martedì 16 agosto 2016

LA NOVELLA CHIESA DI S. ROSALIA.
Efficace il Pirri nel parlare del fervore della confraternita delle Anime del Purgatorio nel costruire o riedificare la Chiesa di Santa Rosalia. L’anno è il 1628, qualche tempo dopo la tremenda peste che a Racalmuto infierì nel 1624 , anno del  rinvenimento del corpo di S. Rosalia nella grotta di Monte Pellegrino, giusta appunto il giorno dell’Ascensione.
Nel manoscritto attribuibile al Genco è significativo il presente passo:  «Poi a pag. 373 [il Cascini] narra che Racalmuto fu devoto di S. Rosalia tanto che narra: “Ne si mostrò poco divota verso S. Rosalia la terra di Rahalmuto, la quale come si è detto nel primo libro, fin dal suo principio, nacque sotto la protettione di questa Santa e vi dedicò  la sua prima chiesa, havendola hora rifatta di nuovo; è incredibile la divotione, con che viene visitata a piè scalzo ogni sera non da pochi, ma d’una moltitudine grande. Però con molto maggior mostra di pietà, e humiltà ciò fecero il  giorno quando accompagnarono la sua Santa reliquia, che fù l’ultimo di Agosto 1625, erano andati a portarla da Palermo, ben 80. a cavallo, e quella mattina, che fù Domenica, si cantò prima [pag. 375] la Messa nella Chiesa dei Padri Minori Osservanti colla solennità solita; e si liberò una spiritata; dopo il  Vespro pur solenne si fece la processione, nella quale, benché vi fosse molta pompa d’apparato con tre archi trionfali,  di luminarie per tre giorni, di concerto di Musiche, e salve di schioppi, nondimeno superava ogni cosa la devotione, che s’udia delle voci, e sospiri, e pianti, e si vedea della moltitudine tutta a piè scalzo.
Accettò la Santa la pietà loro, e gli mostrò a chiari segni, che la sua protettione l’havea liberati dalla pestilenza; imperoché havendo la terra delle Grotte presso à due miglia molto mal menata da quel morbo, colla quale così infetta per un buon pezzo, prima che fosse dichiarata, vi fù pratica stretta, per essere in buona parte parenti fra loro e haver molta communicatione, non si attaccò però male veruno; anzi entrandoci dentro appestati diversi, si di questa terra, come d’altre, i medesimi che la portavano poi in altri luoghi, quivi non vi lasciarono vestigio alcuno.»
Facendo la collazione con il testo originale, sono sate necessarie alcune rettifiche. ( Si è consultata l’edizione del 1651 del volume del p. Giordano Cascini «S. Rosalia, Vergine Romita palermitana, palesata con libri tre dal M. R. P. Giordano Cascini della Compagnia di Giesù»). Il manoscritto racalmutese (ed anche p. Morreale) attinge  a questa pubblicazione palermitana del 1651. Il p. G. Cascini era morto sin dal 1635 quando fu pubblicato questo volume. E’ stato il p. Pietro Salerno S.J. a riprendere gli appunti del Cascini ed a rimaneggiare altri due testi già pubblicati tra il 1627 ed il 1635 per fare questo ponderoso tomo. Per di più rettifica ed immette notizie posteriori, ragion per cui non si sa quali notizie  siano originali del Cascini e quali interpolate successivamente dal Salerno. Nell’analisi critica dei padri autori degli «acta sanctorum» del 1748 queste anomalie sono puntigliosamente messe in rilievo. Certo, anche per la storia di Racalmuto, alcune interpolazioni del Salerno - tipo, secondo me, quella del riferimento al Monocolo - disorientano. [1]
Notizie interessanti sulla Chiesa di S. Rosalia di Racalmuto - anche se forse non proprio fondate - si scoprono nel “saggio storico-apologetico  sulla vera patria del celebre medico D. Marc’Antonio Alaimo di Racalmuto dell’Abate d. s. acquista  Napoli 1852 (cfr. copia fornitaci da P. Biagio Alessi). «... Andrea Vetrano - scrive Acquisto a pag. 7 -, discepolo di Marco Antonio Alaimo, recitò nel novembre del 1662 le lodi funebri del dotto Maestro [...e] proseguendo [..] in conferma  dell’assunto, e della pietà, che sempre più gelosamente si coltivò nella famiglia Alaimo, il medesimo scrive; che Aloisia Alaimo, dalla quale Marc’Antonio trasse sua origine, gettò in Racalmuto le fondamenta della Chiesa di S. Rosalia , unicamente a di lei spese, circa il 1200. [2]
*  *  *
Nelle varie fonti prima citate si rinvengono briciole della storia locale di Racalmuto. Non vanno disperse. A parte qualche tocco di satanismo secentesco (la vicenda della spiritata), il vivere paesano, la sua religiosità, la sua organizzazione vi trovano riscontro sinora non adeguatamente messo in risalto. Le reliquie di S. Rosalia, comprate in Palermo e traslate in pompa magna nella chiesa di S. Maria dei frati minori osservanti, da ottanta cavalieri, assurgono a momento di grande rilevanza storica. Una conferma la ritrovo nel Diploma custodito in Matrice (che però è parziale e non mi consente di leggere l’ultima parte di destra.)
Ecco quelli che riesco a decifrare:
In alto, nello svolazzante nastro:
IOANNETTINUS DORIA ET C [/]
Nel rosone, attorno ad un’interessante immagine di S. Rosalia,
Sancta Rosalia Virgo eremitica panormitana
Sotto l’aquila nobiliare
NOS  D: FRANCISCUS DELLA RIBA S. T [/]
Prothonotarius Apostolicus, Archidiaconus Maioris Panormitanæ E [/]
D.ni Nostri Utriusque signaturæ Referendarius  .. & Reverend.mi D [/]
IOANNETTINI DORIA S.R.E. Titoli Sancti Petri in Monte Aureo [/]
& Archiepiscopi Panormitani [......] V [icarius] Generalis.
Omnibus ad quos hæ litteræ pervenerint fidem facimus, & testamur
fragmenta Ossis Costæ, quæ funi penes Fratrem IOANNEN BATTISTA [/]
Montis Carmelis esse ex Reliquiis SANCTÆ ROSALIÆ V[...] [/]
Urbis Patronæ; cuius Corpus nuper est inventum in Antro Montis [/]
mirabiliter inclusum ut autem duo fragmenta, ut supra, liceat universis [/]
[..] ac religiose venerari; in huius rei testimonium presentes dedimus nostra fut [/]
præfati Ill.mi Dni Cardinalis obsignatas. Panormi Die X.. Augusti VIII Ind. [quindi 1625] MDCXX[/]
Firme illeggibili
e in basso, nell’ovale sotto gli angeli
Lilia præstanis encedunt alma rosetis,
Ignea pestis adest, hac rutilante Rosa
O felix, faustumque solum cui sacra [...]
Pignora, tabificum despicit [..]
   
 
 
 
L’altro diploma in caratteri gotici, sempre custodito in Matrice, non dovrebbe riguardare  proprio S. Rosalia, anche se  la santa vi è citata:  al 17°  e 18° rigo leggerei “in Sancte Anne et Sancti Joachini ac Annuntiantionis Beate Marie Virginis nec non  Sancte Rosalie festivitatibus et devote visitaverint  ..”. Lo stato dell’originale e  le ampie abrasioni impediscono una più precisa lettura. Dovrebbe però riguardare una bolla pontificia di concessione di indulgenze connesse ad una confraternita che credo quella di S. Francesco. Reca infine la data del 1630 [Anno incarnationis dominici Millesimo Sexcentesimo tricesimo Januarij], se non erro.  E’ postuma la visita fatta «in hac terra Regalmuti sub die 26 novembris 1726” da parte di un canonico.
Facendo una digressione nella digressione, l’episodio degli 80 cavalieri che portano in piena peste le reliquie di S. Rosalia da Palermo nella chiesa di S. Maria nell’agosto del 1625, dovette restare ben impresso nella memoria dei racalmutesi. Qualcuno, però, si avvalse di quel ricordo per l’esaltazione della propria famiglia. Riporto a tal proposito il seguente passo di Eugenio Napoleone Messana (op. cit. pag.  104)
«Giovanni IV del Carretto, marito di donna Beatrice Ventimiglia, figlia unica del principe di Castelbuono, quando ascese alla contea [di Racalmuto] aveva tre figli, Girolamo Aldonza e Porzia. Girolamo per la legge del maggiorasco vigente era destinato alla successione della contea. Le figlie erano entrambi (sic) ospiti della zia Marzia del Carretto, figlia di Giovanni III, abbatessa di Santa Caterina in Palermo fino al  1598, data della sua morte e vi sarebbero forse rimaste se non fossero state riportate in paese nel 1600, per volontà del padre, allarmato dell’insurrezione contro il nuovo pretore. In quell’occasione Giovanni IV promise le figlie in moglie a quei cavalieri che gliele avessero ricondotte al castello sane e salve. La sorte arrise al milite Scipione Savatteri che sposò Maria ed ebbe in dote il feudo di Gibillini. Questo matrimonio diede inizio alla famiglia dei Savatteri di Racalmuto, che risulta essere la più nobile di tutte le altre. I Savatteri infatti discendono da Pable Zavatier, nobile francese al seguito del conte Ruggero [...] Non si hanno notizie dei motivi per cui Aldonza non contrasse mai nozze, si sa soltanto che lei nel 1605 a proprie spese fece costruire l’Abbazia di Santa Chiara  ...»
L’inattendibilità storica, specie sui del Carretto, è fin troppo vistosa. Quanto a donna Aldonza, questa non ebbe mai a maritarsi e fu ospitata, zitella invecchiata, nel monastero di S. Caterina in Palermo. Eugenio Messana non  ebbe modo di studiare i documenti che si rinvengono nell’Archivio di Stato di Agrigento per  conoscere la vicenda della terribile virago secentesca donna Aldonza del Carretto. In Pirri, ad esempio, vi è qualche spunto per la storia di questa nobildonna. (cfr. pag. 758, op. cit.)
Sul nobile Savatteri, gli archivi parrocchiali smentiscono purtroppo impietosamente. Ma la digressione prova come anche nelle fantasie nobiliari locali vi sia un barlume di storia: il caso citato può a mio avviso collegarsi allo sfilare di cavalieri con le reliquie di S. Rosalia nell’estate del 1625.[3]
 
La chiesa di S. Rosalia resta funzionante per circa un secolo e mezzo. Nel 1758 essa è ormai quasi cadente: nel libro delle visite pastorali (Archivio Vescovile di Agrigento - Visita del 1758 di Andrea Lucchesi Palli -  f.  735) si annota:
«Eodem [giugno 1758] - S.ta Rosalia - Predictus Ill.mus et rev.mus U.J.d. D. Gerlandus Brunone accessit ad visitandam Ecclesiam S.tæ Rosaliæ et dixit:
‘che fosse  interdetta fin tanto, che gli altari fossero provveduti delle necessarie suppellettili giusta la forma prescritta dal nostro Ecc.mo Monsig. nelle sue istruzioni della Sagra Visita date in stampa.
La melanconica fine della gloriosa chiesa di S. Rosalia emerge burocraticamente dal Registro dei Vescovi 1792-1793, ff. 570-571, giusta i seguenti termini:
[la parte della pag. 570 che riguarda S. Rosalia reca a fianco annotato: Non abuit effectum e risulta tagliata con un’ampia X, ma la lettura è del pari interessante:]  «Rev.do Archip.tero terræ Racalmuti salutem. Restiamo intesi dalle vostre lettere segnate sotto li 21. del mese cadente di Maggio in risposta al nostro ordine  colle quali ci rappresentavate, che avendo fatto  bandire (bandiare) la Chiesa quasi diruta sotto titolo di S.ta Rosalia, non vi è stata alcuna offerta; solamente codesto Sacerdote Don Salvatore Maria Grillo per sua devozione  vuole erigere l’altare a d.a Santa entro codesta Venerabile Chiesa Madre a sue proprie spese una con tutti quelli paramenti per decoro di d.o Altare conservandosi della cessione della medesima Chiesa di S.ta Rosalia, e perciò avete a Noi ricorso per l’ordine opportuno.  Dietro il quale fu da Noi fatta ‘provvista] quod fiat ordo Rev. Paroco prout conveni.  In seguito di che vi diciamo ed ordiniamo che obligandosi il Rev. di Grillo ad erigere il dovuto Altare con tutte le necessarie decorazioni a proprie spese, ed al mantenimento del  medesimo, passerete a stipulare il contratto »
«Rev. Archip.ro Terræ Racalmuti Salutem - Restiamo intesi delle vostre lettere [...]  sotto li 21: del p.p. Mese di Maggio colle quali ci  partecipate di aver d’ordine nostro fatto subastare per il corso di anni due la ven.le Chiesa di S. Rosalia quasi diruta, e non è stato possibile rinvenire dicitore, che volesse far la sua offerta, solamente codesto Rev.do Salvadore Grillo pella sua pietà e devozione verso d.a gloriosa Santa , ed a preghiere anche dei devoti s’indusse ad acconsentire di erigere d.o Altare e Cappella condecente e congrua in codesta Venerabile Chiesa madre in onore di detta Santa uniformemente  di ornato della stessa Chiesa una [f. 571] ... con tutte le decorazioni necessarie a d.o Altare e Cappella, conservandosi della cessione della suddetta Chiesa di S.a Rosaria e Sagrestia annessa, quale offerta fu da voi annunziata, dopo averla fatta mettere all’asta [ subastare?] non fù migliorata da nissuno, e perciò chiede da Noi la licenza per poter passare a stipular contratto di cessione di suddetta Chiesa e Sagrestia in favor di detto di Grillo, obligandosi questo di far sud. Altare e Cappella, con tutta la decorazione necessaria, ed a corrispondenza dell’ornato di detta Chiesa, e come meglio per dette lettere. Dietro le quali fù da noi fatta provvista quod fiat ordo Rev. Archip.ro prout concedit: In seguito di che vi diciamo et ordiniamo che facesse fare la relazione ad un perito Maestro Marammiere di quanto bisogna per l’erezione dell’altare colle dovute decorazioni e valore della chiesa distratta, quale relazione la trasmettirete a Noi. [...] Datis Agrigenti die 3  Junij 1793: Can. Thes.us Caracciolo Vic. Cap.ris , Can. Trapani cancellarius.»
Questo sac. D. Salvatore Maria Grillo - che fa la permuta con la chiesa di S. Rosalia - appare tra i sacerdoti officianti dell’Itria a fine del secolo XVIII, anche se spesso si fa sostituire a pagamento da altri sacerdoti nella celebrazione delle messe dovute per i confrati di quella congregazione.
Nei vari Censimenti custoditi in Matrice figura questo sacerdote, che risulta  defunto nel 1806. Eccone qualche dato:

(dal censimento del 1790)

103
Grillo
Nicolò
ROSALIA D.A M - ANTONIO 20 – D. GAETANO 16 - D. GIROLAMO 28 - FILIPPA SERVA – CALOGERA SERVA
BARONE
104
Grillo
Salvadore
VENERA SERVA - CHIARENZA FRANCESCA SERVA - D. RAFFAELE 23 NIPOTE
 
 
(in quello del 1801, il gruppo familiare risulta così ripartito)
·      Rev. Dn Salvadore Grillo - Dn. Raffaele nipote anni 34 - Venera serva - Francesca serva.
·      D.n Girolamo Grillo - Dn. Francesca moglie.
·      D.n Antonino Grillo libero anni 24 - D.n Gaetano anni 30 - D.n Francesca anni 32 - Filippa serva - Rosalia serva.
Il sac. Salvadore Grillo è, peraltro, soggiogatario piuttosto diligente della Matrice di Racalmuto, come appare nei libri della Fabbrica, proprio durante la gestione del Procuratore Sac. Benedetto Nalbone. Paga come erede di un altro Grillo e, così, dopo il 1806 i suoi eredi.
Credo che ai documenti vescovili prima riportati si riferisse il P. Morreale S.J a pag. 24 della sua op. cit. e da lì abbia tratto la congettura di ubicare la chiesa di S. Rosalia «in fondo alle attuali vie Cavour e baronessa Tulumello». Certo quel Sac. Grillo sembra appartenere alla nota famiglia baronale che ebbe a concentrarsi attorno a quello che oggi viene indicato come ‘Arco di D. Illuminato’, sopra il Collegio. Ma da qui a  collocare la chiesetta  quasi diruta - fagocitata per poche once da quel prete che tiene in casa una serva a nome Chiarenza [antenata del prete garibaldino racalmutese?] - nelle aree di dominio dei barone Grillo, ce ne corre.
Il testo dell’Arciprete Genco vorrebbe accreditare il canonico Mantione come un dissennato piromane dei documenti  comprovanti la nascita a Racalmuto di Rosalia. Quei documenti non poteva distruggerli perché del tutto inesistenti. Se fossero esistiti non sarebbero sfuggiti al puntigliosissimo inquisitore del card. Doria, il p. gesuita Cascini. E gli si sarebbe ulteriormente complicata la vita, già tutt’altro che agevole, dovendo far collimare le tante dicerie sulla nascita di S. Rosalia. Dopo S. Stefano Quisquina - tanto lontana dagli altri posti creduti quelli natali di S. Rosalia come i centri reatini Rocca Sinibalda e Borgorose (un tempo Borgo Collefegato) - ci mancava proprio Racalmuto per la quadratura di quel cerchio nativo di S. Rosalia.
Il can Mantione, però, una imperdonabile colpa ce l’ha: per mera grettezza economica ha lasciato che una gloriosissima testimonianza religiosa di Racalmuto andasse irrimediabilmente perduta. Santa Rosalia di Racalmuto non sarà stata la «prima chiesa in honor di lei nel mezo della terra, che hoggi è servita dai Confrati del Santissimo Sacramento (cfr. Cascini  op. cit. pag. 15)», ma aveva un rilievo ed una sacralità  superiori allo stesso interesse locale e se veramente il Mantione era uomo di cultura non doveva permettere quello scempio. Era  da quattro anni arciprete di Racalmuto, con prebende, quindi, cospicue. I mezzi occorrenti per sistemare un tetto o rafforzare un muro erano accessibilissimi. Ai miei occhi, il comportamento di quell’Arciprete appare incomprensibile. Un  pozzo di scienza, viene ritenuto. Ma la dimostrata insensibilità culturale (se non religiosa)  verso la chiesetta di S. Rosalia o Rosaliella gli riverbera una  poco esaltante ombra.
A voler sintetizzare, abbiamo dunque un’antichissima chiesetta che risale, a seconda delle varie versioni delle fonti,  al 1200 (Vetrano, Acquisto) o al 1208 (Salerno) o al 1320-30 (Cascini, Asparacio, Morreale) o al 1400 (Pirri). Forse realisticamente quella chiesa non esisteva prima del 1540 (epoca delle visite pastorali agrigentine).
Nel 1628, ad opera della Confraternita delle Anime del Purgatorio viene riadatta, o edificata (o riedificata) la novella chiesa di S. Rosalia che resiste sino al  3 giugno 1793 quando viene ceduta al sac. Salvadore Grillo essendo stata barattata dal can. Mantione per un altare con statua alla Matrice.
Ma già nel 1758 quella chiesetta era in cattivo stato. Il vero culto della Santa si era trasferito alla Matrice come attesta l’arc. Algozini  nella visita pastorale del  1732. Vi si riferisce il § IX ove è inclusa nell’elenco “delle processioni” quella di “S. ROSALIA”.

 

La vecchia chiesa di S. Margherita.

Scrive il Pirri:
Antiquissimum est templum olim maius S. Margaritae Virg. ab oppido ad 3 lapidis jactum, anno 1108 de licentia Episcopi Agrigenti a Roberto Malconvenant domino illius agri exctructum, praediisque auctum
Su tale chiesa incombono le decime destinate al 18°. canonicatus S. Margaritae [talora 10° Canonicato di Santa Margherita in Racalmuto]. Soggiunge il Netino:
«an. 1398, ob rebellionem Thomae de Miglorno Rex Martinus dedit Gerardo de Fimio in lib. Canc. ind. 6. ann. 1398. f. 137. Capib. f. 316. habet mediam decimam oppidi unc. 56.» Vi sono in questo passo richiami a documenti della Cancelleria e dei Capibrevi di Palermo: per i Capibrevi cfr. quelli pubblicati nel 1963 da Illuminato Peri [ Gian Luca Barberi - beneficia ecclesiastica - a cura di Illuminato Peri - G. Manfredi Editore Palermo - Vol. II , pag. 139]. Vi si legge: «canonicatus agrigentine sedis prebenda sancte margarite rayalmuti - [316] - Cum ob rebellionem et nephariam proditionem per presbiterum Thomam de Maglono canonicum agrigentinum contra serenissimum regem Martinum Sicilie regem perpetratam canonicatus agrigentine sedis cum prebenda ecclesie sancte Marie de Rayhalmuto agrigentine dioecesis vacaret, rex ipse auctoritate apostolica sibi in hac parte sufficienter impensa canonicatum ipsum cum eadem prebenda tanquam de regio patronatu presbitero Gerardo de Fino contulit et concessit, quemadmodum in ipsius domini regis Martini provisione in regie cancellarie libro anni 1398. VI. inditionis in cartis 137 registrata diffusius est videre.
Unde per verba illa, scilicet: ‘Auctoritate apostolica in hac parte nobis sufficienter concessa’ notandum est quod Sicilie reges a summis pontificibus perpetuam habuerunt prerogativam et potestatem conferendi omnia regni beneficia. invenitur enim reges ipsos non tantum beneficia regii patronatus, verum etiam alia ad prelatorum et aliarum personarum collationem spectantia contulisse, prout superius pluribus in locis expositum est. Nunc autem anno 1511 currente.»
Sulla chiesa abbia detto alquanto diffusamente prima. Per correntezza vi facciamo qui generico rinvio.


ARCIPRETI, SACERDOTI, RELIGIOSI E LAICI IN OLTRE DUE SECOLI DI STORIA RACALMUTESE - 1500-1731


Dopo la venuta della Madonna del Monte


 

Ad Ercole succede nella baronia il figlio Giovanni (il secondo di una serie che arriva a quota cinque).  Reperibile a Palermo negli atti del Protonotaro del Regno di Sicilia, un diploma che lo riguarda e che risale al 28 gennaio, VII^ Ind., 1519. In quel torno di tempo capitò ai Del Carretto un intreccio di fatti criminosi che un loro pronipote, Vincenzo Di Giovanni, ebbe poi voglia di raccontare in un suo volume dal titolo Palermo Restaurato, buttato giù subito dopo la celebre peste del 1624.

L’intreccio di omicidi e vendette fra nobili passò alla storia come il caso di Racalmuto, quasi celebre come quello di Sciacca. Un Del Carretto, Paolo, aveva avuto un contrasto con la famiglia Barresi di Castronovo ed al colmo della sua ira ebbe a schiaffeggiare un membro di quella nobile casa. Apriti cielo! Quando codesto Paolo Del Carretto con 25 cavalli andò a visitare don Ercole Del Carretto, signore di Racalmuto, spie avvertirono i Barresi che si mossero verso la piana di San Pietro per tendere un agguato. Ne scaturì una rissa con morti dell’una e dell’altra parte. Paolo del Carretto, il più animoso di tutti, brandiva a destra e a manca il suo pugnale per uccidere senza pietà. Ma una saetta nemica gli si conficcò in fronte e cadde a terra morto stecchito.

I Barresi poterono lavare l’onta subita ma dovettero riparare all’estero, a combattere con il maresciallo di Francia Lautrec, temendo la ritorsione della più potente famiglia dei Del Carretto. Passato un certo tempo, si reputarono al sicuro e tornarono in Sicilia. Morto, frattanto, Ercole Del Carretto, toccava al figlio primogenito Giovanni l’incombenza della vendetta di famiglia. Giovanni I, neo barone di Racalmuto, non se la sente di affrontare di persona i Barresi. E’ in rapporti di grande amicizia con Enrico Giacchetto di Naro, manigoldo sopraffino, e gli dà l’incarico di punire per suo conto l’oltraggio subìto. Enrico promette e nella città di Termine stermina la famiglia Barresi, che aveva frattanto abbandonato Castronovo. Le teste mozzate furono portate a D. Giovanni II a certificazione della consumata vendetta. Il Del Carretto ebbe quindi fastidi dalla giustizia di allora ma col tempo, per dirla con il cronista, “riuscì con vittoria, grandissimo onore e reputazione.” [4]

Codesto Paolo del Carretto affiora negli archivi della Curia Vescovile Agrigentina. E’ chierico, ossia un ordine minore del tempo che consente il matrimonio ed una normale attività laica. Non certo quella criminale. E’ vessatorio verso Racalmuto, tanto che pacifici cittadini - e persino un prete - gli fanno causa, nonostante i vincoli feudali che si erano già affermati. [5]

 

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