[Pochi
stralci a titolo di demo. L’intera lunghissima intervista quando e
se il Taverna riuscirà a raccattare qualche aiuto finanziario …
cioè mai]
Arc.
Alfonso PUMA
L’Arciprete
a domanda risponde
(Intervista di Calogero
Taverna) Racalmuto, 5 luglio 1995
Cenni autobiografici
0Domanda: Per rompere il
ghiaccio, iniziamo con alcuni cenni autobiografici. Arciprete Puma,
che mi racconta della sua vita?
Risposta: Sono nato il 21
novembre 1926. Sono stato ordinato sacerdote nel 1950, anno santo.
Sono stato eletto parroco del Carmelo nel 1961 e vi sono rimasto sino
al 1966. Come parroco-arciprete della Matrice, sono stato chiamato il
1° dicembre 1966: rimanendovi sino al presente.
D.: I suoi genitori - che io
ricordo: sua madre soavissima; suo padre molto benevolo - come se li
ricorda?
R..: Li ricordo non solo come
genitori, ma come amici.
Mia madre è stata
addirittura la mia prima direttrice spirituale. Mio padre, un uomo
sodo, un uomo temprato, molto parco nel parlare ma saggio, diceva:
«voi non vi preoccupate: se faccio sacrifici o non ne faccio, a voi
non interessa. Ricordate che starò sempre vicino a voi.» E del
resto, sia io come mio fratello, il tenore, abbiamo studiato con
questa fiducia che qualcuno ci sosteneva e ci stava sempre a fianco.
D.: Io ricordo che nel 1945,
quando sono entrato anch’io in seminario - e lì l’ho incontrato
- mio padre come suo padre erano costretti a portare in seminario il
frumento comprato al mercato nero, per la nostra alimentazione.
I militi fascisti a rovistare nelle cantine del seminario di Agrigento
R.: Rammento che una sera sono
venuti due militi inviati dal regime fascista per ispezionare se in
seminario si detenessero illegalmente farina, frumento ed altre
vettovaglie. Invero tenevamo qualcosa nascosta, ma era roba nostra. I
nostri genitori facevano dei sacrifici, si toglievano il pane di
bocca per dare da mangiare ai figli che stavano in seminario. In
quel controllo, anch’io fui chiamato perché ero il prefettino più
grande. I nostri genitori rischiavano, invero, la galera per portarci
la farina. E quando il vescovo chiese a Mons. Jacolino: come fate a
dare da mangiare ai seminaristi? Costui rispose: siamo sempre pronti
ad andare a San Vito! (S.
Vito era un vecchio
convento, adattato a carcere mandamentale di Agrigento).
Quella volta pure gli stessi
inquisitori furono benevoli e furono invitati alla cena e fecero una
relazione più positiva che negativa nei confronti del rettore del
seminario.
Sciascia, i seminaristi
e gli aspiranti gesuiti
D.: Sciascia - a dire il vero,
irritandomi - scrive che a Racalmuto si era furbi nel senso che si
andava gratis in seminario o dai gesuiti per fare un certo iter di
studi e poi gabbare il rettore del seminario o i gesuiti ed andarsene
via. Trascura il fatto che molti siamo andati, cambiando magari dopo
intenti, perché convinti. Comunque non era gratis andare a studiare
in seminario: costava e costava forse più che restare a studiare in
paese ove tutto sommato le scuole c’erano.
R.: Tutti sanno quali erano i
rapporti tra me e Leonardo Sciascia. Sciascia un tempo avversò
visceralmente la Chiesa e quindi anche i sacerdoti. Amava criticare
preti, religiosi e pie istituzioni. Ma poi, conoscendo meglio la
realtà della Chiesa attenuò i suoi toni. Del resto amava dire di
sé: contraddisse e si contraddisse.
Non è vero che si andava in
seminario o dai gesuiti solo per sfruttare ed essere agevolati negli
studi. I genitori facevano grandi sacrifici. Anche quelli che
andavano dai gesuiti, pur se poveri, erano chiamati a pagare una
certa retta. Certo, da ragazzi, non si può essere sicuri della
propria vocazione al cento per cento: c’è chi la perde e c’è
anche chi non l’aveva e c’è anche chi la cercava. Quindi, quello
di Sciascia non è un argomento valido. E’ vero invece che tanti
sono andati in seminario o dai gesuiti e ci sono restati. E quelli
che sono rimasti sono una vera gloria per il paese. Quello che
Sciascia ha scritto non può, quindi, essere preso per oro colato.
D.: Ai miei tempi vi erano tre
seminaristi oggi sacerdoti: padre Curto, padre Salvo e ... padre
Puma. Ricordo il padre Salvo per la sua scienza, ma padre Puma lo
ricordo per la sua grande bontà, per la sua grande affabilità, per
la sua capacità di intessere dei dialoghi con i giovani. Che mi
risponde?
R. : Ogni sacerdote cerca di fare
del suo meglio. Io son vissuto sempre fra i giovani. Sono stato
nell’Azione Cattolica sin da bambino; in seminario, il vice rettore
di allora, Mons. Di Marco - attualmente Vicario Generale del Vescovo
- ed io abbiamo portato avanti l’Azione Cattolica, per preparare i
futuri sacerdoti alla vita associativa. Tutta la mia vita è stata
spesa per i giovani. Poi sono sorte anche ACLI e vi ho aderito perché
la mia aspirazione è stata anche quella di venire incontro al
bisogno sociale della gente. Racalmuto è (o meglio era) un paese
prettamente minerario. La miniera costituiva che so .. il petrolio,
.. la ricchezza .. l’oro. Nell’Ottocento, Racalmuto raggiunse la
quota di 18.000 abitanti per l’occupazione nelle miniere di zolfo.
Poi il minerale si è svilito e Racalmuto ha contratto la sua
intensità abitativa. La mia missione è stata svolta al servizio
degli zolfatari, dei salinai, dei lavoratori di Racalmuto.
[omissis]
D.: Non è detto che debba
rispondere a questa domanda. Può anche non rispondere.
Ricordo che alla fine
degli anni quaranta la sua famiglia fu contraddistinta da un evento
molto increscioso: il sequestro di suo cognato. Questo fatto ha
creato in lei dei traumi? Ha visto i racalmutesi nello stesso modo? O
si è insinuato in lei il dubbio che non tutti i racalmutesi fossero
delle brave persone?
D.: E’ vero! Era l’anno
1946: venendo dal seminario per le vacanze ho avuto l’amara
sorpresa di sapere che un mio cognato era stato sequestrato. Era il
primo sequestrato in Italia. Certo è stato traumatizzante pensare
che quest’uomo poteva non tornare più. Erano tempi di grande
miseria; mancava persino il pane. Erano tempi di grande bisogno. I
sequestratori erano andati per altre persone. Ma poi, fallendo, si
erano accontentati di qualcuno che poteva disporre di qualche
migliaio di lire, perché lavorava. Comunque, fu restituito ai
familiari: evidentemente c’era stato qualcuno che si era mosso in
soccorso di chi in fondo era un pover’uomo sfornito di grandi
mezzi. L’hanno rilasciato con una piccola cauzione. Tutto questo ha
destato in me un’avversione verso la malavita, locale o nazionale
che sia. Ecco perché in questi fatti luttuosi che si sono di recente
verificati a Racalmuto ho assunto una posizione rigida, in quanto
motivata. Sono stato dalla parte dei più deboli, evangelicamente.
[omissis. Chiedo ua risposta su questi due punti:]
a) una fede religiosa del
popolo di Racalmuto molto profonda, che si accompagna, però, ad un
anticlericalismo piuttosto viscerale. C’è la battuta a Racalmuto
che dice: «monaci e parrini, vidici la missa e stoccaci li rini».
b) un’abitudine
all’interclassismo, quasi l’interclassismo alla De Gasperi. Forse
nasce da qui se a Racalmuto mai vi sono stati contrasti sociali atti
a suscitare moti rivoluzionari, diversamente, ad esempio, da Grotte.
Dall’alto della sua
quarantacinquennale esperienza pastorale, lei che ne pensa?
R.:
Prima di tutto debbo
precisare che la frase «monaci e parrini, vidici la missa e stoccaci
li rini», è diffusa dappertutto in Sicilia. Nasce nei tempi in cui
la stampa era espressione della massoneria e del suo
anticlericalismo. Erano i tempi delle leggi eversive: quando furono
soppressi i monasteri e la manomorta dei conventi. A Racalmuto, in
definitiva, non vi sono state tensioni sociali acute anche perché il
popolo poté appropriarsi agevolmente dei beni della Chiesa.
Peraltro, il clero locale ha sempre parteggiato per la classe meno
abbiente. Vedasi la bella figura di padre Elia Lauricella. Abbiamo
avuto anche, a dire il vero sacerdoti alla Savatteri - nati magari in
famiglie di massoni - ma furono eccezioni, e comunque ininfluenti. I
racalmutesi sono stati anticlericali subendo l’astiosa propaganda
massone, ma nel profondo sono stati vicini ai loro sacerdoti, almeno
quelli migliori come il padre Elia Lauricella, morto in fama di
santità.
Figure singolari di sacerdoti
racalmutesi si ebbero, ad esempio, a fine dell’Ottocento. Guardiamo
all’arciprete Tirone, uomo inflessibile, di profonda cultura anche
giuridica, sagace difensore dei diritti della Chiesa. Tanti beni si
sono salvati dall’espoliazione governativa per suo merito. E nello
stesso tempo, così legato alle autorità ecclesiali da venire
prescelto nella salvaguardia della fede fra i fedeli di Grotte, messi
in subbuglio da taluni preti finiti nello scisma, non tanto per
ragioni di fede, quanto per interessi materiali, legati al
gius-patronato della locale arcipretura. Alla fine quei sacerdoti
scismatici tornarono nel grembo di madre chiesa e ad accoglierli è
stato proprio il padre Tirone.
Che vuol dire essere arciprete a Racalmuto?
D.: Essere arciprete a
Racalmuto è identico che esserlo in qualunque altra parrocchia
dell’agrigentino?
R.: Bisogna intendersi. Una
volta l’arciprete era quasi un mezzo vescovo. Al suo presentarsi ci
si doveva togliere la “scazzetta” o la “birritta”. Era il
grande datore di lavoro del luogo. Era il distributore di messe ai
tanti sacerdoti che non disponevano neppure di una piccola chiesa (ed
a Racalmuto di chiese ce ne erano tante). Oggi, l’arciprete è alla
stregua di tutti gli altri parroci. Un primus
inter pares, magari,
ma niente di più. E questo a Racalmuto, come altrove.
Il belato delle pecorelle
D.: Nei confronti della
Chiesa, le “pecorelle” racalmutesi belano più o meno rispetto a
quelle delle altre parti?.
R.: Beh! se le pecorelle “belano”
perché bramano pascoli più ubertosi, allora è ben giusto che
belino. Se poi è vezzo critico - molto diffuso in questo nostro
paese - allora bisogna rintuzzare quelle critiche. Oggi si parla
molto di dialogo. Quindi, con spirito di carità, la dialettica con
il popolo di Dio deve essere fervida, reciprocamente rispettosa,
missionaria. Diceva papa Giovanni «chi è dentro deve sforzarsi di
guardare a quelli che stanno fuori; chi è fuori deve sforzarsi di
guardare meglio dentro. » Forse, se Sciascia si fosse sforzato di
guardare meglio dentro, non sarebbe incorso in quelle critiche...
diciamo, esagerate. Sciascia guardava alla Chiesa dal lato esterno.
Anche la Chiesa è un’istituzione, che nella sua componente terrena
può venire migliorata. Comunque, quelli che dall’interno ci
produciamo, talora, in critiche, tentiamo di migliorarla. A Sciascia,
forse, di migliorare la Chiesa con le sue critiche non importò
granché. Diceva madre Teresa di Calcutta, a chi parlava male della
Chiesa: «Lei che cosa ha fatto per la Chiesa? Niente! Ed allora?».
Sciascia e gli eretici di Racalmuto: fra Diego La Matina, il notaio Jacopo Damiano e la strega Isabella Lo Voscu.
D.: Detto, tra parentesi, che
Leonardo Sciascia, immenso scrittore, è stato secondo me, un pessimo
politico ed un massacratore della storia locale di Racalmuto, ho da
precisare che nei miei studi storici su Racalmuto, che modestia a
parte, credo che abbiano una qualche valenza, non ho mai riscontrato
moti locali che sapessero di eresia. La vicenda di fra Diego La
Matina è tutta da studiare e va totalmente revisionata rispetto
all’abbozzo forzato di un testo come Morte dell’Inquisitore. Il
notaio Jacopo Damiano - notaio di fiducia del barone Giovanni del
Carretto negli anni sessanta del 1500 - ridonda, nei suoi rogiti, di
fervore religioso ed irreprensibile ortodossia. Ora si parla di una
certa Isabella Lo Vosco (o Bosco) come eretica. Costei, murata viva
per dieci anni dall’Inquisizione, appare più che un’eretica, una
mondana che ai suoi tempi destava scandalo, specie fra i famigli del
Sant’Uffizio. Una questione dunque di morale sessuale e
l’ortodossia c’entrava ben poco. Quindi Racalmuto può definirsi
un popolo fedele alla Chiesa. Concorda?
R.: Racalmuto è stato
sempre fedele alla
Chiesa e quando vi è stato il famoso scisma di Grotte, nessun
racalmutese è stato coinvolto. Né vi fu, da parte di un qualche
sacerdote o di un qualche laico, moto alcuno di simpatia o di
fiancheggiamento a quella ribellione di ecclesiastici grottesi.
Quanto al protestantesimo - che qua e là nell’agrigentino un
qualche proselitismo è riuscito ad avere - qui a Racalmuto esso è
stato sempre rigorosamente bandito. Qualche elemento viene ora da
Agrigento, ma è fatto trascurabile. Il motivo? Diceva il grande
padre Parisi, eccelso predicatore - anche il Circolo Unione si sentì
in dovere di accoglierlo come socio onorario -, diceva dunque il
padre Parisi: è grazia della Madonna del Monte. La devozione alla
Madonna a Racalmuto è stata sempre profonda e radicata. Ciò l’ha
preservato dall’apostasia. La bontà, l’attaccamento alla chiesa
ed altre doti del popolo di Racalmuto restano comprovati dai tanti
documenti d’archivio, che anche tu ed il prof. Giuseppe Nalbone
state studiando, con risultati conformi a questa valutazione.
[omissis]
D.: Ma questo è un atto di
fede, o di speranza o di carità verso i racalmutesi?
R.: Credo solo che sia un atto di
giustizia e di sincerità. Alla carità gratuita, non bisogna
indulgere. Cerco solo di essere obiettivo e sincero. Ma i momenti di
smarrimento che per avventura vi siano stati a Racalmuto vanno
presentati con altrettanta sincerità ed obiettività. Non sono
comunque uno storico per avere di siffatti problemi. Tocca a chi
cerca la verità storica, essere veridici, a qualunque costo. Amicus
Plato, sed magis veritas,
mi pare che un tempo si dicesse, quando era di moda il latino. Ed
oggi Sciascia appare tanto Plato!
Vuol commentare?
R.: Io non oso mettermi, sia
pure lontanamente, a confronto con tali giganti della Chiesa. Cerco
di imitarli quanto più posso, essendo noi i continuatori della loro
missione. Quando faccio qualche battuta del tipo «cchiù mi cuociu,
cchiù duru mi fazzu» intendo sottolineare la mia ostinazione, il
mio attaccamento, il mio volere essere sempre più fedele al sì,
a quell’eccomi
pronunciato al tempo della mia consacrazione sacerdotale. Voglio
perseverare nella grazia che Dio concede giorno per giorno, perché
nell’amore di Dio si cresce giorno per giorno. Nessuno può
presumere di essere arrivato. Nessuno deve adagiarsi. Ed allora ecco
il cammino, che può essere un cammino nel deserto, che può portare
incontro al proprio Calvario. Sono tappe, anche dolorose, che vanno
ostinatamente raggiunte e superate, ad imitazione di Cristo. Con
l’andare degli anni, si riflette maggiormente. Ci si accorge di
avere avuto dei difetti. C’è bisogno di maggiore ostinazione, ma
non basta la buona volontà: occorre la grazia di Dio.
Come è cambiato Racalmuto in quest’ultimo cinquantennio.
D.: In
questi quarantacinque anni, Racalmuto, sotto il profilo della fede,
di quello morale e di quello sociale, è migliorato o peggiorato?
R.: Anche Racalmuto, come tutto
il resto del mondo, ha subito l’influenza generale. Se Berlino
piange, Roma non ride e viceversa. Siamo in epoca di cosiddetta
planetarietà. Il mondo è diventato, davvero un paese. Il nostro
paese è diventato, in certa misura, il mondo, nel bene e nel male. A
Racalmuto - possiamo dirlo - un miglioramento c’è: lo Spirito
Santo soffia dove vuole e sta soffiando un po’ dovunque, anche a
Racalmuto. Quindi i movimenti che nascono, gli oratori che
rinascono. Il bisogno di pace, il bisogno di associarsi, il bisogno
anche di rinnovarsi. Si avverte, e questo è già molto. Ma Racalmuto
subisce anche l’ondata deleteria del rilassamento dei costumi, del
consumismo, del materialismo.
[omissis]
D.: Racalmuto, il popolo di
Dio di Racalmuto, è sincero con i sacerdoti, o no?
R.:
Beh! Se vedono un
sacerdote che si muove, che agisce con serietà, con purezza
d’intenti, sì. Non si guarda più tanto al grado di cultura del
prete, perché la gente vuole ed esige un servizio all’insegna
della charitas,
dell’amore. Dove non
c’è amore, scatta la critica. Del resto il Vangelo lo dice: se il
sale è insipido, lo si calpesta; se il sale è buono, lo si
apprezza.
D.: A Racalmuto la fede è
diversa a seconda del sesso, dell’età, delle classi sociali?
R.: Sì. La gioventù, ad
esempio, è stata un poco più lontana. Ma qualcosa si muove in senso
positivo. Si è costituito un oratorio, si è costituita una consulta
giovanile. Cresce il richiamo associativo tra i giovani. Le donne
sono più vicine: ciò è stato sempre scontato. Una qualche
indifferenza religiosa è atavica fra gli uomini anziani. E qui
l’asino zoppica. Dovremmo trovare la maniera come mobilitare anche
gli uomini. Abbiamo trovato delle difficoltà anche con questi Centri
d’ascolto familiari. Non solo qui a Racalmuto, ma anche in tutta la
diocesi. Mi ero permesso di suggerire qualcosa per interessare gli
uomini, specialmente la sera.
La morale sessuale
di Racalmuto
D.: Ho l’impressione che la
morale sessuale a Racalmuto sia stata una cosa molto relativa e
talora inquinata. Si levano dai documenti d’archivio sussurri e
grida che fanno intuire scelleratezze consumate qualche volta persino
nel chiuso delle famiglie. E’ un mio pessimismo o lei non intende
accedere ad una provocazione del genere?
R.:
I misfatti di sesso
sono capitati ovunque. La verità è un’altra: siamo portati a
scandalizzarci oltre misura quando i fatti di sesso investono la vita
religiosa. Siamo portati a credere che tutto un edificio crolli.
D.: Ma io non mi riferisco
alla sessualità dei preti. E’ un problema troppo grosso e troppo
grande per affrontarlo io. Mi riferisco, però, alla morale sessuale
corrente del cosiddetto popolo di Dio, che in questo mi sembra troppo
poco popolo di Dio, per quanto riguarda Racalmuto. E non tanto per un
certo tipo di sessualità, diciamo così sfrenata che può rientrare
nell’ordine umano delle cose, quanto per quell’andare al di là,
oltre il pentagramma e pigliare certe stecche. E non sono, secondo
me, fatti isolati, ma palesano un certo costume di vita che non va
criticato - perché nulla che è umano è criticabile - ma
sicuramente non va ammirato.
R.: La prevenzione è sempre il
problema più difficile. Là dove la prevenzione è stata praticata,
si è evitata la frana. Laddove si è fatto di meno, certamente la
frana si avverte. Ora qui a Racalmuto occorre praticare un metodo
preventivo - ed io come sacerdote credo di averlo fatto nella scuole.
Per quanto riguarda il passato gli antichi nostri non ci davano un
contributo, per premunirci dai mali che oggi sovrastano. E’ certo,
però, che la gioventù di oggi è più preparata e più attenta
rispetto al passato. Le coppie degli sposi sono più preparate. Vi
sono i corsi di formazione. Certo si suol dire che male comune, mezzo
gaudio. E l’opera nefasta dei mass-media, del materialismo
dilagante, si fa sentire. E’ in atto una scristianizzazione
subdola. La famiglia è stata minata nelle sua fondamenta: vedi
divorzio, aborto, etc. che per noi cristiani sono piaghe e piaghe
anche sociali.
D.:
Racalmuto ebbe
certamente una cultura contadina, quindi chiusa e sessualmente
repressa e tendente agli eccessi. Questo, però, vale per la
Racalmuto antecedente agli anni ’50-’60. Dopo, in coincidenza con
la sua arcipretura, Racalmuto - se debbo giudicare dall’esterno -
ebbe un salto di qualità. Certe repressioni della società contadina
non ci stanno più. Oggi, ci saranno ... peccati, ma normali; prima,
i peccati potevano invece apparire ... anormali.
R.:
Io, nei primi anni
di sacerdozio, ebbi infatti a notare un periodo, definiamolo,
preconciliare. Vigeva allora quella moralità antica. Sembrava che
stesse bene per tutti. Ma apparvero subito le prime avvisaglie
dell’incombente grande corruzione. Abbiamo dovuto provvedere. In
Azione Cattolica ed in altre associazioni cattoliche abbiamo
intrapreso ad affrontare problemi di morale che prima era azzardato
toccare. La questione sessuale, nelle scuole, io l’ho affrontata,
naturalmente con le dovute cautele e ... con le pinzette. Allora
c’erano le denunzie che si facevano con estrema facilità. Nelle
scuole medie - ricordo - c’è stata una preside che mi diceva: meno
male che c’è lei a trattare questi argomenti, perché gli
insegnanti sono ostili a trattarli, per paura delle denunzie. Il
paese nostro era, comunque, un paese chiuso, un paese di montagna.
Appena si è affacciato, con i ragazzi che andavano a scuola, non
appena cominciarono a muoversi, vi furono le prime vittime che
finirono subito ... segnalate. Due periodi a confronto si ebbero, in
ogni caso: quello preconciliare e quello successivo in cui le cose
cominciarono a vedersi con altra ottica.
Vi è stata una doppia morale matrimoniale?
D.: Durante l’arcipretura
Puma, ho avuto l’impressione - naturalmente sono un osservatore non
qualificato ed esterno - che le due morali matrimoniali, quella dei
ricchi e quella dei poveri, si siano finalmente unificate. Non posso
dire altrettanto per l’arcipretura del suo predecessore.
R.: Beh! .. il mio predecessore
ha avuto grandi virtù: sono stato con lui una vita. Carattere forte,
duro, qualche volta, ma a volte era necessario prendere atteggiamenti
e decisioni dure. Bisognava creare una certa coscienza. Andare ai
Sacramenti senza una preparazione, accostarvisi con leggerezza, erano
malvezzi da correggere, anche con durezza. Quell’arciprete andava
giustificato. Avrei preferito, invece, meno severità e più
disponibilità verso la gente. A ciò ci stiamo uniformando io ed i
miei confratelli. Bisognava più convincere che reprimere. Con
l’amore si ottiene di più, come diceva don Bosco, della rigidità.
2 Ricchi e poveri, tutti uguali?
D.: Perché negli alti prelati
c’è una sorta di diffidenza nei confronti dei poveri ed una sorta
di intelligenza con i ricchi? Ci si scorda che nel Vangelo sta
scritto «è più facile che un cammello entri nella cruna di un ago
che un ricco nel regno dei cieli»? Perché invece i parroci,
l’arciprete, il basso clero che sono più a contatto con il popolo,
sovvertono quell’atteggiamento?
R.: Diceva il servo di Dio padre
Elia Lauricella: «bisogna avvicinare i ricchi e tenerseli vicini
perché facciano del bene ai poveri.». Credo che questa sia una
strategia intelligente, pastorale. Nel Vangelo non c’è scritto che
si devono disprezzare i ricchi. Certo non bisogna affiancarsi ai
potenti sol perché sono potenti. Occorre comunque stare in mezzo ai
poveri, perché la Chiesa è dei poveri. Lo diceva anche papa
Giovanni: Ecclesia
pauperum. Essere
poveri non va considerata una gran bella cosa. La maggior parte del
mondo vive in povertà non per sua scelta. Sorge il problema
dell’aiuto che occorre approntare. Un aiuto verso i fratelli
poveri.
Fede e preti a Racalmuto
D.: Trenta quarant’anni fa,
a Racalmuto - mi consenta una battuta - c’erano tanti preti .. e
poca fede; ho l’impressione che ora ci stia tanta fede ma pochi
preti.
R.: Ih! ...ih! ... ih! [piccolo
accenno al riso]. Vuoi forse dire che è scattato un processo
inversamente proporzionale? Beh! Io non vorrei giudicare il passato;
comunque mi consta che nel passato vi erano uomini di fede granitica.
Se la fede si deve misurare dalle opere, allora dobbiamo dire che in
passato attività se ne fecero. Le varie chiese che sono state
costruite dalle varie maestranze sono l’attestato più bello. Le
varie opere caritative come la
casa della fanciulla,
la Misericordia
(quella della mastranza),
il maritaggio
dell’orfana, furono
edificanti iniziative dei nostri padri racalmutesi, atti bellissimi
di fede. Ecco, perché mi sembra un po’ azzardato avanzare riserve
sulla fede degli antichi di Racalmuto. Col cambiare dei tempi, certo
cambiano le manifestazione di fede. Anche oggi abbiamo tante belle
manifestazioni di fede .. specie per l’apporto dei laici che
suppliscono alle deficienze numeriche di sacerdoti.
[omissis]
Racalmuto, domani.
D.: Questa la storia. E le
prospettive di Racalmuto? Quelle morali, quelle religiose, quelle
della fede, quelle politiche, quelle economiche, secondo lei quali
sono?
R.:
Io credo che se il
Signore ci assiste - ho molta fiducia nella Provvidenza, nei
collaboratori - Racalmuto avrà un futuro migliore. Le chiese stanno
per essere tutte restaurate e sono un patrimonio artistico e
culturale, con grande vocazione turistica, anche. Dal punto di vista
morale c’è da sperare in bene. Guardiamo ai tanti ragazzi, ai
tanti giovani che si dedicano ad un meritevole volontariato. Gli
oratori - ben quattro - sono segni tangibili di questa buona volontà,
della saldezza dell’istituto familiare. Abbiamo, anche, alcune
organizzazioni culturali, artistiche. Vedo che diverse mostre sono
state organizzate in questi ultimi tempi, segni di una crescita
culturale, di una maturità diffusa. Per quanto riguarda il fattore
politico, credo che se non cambia qualcosa a livello nazionale,
regionale, non riuscirà a cambiare nemmeno un piccolo paese. A
Racalmuto, al popolo di Dio di Racalmuto, vada tutto il mio affetto,
il sincero augurio del loro parroco, di questo sacerdote prossimo
alle nozze d’oro con la Chiesa, alle nozze d’oro di un sacerdozio
tutto speso qui, in questa terra del sale e dello zolfo, dei campi e
delle vigne, del pavido commercio, della minuscola borghesia; in
questo paese talora inverecondamente bagnato di sangue, in questo
paese che ad ogni buon conto ha una insopprimibile voglia di
redimersi, di migliorare, di essere civile, di avere fede in Dio,
nella sua materna Madonna del Monte. Racalmuto, ove la gente nei
tempi si è abbarbicata “come erba alla roccia”. Pervicacemente.
Ove la gente vuole costruire una città del sole, la città di Dio.
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