Lillo Taverna
E lei ebbe come uno sconcerto. La mamma di là a rassettarsi come una fanciulla al suo primo amore. Quel profumarsi, quel nettarsi, anche là .. anche là. Oh dio! o che sconcerto. Si ritirò nella sua chiusa stanza. Accese lampade. riflettori. Si mise in posa. Via il vestiario comune casual. Via quelle pezzuole sul seno. Indossò lingeria comprata da Frette. Costosa e lussuosa ma fine decente nella sua ammiccante indecenza. E giù foto su foto. Aveva petto opimo, ispano, annidante. La foto scattò ne ebbe possesso. Ora il seno debordava. Titillato il capezzolo si inturgidì, apparve sull'ultimo resto della veste bambina come invito osceno e garrulo, cedevole libero. Lei portò il dito alla bocca e fu immagine sacrilega come un gran bacio all'uccel di dio. Scattavan le foto compiacenti e come prese da maschile frenesia di esplosa lubricità travolgente abbrancante sottomessa ammessa. E per tocco finale l'ingombrante casacca divenuta una bandierina nera sulla rosa, Da peccato, da peccato mortale. E il buon dio dei cieli mandò il suo prete a bannarla. Ma Il demone, l'osceno priapesco satiro dei boschi ridente di ninfe godute da Giove se ne rise e l'amò.
PAT, pittrice romana: Il sogno di Satiro
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