Vedo nella vicenda della Banca d'Italia una sorta di fenomeno vichiano ma rovesciato, non più in progressione ma in un ricorso regressivo. Durante il fascismo, vigendo il principio tutto nello Stato niente fuori dello Stato, alla Banca d'Italia toccò una funzione ancellare di questo statalismo nero: abile nel far di conti e nelle cose di bancaria fattura, modesta nella cultura, chiusa ai valori del progresso e della civiltà, sembrò bene poterla elevare ad organo tecnico del controllo pubblico dell'intero sistema creditizio italiano. Ma non le si volle affidare nessuna briciola di potere stauale; solo un organo di grande valore tecnico di cui avvalersi. Si inventò l'ìstituto dello 'avvalimento'. Dopo tante vicende, tante vicessitudini, tanti stravolgimenti politici e addirittra di rilevanza costituzionale, eccola ora nel limbo di uno smarrito e disorientato strumento tecnocratico ormai soltanto al servizio della superiore Banca Centrale Europea, in ultima analisi dell'ex governatore Draghi, che si sa più sensibile all'alta finanza americana che alle sorti dei vari ordinamenti sezionali del credito europeo. Visco spogliato da ogni potere di rilevanza costituzionale, va a sedersi nel consiglio di amministrazione della banca centrakle europea e pare in perfetta sintonia con Draghli. Il potere che era uscito dal granfe portone dagli alabardati cancelli di via Nazionale torna indietro maggiorato ma scisso dal parlamento italiano, tanto che Visco si può permettere di manco rispondere alle doverose domande dell'ex presidente del consiglio Renzi. Una costruzione statuale che scricchiola. Non può durare. Nel prossima legislatura si dovrà provvedere, si provvederà. Come? Al momento, buio a mezzogiorno. Inculture vetuste grignano. Speriamo bene. Calogero Taverna
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