domenica 24 febbraio 2013
Sciascia spiega Guttuso a Guttuso
A sorpresa, questo è il quadro di Guttuso che Sciascia preferisce e predilige.

Si rimane confusi o ammaliati nella girandola di richiami colti, di associazioni erudite e dissociazioni improvvise di uno Sciascia così diverso dalle soavi ipotassi del suo scrivere libri sempre più contratti ma trasparenti di concetto. Qui invece Sciascia spazia ed osa fino a qualche funambolismo non sappiamo davvero se convinto o ardito per cogliere la sfumatura di un pensiero che non riesce a far coagulare come vorrebbe.
E’ chiaro: si cimenta in critica che non è suo mestiere e valuta un amico, non siamo informati se ancora nel pieno del rapporto di consuetudinaria amistà o già smunto per la nota controversia sull’avere o non dovere avere famiglia dopo la faccenda con Berlinguer.



Sembra che possa giungersi a questo punto ad un aforisma, ad una sorta di definizione: “il disegno moderno, nel suo divenire autonomo, nel suo svincolarsi dalla pittura e nel suo – qualche volta – vincolare la pittura … muove dal centro delle cose e perciò le rende alle cose”. E teso l’arco pare che la freccia colga il bersaglio: “un disegno di cui ci dà esempio Guttuso”.
Sciascia però non è del tutto convinto, Aggiunge: “facciano ancora un passo avanti – per il disegno, per i disegni di Guttuso – con Baudelaire “.
Arriva il genio e tutto scombussola: Baudelaire non è banale, non può essere banale (ad onta di quello che si dispiegherà dopo). Zampilla una “fondamentale distinzione”: «quella tra i disegnatori esclusivi e i disegnatori coloristi.»
Non siamo tenuti a fare il compitino scolastico, il “riassunto” dei tempi della mia infanzia alle elementari. Salto, mi affascina, sconcerta e non sempre convince l’esplosione della genialità di questo Genio nato a Racalmuto, la terra secondo qualche imbecille ove potrebbe allignare solo un prete assassino “intelligente”. Sciascia è ora magistrale; ci spinge ad essere filosofi, se ne siamo capaci.
Non siamo tenuti a fare il compitino scolastico, il “riassunto” dei tempi della mia infanzia alle elementari. Salto, mi affascina, sconcerta e non sempre convince l’esplosione della genialità di questo Genio nato a Racalmuto, la terra secondo qualche imbecille ove potrebbe allignare solo un prete assassino “intelligente”. Sciascia è ora magistrale; ci spinge ad essere filosofi, se ne siamo capaci.

Ma Sciascia non è appagato: reputa ciò approssimazioni, gradi di avvicinamento. A che cosa? «le cose di Guttuso sono quanto di più vicino alla vita si possa dare nell’arte; e il disegno è il mezzo espressivo suo in cui lo scarto tra l’arte e la vita si riduce al minimo. »
E non basta: sono da espungere il “come” e la sua ombra: «la vicinanza alla vita è data dal fatto che sono come la vita, che somigliano alla vita, ma appunto dal contrario. Non somigliano alla vita non sono come la vita: sono su un piano che non è quello della vita, la vita.»
Calogero Taverna
[continua]
martedì 5 febbraio 2013
RITORNO A GUTTUSO: un mio pezzo che malgradotutto censurò!
Visto che un vecchio REMEO QUATTRO viene rivisitato ora in questo mio blog. torno a ripubblicarlo con l'espunione di qualche macchia di dattilografica grammatica. Ritorno a GUTTUSO.
Mando questa nota sapendo pur bene che finisce inesorabilmente nel cestino. Come tante altre mie. Non me ne adonto. La coincidentia oppositorum può scattare una sola volta. La seconda è stucchevole; la terza è irriguardosa. Cosa posso valere io – e mia moglie ride quando faccio critica d’arte, sapendomi daltonico all’eccesso? Cosa posso contrappore al validissimo prof. Cipolla in materia di arte, di figuratismo, di cromatismo, di pittura alla Guttuso? Nulla. Eppure non mi nego l’uzzolo di un piccolo dissenso. Guttuso nasce e cresce sotto il fascismo; Croce, pur in sospetto di antitetico liberalismo, regge e governa l’estetica del momento. Già, l’arte per l’arte. Trasborda Guttuso nel postfascismo. Schizzi, grafici, secchezze stilistiche. Sembra del tutto affine ad un ipotattico ma desolato Sciascia. Ma quella di Guttuso è solo un istante di disorientamento. Mattioli, da banchiere che sfotte la liquidità bancaria in greco, salva, pubblica e lancia Gramsci. L’estetica italiana traballa. Viene György Lukács e chissà quale realismo vuole imporci. Non quello sovietico. Questo è il paese del sole, della luce, della poesia, del colore: quello più vivido, quello più accecante; quello mediterraneo; quello dei fichidindia, quello della Vucceria o quello più complesso del dopo, dei funerali, delle cornici piene di mostri bagarioti a proteggere figure, composizioni, complessità rappresentative. E poi quel di dietro di una neo contessa che ossessiona; ed una lascivia di caprone che vuole aggredire la sua preda femminile e aggredirla dal retrostante. C’è una via italiana al socialismo; può esserci uno stradone per una divampante pittura italiana che può conciliarsi con un seggio in Via delle Botteghe Oscure.
E Sciascia? Quello di Galleria che chiosa il pauperismo pittorico di un Marino? Che di Guttuso ricorda certi abbozzi per un Vittorini in vena di conversare con depressi piccoli siciliani o con falsi grandi Lombardi. Scrive Sciascia al nostro ineffabile Cacciato – in cerca di alata critica – che lui non si intende di arte, non capisce la grande pittura, i neroidi gli sembrano minchionerie da analfabeti (ed un po’ razziste). Lui è fermo alle xilografie, alle acqueforti, alle acquetinte a quelle cose piuttosto opache che può lasciare – tutte – alla divisata fondazione che per scaramanzia non vorrebbe a suo nome, al limite a quello di un suo simile, un altro eretico di quel di Racalmuto: un diacono mandato all’inferno dall’Inquisizione con pregustazione delle lacerazioni della umana combustione. E la storia politica? E’ cosa seria se dopo qualcosa rimordeva fino a qualche scritto che credo di aver letto sul fatto che non amava il Nostro il ripararsi dietro l’aver famiglia: ed era atroce rimbrotto per chi amico non era più. Ma in quel caso era Guttuso ad avere ragione! L’amore per la verità – quale verità poi? Quella di svelare segreti che potevano mettere a repentaglio il dovere di avere discreti rapporti con stati stranieri per uno Stato Civile quale l’Italia. Tutti possiamo sbagliare: quella volta sbagliò Sciascia. Un solo errore in una vita integerrima. Poco male!

E Sciascia? Quello di Galleria che chiosa il pauperismo pittorico di un Marino? Che di Guttuso ricorda certi abbozzi per un Vittorini in vena di conversare con depressi piccoli siciliani o con falsi grandi Lombardi. Scrive Sciascia al nostro ineffabile Cacciato – in cerca di alata critica – che lui non si intende di arte, non capisce la grande pittura, i neroidi gli sembrano minchionerie da analfabeti (ed un po’ razziste). Lui è fermo alle xilografie, alle acqueforti, alle acquetinte a quelle cose piuttosto opache che può lasciare – tutte – alla divisata fondazione che per scaramanzia non vorrebbe a suo nome, al limite a quello di un suo simile, un altro eretico di quel di Racalmuto: un diacono mandato all’inferno dall’Inquisizione con pregustazione delle lacerazioni della umana combustione. E la storia politica? E’ cosa seria se dopo qualcosa rimordeva fino a qualche scritto che credo di aver letto sul fatto che non amava il Nostro il ripararsi dietro l’aver famiglia: ed era atroce rimbrotto per chi amico non era più. Ma in quel caso era Guttuso ad avere ragione! L’amore per la verità – quale verità poi? Quella di svelare segreti che potevano mettere a repentaglio il dovere di avere discreti rapporti con stati stranieri per uno Stato Civile quale l’Italia. Tutti possiamo sbagliare: quella volta sbagliò Sciascia. Un solo errore in una vita integerrima. Poco male!
Calogero Taverna
Nessun commento:
Posta un commento