CARO SCIASCIA, PERCHE' CON PANNELLA?
Caro Leonardo, il senso di sgomento che ho provato nell'apprendere la notizia della tua candidatura nel partito radicale mi ha fatto riflettere sulla misura e qualità della mia amicizia per te.
Gli amici, infatti, con cui ho parlato dopo aver appreso la notizia, (qualcuno anche tuo sincero ammiratore), reagirono in modo assai diverso dal mio, e io non riuscivo, e non riesco, a partecipare alla logica nella quale procedeva il loro giudizio, attinente piuttosto alla tua gestualità che alla tua essenza.
Non suona bene al mio orecchio la frase trionfalista e irrispettosa di Pannella secondo cui «sono bastati dieci minuti per convincere l'autore di "Todo Modo»». Un taumaturgo da baraccone sarebbe riuscito a «stregare» un uomo della tua qualità?
Neppure mi convince il giudizio secondo il quale un rafforzamento dei radicali indebolisce i tre maggiori partiti italiani, Dc, Pci, Psi, in particolare, dicono, quest'ultimo. Ciò può anche avere un fondamento, ma non credo tu abbia pensato a questo. Né mi convince la sbrigativa e grossolana tesi del «dispetto ai comunisti». Tu nei confronti dei comunisti non hai fatto dispetti, ma azioni concrete, di tipo «dissidente sovietico», anche se gli eventuali motivi della dissidenza dei sovietici qua mancano del tutto. E anche perché il «dispetto» non ti si addice.
Ti avevo visto, a Palermo, tre volte, nello spazio di pochi giorni. I nostri colloqui erano stati, mi era parso, migliori dei precedenti. Su alcuni punti, per esempio, sul terrorismo e gli arresti degli autonomi, avevi espresso idee che condividevo; ed eri stato tu a riferirmi, con sdegno, la frase di Raoul Levi (appartenente a quel gruppo di «filosofi» verso i quali, in precedenza, non ti eri mostrato ostile) secondo la quale Gramsci veniva assimilato a Mussolini, mostrando in tal modo di che lurida stoffa sia tessuto il suo vestito di filosofo.
Mi avevi detto anche che avevi rifiutato l'offerta dei socialisti e non avresti accettato offerte radicali.
Io ho parlato di Pannella e tu non hai confutato le cose dette da me, come hai fatto, lealmente, tante altre volte, a voce, per iscritto, in privato e in pubblico.
Ammetterai che, fresco di questi incontri con te, il mio smarrimento abbia qualche motivo.
Il ventotto aprile ero ad Assisi, con Fabrizio Clerici, tuo e mio caro amico, il quale può testimoniare del mio stato d'animo. Siamo andati insieme a rivedere Giotto e i recenti restauri. Nella chiesa superiore, guardando il riquadro «il sogno di Onorio III», nel quale Francesco sostiene con una spalla l'edificio della Chiesa che crolla, mentre da un lato il papa sogna, Fabrizio, forse per correggere il mio malumore, disse: «San Francesco è Leonardo che sostiene il partito radicale, mentre Pannella (Onorio) digiuna».
E vero che tu dai un grande sostegno ai radicali, anche se Onorio organizza spettacoli anche digiunando. E io mi chiedevo il perché di tanto sostegno. Perché appoggiare una sinistra «qualunque»? Una «sinistra» fatta di insoddisfazioni e di umori, di sollecitazioni di bassa lega. Perché?
Sono certo che la tua decisione è precipitata nel momento in cui è precipitata, e certo non metterei mai in dubbio il
legittimo diritto di un «uomo libero» a contraddirsi.
Ma tu dici anche: «avendo alle spalle alcune riflessioni». Sarebbe stato interessante sapere se, oltre alle riflessioni che tutti conoscono perché da te espresse in chiare lettere, ci siano state anche delle «riflessioni» riguardanti il partito radicale, la persona politica di Pannella, le sue posizioni nei confronti di questo o quel problema; se tu non hai riflettuto, anche, sugli aspetti qualunquistici della sua politica, del qualunquismo «di sinistra» che trova (o lo cerca?) l'applauso di Montanelli.
E se, quando ricordi il tuo voto a Vittorini, candidato senza garanzie per pura generosità del suo cuore (ma sia chiaro che anche la sua attuale accettazione di candidatura è dovuta alla generosità del tuo cuore) nel gruppo radicale, tu non hai riflettuto al fatto che solo il nome unisce il partito radicale di allora, un partito della sinistra liberale fatto di gente all'antica, seria, lontana da ogni spirito di avventura, al partito radicale di oggi.
Tu parli anche degli «schiavi che si contano». In che senso i radicali sarebbero «schiavi che si contano»? Nel senso dei primi cristiani? O nel senso di alcuni uomini di natura indipendente che si contano tra loro? E, in tal caso, non cessano di contarsi allorché sostengono un partito che annuncia, come i pugilatori intervistati prima dell'incontro, terrificanti vittorie?
Gli schiavi, caro Leonardo, ci sono, e non si contano, perché sono un'immensa moltitudine. Quella degli oppressi e degli sfruttati, su tutta la faccia della terra. Questi schiavi hanno il loro partito, sono la grande, vera sinistra, lucida e organizzata, e non una sinistra «qualunque».
Spero che accoglierai questa lettera per quello che è, come altre che ci siamo scambiate, di leale e rispettoso dissenso del tuo gesto di oggi, e non un atto di propaganda del candidato di un partito diverso da quello che hai deciso di appoggiare.
Spero che non considererai questa lettera un «tirarti per i capelli», ma solo un gesto di lealtà, contro un silenzio o
un'indifferenza che non sarebbero stati lealtà.
Renato Guttuso
Caro Leonardo, il senso di sgomento che ho provato nell'apprendere la notizia della tua candidatura nel partito radicale mi ha fatto riflettere sulla misura e qualità della mia amicizia per te.
Gli amici, infatti, con cui ho parlato dopo aver appreso la notizia, (qualcuno anche tuo sincero ammiratore), reagirono in modo assai diverso dal mio, e io non riuscivo, e non riesco, a partecipare alla logica nella quale procedeva il loro giudizio, attinente piuttosto alla tua gestualità che alla tua essenza.
Non suona bene al mio orecchio la frase trionfalista e irrispettosa di Pannella secondo cui «sono bastati dieci minuti per convincere l'autore di "Todo Modo»». Un taumaturgo da baraccone sarebbe riuscito a «stregare» un uomo della tua qualità?
Neppure mi convince il giudizio secondo il quale un rafforzamento dei radicali indebolisce i tre maggiori partiti italiani, Dc, Pci, Psi, in particolare, dicono, quest'ultimo. Ciò può anche avere un fondamento, ma non credo tu abbia pensato a questo. Né mi convince la sbrigativa e grossolana tesi del «dispetto ai comunisti». Tu nei confronti dei comunisti non hai fatto dispetti, ma azioni concrete, di tipo «dissidente sovietico», anche se gli eventuali motivi della dissidenza dei sovietici qua mancano del tutto. E anche perché il «dispetto» non ti si addice.
Ti avevo visto, a Palermo, tre volte, nello spazio di pochi giorni. I nostri colloqui erano stati, mi era parso, migliori dei precedenti. Su alcuni punti, per esempio, sul terrorismo e gli arresti degli autonomi, avevi espresso idee che condividevo; ed eri stato tu a riferirmi, con sdegno, la frase di Raoul Levi (appartenente a quel gruppo di «filosofi» verso i quali, in precedenza, non ti eri mostrato ostile) secondo la quale Gramsci veniva assimilato a Mussolini, mostrando in tal modo di che lurida stoffa sia tessuto il suo vestito di filosofo.
Mi avevi detto anche che avevi rifiutato l'offerta dei socialisti e non avresti accettato offerte radicali.
Io ho parlato di Pannella e tu non hai confutato le cose dette da me, come hai fatto, lealmente, tante altre volte, a voce, per iscritto, in privato e in pubblico.
Ammetterai che, fresco di questi incontri con te, il mio smarrimento abbia qualche motivo.
Il ventotto aprile ero ad Assisi, con Fabrizio Clerici, tuo e mio caro amico, il quale può testimoniare del mio stato d'animo. Siamo andati insieme a rivedere Giotto e i recenti restauri. Nella chiesa superiore, guardando il riquadro «il sogno di Onorio III», nel quale Francesco sostiene con una spalla l'edificio della Chiesa che crolla, mentre da un lato il papa sogna, Fabrizio, forse per correggere il mio malumore, disse: «San Francesco è Leonardo che sostiene il partito radicale, mentre Pannella (Onorio) digiuna».
E vero che tu dai un grande sostegno ai radicali, anche se Onorio organizza spettacoli anche digiunando. E io mi chiedevo il perché di tanto sostegno. Perché appoggiare una sinistra «qualunque»? Una «sinistra» fatta di insoddisfazioni e di umori, di sollecitazioni di bassa lega. Perché?
Sono certo che la tua decisione è precipitata nel momento in cui è precipitata, e certo non metterei mai in dubbio il
legittimo diritto di un «uomo libero» a contraddirsi.
Ma tu dici anche: «avendo alle spalle alcune riflessioni». Sarebbe stato interessante sapere se, oltre alle riflessioni che tutti conoscono perché da te espresse in chiare lettere, ci siano state anche delle «riflessioni» riguardanti il partito radicale, la persona politica di Pannella, le sue posizioni nei confronti di questo o quel problema; se tu non hai riflettuto, anche, sugli aspetti qualunquistici della sua politica, del qualunquismo «di sinistra» che trova (o lo cerca?) l'applauso di Montanelli.
E se, quando ricordi il tuo voto a Vittorini, candidato senza garanzie per pura generosità del suo cuore (ma sia chiaro che anche la sua attuale accettazione di candidatura è dovuta alla generosità del tuo cuore) nel gruppo radicale, tu non hai riflettuto al fatto che solo il nome unisce il partito radicale di allora, un partito della sinistra liberale fatto di gente all'antica, seria, lontana da ogni spirito di avventura, al partito radicale di oggi.
Tu parli anche degli «schiavi che si contano». In che senso i radicali sarebbero «schiavi che si contano»? Nel senso dei primi cristiani? O nel senso di alcuni uomini di natura indipendente che si contano tra loro? E, in tal caso, non cessano di contarsi allorché sostengono un partito che annuncia, come i pugilatori intervistati prima dell'incontro, terrificanti vittorie?
Gli schiavi, caro Leonardo, ci sono, e non si contano, perché sono un'immensa moltitudine. Quella degli oppressi e degli sfruttati, su tutta la faccia della terra. Questi schiavi hanno il loro partito, sono la grande, vera sinistra, lucida e organizzata, e non una sinistra «qualunque».
Spero che accoglierai questa lettera per quello che è, come altre che ci siamo scambiate, di leale e rispettoso dissenso del tuo gesto di oggi, e non un atto di propaganda del candidato di un partito diverso da quello che hai deciso di appoggiare.
Spero che non considererai questa lettera un «tirarti per i capelli», ma solo un gesto di lealtà, contro un silenzio o
un'indifferenza che non sarebbero stati lealtà.
Renato Guttuso
*************
CARO GUTTUSO, AMICO INQUISITORE...
Caro Renato, che tu abbia voluto ricordarmi cose dette tra noi qualche settimana addietro, non mi fa pensare ti sia venuto il sospetto che io possa rinnegarle. Penso, piuttosto, ti sia venuta la preoccupazione che l'influsso prodigiosamente malefico di Pannella me le abbia fatte dimenticare. Ma posso assicurarti che non le ho dimenticate; e potrei ripeterle.
L'incontro con Pannella e l'accettazione della candidatura nelle liste radicali non hanno minimamente mutato le mie idee e i miei giudizi. Quando, subito dopo avere accettato la candidatura, ho parlato di contraddizione e ho rivendicato il diritto di contraddirmi, intendevo indicare una contraddizione che riguardava la mia «persona fisica», per dirla con linguaggio fiscale. Non ideale, non di pensiero, non di giudizio.
Io sto contraddicendomi soltanto nel fatto che alla decisione di non accettare candidatura è subentrata improvvisamente quella di accettarla nelle liste radicali. Per il resto, so di non contraddirmi.
A tutti gli imbecilli che hanno afferrato al volo la parola contraddizione e ora me la puntano contro, non posso che rivolgere l'invito a rileggere o a leggere tutto quello che ho scritto dal 1950 ad oggi. A te, mio attento e intelligentissimo lettore di sempre, lucido e cordiale giudice anche di quelle mie cose da cui più dissenti, non possono rivolgere un simile invito. Tu sai bene che nemmeno ora io mi contraddico.
La tua preoccupazione e il tuo sgomento non vengono dallo scoprirmi in contraddizione: sono un modo e del tuo modo di vivere il comunismo e del tuo modo d'intendere l'amicizia`. Tu dici: «La notizia della tua candidatura nel partito radicale mi ha fatto riflettere sulla misura e qualità della mia amicizia per te». Al contrario, il tuo essere comunista negli anni del realismo socialista, durante la polemica Vittorini-Togliatti, di fronte ai fatti d'Ungheria e di Cecoslovacchia, in questi anni di compromesso storico, non mi hanno mai fatto riflettere sull'amicizia che sentivo per te anche prima di conoscerti e che ha poi trovato conferma nel conoscerti.
Il mio più vecchio e caro amico, di una amicizia cominciata quarantacinque anni fa a scuola e che dura inalterata, è stato democristiano per almeno vent'anni. Tra noi c'è stato sempre un sereno ragionare sulle illusioni e delusioni sue, sulle illusioni e delusioni mie. Ad un certo punto non è più stato democristiano: ma perché in quel partito aveva consumato la sua esperienza ed esaurito le sue illusioni. Era il punto cui doveva, per la sua onestà, inevitabilmente arrivare; il punto cui lo aspettavo. E non trionfalisticamente, lo aspettavo, ma amaramente. E' una persona onesta, ha combattuto la sua battaglia: e l'ha persa. Ma quel che conta nella sua vita, e conta anche per me suo amico, è che l'ha combattuta. Il fatto che io sapessi fin dal principio quale amaro frutto avrebbe raccolto, non mi ha fatto mai sentire, nei suoi riguardi, dalla parte della verità.
Ed è questa la ragione vera, profonda e terribile (sì, anche terribile) della tua lettera di sabato: che tu ti senti nella verità e vedi me, tuo amico, allontanarmene. Da ciò la tua apprensione, il tuo sgomento, il tuo impulso di fermarmi, di salvarmi. Sentimenti e turbamenti sinceri, che io qui ed ora, in questo nostro paese in cui ancora si è liberi di sbagliare, posso mettere in conto della tua amicizia, del tuo modo d'intendere l'amicizia (un modo che potrei, sempre qui ed ora, dire molto siciliano).
Ma che cosa sarebbe la tua apprensione, il tuo sgomento, la tua ansietà di salvarmi l'anima in un paese o in un sistema dove tutte le anime debbono essere salvate e l'errore non è consentito?
Ho scorso parecchi processi inquisitoriali, e specialmente del secolo diciassettesimo: e ti assicuro che dalla maggior parte di essi vien fuori autentica, sincera, commossa la volontà degli inquisitori di salvare l'anima degli inquisiti. Non voglio con ciò dire che considero la tua lettera come una specie di sopralluogo inquisitoriale su una mia decisione che tu consideri errata. La considero anzi una prova di amicizia, della tua amicizia. La mia per te è un po' diversa: non voglio salvarti l'anima.
Un mio concittadino usava chiudere le discussioni con questa frase: «Siamo d'accordo, ma la pensiamo diversamente». Ci si rideva sopra, ma l'affermazione è molto più sensata di come a prima vista appare. Anche noi, caro Renato, siamo d accordo su tante cose ma la pensiamo diversamente. Contentiamoci dell'essere d'accordo su qualche punto. E continuiamo, finché si può, a pensarla diversamente.
CARO GUTTUSO, AMICO INQUISITORE...
Caro Renato, che tu abbia voluto ricordarmi cose dette tra noi qualche settimana addietro, non mi fa pensare ti sia venuto il sospetto che io possa rinnegarle. Penso, piuttosto, ti sia venuta la preoccupazione che l'influsso prodigiosamente malefico di Pannella me le abbia fatte dimenticare. Ma posso assicurarti che non le ho dimenticate; e potrei ripeterle.
L'incontro con Pannella e l'accettazione della candidatura nelle liste radicali non hanno minimamente mutato le mie idee e i miei giudizi. Quando, subito dopo avere accettato la candidatura, ho parlato di contraddizione e ho rivendicato il diritto di contraddirmi, intendevo indicare una contraddizione che riguardava la mia «persona fisica», per dirla con linguaggio fiscale. Non ideale, non di pensiero, non di giudizio.
Io sto contraddicendomi soltanto nel fatto che alla decisione di non accettare candidatura è subentrata improvvisamente quella di accettarla nelle liste radicali. Per il resto, so di non contraddirmi.
A tutti gli imbecilli che hanno afferrato al volo la parola contraddizione e ora me la puntano contro, non posso che rivolgere l'invito a rileggere o a leggere tutto quello che ho scritto dal 1950 ad oggi. A te, mio attento e intelligentissimo lettore di sempre, lucido e cordiale giudice anche di quelle mie cose da cui più dissenti, non possono rivolgere un simile invito. Tu sai bene che nemmeno ora io mi contraddico.
La tua preoccupazione e il tuo sgomento non vengono dallo scoprirmi in contraddizione: sono un modo e del tuo modo di vivere il comunismo e del tuo modo d'intendere l'amicizia`. Tu dici: «La notizia della tua candidatura nel partito radicale mi ha fatto riflettere sulla misura e qualità della mia amicizia per te». Al contrario, il tuo essere comunista negli anni del realismo socialista, durante la polemica Vittorini-Togliatti, di fronte ai fatti d'Ungheria e di Cecoslovacchia, in questi anni di compromesso storico, non mi hanno mai fatto riflettere sull'amicizia che sentivo per te anche prima di conoscerti e che ha poi trovato conferma nel conoscerti.
Il mio più vecchio e caro amico, di una amicizia cominciata quarantacinque anni fa a scuola e che dura inalterata, è stato democristiano per almeno vent'anni. Tra noi c'è stato sempre un sereno ragionare sulle illusioni e delusioni sue, sulle illusioni e delusioni mie. Ad un certo punto non è più stato democristiano: ma perché in quel partito aveva consumato la sua esperienza ed esaurito le sue illusioni. Era il punto cui doveva, per la sua onestà, inevitabilmente arrivare; il punto cui lo aspettavo. E non trionfalisticamente, lo aspettavo, ma amaramente. E' una persona onesta, ha combattuto la sua battaglia: e l'ha persa. Ma quel che conta nella sua vita, e conta anche per me suo amico, è che l'ha combattuta. Il fatto che io sapessi fin dal principio quale amaro frutto avrebbe raccolto, non mi ha fatto mai sentire, nei suoi riguardi, dalla parte della verità.
Ed è questa la ragione vera, profonda e terribile (sì, anche terribile) della tua lettera di sabato: che tu ti senti nella verità e vedi me, tuo amico, allontanarmene. Da ciò la tua apprensione, il tuo sgomento, il tuo impulso di fermarmi, di salvarmi. Sentimenti e turbamenti sinceri, che io qui ed ora, in questo nostro paese in cui ancora si è liberi di sbagliare, posso mettere in conto della tua amicizia, del tuo modo d'intendere l'amicizia (un modo che potrei, sempre qui ed ora, dire molto siciliano).
Ma che cosa sarebbe la tua apprensione, il tuo sgomento, la tua ansietà di salvarmi l'anima in un paese o in un sistema dove tutte le anime debbono essere salvate e l'errore non è consentito?
Ho scorso parecchi processi inquisitoriali, e specialmente del secolo diciassettesimo: e ti assicuro che dalla maggior parte di essi vien fuori autentica, sincera, commossa la volontà degli inquisitori di salvare l'anima degli inquisiti. Non voglio con ciò dire che considero la tua lettera come una specie di sopralluogo inquisitoriale su una mia decisione che tu consideri errata. La considero anzi una prova di amicizia, della tua amicizia. La mia per te è un po' diversa: non voglio salvarti l'anima.
Un mio concittadino usava chiudere le discussioni con questa frase: «Siamo d'accordo, ma la pensiamo diversamente». Ci si rideva sopra, ma l'affermazione è molto più sensata di come a prima vista appare. Anche noi, caro Renato, siamo d accordo su tante cose ma la pensiamo diversamente. Contentiamoci dell'essere d'accordo su qualche punto. E continuiamo, finché si può, a pensarla diversamente.
Leonardo Sciascia
Nessun commento:
Posta un commento