IL DOVERE DI UN GIUDICE
Ci sono persone su Facebook che se la prendono con i giudici che nel noto processo romano hanno escluso la sussistenza di un'associazione di tipo mafioso.
La loro delusione nasce dall'avere attribuito all'accertamento giudiziario una funzione che esso non ha: quella di individuare e reprimere fenomeni criminali.
Non è così. La legge affida al giudice il compito di accertare se "un determinato" fatto o "una determinata" associazione criminale sussistano oppure no. L'avere escluso l'associazione mafiosa in uno specifico processo non significa, perché non è questo il compito del giudice, avere negato che a Roma la mafia esista. Significa soltanto che le prove messe a disposizione del giudice "in quello specifico caso" non sono state sufficienti. O meglio, lo sono state per il giudizio sociale che ne può essere dato (e che forse gli stessi giudici, in quanto persone, ne danno), ma non sono state sufficienti per i requisiti richiesti dalla legge.
Piaccia o non piaccia, la giustizia è un accertamento tecnico, di cui il giudice dà conto nella motivazione della sentenza.
Per conoscere il percorso argomentativo seguito dai giudici nel caso in questione bisogna dunque attendere la motivazione.
Tante volte da giudice ho dovuto assolvere perché così mi imponeva la legge, pur nella certezza morale della colpevolezza degli imputati. Ma dovevo dare un giudizio osservante dei limiti di legge all'uso della prova (ad es. prova legalmente inutilizzabile). Fare il contrario sarebbe stato illecito e fonte di responsabilità.
Questo e non altro la legge impone di fare al giudice: accertare nei limiti di ammissibilità, validità, utilizzabilità e congruenza delle prove.
Spetta al popolo e ai partiti dare giudizi politici.
La mafia a Roma esiste. Va fortemente combattuta non con la penna dei giudici, a cui la legge vieta di farlo, ma con una politica seria che tolga l'erba sotto i piedi alla mala vita, individuale e organizzata.
La loro delusione nasce dall'avere attribuito all'accertamento giudiziario una funzione che esso non ha: quella di individuare e reprimere fenomeni criminali.
Non è così. La legge affida al giudice il compito di accertare se "un determinato" fatto o "una determinata" associazione criminale sussistano oppure no. L'avere escluso l'associazione mafiosa in uno specifico processo non significa, perché non è questo il compito del giudice, avere negato che a Roma la mafia esista. Significa soltanto che le prove messe a disposizione del giudice "in quello specifico caso" non sono state sufficienti. O meglio, lo sono state per il giudizio sociale che ne può essere dato (e che forse gli stessi giudici, in quanto persone, ne danno), ma non sono state sufficienti per i requisiti richiesti dalla legge.
Piaccia o non piaccia, la giustizia è un accertamento tecnico, di cui il giudice dà conto nella motivazione della sentenza.
Per conoscere il percorso argomentativo seguito dai giudici nel caso in questione bisogna dunque attendere la motivazione.
Tante volte da giudice ho dovuto assolvere perché così mi imponeva la legge, pur nella certezza morale della colpevolezza degli imputati. Ma dovevo dare un giudizio osservante dei limiti di legge all'uso della prova (ad es. prova legalmente inutilizzabile). Fare il contrario sarebbe stato illecito e fonte di responsabilità.
Questo e non altro la legge impone di fare al giudice: accertare nei limiti di ammissibilità, validità, utilizzabilità e congruenza delle prove.
Spetta al popolo e ai partiti dare giudizi politici.
La mafia a Roma esiste. Va fortemente combattuta non con la penna dei giudici, a cui la legge vieta di farlo, ma con una politica seria che tolga l'erba sotto i piedi alla mala vita, individuale e organizzata.
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