FALCI CALOGERO
L'abbiamo detto e ridetto, tra i dispersi in guerra del '15-'18 racalmutesi non vi è alcun nobile o alto berghese o "galantuomo"- Ammesso che costoro non riuscivano a scamparla alla LEVA per la compiacenza del medico di famiglia, finivano ai sicuri servizi sanitari addirittura in Palermo. Erano i figli del popolo che finivano senza essere minimamente addestrati al Fronte e ci rimettevano la pelle e spesso venivano lasciati insepolti sugli aspri monti di Slovenia, come successe a mio nonno: burocraticamente "dispersi".
Ma anche tra i tanti morti in guerra, sia pure non "dispersi", ecco che nessun nobile o borghese o "galantuomo" rinveniamo tra i 196 che Messana (pag. 525 e ss.) enumera nella sua trentunesima Appendice.
Figli di papà all'epoca erano: i Matrona, i Grillo (quelli nobili), i Mattina (naturalmente i ceppi che si erano arricchiti con lo zolfo), i Farrauto (poi decaduti), gli Scibetta, i Messana (ramo Biagio), i Tulumello (nei limiti di quegli eredi nobilitati dal celebre prete gabellotto); i Savatteri, i Picataggi, gli Alaimo (diciamo quelli notarili); gli Scimè (con tanto di medico in casa), i Cavallaro (con avvocati di grido), i Mantia. i Burruano (da don Cicco in giù).
Tutti i giovani e valenti loro vitgulti escono dalla ecatombe di quella guerra sani e salvi e addirittura poi diventano arditi, fascisti e militaristi. Al riguardo Eugenio Napoleone Messana tace; ma anche Sciascia non mi pare che ci senta molto da questo orecchio. Anche lui era stato un miracolato alla lea, (v. Fuoco All'Anima).
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