L’ARCHEOLOGIA DI …. REGALPETRA
Sull’archeologia
di Racalmuto (l’archeologia di Regalpetra) tanto ormai si è scritto, tanti
vincoli sono stati apposti (magari in località sbagliate, magari invertendo le
particelle catastali interessate), frettolose ricoperture (ma non tanto da
evitare le spoliazioni dei tombaroli) di affioramenti di arcosoli (confusamente
designati come databili nel periodo “greco-romano-bizantino” – come dire in
mille e cento anni con in mezzo la nascita di Cristo) si sono impunemente potute
perpetrare, e così via di seguito in un cahier
de doléances chissà quanto lungo.
Ma il desolante
risultato è quello di una Racalmuto archeologica ignota alla scienza e solo
appiglio a locali eruditi (compreso chi parla) per congetture le più sballate e
le più cervellotiche che si possano immaginare: e dire che questo centro
dell’omonimo altipiano può considerarsi un archivio del vivere dei sicani
(molto di più della vicina e reclamizzata Milena), uno scrigno di testimonianze
micenee, greche, romane, bizantine ed proto arabe. Ora l’ing. Cutaia dimostra
inconfutabilmente che la ceramica araba normanna era di casa a Garamoli. Il
sottoscritto è certo della presenza di ceramica protoaraba sotto le torri del
Castello Chiaramontano. Il padre Cipolla - su cui ci intratterrà per la prima
volta in modo serio lo scrittore compaesano Pierino Carbone – ha rinvenuto
nell’atrio del Castello un sorcofago romano del IV secolo dopo Cristo ed un
coperchio bizantino di un sarcofago coevo evidentemente ancora non rinvenuto.:
segni evidenti di un continuum cimiteriale romano-bizantino nei prati poi
edificati da Giovanni III del Carretto ultimo barone di Racalmuto (ante 1560).
Sempre, chi
parla, per la sua passionaccia per l’antico Racalmuto, ha scoperto una
necropoli bizantina al confine tra Vircico ed il Ferraro. Una strana tomba, a
mezzo tra la tomba sicana tipo Fra Ddecu e quella a tholos d’influenza micenea,
resta negletta in contrada Ciaula: zona quest’ultima di discarica comunale pur
annoverando nel raggio di 500 metri questa testimonianza pre-micenea, vecchie
miniere di zolfo abbandonate ove si rinvennero nell’Ottocento quelle Tabulae o
Tegulae sulphuris che non diedero gloria al rinvenitore avv. Picone (ma al già
illustre Mommsen, sì) e un magnifico esemplare di mulino ad acqua, operante già
nel 1576, capolavoro di ingegneria idrualica.
Le tombe a
tholos disseminate alla Noce sono state fagocitate dalle casine dei nuovi
ricchi o dei nuovi portenti letterari; i ruderi romani della Menta e di
Culmitella volatilizzati; i manufatti arabi di Musciarà (contrada Culmitella)
deperiscono ignoti e maltrattati; le varie necropoli sicane del Castelluccio,
del Serrone, del Saraceno, della Scorrimento Veloce sparite (c’è chi dice
perché dopo i bulldozer arrivano
camion targati RM e partono – si sussurra - per ripostigli di primari ultra
locupletatisi); una razzia postbellica di reperti funerari di Grotticelle,
Judì, Casaliviecchi, Ruviettu, Sirruni servirono ad una indebita assoluzione di
sequestratori di persone, data la passione per le antichità di un piccolo
giudice aliunde, poi, osannato;
apposto un vincolo archeologico di primo grado alle Grotte di Fra Ddecu, invece
di segnare per il vincolo le particelle catastali a valle (ove il sig. Palumbo
reputa vi sia una frequentazione umana sicana, quindi sicano-micenea, quindi
greca, e poi romana, bizantina ed araba), si vanno a segnare quelle a monte,
archeologicamente neutre, danneggiando gente e terre sterili di reperti ma
valide per l’agricoltura; una fontana araba dell’anno Mille al Vozzaro si è
potuta salvare solo per la intrusione del meritevole Giacomino Lombardo, ma
dopo rapaci coltivatori diretti stanno rastremando l’area circostante per
improbabili coltivazioni agrarie – ma la Cee ci crede; le colture d’alabastro
stanno tutte sparendo perché al contempo occorre dimostrare aree sconfinate
produttive all’ex AIMA; chi autorizza lo spietramento non sa che autorizza il
non archeologicamente sterili ma perché si tratta delle zone nobili del paese
(il comunismo sarà crollato, ma lo sfruttamento delle classi ingenue continua e
l’eccezione per chi è di riguardo pure); in cambio i BB.CC di Agrigento ci
tengono vincolata la contrada di Pietralonga (che non sta a Racalmuto ma a
Castrofilippo; e così godiamo di libertà edilizia noi ed i castrufilippisi).
Ma abbiamo da
lamentarci soprattutto perché ancora una lira dello sperperatissimo denaro
pubblico deve essere erogata per la ricerca archeologica a Racalmuto. Se
l’ENEL, che costruisce ad onta del diniego della Commissione edilizia
racalmutese addirittura allato delle Grotticelle che Biagio Pace considerava un
ipogeo cristiano, mette a nudo tesori dell’era bizantina e qualche incauto fa
la debita denuncia, il risultato è stato che l’incauto si è vista bloccata la
sua costruzione, e i ruderi – molto residui, sono stati risotterrati con la
speciosa argomentazione che non vi sono fondi (leggere per credere l’intervista
della Fiorentini a Malgradotutto).
Quando la
giovane e valentissima e molto proba nuova Vice Soprindentente, dott. Musumeci,
sensibilizzata da più parti, ebbe ad includere per la prima volta
(sottolineiamo: prima volta) Racalmuto nel piano delle località in cui iniziare
scavi ufficiali, ebbene l’assessore regionale di A.N. Granata ha denegato i
miserelli cento milioni per incapienza di fondi (ma bastava una piccola
scrostatina alle miliardarie erogazioni ai comuni amici) e per ritardo nei
termini di presentazione (ammazza dove arriva il potere dei burocrati!)
Scriveva il
grande storico racalmutese Raffaele Grillo nel 1935 nella rivista «Bollettino
dell’istituto storico e di cultura dell’arma del Genio» Roma Anno I n. 2,
agosto 1935 – XIII, pag. 51:
«Un dotto e
studioso, Pietro Mantia, racalmutese, ha rinvenuto in contrada Roccarossa
interessanti materiali neolitici. La notizia di questo rinvenimento, mi è stata
comunicata dal sansepolcrista comm. Avv. Giuseppe Pedalino che pubblicamente
ringrazio.» Che ne è stata di quella contrada? Un selvaggio sfruttamento del
pietrisco l’ha ormai totalmente rastremata. Il generale in camicia nera si guardò
bene dall’intervenire; il sansepolcrista aveva a cuore solo le chiesuole del
Paese. Già le chiese? Mi si obietterà che tantissimi fondi comunitari et
similia sono stati profusi per la ricostruzione cadente delle chiese. E’ vero!
Francamente però avremmo desiderato che a S. Maria si lasciasse intatta, se non
si era capaci di decifrarla, l’esoterica e demoniaca invettiva in versi che vi
era e che noi abbiamo filmato a futura memoria 13 anni fa; che a S. Anna si
salvaguardassero le sepolture dei miei
antenati e di quasi tutti i racalmutesi DOC; che le “carnarie di lusso”
di pietro d’Asaro, di lu parrinu Agrò ed altri di cui sappiamo dai Rolli della
Matrice venisse non profanate e conservato anziché venire ricoperte di cemento;
che si salvaguardasse la «coniuncta et collegata” ecclesia canonicale di S.
Margherita (che il pio sacerdote e vicario foraneo don Bondì aveva bene
restaurata nel 1608); e soprattutto che si recuperasse la storica cappella
palatina dei carretteschi a lu Cannuni (appunto).
Per fortuna abbiamo un signore di
Barcellona Pozzo di Gotto, ma sposato felicemente con una racalmutese DOC che
ha a cuore le sorti degli antichissimi sicani di casa nostra. Attorno al 1995
ebbe a portare alla caserma dei carabinieri una “fazzolettata” di reperti; ne
ebbe copia del verbale di consegna (purtroppo andata smarrita); di quei reperti
oggi nessuno sa più nulla.
Ma in seguito il Calderone ha avuto
la ventura di immettersi in un profluvio di materiale archeologico che trattori
e bulldozer andavano scompaginando:
ne ha fatto una diligente ed approfondita silloge e ha consegnato il tutto ai
BB.CC:
Eccone, in appendice l’inventario.
Possiamo considerare Orazio Calderone di Barcellona Pozzo di Gotto il padre
dell’archeologia racalmutese, che – ne siamo certissimi assurgerà a rilevanza
platenaria per quanto ha tratto con i sicani, i sicani.micenei, e dopo i bizantini.
Per questi
ultimi Racalmuto ha interessato moltissimo il più grande bizantinista, il
francese André Guillou: il tesoretto trovato in località montagna in un fondo
bene individuato rivelava effigie di imperatori bizantini. [1] Quelle monete ora giacciono, confuse e
nascoste, nell’eternamente chiusa Sala IX
(Antonino Salinas) del Museo di Agrigento. Ai racalmutesi – salvo che
non siano racomandatissimi – non è dato di vedere le monete dei loro antenati
racalmutesi. Al Comune non sono state fornite neppure le fotografie. Ma il
Comune le ha mai chieste? Ne sa forse qualcosa?
Nel 1879 l’ing.
Delle ferrovie di Caltanissetta riusciva a salvare alcuni reperti sicani
rinvenuti a Racalmuto (in contrada Pietralonga, dice impropriamente). Ebbe ad
inviarli ad un precisato Museo ed oggi non si è più in condizione di
ritrovarli.
Dovrà finire
così con i reperto del Calderone? Riusciremo a convincere i BB.CC. che è meglio
custodirli in Antiquarium già disponibili quali sono gli ultra idonei locali
della Fondazione? Non mi si venga a dire che tutti i fondi spesi per la
Centrale, quelli (120/milioni) erogati per la gestione (a quanto pare
consistente solo in un lauto stipendio ad un Vice-bibliotecario straniero il
cui unico merito non vorremmo che fosse la sua agnazione magistratuale), devono
servire solo al mesto cerimoniale di una cattedrale nel deserto, un silente
mausoleo al più grande figlio di Racalmuto.
Grande è il valore
scientifico dei reperti del Calderone:
Noi non ce ne
intendiamo, ma che a S. Bartolomeo-Garamoli vi siano 4 pestelli della cultura
Pantalica Nord significa che siamo attorno al tardo XIII-IX secolo [2],
in epoca quindi di comprovata presenza micenea. Cade la mia ipotesi che i
sicani dopo il XIII secolo si potessero essere ritirani nelle montagne interne
per paura delle genti di mare: resta invece comprovata la mia tesi alternativa
e cioè che le caratteristiche tombe a tholos, pur esistenti, fossero state
manomesse fino a renderle irriconoscibili. Invero sappiamo che talune di
codeste tombe esistenti nei dintorni sono state fagocitate, come insinuato in
esordio. Se il Calderone dovesse avere ragione circa l’appartenenza della
rinvenuta amgdaloide alla cultura campignana, allora bisogna retrodatare
all’epoca neolitica la presenza umana organizzata nella zona più esposta del
nostro paese. Il peso da telaio greco si aggiunge alle tante monete, ai tanti
pegasi, (ai cavalli alati superdotati per intendersi dell’avv. Burruano) che
tutti sappiamo molto presenti nelle finitime zone dei nobili, non toccate
incomprensibilmente da vincoli archeologici.
Ma è alla Grotta
di Fra Ddecu che troviamo di più e di meglio: vi sono reperti in ossidiana.
Questo è di grande rilevanza archeologica; l’ossidiana – che giustamente il
Calderone reputa di proveniente da Pantelleria e non dalla solita Lipari,
comprova un assetto civile e commerciale dei nostri primitivissimi antenati
davvero ragguardevole. Materia di studio dunque da rendere l’auspicato
Antiquarium alla Fondazione una palestra di studio, un centro d’alta cultura,
una grande possibilità di lavoro specializzato ai tantissimi laureati e
diplomati racalmutesi che stanno a passeggiare (ciò evidentemente se per non
essere “campanilisti” i nostri amministratori non pensino di assumere
‘stranieri’ magari di Enna). I falli fittili poi - diciamo sconciamente -
attestano il culto della virilità che a Racalmuto è stato sempre imperante,
senza obnubilamenti pervertiti.
Da questo convegno
verrà fuori una sensibilizzazione dei nostri politici, di quelli regionali, di
quelli provinciali e delle Autorità tutte – specie quelle di settore – ad
essere tanto illuminati da comprare fra Ddecu, anche se lo chiede il
consigliere Mulé; da accordare alla Soprindendenza un fondo adeguato anche per
la negletta Racalmuto che è poi quello di Sciascia, nome di cui la Regione
tanto si avvale per chiedere ed ottenere; da pensare a parchi letterari
intestati a Sciascia ma per fiinanziamenti alla patria di Sciascia e non ad
avvenenti attrici nissene?
Interrogativi ai
quali siamo sicuri si daranno risposte positive. E questo auspicio è anche la nostra conclusione.
[1]
) Scrivevamo un tempo: «Per Biagio Pace le Grotticelle erano - come si è detto
- un ipogeo cristiano. I Bizantini racalmutesi, ormai decisamente convertitisi
al cristanesimo e sicuramente grecofoni (il fondo di lucerne del tempo colà
rinvenute portano marchi in greco), curavano la loro cristiana sepoltura ed è un
peccato che vandali locali abbiano frugato all’interno di quelle tombe,
distruggendo un patrimonio archeologico d’incommensurabile portata
storica. Ma la zona resta pur sempre
ricca di reperti e saranno gli scavi futuri a fornire materiale esplicativo di quel
periodo storico, oggi affidato solo alle fantasie degli eruditi locali. (Invero
neppure il Guillou è esaustivo ed il competente Griffo ([1])
retrocede la datazione delle monete al V secolo: cosa inverosimile se le
effigie degli imperatori bizantini sono di Tiberio II ed Eracleone, di oltre un
secolo posteriori)
Nota (1) Il Griffo (op.
cit.) accenna all’esposizione di «un ripostiglio di aurei imperiali (ben 207
pezzi) del V secolo d.C. proveniente da Racalmuto per scoperta occasionale del
1940. » A suo dire il medagliere sarebbe
stato oggetto di «un accurato inventario a cura della dott.ssa M. T.
Currò-Pisanò, che s’era preso anche carico di elaborarlo per le stampe». (Ibidem, pag. 317). Abbiamo cercato di
saperne di più presso il Museo di Agrigento, ma siamo stati sgarbatamente messi
alla porta come importuni scocciatori.
[2] ) Guide archeologiche
Laterza – SICILIA di F. Coarelli e M. Torelli, p. 301.
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