venerdì 22 agosto 2025
Correva l'anno del Signore 1974. Il 10 maggio compivo quaranta anni. A fine 1971 mi ero sposato. Una maestrina quasi mia coetanea. Mi ero dunque accasato. Divenivo un rispettabile medio borghese alle dipendenze della Banca d'Italia. Figlio di un dignitoso ma modesto merciaio di Racalmuto, ero approdato a Roma da Messina appena conseguito celermente il grado di Capo Ufficio. Inquadrato tra gli ispettori di Vigilanza avevo dovuto superare la diffidenza di un capo servizio che non apprezzava la mia non eccelsa statura e poi di uno Zoffoli, fratello di un gesuita importante, napoletano, con luci ed ombre circa il suo gestire un servizio atipico quale l'organo di vigilanza ispettiva di banche e realtà valutarie e finanziarie dell'Italia Intera. La politica veniva apparentemente bandita ma vi faceva capolino nei singoli appartenenti a quel delicato corpo ispettivo. Preminente un blando propendere per un liberalismo illuminato defluente spesso in appartenenze massoniche ma ortodosse. Io non ero nè liberale alla Malagodi né massone alla Licio Gelli. Cattolico di sinistra in gioventù ora ero diventato apertamente comunista anche in tempi di Brigate Ross. Dopo addirittura collaborai con Lotta Continua. Ero un soggetto non sincrono alle ideologie sia pure latenti dello Zoffoli , come si disse, capo servizio dell'Ispettorato Vigilanza.
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Ed eccoci alle otto della e sera a Palazzo Koch.
Quel palazzo là tetro talora, sfarzoso alle volte, simboleggiante fervori ed accidie della politica monetaria del tempo!, Vi accedemmo solo una decina di volte in venti anni di servizio all'Ispettorato. Granmassone nell'aspetto rinascimentale le scale , anonimo in taluni aggregati lavorativi, di arcigno sfarzo l'interminabile ufficio del Governatore. Un San Sebastianino raffaelliano pendeva sulla composta scrivania di Carli; arazzi ben curati a dare l'impressione di una cappella palatina. Fu per anni incontro serotino tra Carli Agnelli Lama e Scalfari. Pare che Scalfari dettasse gli indirizzi della politica economia nazionale. Un gran servio srui sfornaca modelli econometrici e simulazioni rovinose. Ad una credettero gli Americani che tutto spiavano. e poco mancò che scoppiasse l'ulteriore quarta guerra mondiale. Sfuggente Carli nella Vigilanza sulle banche; sSolo composta moral suasion. La consulenza Legale tra contrllo quantitativo e quello qualitativo propendeva per quest’ultimo per superare inframmettenze punitive: a Carli non andava di sobbarcarsi a dolorose verifiche specie se coinvolgevano aspetti tributari. Solo benevoli consigli operativi. Quanta scabrosa fosse la questione tributaria, era assillo di Carli. lo sentii dire: non mi intrometterò in una questione cosiffatta conoscendo bene la dispersiva fiscalità degli organi ministeriali di controllo. Quando avremo un ordinamento tributario degno della nuova Italia del Miracolo Economico, allora ce ne occuperemo.
Ci bloccano nell'anticamera di Carli. I commessi-capo scultorei emuli dei corazzieri del dirimpettaio Quirinale, la luce soffusa ma alquanto rappresa come in un funerale in gotica cattedrale. Siamo disorientati. Intanto esplode la voce di Carli: no, no; questa è una cosa seria! Esce trafelato il ministro Colombo. Il Tesoro represso dal Governatore BI. Non mi sembrò cosa molto costituzionale. Ma dite quel che volete, il vil denaro la spunta sulla maestà italica dello Stato. Ma poi avrei visto di più molto di più. Fu così che entrammo compunti ed ossequiosi nello studio trascendentale del dottor Guido Carli. Un lungo percorso a luce fiochissima prima di giungere a debita distanza dalla cadrega govenatoriale. Scorgemmo appena il San Sebasianino Carli per note ragioni fumaiole necessitava di rada luminaria. Fu breve. Ci venero consegnate tre lettere di incarico, una ald ottor De Sario, l'altra al dottor Piero Izzo: tre banche sotto ispezione straordinaria imprecisata. De Sario, saccentone come sempre, avrebbe voluto sapere come documentarsi propedeuticamente. Fu zittito in malo modo. A lui toccava la più importante delle tre, la Banca Unione, a me la Banca Privata Finanziaria di via Verdi 5 . Milano, A Piero una banchetta periferica di non molta rilevanza, nel caso, la banchetta Zincone finita alla consorte di Lamberto Dini.
Ed eccoci alle otto della e sera a Palazzo Koch.
Quel palazzo là tetro talouel torrido pomeriggio di fine giugno boccheggiavamo in quel palazzetto di Via Milano. Ispettori in transito stavamo in sede per il lungo ponte dei festeggiamenti di San Pietro e Paolo i santi protettori della capitale papale. Stavo con i miei soliti sodali, contestatori della diarchia Dell’Uva De Sario al momento alquanto in crisi per la giubilazione del loro referente, il capo servizio Zoffoli. ‘Arcigno rude e mal vestito Occhiuto , da vice Direttore Generale in effetti aveva preso in man0 l’intero Istituto di Emissione di Via Nazionale. Zoffoli aveva esagerato nella tresca con le banche napoletane da dove proveniva. Occhiuto anche lui napoletano ma laico massone di una Propaganda altera riservata seria, altro che Licio Gelli, aveva sgominato la banda interna BI trescante con banche quale la Banca Fabbrocini di Terzigno.. Dopo tante ispezioni compiacenti aveva mandato me alla Fabbrocini: non lo delusi. Lui mi giudicò valoroso e politicamente rispettabile e mi tenne presente ogni qualvolta occorreva un ispettore non malleabile. Devo ancora rammaricarmi: mi conferì altissimi e delicati incarichi, colpii i potentati interni quale il clan Zoffoli; si compiacque ma poi mi lasciò in preda a quei potenti e addio per me carriera folgorante. Il predestinato era Dell’Uva ma ebbe a morire giovane per sua riottosità alle cure mediche-. Restò De Saro figlio d in carrettiere pugliese ma con rigida caparbietà si era laureato e aveva vinto lo stesso mio concorso alla carriera direttiva della BI era. Da segretario in esperimento conquistò il duro direttore della Sede di Bari, il dott. Quattrone- e quindi iniziare mirabolanti salti in carriera. Addirittura ascese al ruolo apical del Direttore Generale della B I. Suo pari grado riuscii a farmi promuovere Capo Ufficio un posto avanti a lui. . Ma fu solo quella volta che riuscii a batterlo. Ma non mi lamento visto che dopo mi riempirono di carta moneta per non farmi fare quello che sapevo fare,: ogni qualvolta che mi affidavano una visita ispettiva, determinavo uno sconquasso del diavolo. Mi era vicino Piero Izzo un gran signore calabrese. Valeva molto ma lo ridimensionavano. Peccato! … , e dire tra l’altro vantava un fisico impnente e e armonioso , mentre tanti altri suoi colleghi non svettavano sotto il profilo fisico, quando non si era di non eccelsa statura come nel mio caso.
Annoiati, finita l’ora erotica del capo aspettavamo annoiati di raggiungere le nostre case. Quando inaspettatamente tre di noi vennero avvicinati dal commesso capo: eravamo i giovani ispettori dott. Vincenzo De Sario, dott. Calogero Taverna e dott. Piero Izzo. Ci comunica che dovevamo aspettare di essere ricevuti dal Governatore dott. Guido Carli. Il commesso non sapeva altro. Il solito De Sario va subito dal capo. Torna più imbronciato del solito e ci confida che avremmo ricevuto dalle stesse mani del Governatore gli usuali incarichi ispettivi. Ci corbella confidando che il capo non ne conosceva il contenuto. Era la prima e poi unica volta che un incarico ispettivo venisse officiato de visu dal Governatore. Telefonai a mia moglie dicendole che stavolta avrei tardato più delle solite volte. Anche se quarantenne venivo considerato e in fondo mi consideravo un giovane sposo. Capite la delusione di mia moglie. Aspettammo a lungo. Solo verso le diciannove ci potemmo recare Via Nazionale.
Il primo luglio 1974 entro nel portone di via Verdi n. 7 di Milano- Accedo per le pretenziose scalee nella Banca Privata Finanziaria - S. P. A. – Patrimonio ufficiale Lit. 4.200.000.000, capitale sociale 3.750.000.000. – A considerare ll goodwill stratosferico con sedi appetibilissime a Milano a Roma a Varese nell’alacre Nord Italia e diramazioni strategiche nel Mondo economico che conta, ecco un impero; altro che la botteguccia di un modesto avvocaticchio di San Piero Patti e cioè Michele Sindona.
Dietro, l’IOR di Marcinkus gli Hambro , la Franklin nuiorchese, i collegamenti con le emanazioni sovietiche quali la Wozcod Zurigo e la Moscow Narodny Bank; e poi tutto il Gotha del supremo mondo bancario del mondo intero. Se non mi credete, scorrete il colossale intreccio speculativo in cambi che vi propino in calce a questo mio romanzetto rievocativo dei fatti e misfatti che a ragione intitolo La Donna del Mossad (terrificante servizio segreto israeliano che avendo smodo finanziario nella Bank of Nova Scotia, ne ha ordito’ di tsunami finanziari e valutari nel mondo.
Ma che cazzo ci andavamo a fare in quella grande banca di Milano io modestissimo figlio di Peppi Taverna, il barone calvo Pietro Alberto Coffari, il birichino Giacomo Bellecca, l’inquietante parente del Di Martino presidente del Banco di Sicilia, Roberto Pepe (la De Guglielmo marpionissima segretaria del capo servizio me l’aveva combinata grossa). Quindi il bresciano ragioniere Gianfranco Pretto, mio fedelissimo pronto a svelarmi la trama del barone Coffari che voleva disarcionarmi da capo missione praticando una sorta di ammutinamento ispettivo. Già! stravedeva per l’ andreottiano Machiarella, allora potentissimo satrapo delle democristiane manovre faccendiere. Che dire del rappresentare dell’Ufficio Italiano dei Cambi Giuseppe Chiaparino? Ancora devo capirlo).
Una piccola armata brancaleone quasi totalmente meridionale, senza radici affaristiche di alto bordo nel umidissimo mondo meneghino in una delle mercantili finanziarie facenti capo al Cardinal Montini e al sapiente Giordano dell’Amore!
Milano bruciava nel sole nebbioso ad alto contenuto di umidità. Per qualche giorno potevamo abbeverarci nelle fontanelle aziendali. Poi, non ci fu neppure quell’acquea. Davvero la liquidità bancaria dell’avvocato Sindona si era prosciugata. Da metterlo quindi in liquidazione coatta?
Che grande crimine mediatico! Sindona sino al 1973 era l’AVVOCATO per eccellenza. Batteva Gianni Agnelli. Andreotti lo aveva scelto come Governatore della Banca d’Italia; doveva succedere ad un dimissionario coatto Guido Carli che aveva rotto con quelle sue predicazioni mariane quali persino Montanelli dileggiava risultandogli Incomprensibili. In un viaggio aereo allora lungo da New York a Roma Sindona si era avvicinato a Carli che pur dormiva con la mascherina agli occhi, per avere un dialogo: quasi un passaggio delle chiavi di Via Nazionale 91. Carli si irritò e lo mandò a quel paese. Già, il gobbetto Cuccia e l’arrogante La Malfa padre lo stavano cucinando al povero Sindona. Altro che governatore, finì suicidato con il veleno pare posseduto solo dalla consorteria israelita di Tel Aviv. Dopo toccò a me: una bella donna israeliana viene a Racalmuto tutto sommato per indagare su un minuscolo Calogero Taverna. Sono ancora vivo e quella esecuzione divisata dal Mossad non ebbe seguito. Ma il 3 marzo 1980 il giudice Imposimato col fratello trasversalmente ucciso dalla camorra napoletana mi convoca irritualmente nelle secrete della polizia di Viale dell’Aeronautica di Roma. Mi mostra una gigantografia del mio compaesano Joe Macaluso e truce vuole sapere se lo conoscevo. Dissi subito di sì. Era di un mio compaesano tutto sommato amico di famiglia. Veniva dall’America ed era accompagnato da un biondo quarantenne mio compagno di liceo, di professione gigolò. Li portai alle Tavernelle a sbafare a mie spese e quindi erano andati per la loro via. Invero tentavano di farmi passare al servizio di Michele Sindona – Con aereo personale mi avrebbero portato in Svizzera a colloquiare con il genero di Sindona, il manager Magnoni. Dissi che soffrivo di mal d’aria; “Ma La veniamo a prendere con una Rolls Royce”. Dissi che soffrivo di mal d’auto. Mi volevano consegnare un dossier difensivo di Michele Sindona. Manco lo volli vedere. Diversa sorte toccò a Leonardo Sciascia che interrogato da Falcone, barcollò. Falcone lo minacciò come colluso con la mafia. Sciascia si terrorizzò. Anche perché dopo il Falcone pavoneggiandosi si vantò con Marcelle Padovani di aver fatto passare un brutto quarto d’ora allo Scrittore. Lo scrittore che era uomo pavido se ne impressionò tanto da mandare in frantumi le sue difese immunitarie e purtroppo anzitempo volò in cielo. Oggi risposa alquanto inquietantemente in una tomba nel cimitero di Santa Maria di Giesu (sic); a prova di bomba atomica, invece ci risulta allagata per rottura dei tubi per la malconcia rete idrica municipale. Siamo a Racalmuto: in piazza una iperrealista statua per niente somigliante a Sciascia; al teatro una supergigante foto del nemico Falcone.
Insomma, quella contraddittorietà del capitalismo globalizzato capace di accogliere nel suo grembo tesi antitesi e sintesi. Successe al povero Sindona: era del tutto incolpevole. Da modesto avvocato in quel di San Piero Patti, partecipò ad un equivoco raduno all’Hotel delle Palme a Palermo. Invero, dopo essere sostenuto nientemeno da Mattioli, poté entrare nel capitale sociale della cattolica Banca Privata Finanziaria ed avere incarichi amministrativi. In effetti divenne anche presidente del CdA, ma della sola Banca Privata Finanziaria. Nella Banca Unione non aveva cariche amministrative. De Sario nel suo rapporto ispettivo accusatorio non sa trovare altro che una consulenza per stabilire gli alti compensi dello staff apicale di quella Banca. Ma De Sario non riesce a dare contezza su nessuna malagestione dell’avvocato Michele Sindona nella Banca Unione S.p.A. Milano. Il De Sario a pag. 85 del suo supponente rapporto si strappa le vesti per la “parcella prodotta dal dr. Matteo Maciocco - per conto dello studio dell’avv. Michele Sindona - alla Banca Unione per prestazioni svolte a tutto il 30-8-1972”. E per una siffatta inezia il Sindona va considerato il bancarottiere della Banca Unione che non ha mai amministrato?
Ma ecco il grande l’imperdonabile crimine di stato giubilante l’avvocato Michele Sindona. Sindona non aveva responsabilità apicali nella Banca Unione, l’ammiraglia del cosiddetto crack Sindona. Sindona soprattutto non aveva partecipato - in quanto non ammesso – nei consigli di amministrazione che avevano concertato la immane speculazione valutaria (da me poi percepita come antispeculativa gestita dai governatori delle banche centrali del mondo come da tabulati pubblicati in coda a questo malcapitato romanzetto La Donna Del Mossad).
Giudici con la pistola alla Viola, sommessi giudici istruttori alla Urbisci, magistrati alla Colombo, tribunale di Milano e Corte di Cassazione di Roma, nulla capirono. Non capirono che andavano a condannare per bancarotta fraudolenta i geni della gestione ‘Italia’ che andava a gonfie vele, mentre il crack scaturiva dal reparto speculativo (per me antispeculativo) dei cambi valutari, la famosa difesa del Serpente Valutario del geniale Ossola. Poveri giudici che ne sapevano di forward swap spot e cambi attesi. Ma era lì che era scoppiata Banca Unione di cui ci dice il buon De Sario a pag. 85 che presidente era l’avv. G. Vechieri e l’AD il dr. Carlo Bordoni. Altro che Sindona.
Quanto a me io con un avverbio “autocraticamente” diedi al buon Carli un sospiro di sollievo. Potevo lucrare lautamente ed invece mi metto a pubblicare fissati bollati di corrotti generali e sommi politici, e dare alle stampe da Feltrinelli Soldi Truccati. Imposimato alla fine bonario mi avverte che me ne stessi buono altrimenti vi poteva essere qualche sentenza di morte della malavita americana. Tra un asino vivo e un dottore morto preferii la parte dell’asino vivo. Ma beccai una depressione bipolare decennale. Ora dopo mezzo secolo ho voglia di attaccar briga. Ma nessuno darà peso a un modesto nonagenario di paese.
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