function setAttributeOnload(object, attribute, val) {
if(window.addEventListener) {
window.addEventListener('load',
function(){ object[attribute] = val; }, false);
} else {
window.attachEvent('onload', function(){ object[attribute] = val; });
}
}
gapi.load("gapi.iframes:gapi.iframes.style.bubble", function() {
if (gapi.iframes && gapi.iframes.getContext) {
gapi.iframes.getContext().openChild({
url: 'https://www.blogger.com/navbar.g?targetBlogID\0755039062673969151797\46blogName\75Contra+Omnia+Racalmuto\46publishMode\75PUBLISH_MODE_BLOGSPOT\46navbarType\75LIGHT\46layoutType\75LAYOUTS\46searchRoot\75http://contraomniaracalmuto.blogspot.com/search\46blogLocale\75it\46v\0752\46homepageUrl\75http://contraomniaracalmuto.blogspot.com/\46targetPostID\0755203600570675375585\46blogPostOrPageUrl\75http://contraomniaracalmuto.blogspot.com/2013/05/santa-teresa-in-estasi_4.html\46blogFollowUrl\75https://plus.google.com/114859913207357567959\46vt\0754832630295565722418',
where: document.getElementById("navbar-iframe-container"),
id: "navbar-iframe"
});
}
});
(function() {
var script = document.createElement('script');
script.type = 'text/javascript';
script.src = '//pagead2.googlesyndication.com/pagead/js/google_top_exp.js';
var head = document.getElementsByTagName('head')[0];
if (head) {
head.appendChild(script);
}})();
Contra Omnia
Racalmuto
...per mestiere spiego bene agli altri quello che per me non
comprendo.
sabato 4 maggio 2013
Una soave affabile signora romana, affascinante più del sole
che sorge nella mia natia Racalmuto da dietro il Castelluccio, quando è estate,
sia pure indirettamente mi vuol disorentare dalle mie anguste, pedestri,
ironiche visioni delle opere dell'arte propinandomi questo particolare
berniniano.
Credo che alle donne che non possono vedersi in cert loro declivi dei terminali singulti d'amore il Bernini può far loro pensare che abbiamo una santa, che digiuna, che gli affanni di un corpo giovane sono stati mortificati e libera daglii artigli della carne salgono sino ai cieli e vedono e dantescamente si immergono nelle paradisiache luminarie della suprema potestà divina. Estasi di santa, dunque, estasi di Santa Teresa d'Avila. Per i tanti incolti come me, propino qui sotto anch'io la cultura in pillole delle enciclopedie virtuali (ma poco virtuose)..
Ma ad un maschio come me, aduso a considerar peccato le gioie del sesso sin dai suoi 12 anni e mezzo, ma un peccato di cui non ha mai potuto fare a meno e piano piano ha dissmesso di pensare che godendo su questo pianeta può davvero finire all'inferno perché offenderebbe de sexto et de nono quel suo padre celeste che, via, è stato poi lui a mettergli quel piacevole fuoco nelle vene che dal gioco solitario piano piano ma sempre più piacevolmente e partecipativamente l'ha potuto infondere ad un'altra creatura del signore, molto pù bella ma meno irosa nelle gioie d'amore. E davvero quello sguardo, quella bocca languidamente socchiusa l'ha affascinato per essere anche lui il coautore dell'orgasmo femminle. E non se n'è più confessato come del resto non faceva neppure con i suoi primi e solitari atti impuri, anche se il prete confessore birichino voleva sapere, curiosava.
Ma qui la santa è vestita, e le donne nei giacigli del peccato per arrivare lì dove in due ci si arriva con un insaziabile cimento erano ignude e a dir vero non del tutto monde (per parafrasare il D'Annunzio del Piacere). E allora chissà forse le sante sogliono godere sole e vestite. VERGINE SERAFICA. Vergine chi - per giunta con sangue ispano - ebbe "travagliato percorso", un po' arduo a convenirne; SERAFICA, a dilettar gli occhi su questo splendido viso "in estasi" , non si è molto disposti a credere. Ma questa è arte barocca e al barocco possiamo ascrivere ascetezze alla Borromini ma anche devianze alla Bernini, almeno a Roma, città davvero libera, anche se sede d papi, o appunto per questo.
Credo che alle donne che non possono vedersi in cert loro declivi dei terminali singulti d'amore il Bernini può far loro pensare che abbiamo una santa, che digiuna, che gli affanni di un corpo giovane sono stati mortificati e libera daglii artigli della carne salgono sino ai cieli e vedono e dantescamente si immergono nelle paradisiache luminarie della suprema potestà divina. Estasi di santa, dunque, estasi di Santa Teresa d'Avila. Per i tanti incolti come me, propino qui sotto anch'io la cultura in pillole delle enciclopedie virtuali (ma poco virtuose)..
Ma ad un maschio come me, aduso a considerar peccato le gioie del sesso sin dai suoi 12 anni e mezzo, ma un peccato di cui non ha mai potuto fare a meno e piano piano ha dissmesso di pensare che godendo su questo pianeta può davvero finire all'inferno perché offenderebbe de sexto et de nono quel suo padre celeste che, via, è stato poi lui a mettergli quel piacevole fuoco nelle vene che dal gioco solitario piano piano ma sempre più piacevolmente e partecipativamente l'ha potuto infondere ad un'altra creatura del signore, molto pù bella ma meno irosa nelle gioie d'amore. E davvero quello sguardo, quella bocca languidamente socchiusa l'ha affascinato per essere anche lui il coautore dell'orgasmo femminle. E non se n'è più confessato come del resto non faceva neppure con i suoi primi e solitari atti impuri, anche se il prete confessore birichino voleva sapere, curiosava.
Ma qui la santa è vestita, e le donne nei giacigli del peccato per arrivare lì dove in due ci si arriva con un insaziabile cimento erano ignude e a dir vero non del tutto monde (per parafrasare il D'Annunzio del Piacere). E allora chissà forse le sante sogliono godere sole e vestite. VERGINE SERAFICA. Vergine chi - per giunta con sangue ispano - ebbe "travagliato percorso", un po' arduo a convenirne; SERAFICA, a dilettar gli occhi su questo splendido viso "in estasi" , non si è molto disposti a credere. Ma questa è arte barocca e al barocco possiamo ascrivere ascetezze alla Borromini ma anche devianze alla Bernini, almeno a Roma, città davvero libera, anche se sede d papi, o appunto per questo.
Teresa d'Ávila
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Motivo: gli ultimi edit di Pentauro
hanno inserito fatti irrilevanti scritti in modo pov. da rileggere e sfoltire
profondamente
Per contribuire, correggi i toni enfatici o di parte e
partecipa alla discussione. Non rimuovere questo avviso
finché la disputa non è risolta. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento.
|
Santa Teresa d'Ávila
|
|
Santa Teresa di Gesù in un dipinto di Pieter Paul Rubens
|
|
Vergine e dottore della Chiesa
|
|
Nascita
|
|
Morte
|
|
Venerato da
|
Chiesa cattolica
|
Santuario principale
|
Basilica di Santa Teresa, Alba de Tormes
|
Ricorrenza
|
|
Attributi
|
abito delle Carmelitane Scalze, cuore trafitto
|
Patrono di
|
scrittori, persone malate nel corpo, cordai, orfani,
persone in cerca di grazia, persone degli ordini religiosi, persone
ridicolizzate per la loro pietà [senza fonte] , Croazia,
Spagna
|
Teresa di Gesù, o d'Ávila, al secolo Teresa Sánchez de
Cepeda Dávila y Ahumada (Ávila, 28 marzo 1515 – Alba de Tormes, 15 ottobre
1582), è stata una religiosa e mistica
spagnola.
Entrata nel Carmelo di Avila a vent'anni, fuggita di casa,
dopo un travagliato percorso interiore che la condusse a quella che definì in
seguito la sua "conversione" (a trentanove anni), divenne una delle
figure più importanti della Riforma cattolica grazie alla sua attività di scrittrice
e riformatrice delle monache e dei frati Carmelitani Scalzi, e grazie alla fondazione di
monasteri in diversi luoghi di Spagna, e anche oltre (prima della sua morte
venne fondato un monastero di Scalzi a Lisbona).
Morì adAlba de Tormes nel 1582 durante uno dei suoi
viaggi.
Fu autrice di diversi testi nei quali presenta la sua
dottrina mistico-spirituale e i fondamenti e le origini del suo ideale di
Riforma dell'Ordine carmelitano. La sua opera maggiormente celebre è "Il castello interiore" (intitolato
anche "Mansioni"), itinerario dell'anima alla ricerca di Dio
attraverso sette particolari passaggi di elevazione, affiancata dal
"Cammino di perfezione", e dalle "Fondazioni" nonché da
molte massime, poesie e preghiere, alcune delle quali particolarmente celebri[1].
Proclamata beata nel 1610 e poi santada papa Gregorio
XV nel 1622,
fu annoverata tra i dottori della Chiesa nel 1970 da Paolo VI,
insieme a Caterina da Siena.
Indice
· 6 Opere
· 7 Note
|
Teresa de Ahumada nacque il 28 marzo
1515, terzogenita di
Alfonso Sanchez de Cepeda e di Beatrice de Ahumada.
Il padre, di origine toledana e di stirpe ebrea, s'era unito
in prime nozze con Caterina del Peso (morta l'8 settembre
1507), figlia d'una nobile
famiglia d'Avila, dalla quale erano nati due figli, Giovanni Vazquez de Cepeda
e Maria de Cepeda[2].
Dopo la morte di Caterina, Alfonso si unì in seconde nozze con Beatrice de
Ahumada, dalla quale nacquero altri nove figli: Fernando Ahumada, Rodrigo de
Cepeda, Teresa de Ahumada, Lorenzo de Cepeda, Antonio de Ahumada, Pietro de
Ahumada, Gerolamo de Cepeda, Agostino de Ahumada e Giovanna de Ahumada.
La famiglia s'era stabilita dal 1505 nell'ex palazzo della
Zecca cittadina, vicino la porta di Monte Negro, per tal motivo denominato de
la Moneda. Pochi gli episodi conosciuti sull'infanzia della piccola Teresa. Fra
di essi è noto il tentativo di fuga intrapreso col fratello Rodrigo verso un
immaginario paese dei mori, dove i due bambini, pensando alle vicende dei
martiri, speravano di versare il sangue per la fede[3].
La vita familiare è descritta dalla stessa Teresa, nella sua Autobiografia, a
brevi pennellate: “Mio padre era uomo di grande carità coi poveri e pieno di
compassione per i malati”[4];“mia
madre era molto virtuosa; si comportò dappertutto con grandissima onestà. Era
molto bella, ma non si vide mai che facesse caso della sua bellezza. Era mite,
di grande intelligenza”[5].
E, ricorda ancora Teresa, era anche appassionata di romanzi cavallereschi[6],
passione rimproverata dal marito, il quale proibì ai figli di leggerne.
Gli anni dell'adolescenza furono trascorsi dalla giovane
Teresa in compagnia dei numerosi fratelli e dei cugini della casa attigua, i de
Cepeda: Pietro, Francesco, Giovanni, Diego, Vincenzo, Ines, Anna e Geronima.
Per uno di essi, sembra, provasse anche un forte sentimento d'affetto che il
confessore consigliò di coltivare in preparazione a un futuro fidanzamento[7].
Severo resta il suo giudizio nei confronti d'una delle cugine, rimasta anonima,
per la sua vanità nel vestirsi e nell'abbigliarsi ricordando in seguito,
rimproverandosene, come anche lei aveva preso parte a queste perdite di tempo[8].
Dopo il primo grave lutto, la morte del fratello maggiore Giovanni in battaglia
nel 1524,
seguì la perdita della madre Beatrice, già da tempo sofferente, tra il 1529 e il 1530[9].
Subito dopo la giovane venne mandata dal padre per
completare la sua educazione presso il monastero delle agostiniane di Nostra Signora delle Grazie ad
Avila, dove entrò dopo il matrimonio della sorella Maria con don Martino Guzman
y Barrientos, a Villatoro nel 1531[10].
Lì fu per la giovane Teresa parecchio influente la figura delle maestra delle
educande Maria Briceno che con i suoi insegnamenti e i suoi discorsi condusse
la fanciulla alla prima vera crisi esistenziale: “Avevo tanta paura che mi
venisse la vocazione religiosa- ella stessa scrisse- ma nel medesimo tempo
sentivo una gran paura anche per lo stato matrimoniale”[11].
Monastero dell'Incarnazione di Avila
Una grave malattia costrinse, nel 1532, Teresa a tornare
alla casa paterna. Per potersi ristabilire, ancora degente, si trasferì per un
soggiorno campagnolo presso la sorella Maria a Castellanos de la Canada.
Durante il viaggio ebbe un nuovo incontro con lo zio paterno Pietro Sanchez de
Cepeda, che dopo la morte della moglie s'era ritirato a vita solitaria, il
quale offrì alla giovane diversi libri di spiritualità.
Tornata dal Castellanos, Teresa si dedicò alla vita di
famiglia, dirigendo la casa paterna per tre anni, durante i quali anche il
fratello Rodrigo, a cui ella era molto affezionata, intraprese un viaggio
oltreoceano verso le nuove colonie spagnole in America,
dove cadde in battaglia nel Cilecontro gli Araucani[12].
L'agosto e l'ottobre del 1536 furono per Teresa il tempo della cosiddetta “grande
crisi”[13],
durante la quale ella prese la ferma decisione di entrare in monastero presso
le carmelitane dell'Incarnazione di Avila.
La risposta del padre, Alfonso, fu quanto mai severa: egli
non avrebbe mai accettato l'ingresso della figlia in convento, “il più che si
poté ottenere- scrive la stessa Teresa- fu il permesso di fare quello che avrei
voluto, dopo la sua morte”[14].
Dopo alterni tentativi e interventi di familiari e amici, la giovane, ancora
fermamente risoluta, decise di fuggire dalla casa paterna insieme al fratello
Antonio, appena quindicenne. I due, allontanatisi insieme, si separarono alle
porte del convento delle carmelitane dove la giovane fu accolta dalle monache,
con le quali aveva preso accordi precisi nei giorni precedenti. Diversamente
avvenne per Antonio: respinto dai domenicani, dei quali desiderava far
parte, e dai frati di San
Gerolamo, a causa di una grave malattia, decise di partire anche lui
per le Americhe dove morì, nella battaglia di Quito, sui monti dell'Ecuador[15].
Subito dopo l'ingresso di Teresa, rassegnato il padre Alfonso
entrò in trattative con le monache del monastero per stabilire la dote della
figlia: venticinque moggi di pane, per metà grano e per metà orzo nonché
duecento ducati d'oro[16].
Ad essi il ricco genitore avrebbe ancora aggiunto il prezioso corredo.
Nell'autunno del 1536ebbe
così luogo la cerimonia dell'ammissione al noviziatodove
la giovane, circondata dalle monache in capitolo, fu accolta dalla madre priora
Francesca del Aguila. Il 2 novembredello stesso anno fu invece celebrata
la solenne vestizionedurante
la quale Teresa assunse il tipico abito delle monache carmelitane. Cominciava
per lei l'anno di noviziato come ella stessa racconta in vari brani della sua
Autobiografia, con il quale si preparava alla professione, che ebbe finalmente
luogo il 3 novembre
1537, dopo un lungo
periodo di travaglio intimo, da lei stessa paragonato a quella che aveva già
dovuto vincere per abbandonare la casa paterna[17].
Non passò lungo tempo che la giovane monaca fu colta da un
grave disturbo fisico: “Gli svenimenti aumentarono e mi si aggiunse un mal di
cuore così violento che tutti coloro che mi sostenevano ne rimanevano
spaventati”[18].
Il padre, preoccupato, si vide costretto a condurre via per un certo tempo dal
monastero la figlia, le cure ebbero subito inizio nella casa paterna ma i
disturbi non diminuirono e don Alfonso si risolse a recarsi a Becedas
presso una rudimentale curatrice locale. Lungo il tragitto, durante una sosta
presso lo zio Pietro Sanchez a Hortigosa, Teresa ricevette in dono il Tercer
Abecedario di Francesco de Osuna, un trattato sull'orazione, che molto avrebbe influito
sulla spiritualità della giovane monaca[19].
Le cure ricevute a Becedas non fecero altro che peggiorare la salute di Teresa,
la quale, dopo due mesi, fu ridotta in fin di vita e ricondotta ad Avila dove i
medici, all'unanimità, giudicarono il caso come disperato.
Non passarono giorni che la monaca, sfinita dai dolori,
sembrò essere davvero morta. Le consorelle in monastero giunsero perfino a
scavarle il sepolcro mentre uno dei familiari fece cadere sulle sue palpebre un
po' di cera per vederne le reazioni. Solo don Alfonso insistette perché non si
provedesse ai preparativi funebri[20]e,
come questi aveva pensato, dopo quattro giorni l'agonizzante rinvenne, svilita
da atroci sofferenze (debolezza per non aver mangiato nulla, gola riarsa, mal
di testa, irrigidimento delle membra[21])
ma viva. Alla fine di maggio del 1539 fece ritorno al monastero e si stabilì all'infermeria,
non essendo ancora in grado di riprendere l'usuale vita in cella. Ci vollero
all'incirca tre anni perché il suo stato di salute migliorasse.
Diversi furono i tentativi di spiegare questa terribile
malattia: chi ipotizzò un caso d'isterismo (Jean-Martin Charcot, Hahn[22]),
chi una gastriteacuta
(P. L. De San[23]),
chi la quartana doppia (Imbert Courbeire, Gabriela
Chunningame Graham[24])
e chi infine vide in essa il frutto delle rigorose penitenze[25].
A causa del lungo periodo di degenza, Teresa si trovò frattanto
piuttosto libera dagli orari della vita claustrale e poté così sviluppare
intensi rapporti con esterni, compreso il padre Alfonso, cominciando a
intessere una rete di amicizie che molto le sarebbero servite successivamente
durante la sua attività di riformatrice. Viene descritta, da coloro che la
conobbero, come una donna signorile e nello stesso tempo semplice e brillante,
gradevole “nel tratto e nella conversazione, accesa d'amor divino e soave nelle
parole”[26];
così che ben presto il parlatorio divenne luogo di incontro per gli avilesi
desiderosi di conoscere e parlare con Teresa.
Francesco Borgia
Col passare dei giorni la religiosa cominciò però a ritenere
quegli incontri, nonostante fosse parecchio attaccata ad essi, una vera e propria
perdita di tempo, a causa dei quali ella perdeva i momenti da dedicare alla
preghiera[27].
In quello stesso periodo Teresa tornò alla casa paterna per assistere il padre
agonizzante, che morì il 24 dicembre 1543, dopo due settimane
di intense sofferenze[28].
Tra il 1554 e il 1555 avvenne il significativo episodio che avrebbe condotto la
religiosa al ribaltamento della propria vita: “I miei occhi caddero sopra una
immagine che era stata posta lì, in attesa della solennità che doveva farsi in
monastero. Raffigurava Nostro Signore coperto di piaghe. Appena la guardai mi
sentii tutta commossa, perché rappresentava al vivo quanto Egli aveva sofferto
per noi: fu così grande il dolore che provai al pensiero dell'ingratitudine con
la quale rispondevo al suo amore, che mi parve il cuore mi si spezzasse. Mi gettai
ai suoi piedi tutta in lacrime, e lo supplicai a darmi forza per non offenderlo
più”[29].
Fu quella che lei stessa definisce come la sua seconda conversione, a seguito della
quale cominciò nuovamente a dedicarsi all'intensa orazione e a ridurre i
passatempi, particolarmente significativa fu per lei la lettura delle Confessionidi
sant'Agostino[30].
Cominciava un lungo periodo di intensa vita spirituale,
durante il quale la religiosa fece le esperienze in seguito descritte nei suoi
libri, ma che condusse ad un altrettanto lungo periodo di sofferenze e
persecuzioni: in seguito al drammatico caso della clarissa Maddalena della
Croce, ritenuta dagli stessi sovrani spagnoli una santa, ma successivamente
riconosciuta come una folle posseduta, s'era diffuso un certo turbamento nei
confronti di queste anime dedite alla spiritualità come Teresa. Gaspar Daza,
suo confessore, e Francesco De Salcedo, suo intimo confidente, la ritennero ben
presto vittima di illusioni demoniache, accusa per la quale la religiosa soffrì
amaramente[31].
Fondamentale fu per lei la direzione dei padri gesuiti, Diego de Cetina in particolare
(che si recò da lei tra il 1555 e il 1556), che ristabilirono alquanto la drammatica situazione in
cui ella era occorsa, si ricordi a tal proposito l'incontro nel 1557 col futuro santo, il
gesuita Francesco Borgia, un tempo potente ministro di Carlo V,
il quale le ridonò fiducia e la incoraggiò a continuare il suo cammino
spirituale. Ci fu anche una corrispondenza epistolare tra i due sebbene queste
lettere andarono perdute[32].
Fino al 1558
Teresa poté intessere continui rapporti con confessori gesuiti, come Giovanni
de Pradanos (che sostituì Diego de Cetina trasferito da Avila), essendo per
lungo tempo ospite in casa della ricca vedova Jeronima Guiomar de Ulloa, con la
quale ella strinse una forte amicizia.
Dopo la partenza del confessore Giovanni de Pradanos, Teresa
cominciò a farsi seguire spiritualmente da un sacerdote appena ordinato, il
gesuita Baltasar Alvarez, il quale, intimorito e dalla questione suddetta della
posseduta Maddalena della Croce e della straordinaria esperienza interiore
della figlia spirituale, decise di consigliarsi sul suo caso in una riunione di
circa cinque o sei uomini dotti, tra ecclesiastici e laici, fra cui possiamo
ricordare il confidente della santa, Francesco de Salcedo, e il suo precedente
confessore, Gaspar Daza. Unanime il verdetto: Teresa era vittima di possessione
diabolica.“Io ero estremamente paurosa- scrisse ella stessa ricordando quei
dolorosi avvenimenti- tanto che alle volte non osavo star sola in una stanza
neppure in pieno giorno: il mal di cuore a cui andavo soggetta aumentava per di
più i miei timori. Vedendo dunque, che tante persone affermavano ciò che io non
sapevo ammettere, fui presa da gravissimi scrupoli, temendo che da parte mia ci
fosse poca umiltà. Quelle persone infatti erano dotte e di vita
incomparabilmente più santa della mia: perché non avrei dovuto credere alle
loro parole?”[33].
Fu per lei uno dei periodi di maggior tribolazione: le venne proibita la
comunione e perfino la solitudine, si pensò di esorcizzarla.
Nel 1560
fu l'intervento del frate Pietro d'Alcantara a dissipare i dubbi della
religiosa e quelli dei suoi accusatori. I due ebbero il loro primo incontro in
casa di Jeronima de Ulloa[34],
Teresa confidò al francescano tutto il proprio dolore e l'intensa sua vita
spirituale, e questi non solo la tranquilizzò ma le diede perfino preziosi
consigli, avendo egli stesso attraversato simili momenti “mi trattò con molto
riguardo mettendomi a parte dei suoi pensieri e dei suoi progetti, e vedendo
che il Signore m'infondeva dei pensieri tanto coraggiosi di fare anch'io come
egli faceva, s'intratteneva con me con visibile soddisfazione”[35].
Dall'incontro con l'ascetico francescano sorse pian piano in Teresa quel
progetto di Riforma dell'ordine carmelitano che l'avrebbe resa famosa in tutto
il mondo.
Sorto sul monte Carmelo,
dove alcuni eremiti si erano ritirati in piccoli monasteri, il primo nucleo
dell'ordine era stato regolamentato da Alberto, patriarca di Gerusalemme,
verso il 1209.
Fu nel 1432,
precisamente il 15 febbraio, che Eugenio IV,
attraverso la “bolla di mitigazione”, modificò attraverso diverse concessioni
l'austerità della regola originale dei primi monaci del Carmelo. Ora Teresa
avrebbe progettato di ricondurre l'ordine alle sue origini: fu una sera nella
sua stessa cella che, in compagnia di Giovanna Suarez, amica d'infanzia, e
altre quattro compagne, che sorse l'intuizione di questa futura riforma del
Carmelo[36].
Questo desiderio, fattosi ogni giorno sempre più vivo in lei,[37].
condusse la religiosa a chiedere il parere di Pietro d'Alcantara, che in quel
tempo similmente era dedito alla riforma dell'ordine francescano in Spagna. Il
suo parere fu positivo e il consenso del padre provinciale, Gregorio Fernandez,
permise così a Teresa di dare il via ai lavori della fondazione del primo
monastero riformato, proprio nella sua città di Avila.
Il monastero di San Giuseppe oggi
“Appena in città cominciarono a conoscere il nostro disegno
scrosciò su noi una persecuzione così violenta che sarebbe troppo lungo
raccontarla”[38].
La città si schierò decisamente contro questo nuovo progetto di riforma, senza
considerare le ostilità che si fecero giorno dopo giorno sempre più intense
all'interno dello stesso monastero dell'Incarnazione. Dalla parte di Teresa si
schierò però, dopo un lungo periodo di riflessione, il domenicano Pietro
Ibanez, uno dei più insigni teologi dell'epoca, le cui risposte in difesa della
Riforma costrinsero a tacere gran parte dei suoi avversari. Cuore del progetto
era un'innovazione che influenzò parecchio il giudizio dei contemporanei: le
nuove monache avrebbero vissuto semplicemente di elemosine. Ciò turbò lo stesso
provinciale, Gregorio Fernandez, inizialmente propenso a quest'opera di
rinnovamento.
Trascorsero all'incirca sei mesi nella continua incertezza
finché Teresa non decise di fondare il suo primo monastero in segreto. In
accordo con la sorella Giovanna e suo marito Giovanni de Ovalle acquistò una
casa ad Avila e cominciò, segretamente, la trasformazione dell'edificio. Le
prove nello stesso tempo non si alleggerivano e una sera nella chiesa di San Tommaso,
come raccontano Giovanni de Ovalle e sua figlia Beatrice[39],
il predicatore puntò il dito contro la religiosa lì presente, dinanzi a gran
parte della cittadinanza, tacciandola di vanità e orgoglio. I lavori
continuavano ma un fatto imprevisto avrebbe allontanato Teresa: donna Luisa de
la Cerda, ricca signora di Toledo, chiedeva la compagnia della religiosa perché la
consolasse della recente morte del marito don Antonio Arias de Saavedra.
La notte di Natale il provinciale Angelo de Salazar ordinò a Teresa di
raggiungerla[40].
Le due donne strinsero un forte legame d'amicizia e lì a Toledo, Teresa ebbe
modo di conoscere Maria di Gesù, terziaria, la quale progettava come lei una
riforma dei costumi religiosi, “era donna di grande penitenza ed orazione. Era
talmente superiore a me nel servizio di Dio, che davanti a lei mi sentivo piena
di vergogna”[41].
Di ritorno ad Avila, giunsero i dispacci col breve
pontificio di autorizzazione a fondare il monastero, posto sotto l'obbedienza
del vescovo di Avila, Alvaro de Mendoza. I lavori furono così ben presto
conclusi e al pian terreno sorse così una piccola cappella con due porte
(sormontate una da un'immagine della Vergine Maria,
l'altra di San Giuseppe) e una grata doppia che permetteva
alle monache di partecipare alla Messa. Il 24 agosto
1562 furono aperte per la
prima volta le porte del conventino dove Gaspar Daza accolse e diede l'abito
alle prime quattro carmelitane “scalze”: Antonia de Henao,
Maria de la Paz, Ursula de Revilla y Alvarez, Maria de Avila[42].
Non trascorsero neppure sei ore che una lettera annunciò a
Teresa la triste verità: la priora del Monastero dell'Incarnazione ordinava il
suo repentino ritorno. Tornata in convento, Teresa si rese ben presto conto che
la sua idea di riformare il Carmelo non era certo stata accolta di buon grado
dalle consorelle, alcune delle quali avevano formato un vero e proprio gruppo
di dissidenti. Dopo un primo colloquio dai risvolti positivi con la priora,
Maria Cimbròn, Teresa fu sottoposta a una vera e propria sessione di tribunale
monastico[43],
in presenza del padre Angelo de Salazar, padre provinciale dei carmelitani,
della priora e delle anziane del convento. I risultati furono incoraggianti per
la religiosa, la quale non solo non fu punita ma convinse perfino il sacerdote
sulla sincerità delle proprie intenzioni.
Ma i problemi non erano ancora terminati: la stessa città di
Avila si schierò apertamente contro la nuova fondazione. Il 25 agosto
il governatore, Garcia Suarez de Carvajal, si recò personalmente al monastero
con uno squadrone di soldati ordinando alle quattro monache lì presenti di
abbandonare immediatamente l'edificio. Vanificato questo primo tentativo, i
maggiorenti della città tennero un'assemblea plenaria il 30 agostoseguente
e fu solo per intervento del domenicano Domenico Banez, celebre teologo
dell'epoca, che non si passò direttamente all'azione. Nel febbraio 1563 le controversie
cominciarono lentamente a placarsi e Teresa ottenne dal padre provinciale il
permesso di trasferirsi al monastero di San Giuseppe.
Fino al 1567 ella poté così dedicarsi interamente alla sua opera,
scrivendone le costituzioni: secondo la nuova regola la giornata cominciava in
coro, alle cinque nell'estate e alle sei nell'inverno e si prolungava fino alle
undici di sera; dopo una prima ora di preghiera in coro vi era la recita dell'ufficio,
seguiva la refezione alle dieci, alle due i vespri, alle sei la compieta,
quindi le monache si ritiravano nella propria cella per pregare o lavorare[44].
In quegli anni ella concluse, verso il 1565, la redazione della
propria Autobiografia e poco dopo il Cammino di perfezione, libro di formazione
spirituale per le proprie consorelle. Nel 1567 la visita del generale
dell'ordine carmelitano, Giovanni Battista Rossi di Ravenna,
aprì un nuovo capitolo nella vita di Teresa e nello sviluppo della Riforma: le
veniva concessa la facoltà di fondare altri monasteri di scalze nella provincia
di Castiglia[45].
Giovanni della Croce
Con l'aiuto dei padri gesuiti, particolarmente del padre
Baltasar Alvarez, un tempo suo confessore, ella riuscì a ottenere i permessi
del vescovo di Salamanca, alla cui diocesi apparteneva Medina del
Campo, e così fondare un primo monastero riformato il 15 agosto.
Furono destinate ad esso sei monache: Isabella Arias, Teresa de Quesada, Ines
Tapia, Anna de Tapia dal monastero dell'Incarnazione e Maria Battista e Anna de
los Angeles da quello di San Giuseppe[46].
Dopo un viaggio sui carretti, nei quali la vita monastica era rispettata coi
suoi orari e i suoi momenti di preghiera, durante una sosta ad Arévalo,
cominciarono i primi guai: Alfonso Alvarez, il quale aveva pattuito l'affitto
della casa per la imminente fondazione, ritirava all'improvviso la proposta.
Due giorni prima della data stabilita per la fondazione giunse finalmente la
soluzione: donna Maria Suarez offriva uno dei suoi caseggiati.
Giunte lì a tarda notte, dopo un chiassoso ingresso in città
in mezzo a una folla accorsa per assistere all'arrivo dei tori per la corrida
dell'indomani[47],
Teresa e le sue monache raggiunsero finalmente la piccola casa che, in una sola
notte di lavori, si tramutò in un vero e proprio monastero cosicché la mattina
seguente fu possibile celebrarvi Messa. Solo successivamente, a causa del grado
fatiscente del caseggiato, fu necessario il trasferimento in un nuovo edificio,
alla Plaza Mayor, per donazione del mercante Blas de Medina.
Fu lì che la Riforma carmelitana si estese anche al ramo
maschile: durante un colloquio col priore dei carmelitani calzati di Medina,
padre Antonio de Heredia, sorse in entrambi questo desiderio[48].
Padre Antonio stesso e un giovane carmelitano, studente all'Università di
Salamanca, Giovanni di San Mattia (colui che successivamente avrebbe assunto il
celebre nome di Giovanni della Croce) sarebbero stati i
primi carmelitani scalzi.
Ospite a Madrid di donna Leonor de Mascarenas, educatrice del re Filippo II e successivamente del figlio di
questi Carlos,
Teresa divenne nota e stimata a corte dallo stesso sovrano e dalla sorella
Giovanna e su incarico della nobildonna s'impegnò a risistemare lo stato
interno del monastero dalla stessa fondato, a opera della terziaria Maria di
Gesù (già conosciuta da Teresa), de la Purisima Concepcion de la Imagen.
Qualche mese dopo eccola intenta a due nuove fondazioni di
scalze, a Malagón,
dove stese il contratto con donna Luisa de la Cerda, donatrice del monastero[49],
il 30 maggio1568, e a Rio de Olmos,
con l'aiuto di Maria e Bernardino de Mendoza, fratelli del vescovo di Avila, il
3 febbraio
1569.
Nello stesso periodo cominciarono a sorgere anche i primi
eremi di carmelitani scalzi, a opera di Antonio di Gesù e Giovanni della Croce,
a Duruelo[50]il
17 novembre
1568, e a Mancera,
in una cappella che custodiva un'antica immagine della Vergine Maria[51],
l'11 giugno1570.
Nel 1569 ecco giungere una nuova proposta: il mercante
Martino Ramirez chiedeva la fondazione d'un monastero di scalze a Toledo. Prima
di morire fece suoi esecutori testamentari il fratello Alfonso e il genero di
lui Diego Ortiz con l'incarico di lasciare tutto il suo ingente patrimonio al
Carmelo riformato. Ma proprio costoro sembravano impedire l'opera prolungando a
loro favore le trattative con Teresa[52],
giunta a Toledo il 24 marzo, ma non solo: anche l'amministratore apostolico Gomez
Tello Giron, succeduto al precedente arcivescovo Bartolomeo Carranza, morto
sotto accusa di eresia, negava ogni permesso di fondazione.
Teresa si vide dunque costretta a chiedere udienza al
vescovo e a spiegare personalmente le proprie ragioni. Convinto della sua buona
fede[53]questi
le diede la necessaria approvazione, con molta difficoltà venne trovata la casa
e risistemata perché fosse un degno monastero. Ma i problemi non erano ancora
terminati: in assenza del vescovo Giron, il consiglio ecclesiastico della città
intimò alla fondatrice di non far celebrare Messa, pena la scomunica. “Si
riuscì a calmarli- ricorda la stessa- perché la cosa era già fatta, altrimenti,
chissà quanti guai avremmo avuto?”[54].
Infine la fondazione poté concludersi serenamente e lo
stesso Alfonso, fratello del defunto Martino Ramirez, si prodigò perché alle
monache non mancasse nulla del necessario, sua figlia Francesca ottenne il
patronato sulla cappella maggiore perché fosse consentita la traslazione in
chiesa della salma del defunto benefattore[55].
Il 28 maggio 1569 ecco giungere un
nuovo invito: la principessa d'Eboli, Anna de Mendoza y la Cerda, moglie di Ruy
Gomez, influentissimo ministro alla corte reale, principe di Eboli, duca di Estremera
e Pastrana nonché ministro delle finanze,
desiderava una fondazione di scalze nel proprio feudo[56].
Dopo un primo periodo di titubanza, data l'influenza del principe presso il re,
consigliata dal suo stesso direttore spirituale, Teresa decise di partire.
Durante il tragitto, in visita a Madrid presso donna Leonora
de Mascarenas conobbe l'eremita Mariano de Azaro, italiano di Bitonto,
figura di eccezionali capacità: teologo e dottore in diritto
canonico, partecipante al concilio di Trento, maggiordomo della regina di
Polonia,
soldato dell'esercito di Filippo II, geometra e idraulico perfino, fu
incaricato dal re di rendere navigabile il Guadalquivir
da Cordova
a Siviglia
nonché di costruire un grande canale di bonifica ad Aranjuez[57].
Teresa lo conobbe dopo la conversione nelle vesti di eremita, desideroso anche
lui di unirsi alla nascente riforma insieme al compagno Giovanni Narducci,
abruzzese, un tempo suo servitore (resterà celebre per averci lasciato l'unica
effigie di Teresa ancora vivente nel 1576, quando ella aveva all'incirca una sessantina d'anni).
Entrambi avrebbero fondato, insieme alla riformatrice, un monastero di
carmelitani scalzi nella stessa Pastrana.
Giunta finalmente lì e cominciati i lavori di restauro della
casa per le monache, Teresa si rese ben presto conto delle difficoltà di
relazione con la benefattrice, la principessa d'Eboli, tanto da sembrare già
decisa a tornare indietro e abbandonare l'opera iniziata[58].
Fu il principe Ruy Gomez stesso a sedare la contesa. Il 13 lugliodello
stesso anno anche gli scalzi fondarono il loro monastero sulla collina di San
Pedro nella cosiddetta “Palomar”, colombaia, dove Mariano de Azaro e Giovanni
Narducci, ai quali si unì Baltasar di Gesù, presero dimora.
Teresa e Giovanni della Croce, figli dell'intenso periodo di
contese intellettuali e teologiche della Controriforma,
stabilirono che anche gli scalzi avrebbero dovuto approfondire i propri studi e
non soltanto la vita di contemplazione, della quale peraltro Giovanni della
Croce s'era fatto custode e direttore. Per questo fu installato un collegio di
riformati nella città universitaria di Alcalá de Henares, perché i giovani scalzi
prendessero parte alle lezioni[59].
Il gesuita Martino Gutierrez spinse la riformatrice a
un'ennesima fondazione nella celebreSalamancadove
ella giunse il 31 ottobre[60]sofferente
a causa dell'acutissimo freddo trovato nel tragitto. La casa ad esse destinata
era però già occupata da un gruppo di studenti che dopo diverse lotte
lasciarono l'edificio per sistemarsi in altro alloggio. La festa d'ognissanti
dello stesso anno il monastero vide la luce.
Furono i coniugi Francesco Velasquez e Teresa de Layz a
chiedere questa nuova fondazione di scalze alla riformatrice mentre ancora ella
si trovava a Salamanca. I lavori si conclusero il 25 gennaio 1571 con una messa
solenne.
In seguito alle contese susseguenti all'elezione della nuova
priora di Medina, il padre provinciale dei carmelitani, Angelo de Salazar,
diede ordine a Teresa di interrompere i suoi viaggi e tornare al monastero di
San Giuseppe d'Avila. Ma questo periodo di pace fu alquanto breve: la priora
scelta per il monastero di Medina, Teresa de Quesada, carmelitana mitigata, non
era riuscita a sostenere l'arduo compito di governo. De Salazar scelse per questo
incarico, lasciato sospeso, la stessa Teresa che dovette così nuovamente
mettersi in viaggio per raggiungere Medina.
Ma ecco all'improvviso profilarsi un nuovo, e ben più
gravoso, compito: il padre provinciale e il visitatore apostolico la nominavano
priora dell'Incarnazione, il monastero nel quale ella era entrata ancora
fanciulla e che aveva abbandonato per dar vita all'opera della Riforma. Le sue
vecchie consorelle non avevano accettato la sua decisione e ben centotrenta
monache decisero di opporsi perché la nuova priora non prendesse possesso della
carica. Il 6 ottobreil
corteo che avrebbe accompagnato Teresa all'Incarnazione e di cui faceva parte
lo stesso De Salazar venne letteralmente assalito all'ingresso dalle religiose
del monastero[61].
Fu necessario introdursi per una porta laterale e solo l'intervento delle monache
favorevoli alla nuova priora riuscì ad acquietare gli animi delle ribelli.
Al suo ingresso Teresa compì un gesto simbolico (porre sul
seggio destinato a lei un quadro della Vergine Maria)
ed espose il suo programma con parole accalorate che convinsero le oppositrici
della sua buona volontà[62].
Ella stessa, come testimoniarono le sue consorelle, preferì insegnare con
l'esempio anziché con gli ordini, cercando quanto possibile di far conservare
al monastero il maggior raccoglimento, con la proibizione ad esempio nella
quaresima del 1572 di visite alle religiose. Si adoperò particolarmente per le
ammalate, pur essendo personalmente molto sofferente[63],
e per la cura della vita spirituale affidata al nuovo confessore, da lei stessa
scelto, Giovanni della Croce, giunto lì nel settembre del 1572, in compagnia di
Germano di San Mattia. Prima che il triennio di priorato scadesse Teresa
dovette però lasciare l'incarico per riprendere i suoi viaggi.
La principessa d'Eboli, Anna de Mendoza
Nel 1573
Teresa si diresse nuovamente verso Salamanca, a motivo di un trasferimento di
alcune monache, già lì precedentemente introdotte, dal primo monastero a
un'altra abitazione. Giunte a Salamanca il trasferimento delle religiose ebbe
luogo il 29 settembre 1573.
Dopo una breve sosta ad Avila, fra il monastero
dell’Incarnazione e quello di San Giuseppe, Teresa decisse di andare verso Segovia
per fondarvi una nuova casa su richiesta di donna Anna Jimenez, fondazione
avvenuta solo dopo una lunga contesa col vicario generale della diocesi,
risentito per non essere stato consultato riguardo l’avvenimento[64]:
questi aveva posto perfino una guardia a sorvegliare l’ingresso perché nessun
sacerdote entrasse per celebrarvi messa e fu solo dopo un atto notarile, che
certificava l’autorizzazione del vescovo, monsignor de Covarrubias, a fondare
una nuova casa, che il vicario si acquietò.
Ma la situazione per la Riforma s’aggravò con la morte, il 29 luglio1573,
di Ruy Gomez, benefattore con la moglie Anna de Mendoza, dei monasteri di
Pastrana. La vedova aveva difatti deciso, dopo i funerali del marito, di farsi
carmelitana e chiudersi nella clausura dei monasteri del suo feudo. La madre
superiora Isabella di San Domenico vide pian piano stravolta la tranquilla vita
delle consorelle: la nuova entrata voleva a suo fianco la madre, non esitò a
far aprire la clausura per ricevere le condoglianze del governatore, del
vescovo e di altri notabili del paese e si impose perché facessero ingresso fra
le novizie due sue favorite. La sua reclusione durò poco tempo e in breve Anna
de Mendoza tornò al suo palazzo ma, irritata dal comportamento della madre
superiora che, per il rispetto della regola, non le aveva concesso di buon
cuore simili intrusioni, decise di sospendere il censo annuo delle monache,
condannandole ad elemosinare. Teresa si avvide ben presto che Pastrana non era
più luogo per le sue monache e organizzò una fuga clandestina, certa che la
principessa d’Eboli non avrebbe mai permesso una simile opposizione. Era già
stata preparata per loro una nuova casa a Segovia quando Anna de Mendoza venne
a scoprire tutto e, con l’aiuto dell’amministratore cittadino, circondò di
guardie il monastero perché nessuno potesse uscirvi. Dopo ripetuti tentativi
anch’ella dovette però arrendersi e, nella mezzanotte, le monache poterono così
finalmente andare via dal monastero per trasferirsi nella nuova casa di
Segovia.
Nuova breve sosta ad Avila e nuova partenza, verso Beas de
Segura per una fondazione richiesta dalle due sorelle Caterina
Godinez e Maria de Sandoval, entrambe giovanissime e orfane, decise per la
vocazione sin dalla fanciulezza. Anche qui non mancarono le difficoltà a causa
dell’indisposizione dei Commendatori di Santiago, proprietari di Beas, i quali
s’erano mostrati contrari a fondazione di ordini diversi dal loro. Fu
l’intervento di Filippo II di Spagna in persona, grande
stimatore della Riforma teresiana, a far tacere ogni voce avversa all’opera.
Cominciavano a sorgere dissapori fra i carmelitani della
prima riforma, in seguito definiti“calzati”, e quelli introdotti da Teresa. La
fondazione di Beas fu motivo di discordia, in quanto Teresa aveva ricevuto
permesso di fondare monasteri in Castiglia, mentre Beas si trovava in Andalusia,
come dovette scoprire qualche giorno dopo. Anche il ramo maschile venne
accusato di aver inglobato una casa nella provincia calzata di Siviglia
con la fondazione, presso il porto della stessa, d’un nuovo monastero, la
Madona de los Remedios, a opera del padre Gerolamo Gracián, il quale si avvalse
della propria autorità di visitatore apostolico. Nel frattempo, tuttavia, il
papa Gregorio XIII,
su influenza del padre Rubeo (generale dell’ordine carmelitano), aveva qualche
mese prima dell’ultima fondazione, il 13 agosto
1573, revocato il potere
concesso ai suddetti commissari apostolici.
Intervennero sulla questione anche il re in persona e il
nunzio presso la corte di Madrid, monsignor Ormaneto, riunendo un consiglio
particolare il quale stabilì di favorire la riforma di Teresa. Per questo
Gracián ottenne nuovamente l’autorità di visitatore apostolico sia per gli
scalzi che per i calzati, nomina per la quale era necessario un suo viaggio a
Madrid, durante il quale conobbe personalmente Teresa invitandola a fondare una
nuova casa di scalze in Siviglia sebbene elle sembrasse inizialmente intenzionata
a fondare un monastero a Madrid[65].
Papa Gregorio XIII
Il viaggio fu abbastanza periglioso per madre Teresa, la
quale in quei giorni era oppressa da dolorosi attacchi di febbre. Il caldo
contribuì a peggiorare la sua situazione fisica, e al Guadalquivir rischiarono
di perdere i carri durante la traversata del fiume[66].
Giunti in città, l'opposizione da parte dell’arcivescovo, don Cristoforo de
Royas Sandoval, dovette ritardare la fondazione, provocando ulteriori
difficoltà alle monache[67].
La situazione cominciò a migliorare con l’interessamento di donna Leonora de
Valera e dello stesso arcivescovo che, dopo un colloquio personale con Teresa e
le sue compagne, divenne favorevole al nuovo ordine.
Ma una nuova tempesta sopravvenne dopo l’uscita dal
monastero di una novizia che, non avendo accettato l’austera vita delle
monache, decise per vendetta di denunciarle al tribunale dell’Inquisizione. Si susseguirono gli
interrogatori ma infine sia le religiose che la fondatrice, assolta dopo anni
da alcune accuse sorte nel suo soggiorno a Pastrana dalla principessa d’Eboli,
furono giudicate innocenti. Ancora mancava la casa. Grazie all'arrivo del
fratello di Teresa, Lorenzo de Cepeda, tornato dalle Americhe, fu possibile
trovare un alloggio per le monache. La fondazione di Siviglia ebbe luogo, così,
il 3 giugno 1576[68].
Terminata un’altra fondazione, il 18 dicembre
1575, a Caravaca, ecco Teresa fronteggiare il
drammatico susseguirsi di eventi che avrebbe dato vita alla grande contesa fra
scalzi e calzati. Gli ordini possedevano entrambi potenti alleati, per gli
Scalzi il nunzio Ormaneto mentre per i Calzati il padre Rubeo, generale
dell’ordine, nonché due diversi visitatori apostolici, gli uni Gracián gli
altri Tostado. Quest’ultimo particolarmente si adoperò, particolarmente dopo la
morte di Ormaneto, per fermare l’avanzata di quelli che definiva propri nemici
e ribelli[69]:
Teresa si ritrovò ben presto costretta a rimanere reclusa nel monastero di Toledo da dove
non interruppe i propri contatti epistolari per la difesa delle fondazioni,
Giovanni della Croce venne catturato in un agguato dagli stessi calzati
all’Incarnazione di Avila e rinchiuso in una piccola cella a Toledo mentre
Gracián, Antonio di Gesù e Mariano vennero confinati nel convento di Madrid. Il
conflitto sembrava giungesse a una tregua con l’interessamento per la pace del
nuovo nunzio, monsignor Filippo Sega, ma la riunione di un capitolo di scalzi
ad Almodóvar del Campo il 9 ottobre
1578, disapprovato dalla
stessa Teresa, che eresse la riforma a provincia separata facendo di Antonio di
Gesù il suo provinciale, condusse nuovamente alla crisi.
I provvedimenti furono severi, il nunzio stesso ordinò che i
partecipanti fossero interdetti e gli organizzatori, Gracián, Antonio di Gesù,
imprigionati l’uno a Madrid l’altro a San Bernardino. Venne messo in gioco lo
stesso re Filippo II, da una parte lo raggiunsero lettere di Teresa dall’altra
una visita di monsignor Sega. Fu quest’ultimo stesso a rileggere sotto uno
sguardo diverso la vicenda e decidere di adoperarsi perché finalmente gli
scalzi fossero esonerati dalla giurisdizione dei calzati e divenissero
provincia separata. Furono così inviati a Roma due delegati, Giovanni di Gesù e
Diego della Trinità per porre i termini della questione di cui si occupò
particolarmente il cardinale Perretti, futuro Sisto V.
Il 27 giugno1580 partiva da Roma, col sigillo di papa
Gregorio XIII, un breve che sanciva la formazione di una nuova provincia
separata, quella degli scalzi, secondo il desiderio di Teresa e dei suoi
compagni.
Nonostante le sofferenze che svilivano il suo corpo, si
ricordi ad esempio la rottura del braccio destro a seguito d’una caduta nel
dicembre del 1577,
Teresa decise di recuperare il tempo che i quattro anni di reclusione le
avevano fatto perdere. Visitò dapprima le comunità precedentemente fondate, in
compagnia di quella che sarebbe divenuta la sua ultima assistente e segretaria,
Anna di San Bartolomeo: Medina del
Campo, Valladolid, Alba de
Tormes, Salamanca, Malagón.
A Villanueva tramutò in monastero
carmelitano una piccola comunità di terziarie, come già atteso da quattro anni
dalle stesse, che già seguivano gli insegnamenti della riformatrice sebbene
mancassero della dovuta organizzazione[70].
Dopo una crisi sopravvenuta a un crollo fisico a Valladolid[71],
fonda una nuova casa, la “Casa della Consolazione” a Palencia,
il 1 giugno
1580, per rispondere
all’iniziativa del vescovo della diocesi che chiedeva un monastero di scalze.
Un altro vescovo, monsignor Velazquez, vescovo di Osma richiedeva la sua presenza a Soria, la vedova Beatriz
de Beaumont Navarra offriva la casa per la fondazione e la rendita per il
sostentamento delle monache.
L’attendevano altre due opere, a Granada
e a Burgos. La prima possedeva già un monastero di
scalzi, fu Anna di Gesù[72],
priora di Beas, a occuparsi della fondazione e non la stessa Teresa. Prive
d’una casa e di mezzi di sostentamento, fino a patire perfino la fame, e con
l’arcivescovo contro, si sistemarono in un alloggio momentaneo fin quando non
giunse loro il permesso sperato e, con l’ingresso di sei novizie, le loro doti
che permisero l’acquisto d’un rifugio adatto. Gli scalzi avevano ormai oltrepassato
i confini ispanici per fondare un nuovo monastero a Lisbona
e spostarsi da lì verso le terre di missione, quando Teresa si apprestò alla
sua ultima opera: Burgos. La benefattrice, Caterina de Tolosa, avrebbe presto
offerto alla riformatrice non solo i fondi necessari ma sé stessa e i suoi otto
figli, sarebbero tutti entrati nell’ordine carmelitano. La casa nella quale le
monache si installarono, il 19 marzo 1582, era però troppo vicino al fiume e
durante una terribile alluvione Teresa e le sue compagne rischiarono seriamente
di morire annegate[73].
Ripartita da lì per assistere alla vestizione della nipote
Teresita ad Avila, figlia di suo fratello Lorenzo de Cepeda (morto nel 1581) fu
costretta invece, per ordine del padre Antonio di Gesù, in quel momento vicario
provinciale della Castiglia, a raggiungere Alba de Tormes per un incontro con
la duchessa Maria Enriquez d’Alba. Fu il suo ultimo viaggio. Morì infatti nella
notte tra il 4 e il 15 ottobre 1582 (proprio nella notte in cui fu praticato il
riallineamento di date tra il vecchio calendario giuliano e quello Gregoriano, con sottrazione di 10 giorni)
al monastero di Alba de Tormes fra le consorelle, sorretta da Anna di San Bartolomeo (una sua stretta
collaboratrice). Il suo corpo riposa ancora oggi nella chiesa
dell'Annunciazione in Alba de Tormes.
Il nucleo del pensiero
mistico di Teresa, individuabile in tutti i suoi scritti, è
l'amicizia tra il Signore e la sua creatura. Secondo l'interpretazione più
tradizionale, in non pochi aspetti parziale, l'ascesa dell'anima umana avverrebbe
attraverso quattro stadi, (come scritto nella sua Autobiografia, cc. X-XXII):
Meditazione o orazione di raccoglimento. Si tratta del
"ritiro" dell'anima e delle sue facoltà dall'esterno nell'ascolto
della Parola di Dio e, secondo gli usi del tempo, particolarmente nella
considerazione della passione di Cristo.
L'orazione di quiete. In questo stadio la volontà umana è
rimessa in quella di Dio, mentre le altre facoltà, quali la memoria,
l'immaginazione e la ragione, non sono ancora sicure a causa della distrazione
mondana. Nonostante una piccola distrazione possa essere provocata dalla
ripetizione di preghiere o dalla composizione di scritti, lo stato prevalente è
ancora quello della quiete.
L'orazione di unione. la presenza dello Spirito attrae in sé
la volontà e l'intelletto, in un dono reciproco tra il Signore e la creatura,
mentre rimangono "libere" solo l'immaginazione e la memoria. Questo
stadio è caratterizzato da una pace beata,
una sorta di consapevole consegna all'amore di Dio.
Quando tutta la vita è trasformata da questa esperienza si
compie l'unione che non richiede affatto le "estasi" con i suoi segni
esterni, ché anzi sono tipiche di una certa immaturità nel percorso spirituale.
Purtroppo, curiosità non sempre equilibrate sono state molto attratte dalle
risonanze psicologiche di queste prime fasi e spesso, senza vere conoscenze su
un'autentica vita spirituale, hanno elaborato quadri lontani dalla realtà della
vita autentica di Teresa e della mistica cristiana, lontana da fenomeni
scenografici molto graditi nell'età barocca ed in altre epoche.
Sono state avanzate interpretazioni, da un punto di vista
laico e psichiatrico, secondo cui gli stati di estasi della Santa potrebbero
essere intesi come una fantasia vivida nella mente di una giovane
particolarmente sensibile, uno stato d'animo alterato che fa confondere una
fantasia autoerotica o sessuale per un incontro
divino[74][75].
Tale considerazione si basa sull'interpretazione delle parole della stessa
Teresa d'Ávila:
« Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d'oro, che sulla
punta di ferro mi sembrava avere un po' di fuoco. Pareva che me lo
configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino
alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via lasciandomi tutta
infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era cosi vivo che
mi faceva emettere dei gemiti, ma era cosi grande la dolcezza che mi
infondeva questo enorme dolore, che non c'era da desiderarne la fine, né
l'anima poteva appagarsi che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale,
anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po', anzi molto. È un
idillio cosi soave quello che si svolge tra l'anima e Dio, che io supplico la
divina bontà di farlo provare a chi pensasse che io mento. »
|
(Santa Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13)
|
Altri autori interpretano invece il passaggio come la
descrizione del fenomeno della transverberazione[76][77].
Dal Medioevo, in sintonia con la devotio moderna, era
convinzione diffusa che un intenso percorso spirituale, prima o poi, non
potesse essere estraneo ad una qualche manifestazione esteriore, temuta, ma
attesa come sigillo di un intervento divino. Nel contesto cinquecentesco,
visioni e rivelazioni erano parte integrante della vita religiosa. Un contesto
in cui il visionario è presenza ordinaria nella società, le sue funzioni, in un
certo qual modo, vengono a sovrapporsi, anche se non a confondersi, con quella
mediazione istituzionale offerta dal clero. (A. Gentili – M. Regazzoni, La
spiritualità della riforma cattolica, 1993).
Occorre ricordare poi, che le donne, nel dopo concilio di
Trento, non potevano certo parlare in pubblico di temi teologici, tanto meno
commentare la Scrittura. Non potevano studiare teologia, riservata ai
presbiteri. Conclusione: forse solo attraverso un segno dall'alto, come le
"estasi" (che potevano avere una qualche componente psicologica),
potevano salvaguardare le donne da un facile incontro con i tribunali dell'Inquisizione,
ma non esoneravano da numerosi interrogatori e verifiche delle stesse.
Figurarsi se si trattava di una donna fondatrice anche di ordini
religiosi.
Si fa fatica ad ipotizzare un'espressività al femminile, in
contesti cinquecenteschi, del tutto aliena da una certa esuberanza emotiva.
Solo rari autori, come Giovanni della Croce, avrebbero
chiaramente scritto e predicato che le estasi non sono
affatto essenziali per una seria avventura spirituale.
D'altra parte non si può dimenticare che una ricca
efflorescenza anche esteriore è segno, per molti aspetti iniziale, «...del
contraccolpo emotivo (transitorio e accidentale, ma quasi inevitabile)
dell'esperienza contemplativa sulla dimensione psicologica e psicosomatica
dell'esistenza.» (B. Callieri, Esperienza mistica e psichiatria, 1984).
Infine, non bisogna dimenticare che proprio Teresa d'Avila
dichiarò che nella maturità spirituale le "estasi" scompaiono (Teresa
di Gesù, Il castello interiore, 1981, settime mansioni, cap. 3), in quanto
un'autentica esperienza spirituale consente di pervenire ad un miglior
equilibrio psicologico, capace di integrare, gradualmente, affettività e
ragione, corpo e psiche.
Anche il corpo di Santa Teresa, così come per quello di
altri santi, fu oggetto di attenzioni, vi fu un vero dissidio per accaparrarsi
i suoi resti mortali. Nove mesi dopo la scomparsa, la sua bara fu riaperta e la
salma ritrovata incorrotta. Le fu quindi tagliata una mano perché fosse
venerata anche dalle consorelle del primo monastero da lei fondato, San
Giuseppe ad Avila. Il padre Gracian riuscì nel frattempo a tenere per sé il
mignolo che conservò gelosamente fino al giorno in cui non cadde prigioniero dei
turchi.
Al capitolo degli scalzi fu discusso il trasferimento delle spoglie ad Avila,
trasferimento programmato per il novembre del 1585. Il duca di Alba de
Tormes però, venutone a conoscenza, sporse denuncia a Roma costringendo i
religiosi a ricondurre indietro il corpo della santa.
Vi fu in seguito la spartizione delle reliquie, ancora oggi
conservate: il piede destro e una parte della mascella a Roma, la mano sinistra
a Lisbona, quella destra a Ronda(Spagna), fu proprio questa la reliquia
che Francisco Franco, dittatore spagnolo, strappò
alle suore carmelitane conservandola fino al giorno della sua morte. Il corpo,
da cui è stato peraltro estratto il cuore (ben visibile in un reliquiario al
museo della chiesa di Alba de Tormes) è ancora oggi conservato sull'altare
maggiore della stessa chiesa.
Definita dalla Chiesa "vergine serafica",
"santa dall'eminente dottrina"[78]beatificata
il 24 aprile
1614 da papa Paolo V,
fu canonizzata quarant'anni dopo la morte, il 12 marzo
1622, da papa Gregorio
XV, insieme ad altri grandi figure del periodo della Controriformaquali
Ignazio di Loyola, Francesco
Saverio, Filippo Neri. Le Corti Generali (il Parlamento
spagnolo) l'acclamarono patrona nel 1617. Le sue opere mistiche influenzarono molti scrittori
successivi, tra cui Francesco di Sales. Teresa d'Avila fu
proclamata solennemente dottore della Chiesa da papa Paolo VI
nel (1970)
insieme a Caterina da Siena. Fu la prima donna a ricevere
tale titolo, fino allora concesso soltanto a uomini. La seguiranno Teresa di
Lisieux (1997),
carmelitana scalza, e Ildegarda di Bingen (2012).
« Questo suo sentire con la Chiesa, provato nel dolore
alla vista della dispersione delle forze, la condusse a reagire con tutto il
suo forte spirito castigliano nell’ansia di edificare il regno di Dio; decise
di penetrare nel mondo che la circondava con una visione riformatrice per
imprimergli un senso, un’armonia, un’anima cristiana. A distanza di cinque
secoli, Santa Teresa di Avila continua a lasciare le orme della sua missione
spirituale, della nobiltà del suo cuore assetato di cattolicità, del suo
amore spoglio di ogni affetto terreno per potersi dare totalmente alla
Chiesa. »
|
(Dall'omelia di papa Paolo VI il giorno della
proclamazione di S. Teresa d'Avila dottore della Chiesa[79])
|
Il cuore della santa è conservato in una teca ad Alba de
Tormes, in Spagna, dove è possibile osservare delle ferite. Dopo la
sua morte, sottoposta ad autopsia, fonti del tempo sostengono avvenne un evento
miracoloso: si dice che, estrattole il cuore, furono osservate
proprio le cinque ferite che ella aveva descritto, attribuite secondo la chiesa
alla transverberazionedi cui una di dimensioni
superiori ai 5 centimetri[80].
Gli scritti di Teresa, dal chiaro indirizzo didattico, sono
tra i più significativi della cultura della Chiesa cattolica:
La sua Autobiografia, scritta dopo il 1567 sotto la
direzione del suo confessore, Pedro Ibáñez;
Il Cammino della Perfezione, (titolo originale: Camino de
perfecciòn) scritto anch'esso dopo il 1567 sotto la direzione del suo
confessore
Edizioni:
Cammino di perfezione, introduzione, traduzione e note di
Letizia Falzone, Alba (Cuneo), Edizioni Paoline, 1976;
Il castello interiore, (titolo originale: Castillo
interior, Las Moradas) scritto nel 1577, in cui paragona l'anima contemplante
ad un castello composto da 7 camere interne successive;
Edizioni:
Castello interiore, introduzione, traduzione e note di
Letizia Falzone, Alba (Cuneo), Edizioni Paoline, 1976;
Relazioni, un'estensione della sua autobiografia sotto forma
di racconto epistolare delle sue esperienze interiori ed esterne;
Due opere minori sono Concetti dell'Amore ed Esclamazioni,
oltre alle Carte, una raccolta di 342 lettere complete e 87 frammenti di altre.
La prosa di Teresa è caratterizzata da spontaneità, eleganza stilistica e forza
espressiva, che la fanno figurare tra i più importanti prosatori della
letteratura spagnola;
^
Si ricordi il Nada te turbe musicato fino ai nostri giorni
^
P. Silverio, Vida I, cap.3
^
Ribera, Vida de la Santa Madre Teresa de Jesus, I
^
Teresa di Gesù, Vita 1,1,
^Ibidem
1,2
^
Ibidem, 2,1
^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.38-39
^
Teresa di Gesù, Vita 1,8
^
P. Silverio, Vida, I
^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.43
^ Teresa
di Gesù, Vita 3,1
^
Polit, La famiglia di Santa Teresa in America, Quito
^ Ribera,
Vida de la Santa Madre Teresa de Jesus, I, IV, II; P. Silverio, Vida, I,I, VII,
VIII; Bollandisti, V, 79, p.131
^
Teresa di Gesù, Vita 3,7
^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.63
^
P. Silverio, Vida, VIII
^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.79
^
Teresa di Gesù, Vita 4,5
^
A. Peers, Studi sulla mistica spagnola, vol.I, cap. III, I
^
Teresa di Gesù, Vita 5
^
Teresa di Gesù, Vita 6,1
^I
fenomeni isterici e le rivelazioni di Santa Teresa, Louvain, 1883
^Studi
patologici su Santa Teresa, Louvain, 1886
^ G. C. Graham, Saint Teresa, cap.II
^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.98
^
Testimonianza del padre Gracián, suo contemporaneo, in Giorgio Papasogli, Fuoco
in Castiglia, pag.108
^
Teresa di Gesù, Vita 7,17
^
Teresa di Gesù, Vita 7,14
^
Teresa di Gesù, Vita 9,1
^
Teresa di Gesù, Vita 9,8
^
Teresa di Gesù, Vita 23,12
^
P. Silverio, Vida, vol.I, cap.XX, pag.397
^
Teresa di Gesù, Vita 25,14
^
P. Silverio, Vida, vol.I, cap.XXIV
^
Teresa di Gesù, Vita 30,4-5
^
Ribera, Vida de la Santa Madre Teresa de Jesus, I, XI
^
Teresa di Gesù, Vita 32,14
^
Ibidem
^
P. Silverio, Procesos de Santa Teresa de Jesus, tomo I, pp. 117 e 127
^ Ribera,
Vida de la Santa Madre Teresa de Jesus, I, XIII
^
Teresa di Gesù, Vita 25,2
^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.254
^
Teresa di Gesù, Vita 36,12
^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.275
^
P. Silverio, Procesos de Santa Teresa de Jesus, III, V
^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.300
^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.304
^
P. Silverio, Procesos de Santa Teresa de Jesus, VII, VIII
^Fondazioni
9,5
^Fondazioni
13,2-3
^Fondazioni
14,9
^Fondazioni
15,4
^Fondazioni
15,5
^Fondazioni
15,12
^ Giorgio
Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.349
^Fondazioni
17, 2 e sgg
^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.358
^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.363
^ P.
Silverio, Vida, III, XVI
^Fondazioni
18,3
^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.413-415
^
P. Silverio, Obras de Santa Teresa, tomo II, pag.216
^
Lettera del 7 marzo 1572 a Maria de Mendoza
^
P. Silverio, Obras de Santa Teresa, tomo IV, VI
^ Giorgio
Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.486
^
Fondazioni 24
^
Maria di S. Giuseppe, Recreacion, IX
^ Historie de Sainte Therese, II, XXIII
^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.509
^
Giorgio Papasogli, Fuoco in Castiglia, pag.563
^
Fondazioni 29,1
^
Fondazioni, appendice aggiunta da Anna di Gesù, 4
^
Anna di San Bartolomeo, Autobiografia, II, XXX
^
Odifreddi, Piergiorgio, Perché non
possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), Longanesi (Le
Spade), 2007
^
Benedetto XIV, De Servorum Dei beatificatione, IV, 2, c. 11, n. 13
Elisabeth Reynaud, Teresa d'Avila, la donna che ha detto
l'indicibile di Dio, Milano, Paoline, 2001;
Jose Luis Olaizola, La santa, Teresa d'Avila nella Spagna
del siglo de oro, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2002;
Maximiliano Herraiz Garcia, Dio solo basta, chiavi di
lettura della spiritualità teresiana, presentazione di Flavio Caloi, Roma, OCD,
2003;
Victoria Sackville-West, Teresa d'Avila, introduzione di
Barbara Lanati, Milano, Mondadori, 2003;
Emmanuel Renault e Jean Abiven, L'orazione teresiana,
Morena, Roma, OCD, 2004;
Aida Stoppa, Teresa e il castello interiore, [racconto], in
Aida Stoppa, Sette universi di passione, Colledara, Te, Andromeda, 2004, pp.
64–81;
Luigi Borriello e Giovanna della Croce, Temi maggiori di
spiritualità teresiana, 2. ed. riv. e corretta, Roma, OCD, 2005;
Marie Joseph Huguenin, L'esperienza della divina
misericordia in Teresa d'Avila, saggio di sintesi dottrinale, Roma, OCD, 2005;
Julie Kristeva, "Teresa mom amour", Donzelli
editore, 2008
Nessun commento:
Posta un commento