forma speciale o generale, anche nel caso in cui vi sia stato un processo e sia stato emesso decreto riformatore.
Vogliamo che tu comunque entri in possesso di detta chiesa parrocchiale, senza pregiudizio alcuno degli annessi benefici. Se qualcuno dovesse tentare presso il venerabile fratello nostro, il vescovo di Agrigento o presso chiunque altro che sia stato dalla Sede apostolica dotato in comunione o frazionatamente nei beni della chiesa, non gli si accordi costrizione o interdetto o sospensione o scomunica. Resta ribadito che quanto ad omaggi, benefici ecclesiastici, relativa collazione, provvisione, presentazione e qualsivoglia altra disposizione, sia congiuntamente che separatamente, non può provvedersi per lettera apostolica che non faccia piena ed espressa menzione, parola per parola, alla presente, la quale ha forza di annullare qualsiasi altra indulgenza, generale e speciale, di qualsiasi tenore della Sede apostolica.
La complessità della bolla invero illumina poco sulle peculiarità parrocchiali della Matrice del tempo. V’è un rigonfiamento di formule curiali, del tutto sproporzionato alla esiguità dell’affare.
L’arc. D’Averna non pare essere racalmutese. Sembra venire da Agrigento. E’ un po' nepotista. Con lui si sistema a Racalmuto il sac. d. Vincenzo d’Averna che è anche cappellano. Appare un vicario a nome don Giuseppe d’Averna. Fa capolino un chierico: Orlando d’Averna.
Come arciprete, lo riscontriamo con una certa assiduità negli atti di battesimo dal 12.11.1570 sino al 5.7.1571; poi appare sporadicamente. Non abbiamo, però, serie complete di atti di battesimo: il primo quinterno è incerto se si riferisce al 1554 o al 1564. Si salta, poi al 1570-71-72 e quindi al 1575-1576. Quindi il vuoto sino al 1584.
L’arc. Gerlando d’Averna figura ancora il 24 di maggio 1576 in questo atto di battesimo - ed è l’ultima testimonianza di cui disponiamo:
24 5 1576 Joannella figlia di Barbarino Vella (di)e diPalma;
madrina: Juannella di Rotulu;officiante: Don Gerlando di Averna.
E osa avvetarmisi contro. L’ho subito ammansito con il classico: “voi non sapete chi sono io. Dammi i documenti. Si rigirò e così ripresi a discendere per il Ponte del Carmelo non so se stizzito o divertito.
Quando l’Edrisi licenziò la sua Geografia (nome cognome e titolo sono troppo reboanti per trascriverli qui)? Direi tra il 1132 1e il 1154, attorno al 1150 insomma. Si era in Sicilia sotto Ruggero il Normanno. Verso la vecchiaia avrebbe ordinato a questo colto arabo quella che chiamiamo la Geografia dell'Edrisi.
Chi ama l'erudizione avrebbe di che scrivere e correggerci. Ma il nostro è intento è ben altro: cercare notizie ghiotte su Racalmuto.
A prima vista sembra che in quella geografia Racalmuto vi sia e succulentemente rappresentata. Vi abbiamo abboccato un tempo a nostra volta. Ora ci andiamo molto più dissuasi sino a pensare che in Edrisi l'attuale Racalmuto e dintorni non ci stanno manco alla lontana.
Attorno all'anno mille, il miglio a quanto corrispondeva in metri odierni oggi attestatisi su 1.609 circa? Poco più poco meno diremmo.
Dunque trascriviamo da Michele Amari che trascrive l’ Edrisi dall’arabo e da chi l’ha tradotto in italiano: "Il Fiume Platano vi scorre a levante.
“ Da Platano a 'g a r d u t a h ' è 's u t i r' (comune di Sutera), casale circondato d'ogni banda da montagne, popoloso, iindustre, frequentato di passaggio da chi va e viene [tra Palermo e Girgenti?] Da Sutera a
'g a r d u t a h' [contansi] nove miglia e da Sutera al castel di Cammarata, del quale abbiam detto di sopra, diciotto miglia per tramontana.
"Similmente da Girgenti ad ‘a l m i n s a r (la sega) diciotto miglia tra levante e tramontana. Questo è castello in cima di un monte scosceso; castello è abitato e coltivato da naturali, ha molte terre da seminare e ridonda di produzione (agraria). Da 'a l m i n s a r ad 'a l q a t t a' (il tagliar di pietre, comune di Canicattì) verso mezzogiorno , dieci miglia.
" Canicattì, luogo elevato sta proprio] in vetta ad un monte; produce delle civaie e molti altri frutti della terra, (gode) grande ubertà e [gli abitanti hanno] non pochi mezzi di guadagnare e avvantaggiarsi. Di qui a Girgenti (corrono) dodici miglia per ponente; ed al [fiume] Platani venti per tramontana.
"Da Girgenti a n a r u (comune di Naro) dodici miglia per levante. Naro casale importante e grosso villaggio., ha mercati frequentati, industrie attive: tienvisi anco una fiera a giorno fisso. Ha di più dei campi da seminare non interrotti e de' colti in gran copia.
Da Naro a Canicattì per settentrione dieci miglia, e ad 'a s s a b u q a h (Sabuci) undici miglia tra mezzogiorno e levante".
Noi ci fermiamo qui tralasciando il territorio di Caltanissetta ove peraltro dovrebbe trovarsi questo SABUCI che come avverte lo stessi traduttore non può essere Sambuca Zabuth.
Certo a noi ci fa molto pensare questa nota che può anche apparire un mettere le mani avanti. Il traduttore in italiano di Michele Amari si cautela affermando che: "Nella trascrizione dei nomi si è tenuto il sistema di far corrispondere ad ogni lettera araba una sola del nostro alfabeto, modificando con punti ed altro segni quelle che devono rappresentare lettere diverse alle nostre nella pronunzia. E' con leggera variante , il sistema adottato comunemente in Germania, soprattutto da questa benemerita Società Orientale."
Quindi nel passaggio da una lettura del testo arabo alla pubblicazione di quel testo alla traduzione in italiano molti vi metton mano e a me sorge il dubbio che tra un passaggio all'altro la traduzione diventa trasfigurazione. E a me interessa un solo passo e un solo nome: Gardutah era scritto proprio così e si deve leggere proprio così? Cerrto se Gardutah dovesse riguardare l'ampio territorio di Racalmuto avrebbe ragione padre Salvo ad attribuire quel toponimo a GARGILATA. Oltretutto se un miglio anche per Edrisi equivaleva a 1.609 ml. i conti tornerebbero. Ma una cosa osta siffatta lettura. Poso affermare senza tema di smentita che nel 1150 Gargilata, pur con qualche abitazione (ma sporadica), non poteva essere "grosso casale e luogo popolato” (anche se vi potevano essere "orti ed alberi molti e terreni da seminare [ben] coltivati”.
Ma se tanto mi dà tanto neppure ci si può riferire a Racalmuto che - non ho dubbi di sotta - quale è adesso sorge all'inizio del 1.200 da un certo nobile (conte o barone o altro che fosse) Muscia di Modica; e aggiungasi che il toponimo non è del tempo della dominazione araba o a ridosso quando subentrarono i Villani e gli arabi per sopravvivenza divennero Marrani perché così imponeva il vescovo borgognone di Girgenti, il santificato Gerlando. Il toponimo viene da Petralia Sottana o Soprana che sia, stando al Cusa e, non togliendomi manco io il piacere di congetturare, quel toponimo venne importato da noi da certi padri benedettini quando si piazzarono a lu Chiuppu con quel convento ove sfruttarono tanta roccia da costruire chiese e palazzi come la nostra Matrice ( per non parlare di altre piccole chiese racalmutesi) e persino certi "puntoni" dei pretenziosi palazzotti degli usurai arricchitisi del tipo di quelli che dicono esserci a Regalpetra.
Quanto a Grotte e a Montefìdono, presi di mira daMichele Amari e alcune sue ricognixzionigeogragrai, siano peggio di rima.Gardutah , se cosè i lege il topnimo dell'Edrisi, non 'erntra proprio nente, E Montedoro e Grotte. ad onta di chi mi ci vuole inciuciare, nscono molto più tardi, diciamo a epoca Moerna bella e iniziata.
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