Gentilissimo dottor Pelillo, la sua sapidissima reprimenda me la sono sentita addosso con il bruciore di una bene assestata scudisciata. Non posso escludere di essere una capra belante nequizie oniriche. Per prima cosa ignoravo il 'fatto documentato'. Mi pare che sia questa nota del nostro ormai settario Corrierone.
Corriere della Sera - 11 novembre 2017 - pagina 11
I documenti
Ecco come Bankitalia intervenne sulla Vicentina per cambiare il prezzo
MILANO Che cosa fece Banca d’Italia quando si accorse nel 2009 che, nonostante le sollecitazioni a intervenire sul tema, la Popolare di Vicenza, banca non quotata, non aveva adeguato il prezzo delle proprie azioni alla sua diminuita capacità di produrre reddito?
Gli ispettori che nell’aprile di quell’anno si ripresentano a Vicenza e restano lì fino ad agosto a spulciare carte scoprono che il consiglio presieduto da Gianni Zonin fa ancora di testa sua: non ci sono prassi codificate per fissare il prezzo delle azioni né valutazioni rigorose, tantomeno esperti terzi che valutino la banca nonostante le continue sollecitazioni della Vigilanza in tal senso e le sanzioni inflitte al consiglio fin dal lontano 2001.
La relazione riservata del 2009 — arrivata sul tavolo del governatore Mario Draghi — non restò senza seguito, ricostruiscono fonti della Banca d’Italia all’indomani del confronto (a distanza, non più all’americana), tra il capo della Vigilanza, Carmelo Barbagallo, e il direttore generale della Consob, Angelo Apponi, su come le due autorità hanno vigilato sull’istituto vicentino. Ed è una risposta alle accuse della Consob di non essere stata informata delle «criticità» scoperte sul valore delle azioni.
L’ispezione avviata il 16 aprile 2009 fu tecnicamente un «follow up», un seguito dell’ispezione generale del 2007-2008 che aveva nuovamente contestato l’assenza di criteri per la determinazione del prezzo delle azioni. Tra le contestazioni mosse al consiglio c’era anche quella di agire in conflitto di interesse, visto che in esso sedevano soci che in tal modo stabilivano quanto valessero i loro stessi titoli. Un valore che anno dopo anno continuava a salire, indipendentemente dal mercato.
Le lettere di Bankitalia al board di PopVi per adeguarsi alle indicazioni sono ripetute: arrivano il 4 giugno 2008 e il 26 gennaio 2009 ma senza esito. È anche per questo che gli ispettori tornano a Vicenza, contestando alla banca di non avere ottemperato alle prescrizioni della Vigilanza. Zonin lo farà solo nel 2011, incaricando un professionista esterno, il professor Enrico Laghi. Da allora il titolo rimase fermo a 62,5 euro fino al 2015, quando fu ridotto a 48 euro, a crisi conclamata.
Le carte erano riservate ma il tema era di pubblico dominio, ricordano in Banca d’Italia. C’era stato anche un esposto presentato dall’Adusbef alla procura di Vicenza, che però il gip di allora archiviò nell’aprile 2009 su richiesta della stessa procura, che pure aveva acquisito il rapporto della Banca d’Italia. Perché allora non finirono anche in Consob, quelle carte? A Palazzo Koch — che ha a cuore la stabilità del sistema — la spiegazione è che Bankitalia ha sul punto poteri assoluti e che non c’era alcun obbligo di legge di girare le carte alla Consob visto che non si era in presenza di un aumento di capitale o di un’offerta al pubblico di titoli né esistevano protocolli per lo scambio di informazioni sul prezzo delle azioni. In sostanza, tutti i rilievi erano di pertinenza della Banca d’Italia. Allora si trattava di un problema di natura organizzativa e procedimentale, sia pure serio. Cui Zonin però non diede seguito per mesi e mesi.
Fabrizio Massaro
©Riproduzione riservata
Corriere della Sera - 11 novembre 2017 - pagina 11
I documenti
Ecco come Bankitalia intervenne sulla Vicentina per cambiare il prezzo
MILANO Che cosa fece Banca d’Italia quando si accorse nel 2009 che, nonostante le sollecitazioni a intervenire sul tema, la Popolare di Vicenza, banca non quotata, non aveva adeguato il prezzo delle proprie azioni alla sua diminuita capacità di produrre reddito?
Gli ispettori che nell’aprile di quell’anno si ripresentano a Vicenza e restano lì fino ad agosto a spulciare carte scoprono che il consiglio presieduto da Gianni Zonin fa ancora di testa sua: non ci sono prassi codificate per fissare il prezzo delle azioni né valutazioni rigorose, tantomeno esperti terzi che valutino la banca nonostante le continue sollecitazioni della Vigilanza in tal senso e le sanzioni inflitte al consiglio fin dal lontano 2001.
La relazione riservata del 2009 — arrivata sul tavolo del governatore Mario Draghi — non restò senza seguito, ricostruiscono fonti della Banca d’Italia all’indomani del confronto (a distanza, non più all’americana), tra il capo della Vigilanza, Carmelo Barbagallo, e il direttore generale della Consob, Angelo Apponi, su come le due autorità hanno vigilato sull’istituto vicentino. Ed è una risposta alle accuse della Consob di non essere stata informata delle «criticità» scoperte sul valore delle azioni.
L’ispezione avviata il 16 aprile 2009 fu tecnicamente un «follow up», un seguito dell’ispezione generale del 2007-2008 che aveva nuovamente contestato l’assenza di criteri per la determinazione del prezzo delle azioni. Tra le contestazioni mosse al consiglio c’era anche quella di agire in conflitto di interesse, visto che in esso sedevano soci che in tal modo stabilivano quanto valessero i loro stessi titoli. Un valore che anno dopo anno continuava a salire, indipendentemente dal mercato.
Le lettere di Bankitalia al board di PopVi per adeguarsi alle indicazioni sono ripetute: arrivano il 4 giugno 2008 e il 26 gennaio 2009 ma senza esito. È anche per questo che gli ispettori tornano a Vicenza, contestando alla banca di non avere ottemperato alle prescrizioni della Vigilanza. Zonin lo farà solo nel 2011, incaricando un professionista esterno, il professor Enrico Laghi. Da allora il titolo rimase fermo a 62,5 euro fino al 2015, quando fu ridotto a 48 euro, a crisi conclamata.
Le carte erano riservate ma il tema era di pubblico dominio, ricordano in Banca d’Italia. C’era stato anche un esposto presentato dall’Adusbef alla procura di Vicenza, che però il gip di allora archiviò nell’aprile 2009 su richiesta della stessa procura, che pure aveva acquisito il rapporto della Banca d’Italia. Perché allora non finirono anche in Consob, quelle carte? A Palazzo Koch — che ha a cuore la stabilità del sistema — la spiegazione è che Bankitalia ha sul punto poteri assoluti e che non c’era alcun obbligo di legge di girare le carte alla Consob visto che non si era in presenza di un aumento di capitale o di un’offerta al pubblico di titoli né esistevano protocolli per lo scambio di informazioni sul prezzo delle azioni. In sostanza, tutti i rilievi erano di pertinenza della Banca d’Italia. Allora si trattava di un problema di natura organizzativa e procedimentale, sia pure serio. Cui Zonin però non diede seguito per mesi e mesi.
Fabrizio Massaro
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