Padre
Puma era stato un buon teologo ma non eccelso. Quello che aveva voglia di
primeggiare, in contesa con padre Pirrera, era il nostro padre Calogero Salvo, consacrato
un anno prima, proteso – sembrava – ad alte cariche, ma per suoi smarrimenti
nelle astuzie clericali, finì in depressione
funzionale, non fu manco monsignore, neppure parroco decente, alla fine
solo rettore del Collegio e quandosi permise di stigmatizzare il mestiere della
recente defunta Moana Pozzi si prese su Malgrado Tutto tante di quelle male
parole da Fofu Sciè da restare esterrefatti.
Padre
Puma venne subito requisito dall’arcigno Arciprete Casuccio , lo vedete qui
longilineo serio ma sereno, dignitoso, diciamo altero. Se ne sta tra il nostro
quasi liliale padre Puma e l’impagabile Giugiu di Falco, personaggio ancora
vivo e vegeto per doverlo adulare oltre il decente in questa sede.
Padre
Puma è qui in prossimità del natale del 1950. Dico questo perché questa che
vedete nulla ha che fare con azioni cattoliche, con clericali assemblee, con
vicende pentacostali: è solo la foto ricordo di un dramma tutto al maschile a
titolo: ho ucciso mio figlio!
Insomma,
mi dispiace prr il mio caro amico dottor Carmelo Rizzo, questa è solo una delle
tante foto ricordo della filodrammatica a suo tempo potuta allignare properio
nel teatrino della sacrestia della matrice, in occupazione di parte del
giardino. A quei tempi, al verde
attrezzato non si badava. Ed ovvio, l’arciprete
Casuccio non era tipo da fare o da avere a che fare con dei teatranti sia pure
dilettanti. Ma una presenza in una foto ricordo non la disdegnava come a fine
anno scolastico in occasione della prima comunione.
A quella
filodrammatica mi appiccicai pur io magari
in veste da seminarista che però aveva
ormai deciso di buttare alle ortiche la tonachina coi bottoni rossi anche per
via di un cappellaccio a larghe falde che rendeva inesorabilmente ridicoli e
che allontanava gli sguardi puritani fuori ma ardenti dentro delle ragazzine di
allora che non erano quelle petturute e longilinee stanghe di adesso ma un qualche
vezzo femmineo lo avevano: Ma neache noi maschietti a dire il vero potevano
chiamarci in anteprima giovani “Fico”.
Eppure,
io che ho sempre avuto il complesso della non avvenenza fisica a riguardarmi
adesso non ero, a 16 anni, da buttar via: sto a fianco di un mio coetaneo, poi
compagno di liceo al Pirandelo di Agrigento, Angelo Morreale. Angelo Morreale
diverrà poi il marito di una bella nipote di padre Puma, ma allora manco a
pensarci. Lo vi suole qui invecchiare con un pizzetto appiccicaticio che lo
rende alquanto buffo ma era uno dei belli del paese, bene messo in carne e a
confronto dei lilliput del luogo quasi un gigante. Io e lui siamo entrambi
seduti e quindi non sfiguro.
Angelo
Morreale. diciamo che era un giano
bifronte: frquentava ambienti parrinara ma non disdegnava di far comunella con
la nuova jeunesse doré, quella dei Nestore Falletta, Alfonso Scimé, Peppi Troisi, Carminu Piazza
ed altri pochi, di professione “studenti”, figli di papà, come dire di soci del
Circolo Unione, già protesi a verniciare di rosso (ma un rosso più che socialista,
socialdemocratico) l’essere già
candidati alla crestomazia paesana. Succedendo ai vari Nalbone, Scimé, Alaimo,
Sciascia, Fucà e quant’altri già potevano assidersi nelle poltrone del già
lodato Circolo Unione. A questa nuona
schiatta di aristocratici social popolari si aggregava soprattutto il poliedrico
Totò Marchese e il suo inseperabil amico Elia Avenia. AngeloMoreale era della casta nobile a pieno titolo
ma non ci disdegnava a noi parrinara. Se
mi si dice che c’era già aria di Azione Cattolica, rispondo: non ricordo.
[segue]
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