Dino Casuccio non era amico di Leonardo Sciascia. A pag. 124 di Le Parrocchie di Regalpetra, Sciascia sembra smentirmi: "a me e al segretario della DC che insieme accompagnavamo il morto al
cimitero un salinaro diceva.." Io negli ultimi 15 anni molto gradito
suo "conversale" talora ebbi a
sollecitare acidi giudizi sul GRANDE. Si lasciava andare. Ironico sulla
"fuitina" tutto sommato consumata a casa sua. Quando perfidamente gli
insinuavo che male aveva scritto il SOMMO su di lui, lui rimbeccava che non era
vero e citava quanto sopra ho citato. Fingeva di ignorare la sottile ironia del
SOMMO che oltretutto lo posponeva a sé e lo qualificava come DC. Già il
segretario della DC chi era se non "un
ragazzo furbo,[che] ha già scelto i cavalli su cui puntare .." di pag.
151. E prima a pag. 88 e 89 "Monsignore
ha vasta parentela, ha mobilitato tutti i suoi parenti nella DC e lui si è
ritirato in disparte ... Questa sorta di largo nepotismo alimenta avversione
contro monsignore, ma la verità è che in Sicilia la politica sempre diventa
affare di tribù, e il membro più autorevole o rappresentativo di solito si tira
dietro tutta la tribù, fino agli affini e ai famigli : e un partito politico
diventa come una gabella di latifondo". Dino Casuccio, divenuto tra
gli intellettuali di Racalmuto, il gabelloto iunior di un latifondo chiamato
DC, anche se non un eccelso intellettuale capiva bene la birbonata che gli
aveva propinato il SOMMO e fingeva di non adontarsene. Ma mai professò
amicizia. Neanche stima, certi uzzoli omofobi
del grande scrittore facevano male.
Perché dico questo? Perché certa orgiastica commemorazione
del mio amico Dino Casuccio mi fa male. La menzogna non celebra; denigra.
In primissima gioventù
ebbi a lottare Dino Casuccio (ma non certo per Sciascia): il professore che
tenero di cuore non era mandò Ruggeri a prendere un falso caciocavallo da
Daniele Ciciruni e lo rifilò mentre facevo concione nella sede della DC accanto
alla Chiesa madre. Avevo tante facce come il caciocavallo. Ma mai io avevo
servito la famiglia Casuccio. La storia si chiuse in breve. Vinsi un concorso
in Banca d'Italia senza raccomandazione alcuna e mi ecclissai lontano,
iniziando da Modena. Torno a Racalmuto quarant'anni dopo. Al Circolo Unione -
quando ancora aveva stimmate se non di nobiltà, almeno di vetustà - ci riavvicinammo e parlammo a lungo, affabulatore io, pungente
e talora anche sardonico lui, con le rabbie per le vili calunnie dei suoi
compagni di partito. Immalinconito ma ancora vivace. Certo non più il Dino
Casuccio dei primissimi anni della mia gioventù. Ora solo, con urti in
famiglia, con l’ingratitudine di molti suoi beneficati. Il Professore, stella
al tramonto, destava in me affetto, stima. Sino a farlo divenire assessore
comunale a tarda età. Ma quello non era più il suo agone vincente. I rampanti
suoi ex figliolini erano ora rapaci facitori di congreghe elettorali. Facevano
politica “paesana” quale il Professore non capiva più. Dignitosamente se ne allontanò
per finire solitario e quasi diafano sotto una badante
estranea seppure servizievole.
In ultimo Dino Casuccio mi faceva tenerezza. Mi ascoltava con
interesse anche se dissenziente. Si irritava alquanto solo se calcavo la mano
nel deridere la sua “Democrazia”. Per
quarant’anni, subito dopo la guerra la storia di Racalmuto aveva avute le sue
stigmate. Visto il dopo e considerato il prima dobbiamo dire che Dino Casuccio
fu protagonista in positivo. La meschinella Racalmuto prosperò, migliorò,
divenne audace, pulì le sue strade, dotò le case di acqua per una migliore
igiene, anche le fogne si ebbero, la gente finì col fare politica per la
politica e non per un “puosto” alle poste che il sottosegretario Volpe (della
famiglia, del clan avrebbe detto Sciascia) riusciva pure ad elargire ai
“fedeli” della famiglia Casuccio. Certo. luci non scintillanti e con ombre talora
miserevoli. La sommatoria finisce comunque in positivo.
La notizia della sua morte mi rattrista: ho perso un amico;
non vado più al circolo unione e sotto questo aspetto la memoria del mio
partner in ciarle di vago sapore politico non mi mancherebbe più. Il ricordo
dell’uomo divenuto saggio, meno fazioso, comunque affabile, di un uomo che può
alla fin fine definirsi buono, è trepido in queste ore che dedico con il mio
computer al Professore che oltre tutto non fu amico di Sciascia.
Calogero Taverna
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