A guerra finita, a dittatura fascista ormai
definitivamente cessata. Racalmuto, il suo paese, è malconcio, non per danni di
guerra. Un paio di bombe e poco più. Qualche mitragliata. Sciascia all’occaso
della sua vita è perentorio: lo sbarco degli americani fu una kermesse Ma recentissimi studi storici danno torto allo
scrittore.
Il suo è un ricordo ormai appannato, opaco come il vedere ormai vago della sua vista velata. Invero il paese fu indenne. Una mitragliata e fu ucciso un carrettiere. “C’è stato l’episodio che ricordavamo, la pattuglia che ha incontrato l’uomo in camicia nera da lutto e ha creduto che fosse un fascista”. A Racalmuto gli americani entrarono come un ritorno a casa. Parlavano siciliano. E fu come una festa tra parenti, una rimpatriata. Noi abbiamo vaghi ricordi ma non collimano. Sciascia mi pare però schietto quando afferma che “questo ingresso degli americani … mi diede una certa depressione”. Aveva succhiato latte fascista, ne aveva respirato i privilegi in famiglia, specie in quella di una zia sposata senza figli con un gerarca autorevole: e così rammenta a suo modo che allo scoppio della guerra si trovava a “Racalmuto; era già diplomato e impiegato al Consorzio; la guerra non l’ha fatta. Era magrissimo. Per due anni .. rividibile. In seguito … addetto ai servizi sedentari”. Schiettamente aggiunge: ma non mi hanno mai preso. Chissà poi perché: altri anche più esili di lui partirono per militare. Sciascia non ha mai confessato che stava per essere esiliato in Africa come fascista a Sicilia “liberata” e solo per l’intervento del sindaco ucciso la fece franca. Racconta sempre Sciascia: gli americani arrivarono con l’elenco dei mafiosi in tasca. I sindaci di quasi tutti i paesi furono scelti tra i mafiosi. … Per cui anche a Racalmuto ci fu un sindaco che era uno di questi. Nel ’44 lo ammazzarono in piazza, misteriosamente. Non si è capito il perché . Noi siamo inclini a pensare che ebbe o delle amnesie – era sul letto di morte – o volle coprire una spiacevole vicenda con il velo del non ricordo. Cosa che all’autore avvenne un’altra volta e poteva finirgli male (anche se noi pensiamo che alla fine gli fini male e ciò per un non amichevole incontro con il giudice Falcone). Guarda caso allora non mancava l’ombra del Vizzini postbellico.
Ed
allora quale filone di antifascista si celava nelle belle favole della
dittatura? Francamente non c’era. Forse una piccola astuzia nel titolare cose
diverse per captatio benevolentiae. Seguiamo Sciascia nella riesumazione di
una storia letteraria che a dire il vero aveva lui stesso seppellita, non
amando questo aureo libretto di favole.
Il suo è un ricordo ormai appannato, opaco come il vedere ormai vago della sua vista velata. Invero il paese fu indenne. Una mitragliata e fu ucciso un carrettiere. “C’è stato l’episodio che ricordavamo, la pattuglia che ha incontrato l’uomo in camicia nera da lutto e ha creduto che fosse un fascista”. A Racalmuto gli americani entrarono come un ritorno a casa. Parlavano siciliano. E fu come una festa tra parenti, una rimpatriata. Noi abbiamo vaghi ricordi ma non collimano. Sciascia mi pare però schietto quando afferma che “questo ingresso degli americani … mi diede una certa depressione”. Aveva succhiato latte fascista, ne aveva respirato i privilegi in famiglia, specie in quella di una zia sposata senza figli con un gerarca autorevole: e così rammenta a suo modo che allo scoppio della guerra si trovava a “Racalmuto; era già diplomato e impiegato al Consorzio; la guerra non l’ha fatta. Era magrissimo. Per due anni .. rividibile. In seguito … addetto ai servizi sedentari”. Schiettamente aggiunge: ma non mi hanno mai preso. Chissà poi perché: altri anche più esili di lui partirono per militare. Sciascia non ha mai confessato che stava per essere esiliato in Africa come fascista a Sicilia “liberata” e solo per l’intervento del sindaco ucciso la fece franca. Racconta sempre Sciascia: gli americani arrivarono con l’elenco dei mafiosi in tasca. I sindaci di quasi tutti i paesi furono scelti tra i mafiosi. … Per cui anche a Racalmuto ci fu un sindaco che era uno di questi. Nel ’44 lo ammazzarono in piazza, misteriosamente. Non si è capito il perché . Noi siamo inclini a pensare che ebbe o delle amnesie – era sul letto di morte – o volle coprire una spiacevole vicenda con il velo del non ricordo. Cosa che all’autore avvenne un’altra volta e poteva finirgli male (anche se noi pensiamo che alla fine gli fini male e ciò per un non amichevole incontro con il giudice Falcone). Guarda caso allora non mancava l’ombra del Vizzini postbellico.
(foto di Ferdinando Scianna) |
“Il
mio primo libro fu un libro di favole e uscì nel ’50 dall’editore Bardi di
Roma. Mi ero appassionato a un poeta romanesco che amo ancora, Mario dell’Arco “
che gli fece stampare il volumetto che “si intitolava Favole della dittatura”. Sciascia le dichiara “favole su fascismo”. Ma
quanto a fascismo manco a cercarlo
con il lumicino trovi tracce in queste mirabili favolette.
Uno
Sciascia letterariamente quasi imberbe, senza ancora la sua grande tragedia di
famiglia, il suicidio di un giovane fratello che segnò nel profondo il futuro
grande scrittore, uno Sciascia dunque che traccia ancora non ipotatticamente
trasfigurazioni nel mondo degli animali di piccoli insensi uomini della sua
manco Sicilia (troppo grande) ma della Racalmuto contadina e zolfataia, ancor
più depauperata da una guerra combattuta altrove e riconquistata dagli
emigranti d’America che portano sigarette cioccolata pastrani scarponi ruderi
di auto. Uno spiraglio di ideologia rossa era ineludibile, un diniego
dell’appena tramontata coinvolgente retorica paesana voluta dal fascismo, dalla
DITTATURA, normale come alla fine di uno scivolo. Ho avuto tra le mani
cartoline postali inviate da Sciascia quindicenne al suo amico Pidduzzu:
sgrammaticatissime da analfabeta ma esultanti per le vere parate fasciste della
appena visitata Trieste. Altro che le magre adunate alla Guardia, il giardino
della domenica inventato dal podestà fascista Don Enrico Macaluso. Dopo
Sciascia dovette impalarsi col fucile di legno e col giummo in testa
determinandogli qualche piccolo complesso di bruttezza postpuberale. Tutto qui,
il suo anti fascismo. Tutto qui la sua avversione alla
DITTATURA, almeno quella fascista.
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