I nostri excursus storici sono contrappuntati di desolazioni endemiche. Peste nel IV secolo, peste nel 1355, morte e sgomento per peste dal 1374 al 1375, tentativo di sfruttare l’epidemia del 1576 per pietire qualche sgravio fiscale; famigerata fu quella del 1624 ove si prodigò il medico racalmutese Marco Antonio Alaimo; contro la devastante peste del 1671 nulla poté fare il povero arciprete racalmutese della fine del Seicento, se non annotare in bella calligrafia la iattura capitata tra capo e collo; e fu iattura per tanti versi: da quella economica a quella sociale; da quella dell’umano vivere a quella del decomporsi morale e spirituale; per il clero con tanti fedeli in meno e quindi tante primizie assottigliate, per l’arciprete stesso, il cui gregge veniva drasticamente ridimensionato; d. Giuseppe Savatteri e Brutto morì nella peste del 1802; un temendo cataclisma era stato il colera del 1837. Un fraticello del Convento di S. Francesco ci ha lasciato questa agghiacciante testimonianza [68]: «Nell’anno 1837: mese di agosto vi fù il colera e in questa di Racalmuto morirono circa mille persone e furono sepolte nella sepoltura di Santo Alberto al Carmine, all’Anima Santa del Caliato, in Santa Maria di Gesù e porzione in San Francesco; Monte San Giuseppe e in altre chiese, cioè persone particolari; poi nella nostra sepoltura grande vi è sepolto il paroco don Antonino Grillo, che morì a 25 agosto 1827 ed altre persone riguardevoli.» Alla fine del XIX secolo altra morìa endemica, e per sovrappiù la “spagnola” nel 1919.
Se Sciascia, dunque, si concede la licenza storica di fari derivare il toponimo del apese da un’impressionante peste, ha le sue brave ragioni letterarie. E come tali, finiamo per accettarle e rispettarle. Ma non sono verità storiche né narrabili né adombrabili.
Il toponimo si diffonde in Sicilia nel 1178 e riguarda una località, che, sia chiaro, nulla ha a che fare con Racalmuto e che riguarda addirittura la lontana Polizzi Generosa.
Racalmuto si affaccia alla storia documentata con un plateale falso, quello confezionato dal celebre abate Vella, di cui alConsiglio d'Egitto del grande Sciascia . Quell'ingegnoso falsario propina a Mons. Airoldi questa pagina su Racalmuto, che, a nostro avviso, non era a quel tempo neppure sorto:
«O mio Padrone Grande assai, il servo della sua grandezza con la faccia per terra le bacia le mani e le dice che l'Emir di Giurgenta mi ha ordinato che avessi a numerare la popolazione di Rahal-Almut e dopo dovessi scrivere alla sua Grandezza una lettera e mandarla a Palermo. Ho numerato tutti ed ho trovato esservi 446 uomini, 655 donne, 492 figliuoli e 502 figliuole. Tutti questi fanciulli sia Musulmani che Cristiani sono sotto i 15 anni. Onde con la faccia per terra le bacio le mani e mi sottoscrivo così:
Il Governatore di Rahal-Almut: AABD-ALUHAR, per bontà di Dio servo dell'Emir
ELIHIR DI SICILIA.
24 del mese Regina (gennaio) 385 di Maometto (che corrisponde all'anno 998 dell'era cristiana)».
L'Abate Vella, evidentemente, era a conoscenza delle particolari attenzioni che mons. Airoldi dedicava in quel tempo alle rilevazioni statistiche della Sicilia Araba. Cercò, così, di assecondarlo. Resta, però, il fatto che il monsignore - fattosi avveduto dopo le note vicende giudiziarie del suo protetto - espurgò dai sui appunti di statistica demografica quell'accenno alla popolazione araba di Racalmuto. Di Rahal-Almut non troviamo infatti alcun cenno nelle serie demografiche dell'Airoldi pubblicate, nell'Ottocento, dal Ferrara, il noto economista siciliano.
Non così, invece, il nostro Tinebra Martorana che riporta integralmente la ghiotta pagina di pretesa storia locale. A dire il vero egli avverte, sia pure in nota [69] e con qualche astuzia linguistica, che trattasi di un falso. Ma forse ebbe a pensare che anche i falsi un qualche fondamento storico ce l'hanno pur sempre, e tanto valeva richiamarli. Si dava, purtroppo, il caso che nella circostanza il falso era totalmente falso ed anziché fornire un qualche lume, finiva con il far sviare del tutto dalla ricostruzione storica di un periodo racalmutese fra i più oscuri (e più chiacchierati, forse appunto perché oscuri).
Leonardo Sciascia sembra aver dato credito, in un primo momento, al falso dell'abate Vella e nelle Parrocchie di Regalpetra, Racalmuto figura esistente sin dal 998 «.. anno .. dell'era cristiana [in cui] il governatore arabo di Regalpetra scriveva all'emiro di Palermo "ho numerato tutti ed ho trovato esservi 446 uomini, 655 donne, 492 figliuoli e 502 figliuole"» . Ma, già nella Morte dell'Inquisitore, l'abbaglio viene emendato ed il dato demografico scartato. Al tempo poi della elaborazione del magistrale "Il Consiglio d'Egitto" lo scrittore conosce intus et in cute il grande imbroglio dell'intraprendente abate maltese. Rimembra il lapsus delle "Parrocchie" ed in fondo in fondo gliene dispiace. Si spiega così l’acre rimbrotto[70] che rivolge al suo - tutto sommato - apprezzato Tinebra Martorana, che suona un po’ falso, visto che la ripubblicazione delle "Memorie" del Tinebra l'aveva voluta proprio Sciascia.
Chi scrive, dal canto suo, è propenso a ritenere che bisogna risalire al tardo 1271 per avere il primo documento certo dell'esistenza storica di Racalmuto. Tutto quello che precede è frutto o di fantasia o di imbroglio - letterario o storico, poco importa - o di campanilismo visionario. Tutta la faccenda dell'etimo arabo di Racalmuto si tinge di bizzarria intellettualistica. Iniziarono certi araldisti del Seicento e da ultimo ci si è messo pure uno specialista di assoluto valore, il Pellegrini[71], che propina un Racalmuto equivalente a "Paese del Moggio".
E nel primo documento disponibile - quello appunto del 1271, che si conservava negli archivi angioini di Napoli - Racalmuto viene trascritto, quanto correttamente non si sa , come RACHAL CHAMUT. A questa trascrizione qui ci si aggancia per affermare che se un senso ha il toponimo "Racalmuto" questo non può allontanarsi di molto dal significato di "Fortezza di Chamuth". Come voleva il padre Parisi, e come affermava lo storico Garufi.
Il più antico documento ove viene menzionata una località denominata Rahal-kamuth risale – come si disse – al 1178: stilato in greco, fu pubblicato nel 1868 dal grande paleologo siciliano Salvatore Cusa. [72]
Vi si parla di una vendita a Berardo, priore di S. Maria di Gadera, di un fondo sito in RAHALHAMMUT, per il prezzo di 50 ta¬rì. A venderlo, nel settembre di quell'anno, fu tale Pietro di Ni¬cola Gudelo, insieme alla moglie Sofia ed ai figli Tommaso e Nicola. Il toponimo Rachal Chammoùt (rakal kammou/t) figura naturalmente scritto in greco e la vendita del terreno viene fatta al monastero di S. Maria di Gadera, sito nei pressi di Polizzi Generosa.
Il rimarchevole diploma del 1178 ha suscitato un particolare interesse in Garufi, un grande storico cui fa ricorso Sciascia nella Morte dell’inquisitore, il quale sembra opinare che il toponimo sia da riferire a Racalmuto, e così argomenta: [73]«soggiungo che l'unica e più antica notizia di Racalmuto, che ci permetta d'indagarne l'origine al di fuori delle cervellotiche etimologie di R a h a l m u t, casale della morte, si ha nella pergamena greca originale conservata tuttavia nel Tabulario di S. Margherita di Polizzi, la quale contiene l'atto di compra-vendita, dell'a. m. 6687, e. v. 1178, feb. ind. XII, di un fondo sito in Rachal Chammout. Sin dalle sue origini il casale fu denominato da Chammout, nome codesto di persona che per due volte ricorre fra i g a i t i testimoni saraceni nel diploma originale, greco-arabo, di Re Ruggiero dell'a.m. 6641, e.v. 1133 feb. ind. XIa ».
L'autorevole storico non ha avuto al riguardo nessun seguito. Non raccolse la tesi su Racalmuto Leonardo Sciascia e non seguono il Garufi storici come il Bresc o arabisti come il Pellegrini (come si è visto prima). Noi abbiamo tentato di confrontare questo documento con una sua copia in latino riportata e studiata dal Di Giovanni[74], e francamente siamo rimasti molto dubbiosi sulla fondatezza della tesi del Garufi.
Non si riferisca pure a Racalmuto, il documento, tuttavia, illumina sui processi di colonizzazione dei frati benedettini in quel torno di tempo. E tanto potrebbe giovare all'ipotesi di un insediamento benedettino a Racalmuto, come vorrebbe ad esempio il Pirri.[75] Sinora, La storia di Racalmuto resta purtroppo vincolata all'opera giovanile di Tinebra Martorana. I tanti tentativi posteriori non hanno per il momento, a dir poco, avuto presa sull'intellettuale collettivo del paese. Molto ha contribuito Sciascia nel rendere incorrodibile quel libretto di storia locale: il substrato che ne ha fatto per i lavori a dichiarato sfondo racalmutese (Le Parrocchie di Regapetra e Morte dell'Inquisitore) lega il nome del al dire del Tinebra, sublimato dal paradigma letterario sciasciano; la splendida prefazione scritta nel 1982 diffonde un'autorevolezza spropositata sulla fatica giovanile di quel medico racalmutese. Parole, come queste, risuoneranno magiche ed imperative in tempi futuri anche non prossimi: «Il libro [quello del Tinebra Martorana], per i racalmutesi, per me racalmutese, va bene così com'è: col gusto e col sentimento degli anni in cui fu scritto e degli anni che aveva l'autore, con l'aura romantica ed un tantino melodrammatica che vi trascorre. Certo manca di metodo, e tante cose vi mancano: ma credo che molti racalmutesi debbano a questo piccolo libro l'acquisizione di un rapporto più intrinseco e profondo col luogo in cui sono nati, nel riverbero del passato sulle cose presenti.»[76]
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[1] ) Fulco Pratesi e Franco Tassi, Guida alla natura della Sicilia, pp. 21-22, Mondadori, Milano 1974.
[2] ) ibidem, p. 204
[3]) FERDINANDO MILONE: SICILIA, LA NATURA E L’UOMO - Torino, 1960, pag. 13.
[4]) L. TREVISAN: LES MOUVEMENTS TECTIQUES RÉCENTS EN SICILE - HIPOTHÈSES ET PROBLÈMES.
[5]) LUIGI ROMANO: IDROGEOLOGIA DELLA PROPAGINI SUD-OVEST DELL’ALTIPIANO DI RACALMUTO -GEOLOGIA - Università di Palermo - Facoltà di Scienze - Anno Accademico 1978-79 , pag. 6
[6] ) L. Mauceri: Notizie su alcune tombe .. scoperte fra Licata e Racalmuto, in Ann. Inst. Corr. Arch., 1880
[7] ) S. Tine': L'origine delle tombe a forno in Sicilia, in Kokalos 1963, p. 73 ss.
[8] ) Leonardo Sciascia, L’antimonio, in Opere 1956-1971 – pag. 384, Bompiani Milano, 1987.
[9] ) ibidem, p. 384
[10] ) Sac. Calogero Salvo – Ecco tua madre – pp. 13-14 - Racalmuto 1994.
[11] ) Vincenzo Tusa e Ernesto de Miro – Sicilia Occidentale - p. 13 – Roma 1983.
[12] ) ibidem, p. 111
[13]) Presso l’Archivio Centrale dello Stato abbiamo rinvenuto la corrispondenza fra il Mauceri ed il Comm. G. Fiorelli di Roma “sulle antichissime tombe fra Licata e Racalmuto nella provincia di Girgenti”. Il Mauceri risulta essere ingegnere e direttore dell’Ufficio Centrale di Direzione in Caltanissetta delle Strade Ferrate Calabro-Sicule. (cfr. A.C.S. di Roma - Fondo: ANTICHITA' E BELLE ARTI (AA. BB. AA.) 1° VERSAMENTO - BUSTA N.° 21 -
Fascicolo 40.5.2 ).
[14]) LUIGI MAUCERI: NOTIZIE SU ALCUNE TOMBE ... SCOPERTE FRA LICATA E RACALMUTO, in Ann. Inst. Corr. Arch., 1880, pag. 17.
[15]) LUIGI MAUCERI: OP. CIT. pag. 18.
[16]) Pietralonga, a dire il vero, non fa parte del territorio di Racalmuto ma del finitimo Castrofilippo.
[17]) VINCENZO TUSA/ERNESTO DE MIRO: SICILIA OCCIDENTALE. - ROMA 1983 - pag. 114.
[18] ) PIETRO GRIFFO, Il museo archeologico regionale di Agrigento, Roma 1987, p. 219; vds. pure VINCENZO LA ROSA,L’insediamento preistorico di Serra del Palco in territorio di Milena, in Dalle capanne alle “Robbe”, cit. p. 43.
[19] ) VINCENZO LA ROSA, L’insediamento preistorico di Serra del Palco in territorio di Milena, in Dalle capanne alle “Robbe”,cit. p. 43
[20] ) ibidem, p. 52.
[21] ) CARLA GUZZONE, La ceramica del villaggio di Serra del Palco ed il territorio di Milena in età neolitica, in Dalle capanne alle “robbe” … cit. p. 55 e ss.
[22] ) LAURA MANISCALCO, Le ceramiche dell’età del rame nel territorio di Milena, in Dalle capanne alle “robbe” .., cit., p. 63 e ss.
[23] ) ORAZIO PALIO, La stazione di Serra del Palco e le fasi finali del bronzo antico, in Dalle capanne alle “robbe” … cit. p. 111 e ss.
[24] ) VINCENZO LA ROSA – ANNA LUCIA D’AGATA, Uno scarico dell’età del Bronzo sulla Serra del Palco di Milena, in Dalle capanne alle “Robbe” … cit, p. 93 e ss.
[25] ) FABRIZIO NICOLETTI, Industrie litiche, materie prime ed economia nella preistoria della media valle del Platani: continuità e cambiamento, in Dalle capanne alle “robbe” … cit. p. 117 e ss.
[26] ) Resta ancora basilare il vecchio studio del 1968 del De Miro, riportato anche nel volume “Dalle capanne alle robbe ..” varie volte qui citato. Molto ha aggiunto Vincenzo La Rosa, come si vede nello studio riportato a p. 141 e ss. Del citato volume.
[27] ) FRANCESCO TOMASELLO, Le tholoi di monte Campanella a Milena (Cl), in Dalle capanne alle “robbe” .. cit. p. 165 e ss.
[28] ) vds. Dalle capanne alle “robbe” .. cit. p. 241 nota a Tab. 1)
[29] ) v.d.s. ANDRÉ GUILLOU, L'Italia bizantina dall'invasione longobarda alla caduta di Ravenna, Vol. I, Torino 1980, pag. 316., per la datazione e PIETRO GRIFFO, Il museo archeologico regionale di Agrigento, Roma 1987, p. 192 per la data del ritrovamento.
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[30]) VINCENZO TUSA/ERNESTO DE MIRO: SICILIA OCCIDENTALE. - ROMA 1983 - pag. 14.
[31]) A.C.S. di Roma - Fondo: ANTICHITA' E BELLE ARTI (AA. BB. AA.) 1° VERSAMENTO - BUSTA N.° 21 -
Fascicolo 40.3.4 - (annotazioni interne: 1877 - 64-1-1 - Girgenti - Mattoni antichi con bolli, miniere solfuree).
[32]) C.I.L. [CORPUS INSCRIPIONUM LATINARUM] a cura di Teodoro MOMMSEN - Vol. X,2 p. 857 - TEGULAE MANCIPUM SULFURIS AGRIGENTINAE - 1883 - (nn. 8044 1-9).
[33]) NOTIZIE DEGLI SCAVI - Anno 1900, pagg. 659-60.
[34] ) GIOVANNI SALMERI, Sicilia Romana. Storia e storiografia, G. Maimone Editore, Catania 1992, pp. 29-43.
[35] ) M. COLONNA, L’industria zolfifera siciliana. Origini, sviluppo, declino. Catania 1971, pp. 14-15.
[36] ) Così giustamente R.J.A. WILSON, Sicily under the Roman Empire, Warminster 1990, p. 238 e p. 395 n. 8.
[37] ) Tavole di flessione: sulphuraria, sost.; sulpuraria, sost. sulphuraria, ae, f., solfatara, ULP. – Dig. XLVIII, 19, 8, 10; F.G.B. MILLAR, Condemnation to Hard Labour in the Roman Empire, «PBSR» 39 (1984), pp. 124-147.
[38] ) LEOPOLDO FRANCHETTI E SIDNEY SONNINO, Inchiesta in Sicilia, edizione fiorentina del 1974, pp. 269-279 del II volume.
[39]) KOKALOS 1963, pp. 163-184.
[40]) B. PACE, ARTE E CIVILTÀ, I pp. 393-4
[41]) L’accenno al MANCEPS conduce a quella datazione, se si accettano le argomentazioni in proposito di E. De Miro, quali si leggono nella sua relazione pubblicata in Kokalos XXVIII-XXIX, 1982-1982, pag. 324.
[42]) Oggi custodito nell’androne del Comune, da tempo immemorabile giaceva prima al Castello.
[43]) Guida d’Italia del Touring Club Italiano - Sicilia - ed. 1968, pag. 303.
[44]) ERNESTO DE MIRO: CITTÀ E CONTADO NELLA SICILIA CENTRO-MERIDIONALE, NEL III E IV SEC. D.C. - in Kokalos pag. 320. In quella relazione, spunti riguardanti specificatamente Racalmuto si colgono nella Tav. XLIV [la Tegula di cui alla Fig. 1d - CIL X 8044, 1 - MANCIPU[M] - [S]ULFORIS - SICILI[AE] - ST, se non è proprio quella del Picone, è del tutto analoga.]
[45]) E. De Miro, op. cit. pag. 321.
[46]) E. De Miro, op. cit. pag. 320.
[46]) B. PACE, Arte e Civiltà della Sicilia Antica I, 1935, p. 393 ss.
[47]) E. De Miro, op. cit. passim.
[48]) M.R. LA LOMIA, in Kokalos, VII, 1961; E. DE MIRO, in Encicopledia Arte Antica, VII, 1966, p. 276, ID, in Kokalos, XVIII-XIX, 1972-73, pp.247.
[49]) Sidonio Apollinare - Carm. II - Panegirico recitato in Roma all’imperatore Artemio (ediz. di Parigi 1599). Di risalto i versi 362-372. Si celebra la vittoria di Ricimero del 456 con questi encomiastici tratti:
Agrigentini recolit dispendia campi,
Inde furit, quod se docuit satis iste nepotem
illius esse viri, quo viso, Vandale, semper
Terga dabas, nam non siculis illustrior arvis,
Tu, Marcelle, redis per quem tellure, marique
Nostra syracusios texerunt arma penates.
(Da G. Picone: Memorie Agrigentine, pag. 283).
[50]) Il Griffo (op. cit.) accenna all’esposizione di «un ripostiglio di aurei imperiali (ben 207 pezzi) del V secolo d.C. proveniente da Racalmuto per scoperta occasionale del 1940. » A suo dire il medagliere sarebbe stato oggetto di «un accurato inventario a cura della dott.ssa M. T. Currò-Pisanò, che s’era preso anche carico di elaborarlo per le stampe». (Ibidem, pag. 317). Abbiamo cercato di saperne di più presso il Museo di Agrigento, ma del tutto invano.
[51] ) Bisogna innanzitutto invertire l’ordine: Eracleona (Eraclio II) viene ben prima di Tiberio II. Eraclio è dei primi decenni del secolo VII, mentre il Tiberio delle monete cui si riferisce il Guillou chiude nel 711 la sua dinastia. Per il primo vds. GEORG OSTROGORSKI, Storia dell’impero bizantino, Einaudi Torino 1968, pp. 95,99,100; per il secondo, ibidem, pp. 120-122, 157.
[52]) B. PACE, Arte e Civiltà della Sicilia Antica IV, p.174.
[53]) V. D'ALESSANDRO, Per una storia delle campagne siciliane nell'Alto Medioevo, in Archiv. Storico Siracusano, n.s. V, 1981.
[54]) ANDRÉ GUILLOU, L'Italia bizantina dall'invasione longobarda alla caduta di Ravenna, Vol. I, Torino 1980, pag. 316.
[55]) Cfr. ARCH. STOR. SIRAC., n. s. IV. 1975-76, pag. 74, n. 149
[56]) P. GRIFFO, Il Museo Archeologico Regionale di Agrigento, 1987, pag.192.
[57]) UMBERTO RIZZITANO, Gli Arabi di Sicilia, in Storia d’Italia diretta da G. Galasso, UTET 1983, Vol. III, pagg. 384 e ss.
[58]) «Khafagia ibn Sufyàn era indubbiamente una personalità di primo piano; si era già distinto in Ifrìqiya all’epoca della rivolta dei giùnd, dando prova di grande fedeltà alla dinastia aghlabita. Quando arrivò in Sicilia non mancava quindi né di esperienza né di prestigio personale. Il primo anno della sua permanenza a Palermo lo trascorse, secondo Ibn al-Athìr, più che in operazioni militari proprio nel delicato compito di ristabilire ordine e disciplina fra gli elementi musulmani, e di armonizzare conquistatori e conquistati: condizioni indispensabili alla ripresa delle operazioni militari. Cfr. IBN AL-ATHÌR, Al-Kàmil, pag. 312. Cfr. anche SMS, I, 482.
[59]) Su tale toponimo RAHL abbiamo appuntato tutta la nostra attenzione ritenendo che potesse essere quello del nostro paese. AMARI riduce in RAHL un RACEL che trovavasi nel manoscritto malaterrano che fu trafugato dall'Italia dallo spagnolo ZURRITA e pubblicato a Saragozza nel 1578. Quel manoscritto è andato perduto. La pubblicazione che resta ancora l'edizione principe fu recepita nella colossale opera di Ludovico Antonio MURATORI RERUM ITALICARUM SCRIPTORES nel vol. V con il sintetico titolo HISTORIA SICULA, Gaufredi MALATER¬RAE. Il Muratori dà la lezione RACEL e in calce annota RASEL-BISAR ad indicazione di altre lezioni da lui tenute presenti. L'Amari non si produce in ulteriori ricerche paleografiche: distingue RACEL da BIFAR; per lui arabista, RACEL equivale a RAHL [casale]; si confessa incapace di individuare un RAHL nelle pertinenze agrigentine, che ne sono piene. Il PICONE segue la pista dell'AMARI e nelle sue MEMORIE (cfr. pag. 401) reputa incompleto il toponimo e segna RAHAL..., distinguendolo comunque da BIFAR, una località piuttosto nota tra Campobello di Licata e Licata. Si sa che la raccolta di 'scriptores rerum italicarum' è stata, a cavallo di secolo, oggetto di pregevolissime riedizioni con interventi di personalità della cultura del calibro del CARDUCCI. Il testo del monaco benedettino dell'XI secolo ha avuto nel 1927 una diligentissima riedizione con una illuminante introduzione da parte di Ernesto PONTIERI. Questi venne in Sicilia; trovò altri codici (A=Cod. X. A 16 della Biblioteca Nazionale di Palermo; B=Cod.II.F 12 della Società Siciliana per la storia patria; C=Cod. 97 della Biblioteca universitaria di Catania e D=Cod. QqE 165 della Biblioteca comunale di Palermo) che, comunque, mutili e scorretti e pur sempre derivanti dalla fonte dell'edizione principe del 1578, non gli furono di molto aiuto. Il PONTIERI adottò la lezione RASELBIFAR, legando insieme Racel e Bifar, e in nota fornì la versione della Biblioteca universitaria di Catania (C): RACEL GIFAR. Nel 1937, Carlo Alfonso NALLINO, nel integrare le note della STORIA DEI MUSULMANI DI SICILIA di M. AMARI contro¬batteva al PONTIERI e reinterpretava il passo malaterrano con questa dissertazione [aggiunta a nota n. 1 di pag. 177 op. cit.]: «In realtà i castelli sono 10 e non 11. L'ed. princeps del Malaterra (Saragozza 1578), e le prime cinque che la seguirono pedissequamente, hanno 'Ravel, Bifara', come se si trattasse di due luoghi diversi; ció ingannó V.D'Amico, Diz. topogr. trad. Dimarzo (Palermo 1855-56, l'ed. latina è del 1757-1760), che nel vol. I, pag. 143-144 tratta di Bifara e nel II, p. 398 di RACEL (dal solo Malaterra), e quindi l'Amari. Nessuno dei due pose mente all'attenzione del Diz. stesso, I, p. 143, che Bifara 'dicesi anche RAGAL BIFARA' (evidentemente nell'uso locale siciliano). Il traduttore Dimarzo, I p. 144, n. 1, osserva che Bifara ' è un sottocomune aggregato a Campobello di Licata ..., in provincia di Girgenti (Agrigento) ..., circondario di Ravanusa'. Campobello dista 50 Km. da Girgenti (Agrigento) e 9 da Ravanusa. E. Pontieri, ultimo editore del Malaterra (1928), trovò nei mss. anche le varianti Raselbifar e Raselgifar e scelse a torto la prima nel testo (p. 88) e nell'indice (p. 153), mentre è certo che il primo componente e rahl (racel, racal, ragal), come ben vide l'A.» [cfr. pag. 178 op. cit.] Quel che sorprende in entrambi quest'ultimi due studiosi è il fatto che con la loro lezione i casali conquistati da Ruggiero il Normanno diventano dieci in aperto contrasto con la premessa del MALATERRA che parla di ben undici castelli agrigen¬tini presi all'arabo CHAMUTH: una contraddizione che andava per lo meno giustificata. Come si vede un gran pasticcio e ci scusiamo se l'averlo qui accennato può essere apparso pedante e tedioso. Ma è l'unico proba¬bile appiglio ad una fonte storica delle origini del toponimo RACALMUTO. Alla fine della fatica, vien però da domandarsi se è proprio importante trovare un antico toponimo da assegnare alla storia della nostra terra.
[60]) A completamento del discorso sui toponimi svolto nella precedente nota, riportiamo il commento dell'AMARI nella sua STORIA (pag. 177, n. 1): «I nomi delle castella prese nella provincia di Girgenti, sono tolti dal Malaterra, correggendo alcun evidente errore del testo. Rimane dubbio il suo Racel, che ho trascritto sicu¬ramente in Rahl (stazione), ma vi manca il nome che dee seguire per determinare quella appellazione generi¬ca, il qual nome io non saprei indovinare tra i moltissimi Rahl di quella provincia. Credo avere bene letto Ravanusa il Remise (variante Remunisse) del testo, poiché MICOLUFA sorgea presso Ravanusa. Del resto Simone da Lentini, autore del XIV secolo, il quale copiò Malaterra nel suo libro 'La conquista di Sicilia' recente¬mente uscito alla luce (Collezione d'opere inedite e rare, Bologna 1865, in -8), dà otto soli nomi degli undici, dicendo non avere ritrovato gli altri ne' testi; ed un ms. della stessa opera, appartenente alla Bibliothèque de l'Arsenal in Parigi (Ital. N. 68) ne dà sette soltanto: Platani, Musan, Guastanella, Catala¬nixetta, Bosolbi, Mocofe, Ciaxo 'e li altri, aggiunge, non so chi si fusseru e non si canuxirianu, ect.). Intorno i nomi non si trovano nella lista odierna de' Comuni di Sicilia, vi vegga il Dizionario Topografico dell'Amico e l'Indice che io ho messo in fine della 'Carte comparée de la Sicile, [1859], Notice'.»
[61]) Michele AMARI - STORIA DEI MUSULMANI DI SICILIA, Catania 1937, Vol. III, parte prima, pagg. 174, ss. Nel trascrivere il CHAMUTH del MALATERRA in HAMMUD, l'AMARI annota [nota 1 di pag. 175]: «la h, sesta lette¬ra dell'alfabeto arabico, fu resa per lo piú, sino ad uno o due secoli addietro, con le lettere latine ch; e il d, ottava lettera, piú spesso con una t che con una d. L'anonimo ha HAMUS [cioè ANONIMO, presso Caruso, Bibl. Sic. pag. 855]. Sapendosi dalla storia che Chamuth, fatto cristiano con tutta la famiglia, rimase sotto il dominio del conquistatore, possiamo ben identificare il casato con quello di Ruggiero HAMUTUS, già proprietario di certi beni che Federico II concedea nel 1216 alla chiesa di Palermo (Diploma presso Pirro, Sicilia Sacra, p. 142) e dell'Ibn Hammud, ricchissimo signore che Ibn GUBAYR vide in Sicilia nel 1185. Questo nobil uomo poteva essere nipote o bisnipote del regolo di Castrogiovanni. Sapendosi ch'ei portasse il soprannome d'Abû al Qâsim, sembra anco il Bucassimus, celebre per brighe alla corte di Palermo, ne' primordi del regno di Guglielmo il Buono....». Ancor oggi, alcune nobili famiglie siciliane vantano discendenze da quel ceppo Hammûdita. Trattasi dei nobili NICASIO di BURGIO. Impietoso l'Amari contro il libello di Nicasio Burgio, conte palatino XXIII intitolato «La discendenza di Achmet ultimo potente ammira fra i Saraceni dominanti in Sicilia, rappresentato in questo medesimo luogo dalla chiarissima famiglia Burgio», pubblicato a Trapani nel 1786. Indulgente il NALLINO che nella stessa nota si dilunga accogliendo le precisazione di una nobildonna di quella famiglia. Costei segnala che i primogeniti della casata Burgio continuano a chia-marsi ACHMET, ( ad. es. ACHMET RUGIERO NICASIO BURGIO, principe di Aragona e di Villafiorita, di Palermo). Per quel che ci riguarda, un'ipotesi potrebbe avere qualche fondamento. Tra i beni del citato Ruggiero HAMUTUS poteva esserci qualche signoria sul diruto castello di Racalmuto, un tempo appartenuto al nonno, o bisnonno, CHAMUTO. Ma trattasi di congettura che lascia il tempo che trova.
[62]) Trascriviamo qui per eventuali cultori delle fonti l'intero passo latino della cronaca del Malaterra: «Comes ergo Rogerius, omnes potentiores Siciliae a se debellatos gaudens, et nemine, excepto CHAMUTO, seper¬stite, ad hoc assidua deliberatione intendit, ut ipso circumveniendo debellato, omnem sibi de caetero Sici¬liam subdat. Unde, exercitu admoto, ipso apud Castrum-Joannis immorante, uxorem eius ac liberos apud Agri¬gentinam urbem obsessum vadit, anno Dominicae Incarnationis millesimo octogesimo sexto [l'AMARI corregge in 1087], prima die Aprilis, quam undique exercitu vallans, diutina oppressione lacessivit; studioque machina¬mentis ad urbem capiendam apparatis, tandem vicesimaquinta die Julii viribus exahusta, imminentibus hosti¬bus, patuit: uxor Chamuthi, cum liberis, Comitis inventa est captione. Comes itaque, pro libitu suo positus, uxorem Chamuti, omni dehonestatione prohibita, suis custodiendam deliberata, sciens Chamutum sibi facilius reconciliari, si eam absque dehonestatione cognoverit tractari. - Urbem itaque pro velle suo ordinans, castello firmissimo munit, vallo girat, turribus et propugnaculis ad defensionem aptat, finitima castra incursionibus lacessens ad deditionem cogit. Unde et usque ad undecim aevo brevi subjugata sibi alligat, quorum ista sunt nomina: Platonum, Missar, Guastaliella, Sutera, Rasel, Bifar, Muclofe, Naru, Calatenixet, quod, nostra lingua interpretatum, resolvitur Castrum foeminarum, Licata, Remunisce.» [Le lezioni dei nomi sono molte e spesso fortemente differenziate. Chi volesse averne completa conoscenza, deve consultare l'edizione del PONTIERI, varie volte citata, pag. 88 e ss. A parte RASEL, che ovviamente abbiamo seguito con puntigliosa attenzione, per il resto abbiamo scelto alquanto liberamente, intendendo privilegiare le lezioni che maggiormente si avvicinassero ai toponimi di Platani, Muxaro, Guastanella, Sutera, Racalmuto, Bifara, Milocca (?!), Naro, Caltanissetta, Licata e Ravanusa.
[63] ) Ci appare cerebrale questo passo: «la mia residenza qui, quella residenza che di molto precede la nascita, è cominciata con gli arabi, dagli arabi» LEONARDO SCIASCIA, Occhio di Capra, Adelphi Milano 1990, p. 13.
[64]) Ibn Hamdis: poeta arabo, nato a Siracusa verso il 1053 e morto in Africa nel 1133. Vedi MICHELE AMARI, Biblioteca Arabo-Sicula - Torino 1880 - pagg. 312 e ss.
[65] ) LEONARDO SCIASCIA, introduzione a Peitro d’Asaro «il monocolo di Racalmuto», Racalmuto 1985, p. 20.
[66] ) LEONARDO SCIASCIA, Occhio di capra, cit. p. 12.
[67]) Nicolò Tinebra Martorana: Racalmuto - memorie e tradizioni - Palermo 1982, pp. 35 e ss.
[68] ) Archivio di Stato di Agrigento - Convento de’Minori sotto Titolo di S. Francesco d’Assisi - Inventario n.° 46 fascicolo n.° 531 - “Libro vestiario”
[69]) NICOLO' TINEBRA MARTORANA - RACALMUTO MEMORIE E TRADIZIONI . ASSESSORATO AI BENI CULTURALI DEL COMUNE DI RACALMUTO 1982. A pag. 36 si può leggere questa rivelatrice nota: «Codice diplomatico arabo - Torino 3°, p. 1, f - Si dubita però della autenticità di quel Codice, perché il suo autore è stato condannato per falsità».
[70]) Nel licenziare l'opera del Tinebra, Sciascia sembra più interessato ai valori letterari del libro di quel ventenne studente in medicina che alle risultanze della ricerca storica. Il Tinebra Martorana avrebbe, secondo Leonardo Sciascia (cfr. pag. 8), cercato «.. di non ignorare tutto quello che, in opere di storia generale e locale, riguardasse Racalmuto: ma sentiva fortemente la tentazione dell'accensione visionaria, fantastica. Ne è spia di questa tentazione alla visionarietà, alla fantasia, il suo non resistere al piacere di riportare un documento falso pur sapendo che è falso: ed è la letteradel governatore arabo di Racalmuto (Rahal-Almut) all'Emiro di Palermo, fabbricata, come tutto il codice che la contiene, dal famoso Giuseppe Vella: un personaggio di cui ho raccontato ascesa e caduta nel Consiglio d'Egitto. E voglio confessare che anch'io non mi sono privato del piacere di riportare quel documento pur conoscendone la falsità, e precisamente nelle Parrocche di Regalpetra. Solo che Tinebra Martorana, facendo storia, aveva minore libertà di quanto io ne avessi, e perciò quella sua strana, per un libro di stora, nota : "Si dubita però dell'autenticità di quel Codice, perché il suo autore è stato condannato per falsità". Altro che dubitare: se ne era , nel 1897, certissimi.»
[71]) Giovan Battista Pellegrini, in Dizionario di Toponomastica - I nomi geografici italiani - UTET 1990. Racalmuto - vi si legge - "deriva dall'arabo Rahl al Mudd = uguale Casalis Modi (Cusa 24, 25 e 221) 'sosta, casale' del Mudd <latino modium 'Moggio' ". "Paisi di lu Munnieddu", dunque, alla siciliana. Ma di modii e mondelli Racalmuto non ha la configurazione. L'immagine potrebbe valere per il vicino Monte Formaggio di Sutera. Del resto, può escludersi qualsiasi vecchio fonema che suonasse simile a Racalmuddo o Racalmullo ed analoghi.
[72] ) SALVATORE CUSA, I di¬plomi greci ed arabi di Sicilia, Palermo 1868, pag. 657-658 e pag. 729.
[73]) Cfr. CARLO ALBERTO GARUFI, 'PATTI AGRARI E COMUNI FEU¬DALI DI NUOVA FONDAZIONE IN SICILIA' in ARCHIVIO STORICO SICILIANO, anno 1947, parte II dell'articolo, pag. 34.
[74]) ARCHIVIO STORICO SICILIANO - 1880: Memorie Originali - Vincenzo di Giovanni: Il Monastero di S. Maria la Gàdera poi Santa Maria de Latina esistente nel secolo XII presso Polizzi. - Pag. 15 e segg.
[75]) Il compianto padre Calogero Salvo ha invero demolito da ultimo una siffatta ipotesi.
[76]) Cfr. Prefazione in NICOLO' TINEBRA MARTORANA - RACALMUTO MEMORIE E TRADIZIONI . ASSESSORATO AI BENI CULTURALI DEL COMUNE DI RACALMUTO 1982, pag. 9.
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