[scrivevo molto tempo fa ... a futura memoria, visto che secondo me il futuro ha sempre più fervida memoria e i falsari e i plagiari del passato finisce con lo sbeffeggiarli] Quanto a Santa Rosalia preciso che: - a mantenere sia pure al lumicino la fiaccola della devozione a Santa ROSALIA, la vera PATRONA di Racalmuto (dato che la sagra della Madonna del Monte è stata sempre un accavallarsi di mercemoni e di furberie fallaci anche da parte dell'altissimo clero agrigentino) è stato il maestro don Pino Mattina, seguito a dire la verità da Dino Casuccio che ogni anno il 4 settembre faceva celebrare a sue spese una santa messa; - che dopo gli impiastricciamenti di Genio il primo ad volere la riabilitazione della Santuzza di Palermo è stato il sottoscritto, tanto da venire sbeffeggiato in un foglietto dattiloscritto affisso in Piazzetta e dintorni; . che a sensibilizzare l'arciprete Puma con carte documenti corrette letture di diplomi e testi manoscritti (questi dell'arciprete Genco) è stato il dottore Calogero Taverna, prima che prendessero canso a Racalmuto i vari Nalbone e coreuti; - che la superfetazione di TICCHITI' è appunto una buffa superfetazione come traspare in questo mio scritto di tanti anni fa. -----------
L’osanna dell’orrido – la notte rosa ci aspetta – Il comune triplica le tasse per non licenziare i poveri CO.CO.CO – Dice di non avere soldi – In cambio di una intervista addomesticata i soldi per una notte al profumo di rosa si riesce a trovarli.
Denis MacK Smith – anglicano miscredente ma amico di Sciascia – scrive nella sua storia della Sicilia medievale e moderna (vol. 1° pag.258 s,) «Un’altra infezione giunse a Palermo nel 1624 su due navi che portavano schiavi cristiani riscattati da Tunisi. La vita della città giunse ad un arresto completo. Le reliquie di s. Cristina e s. Ninfa venivano portate ininterrottamente in processione per le strade diffondendo così l’infezione. Molti morirono, compreso il viceré, e Van DycK, che gli stava facendo il ritratto, fuggì all’esero. Il cardinale Doria condannò a morte un medico greco accusato di avere deliberatamente diffuso la peste per ottenere onorari supplementari, ma si scoprì che un rimedio più empirico consisteva nel bruciare gli oggetti infetti. Fallito ogni altro tentativo, furono rinvenute miracolosamente le ossa di s. Rosalia in una grotta vicino Palermo; sembra che il cardinale arcivescovo fosse a tutta prima dubbioso, ma l’opinione pubblica premeva e dopo sei mesi di caute deliberazioni da parte di dottori e teologi, egli accettò di retrocedere di grado le sue rivali e di nominare s. Rosalia principale patrona della città. Palermo fu liberata dalla peste, e d’allora in poi le elaborate feste di s. Rosalia divennero ogni anno la grande ricorrenza sociale di Palermo.»
Dopo tale lettura e dopo i miei riscontri nel Cascini e presso i padri bollandisti cercai di spingere il mio amicissimo padre Puma a fare avanzare di grado Santa Rosalia a Racalmuto (a dire il vero a farle riconoscere il grado che aveva dal 1626) e soffiare i festeggiamenti a padre Mattina. L’ho già scritto: fallii. Padre Puma era uomo saggio e mica un vacuo misticheggiante. Ma, una piccola vittoria l’ottenni: padre Puma riuscì a trasformare la melanconica deserta messa che ogni 4 settembre il maestro Pino Mattina faceva celebrare in una dignitosa celebrazione.
Dopo il Cascini – un gesuita del seicento che a servizio del Doria cardinale riuscì a mettere assieme oltre seicento pagine di una santa di perduta memoria, anche se di discreta devozione – a Racalmuto era stato l’arciprete Genco (tutt’altro che ignoto come vorrebbe un conclamato storico locale) ad andare a Palermo, consultare quel polveroso grosso volume e farne una sintesi manoscritta, peraltro in bella calligrafia. Ma a ben vedere il Tinebra Martorana ancora a fine Ottocento non sapeva nulla di Santa Rosalia, dopo il nefando mercimonio tra il canonico Mantione e il nobile Grillo sacerdote dei baroni Grillo, a fine Settecento. Ma un gesuita – sempre loro –predicava nella chiesa di San Giuseppe che sicuramente S. Rosalia era nata a Racalmuto. Fonte? Padre Cipolla: documento? Un diploma infiorato custodito in matrice.
Padre Puma ebbe a mostrarmelo svariati decenni fa. Cercai di tradurlo. Per uno scettico come me vedere un vicario generale del Doria (don Franciscus De La Riba) vendere a caro prezzo due frammentini di ossa di chissà quale cadavere per sante reliquie di Santa Rosalia a dei citrulli racalmutesi mandati dalla fedifraga vedova Del Carretto, faceva specie. E.N. Messana ci casca e giù una fandonia di un nobile Savatteri (nome spagnolo per dire ciabattino) figlio di un tal Scipione del medesimo casato che impavido va a Palermo tra gli appestati e porta a Racalmuto i frammenti mortuari salvifici: In premio: la figlia del conte e feudi al Serrone.
Da panzana in panzana arriviamo all’altra sera a solennizzare uno sgorbio sol perché qualcuno ebbe a scrivere "oggi un’antica immagine di Santa Rosalia, dipinta ad olio su legno, è visibile, nel Corso Garibaldi, in una edicola sul prospetto dell’abitazione della Famiglia Cutaia."
In quell’aureo trattato c’è posto per me? Sì come mero traduttore peraltro maldestro, visto che le notorie disattenzioni dattilografiche lì appaiono mie deprecabili topiche, mentre i meriti sono di chi manco una riga dell’originale stentava a decifrare. Se do del falsario, se do del plagiario non ho qualche ragione?
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