giovedì 12 dicembre 2024

martedì 23 dicembre 2014 Terraggio e terraggiolo: atto finale Terraggio e terraggiolo: atto finale Presso la Matrice si conserva un Liber in quo adnotata reperiuntur nomina plurimorum Sacerdotum. Al n.° 292 (col. 16) incontriamo questa dedica a D. Nicolò Figliola: «di Grotte, domiciliato in Racalmuto, eletto nella causa del Terragiuolo, che gli antenati inutilmente tentarono nei tribunali contro il Signor Conte. «Nell’anno 1783 si cominciò la causa, e nel tempo dell’agitazione il predetto Figliola due volte si trasferì in Napoli al R. Erario e riportò dal Sovrano, che il Conte mostrasse il titolo dell’imposizione del terragiolo, che non poté provare, per cui sotto li 30 luglio 1787, dopo quattro anni di causa dal Tribunale si era designato il giorno di decisione, ma il Figliola nello stesso mese, se ne morì. «Il sudetto nel 1786 ottenne dal Re, che questa terra di Racalmuto si reluisse il Mero e Misto Imperio, che di più di centinaia d’anni ne godeva il Conte. Morì in corso di causa, con pianto e dolore universale, nell’infermeria dei RR.PP. del Terz’Ordine di S. Francesco nel convento della Misericordia, in cui sta sepolto il di lui cadavere, in Palermo. 14 luglio 1787 d’anni 38.» Al n.° 297 (col. 17) tocca all’altro protagonista della vicenda: l’Arciprete D. Stefano Campanella, di cui si tesse questo encomio: «Collegiale-Economo nel 1754-1755 in Campofranco. Successore dell’Arciprete Antonio Scaglione, fatto il concorso nella Corte Vescovile di Girgenti nel 1756 a 19 Febbraio sotto Mons. Lucchese Palli, approvato e raccomandato alla Santità di Papa Benedetto XIV, da cui fu eletto Arciprete Parroco con bolla emanata da Roma 16 giugno 1756 ed in Palermo esecutoriata 8 Agosto 1756 confirmata dal Vescovo di Girgenti 14 Agosto e l’indomani, 15, prese possesso. «Da principio curò il ristoramento delle Fabbriche della Chiesa. Nel 1760 fece la presente ampia Sacristia, nel 1767 compì il cappellone grande. Nel 1776 si perfezionò con stucchi ed oro fino, si fecero i due campanili ed arricchì la chiesa di arredi sacri nel 1783. «Egli con altri primari del paese incominciarono a proprie spese la causa per il Terragiolo nel Tribunale di Palermo e dopo quattro anni di strepitosa lite dal Tribunale rotondamente si determinò a 28 Settembre 1787. “Jesus= Jus Terragii, et Terragiolii tam intra, quam extra territorium declaratur non deberi.” «Finalmente nel 1787 in Favara fu Visitatore eletto dalla Corte Vescovile di Girgenti per quel Collegio di Maria. Morì compianto da tutti il 26 Aprile 1789 d’anni 60, mesi otto, giorni 2 - e di Arcipretura anni 32, mesi 8 giorni 7. «Fu ancora Vicario di questo Monastero, Delegato dalla Regia Monarchia etc.» La vicenda del terraggio e del terraggiolo è stata oggetto di nostre apposite ricerche, che, solo di recente per il ritrovamento di importanti documenti da parte del prof. Giuseppe Nalbone, abbiamo potuto approfondire: crediamo di essere riusciti almeno in parte nell’opera di ripulitura di tante incrostazioni ideologiche degli storici nostrani. Di rilievo, alcune carte della Real Segreteria del 1785 che palesano una settecentesca controversia clerical-sociale nella nostra Racalmuto. La politica antibaronale del Caracciolo è fin troppo nota per sorprenderci dell’andamento della controversia feudale di Racalmuto. Non siamo partigiani certamente del Principe di Lampedusa, né del sacerdote locale, don Giuseppe Savatteri, che gli teneva bordone. Ma al di là dei meriti dei sacerdoti Figliola e Campanella, prima rievocati, fu quella del 28 settembre 1787 una sentenza politica, giuridicamente azzardata, storicamente falsa. Era di sicuro un grande araldista il Requisenz per lasciarsi abbindolare dai legulei di Racalmuto. Avrà esibito i bei diplomi del 500 e del 600, tutti a suo vantaggio, ma contro il Caracciolo naufragò. Al di là dell’aspetto sociale, che ci vede dall’altra parte della barricata, siamo portati, per amore della storia locale, a credere che il burbanzoso principe di Pantelleria avesse ragione e l’illuminista Caracciolo sbagliasse. Resta ancora poco chiaro come venissero corrisposti i pesi feudali ai del Carretto, se in natura (come i termini “terraggio” e “terraggiolo” fanno pensare) o in contanti (come tanti atti dell’epoca lasciano intendere) o in forma mista. Abbiamo notato sopra le varie controversie dei Gaetani sul terraggio e sul terraggiolo. I tribunali gli avevano dato, tutto sommato, ragione, ma erano altri tempi. Ora, alla fine del Settecento la musica è ben altra. Ne fa le spese il buon nome del sac. Savatteri, vilipeso imperituramente da Sciascia. Sac. Giuseppe Savatteri e Brutto (1755-1802) Bello, elegante, colto, raffinato, ricco, sprezzante - quanto casto non è dato sapere - questo prete svetta sia nelle vicende della famiglia sia in quelle della locale storia. Leonardo Sciascia, avvalendosi di dati di seconda mano, tenta di infilzarlo, ma commette una delle sue solite manipolazioni storiche per prevenzioni ideologiche. Il sac. Giuseppe Savatteri ha coraggio, cultura e intraprendenza tali da osare un’impari contrapposizione con il suo potente (e dispotico) vescovo agrigentino. Entra nell’intricata storia del beneficio del Crocifisso. Quando, il Tinebra Martorana - un famiglio della discutibile consorteria dei Tulumello - si accinge, nel 1897, a scrivere la storia del paese, non gli sembra vero di dilatare il senso di un documento giudiziario - che invece di venire custodito negli archivi del Comune, sta fra le carte private del barone Tulumello - per dileggiare un Savatteri, la famiglia ostile ai suoi protettori, che fra l’altro lo facevano studiare da medico a spese dell’Amministrazione comunale. Quello sui cui il Tinebra trama è il carteggio del Caracciolo su cui abbiamo già detto. Ripetiamo quello che riguarda il nostro sacerdote: «17. La Gran Corte dia le pronte provvidenze di giustizia, onde li cittadini non soffrano aggravij - A febbraio p.p. in die 16 - Li naturali della terra di Racalmuto, sentendosi molto gravati di questo esattore ed amministratore Prete d. Giuseppe Savatteri nell’esigenza del terragiolo dentro e fuori di questo stato, quanto nell’avere agumentato la Baglìa a tutti li poveri giornalieri, formando una Cascia o Statica come anche esatte a forza di prepotenze pignorando sin anco gli utensili delle loro moglie e pratticando molte estorsioni. «Pregano l’E.V. di ordinare il conveniente per non vedersi pur troppo soverchiati.» Al Tinebra Martorana mancano competenza e penna per fronteggiare la complessa vicenda della lotta al baronaggio siciliano da parte del discutibile Caracciolo (l’agiografica visione dei laici del Settecento e del postumo Sciascia lascia oggi il tempo che trova). Il Tinebra, dunque, compatta scarne e disparate “notizie storiche” in un capitoletto sul Settecento e velenosamente rubrica (pag. 184): «1785 - Soprusi praticati dal sac. Giuseppe Savatteri, arrendatore di Racalmuto, verso i poverelli.» Non parve vero a Leonardo Sciascia di rigonfiare quell’appunto per una delle sue solite tiritere anticlericali. Nessuna ricerca storica, da parte sua; nessun approfondimento; nessuno spunto critico. Scrive dunque lo Sciascia : «Ecco il rapporto di un altro funzionario al Tribunale della Real Corte sui “soprusi praticati dal sacerdote Giuseppe Savatteri, verso i poverelli”» e giù, senza analisi critica, il testo di un’evidente lettera anonima, che crediamo essere dovuta alla penna del malevolo arciprete Campanella, o peggio del sac. Busuito, contro cui il Savatteri aveva affilato le armi per l’usurpazione del beneficio del Crocifisso. Prosegue Sciascia: «Il bello è che dopo questo rapporto il Tribunale della Real Corte ordinava al giudice criminale di Regalpetra [alias Racalmuto] “di far restituire ai borgesi tutti gli oggetti che il sacerdote Savatteri aveva ad essi pignorati”, forse i lettori non lo crederanno ma la cosa è andata davvero così”.» Con buona pace di Sciascia, a noi pare che le cose erano molto più complesse e coinvolgono la politica dei re Borboni di Napoli, che è quanto dire. D. Giuseppe Savatteri e Brutto morì nella peste del 1802; il Liber annota: n.° 312, c. 19, D. Giuseppe Savatteri e Brutto, 27 februarii 1802 d’anni 47. Il vescovo non lo aveva voluto come beneficiale della Communia. Il Savatteri faceva però parte della neo-confraternita della Mastranza. Non pare molto diligente nell’annotare le messe che era tenuto a celebrare per i confrati defunti: subisce delle sanzioni. Così risulta annotato in registri della confraternita. Sciascia ed i Sant’Elia - Conclusione Sciascia è benevolo verso i principi di Sant’Elia. Leggiamolo assieme: «Con lui [Girolamo IV, ma rectius III] si estingueva la famiglia, l’investitura passava ai marchesi di Sant’Elia, ancor oggi i borgesi di Regalpetra pagano il censo agli eredi dei Sant’Elia: ma certo che fu grande riforma quella che i Sant’Elia fecero centocinquanta anni addietro, divisero il feudo in lotti, stabilirono un censo non gravoso, la piccola proprietà nacque, litigiosa e feroce; una lite per confini o trazzere fa presto a passare dal perito catastale a quello balistico, i borgesi hanno fame di terra come di pane, ciascuno tenta di mangiare la terra del vicino ...» A parte la bellezza della trasfigurazione letteraria, si resta perplessi. Sotto il profilo storico, non sappiamo dove abbia preso Sciascia quelle notizie sui Sant’Elia. A noi risultano fatti, intenti e liti ben diversi da quelli sottesi nella pagina sciasciana. Ad addentrarsi in tali meandri, il discorso porta lontano, ben lontano dalla vicenda feudale racalmutese. Ed in questa sede c’interessa solo il declino del baronaggio in Racalmuto. Riforma borbonica e rivoluzione francese estinsero quell’istituto. I Sant’Elia ne furono, a loro modo, vittime. Divennero semplici proprietari “allodiali” di terre già in enfiteusi perpetua, sminuzzate tra tanti ex vassalli racalmutesi. Gliene venne il magro censo che ancora all’epoca in cui Sciascia scriveva si pagava, svilito ormai per le tante selvagge svalutazioni monetarie, non certo per bontà d’animo di quei signori. Le loro memorie giacciono negli archivi dei tribunali e quando verranno riesumate suoneranno condanna per quegli ultimi virgulti della decrepita società feudale siciliana.

mercoledì 13 novembre 2024

Storia della Sicilia sabauda Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Niente fonti! Questa voce o sezione sull'argomento Stati scomparsi non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Puoi migliorare questa voce aggiungendo citazioni da fonti attendibili secondo le linee guida sull'uso delle fonti. Segui i suggerimenti del progetto di riferimento. Voci principali: Storia della Sicilia, Regno di Sicilia. Regno di Sicilia Regno di Sicilia – Bandiera (dettagli) Regno di Sicilia - Stemma (dettagli) Motto: FERT Regno di Sicilia - Localizzazione Dati amministrativi Nome ufficiale Regno di Sicilia Lingue ufficiali latino e italiano Lingue parlate siciliano, italiano, arberesco, greco di Sicilia Capitale Palermo Politica Forma di governo monarchia Re Vittorio Amedeo II di Savoia Organi deliberativi Parlamento del Regno di Sicilia Nascita 1713 Causa Trattato di Utrecht Fine 1720 Causa Trattato dell'Aja Territorio e popolazione Bacino geografico Sicilia Economia Valuta lira, tarì, piastra siciliana Commerci con Francia, Sacro Romano Impero, Spagna, Antichi Stati italiani. Religione e società Religioni preminenti Cattolicesimo Religioni minoritarie Ebraismo Evoluzione storica Preceduto da Regno di Sicilia (vicereame spagnolo) Succeduto da Regno di Sicilia (vicereame austriaco) Modifica dati su Wikidata · Manuale Questa voce è parte della serie Bandiera della Sicilia Storia della Sicilia (Isola di Sicilia) Preistoria Preistoria della Sicilia Sicilia preellenica Storia antica Sicilia fenicia Sicilia greca Sicilia punica Sicilia romana Storia medievale Sicilia vandala Sicilia erulo-ostrogota Sicilia bizantina Conquista islamica della Sicilia Sicilia islamica Conquista normanna dell'Italia meridionale Contea di Sicilia Sicilia normanna Sicilia sveva Sicilia angioina Sicilia aragonese Storia moderna Sicilia spagnola Sicilia sabauda Sicilia austriaca Sicilia borbonica Storia contemporanea Sicilia post-unitaria Sicilia autonoma Categorie Storia della Sicilia per città Storia della Sicilia Questo box: vedi • disc. • mod. La storia della Sicilia sabauda comprende l'arco temporale in cui il Regno di Sicilia fu al centro dei domini di Casa Savoia. Tale periodo, durato circa sette anni, ebbe inizio il 10 giugno 1713, data che sancì il passaggio del regno da Filippo V al duca di Savoia Vittorio Amedeo II, e si concluse nel 1720, quando Carlo VI prese possesso dell'isola cedendo in cambio la Sardegna. Indice 1 Storia 1.1 L'incoronazione 1.2 La ripresa spagnola 1.3 L'arrivo degli Austriaci 2 Viceré della Sicilia sabauda 3 Nella letteratura 4 Note 5 Bibliografia 6 Voci correlate 7 Collegamenti esterni Storia Carlo Alberto Garufi, Rapporti diplomatici tra Filippo V e Vittorio Amedeo II di Savoia nella cessione del Regno di Sicilia, 1914 In occasione del trattato di Utrecht, dopo varie guerre che avevano messo in difficoltà l'Europa, la Casa Savoia ottenne grandi vantaggi, tra cui il titolo regio di Sicilia e l'intera Sicilia: il 10 giugno 1713, infatti, la Spagna firmò il documento di cessione dell'isola ai Savoia sotto la pressione dell'Inghilterra. Le condizioni imposte da Filippo V di Spagna per la cessione della Sicilia erano le seguenti: Casa Savoia non avrebbe mai potuto vendere l'isola o scambiarla con un altro territorio. La Sicilia sarebbe stata mantenuta come feudo della Spagna: estinto il ramo maschile dei Savoia, essa sarebbe tornata alla corona di Madrid. Tutte le immunità in uso in Sicilia non sarebbero state abrogate. In realtà, solo gli ultimi due punti furono accettati da Vittorio Amedeo II. All'ultimo momento, Filippo V fece aggiungere un ultimo punto, secondo cui: il Re di Spagna sarebbe stato in grado di disporre a suo piacimento dei beni confiscati ai sudditi siciliani rei di tradimento. Vittorio Amedeo II, re di Sicilia dal 1713 al 1720 Vittorio Amedeo volle accondiscendere anche a questo punto, per evitare che una protesta del duca potesse rinviare la stesura dei trattati. Il documento con cui si cedeva la Sicilia ai Savoia venne siglato il 13 luglio successivo. Gli araldi lo stesso giorno percorsero Torino annunciando l'acquisizione del titolo regio da parte di Vittorio Amedeo. Una folla esultante si accalcò davanti al palazzo ducale acclamando il re, che uscì dal balcone brindando insieme alla folla.[senza fonte] L'incoronazione Il 27 di quello stesso mese, Vittorio Amedeo II, in procinto di partire per la Sicilia, nominò suo figlio Carlo Emanuele, principe del Piemonte, luogotenente degli Stati di terraferma; ma il ragazzo non aveva che sedici anni e fu dunque assistito da un Consiglio di Reggenza. Il 3 ottobre il nuovo re salpò da Nizza alla volta di Palermo, ove sbarcò circa venti giorni dopo. Il 24 dicembre, dopo una sontuosa cerimonia nella Cattedrale di Palermo, Vittorio Amedeo II e la moglie Anna Maria di Orléans ricevettero la corona regia. Così egli si espresse al Parlamento siciliano in una delle prime sedute[1]: «I nostri pensieri non sono rivolti ad altro che a cercare di avvantaggiare questo Regno per rimetterlo, secondo la Grazia di Dio, al progresso dei tempi, riportarlo al suo antico lustro e a quello stato cui dovrebbe aspirare per la fecondità del suolo, per la felicità del clima, per la qualità degli abitanti e per l'importanza della sua situazione.» I buoni intenti del re vennero messi in pratica nella lotta contro il brigantaggio, nello sviluppo della marina mercantile e nella riorganizzazione finanziaria e dell'esercito (per il quale venne preso a modello quello piemontese). Il re nel suo soggiorno palermitano si era convinto delle difficoltà opposte dal particolarismo siciliano e di quelle insite nella lontananza dell'isola dal potere centrale.[2] Dopo l'incoronazione e il re e la regina partirono da Palermo il 18 aprile 1714 accompagnati da gentiluomini da camera siciliani, un ristretto seguito e dalle guardie del corpo, il 19 giunsero a Termini Imerese, poi attraversarono Cerda, Polizzi Generosa, Petralia Sottana e Nicosia e arrivarono a Leonforte il 20; l'itinerario continuò con la visita di Catania, poi sostò due giorni a Taormina e visitò Messina, poi ritornò a Palermo[3]. La permanenza del re in Sicilia durò fino al 7 settembre 1714. La ripresa spagnola La pace di Utrecht, con tutto ciò che comportò, fu soltanto un evento transitorio nella storia piemontese. La Spagna, infatti, stava fortemente riarmandosi. Intimorite da tanta potenza, Francia, Paesi Bassi, Inghilterra e Austria strinsero via via legami difensivi tra di loro. Vittorio Amedeo II, quando ricevette la notizia della creazione di una possibile Quadruplice Alleanza, si sentì nuovamente in pericolo. Era infatti in progetto, tra i sovrani alleati, di mettere a tacere le mire spagnole in Italia, ma tale progetto si scontrava contro le mire di Casa Savoia. L'Austria, in particolare, progettava di eliminare i Piemontesi dalla Sicilia. Vittorio Amedeo decise di agire con astuzia, inviando messi a Vienna e a Londra per essere costantemente informato delle novità nella politica estera. Se i paesi alleati avessero davvero siglato un'alleanza, allora Vittorio Amedeo sarebbe stato seriamente nei guai, circondato da tutti i fronti. Dopo aver in ogni modo cercato di allearsi all'Austria (anche ricorrendo ad una proposta di matrimonio), Vittorio Amedeo venne attaccato sul fronte siciliano dagli spagnoli, che egli considerava alleati. La Sicilia venne invasa da 30.000 soldati spagnoli sbarcati nei pressi di Solunto nel luglio 1718[4][5] e le poche fortezze piemontesi dovettero desistere dalla difesa, ad eccezione di Siracusa, Milazzo e Trapani. Incoronazione di Vittorio Amedeo II re di Sicilia, bassorilievo nella Cattedrale di Palermo. Arrivò a Palermo François de Bette, marchese di Lede - nominato viceré di Sicilia dai palermitani ma non riconosciuto come tale dai siracusani, che rimanevano fedeli al viceré piemontese Annibale Maffei, che aveva lasciato con le sue truppe Palermo per Siracusa. Il 22 luglio si arrese la città di Messina. Nell'agosto successivo però la flotta inglese sconfisse l'Armada spagnola nella Battaglia di Capo Passero (1718) In settembre gli spagnoli occuparono anche la Cittadella di Messina dove si erano ritirati i piemontesi in luglio. Nel maggio 1719 giunse a Maffei da parte degli alleati inglesi l'ordine di evacuare Siracusa: i piemontesi cedevano il posto agli austriaci nella città, ancora bloccata per terra dalle forze ispaniche. L'arrivo degli Austriaci Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della Sicilia austriaca. Da Vienna arrivò la proposta di aderire alla ormai siglata Quadruplice Alleanza in cambio del titolo di Re di Sardegna. Con la Convenzione del 29 dicembre 1718 i Savoia scambiarono la Sicilia con la Sardegna. La distruzione dell'imponente flotta spagnola e la conseguente vittoria della Quadruplice Alleanza permise a Vittorio Amedeo di mantenere un titolo regio. Dovette però attendere il 20 febbraio 1720, all'Aia, quando la Spagna siglava il trattato con il quale si dichiarava, sconfitta, e il riconoscimento delle decisioni prese dalla Quadruplice Alleanza. L'erede di Casa Savoia prese così possesso dell'isola e fu incoronato Re di Sardegna. Benché Vittorio Amedeo avesse accettato il trasferimento a malincuore, la maggiore vicinanza di quest'isola al Piemonte la rendeva meglio gestibile e controllabile della Sicilia. A maggio le truppe spagnole del marchese De Lede lasciarono la Sicilia. La sorte dell'isola fu quella di ritornare nei domini degli Asburgo, questa volta alle dipendenze dell'Austria. Viceré della Sicilia sabauda Lo stesso argomento in dettaglio: Viceré di Sicilia. Viceré Inizio Fine Annibale Maffei 1714 1718 Nella letteratura Il romanzo storico I Beati Paoli di Luigi Natoli è ambientato nella Sicilia sabauda. Vi compaiono come protagonisti minori, tra gli altri, lo stesso Vittorio Amedeo II e il viceré conte Maffei. I numerosi episodi storici del romanzo includono: la cerimonia d'incoronazione di Vittorio Amedeo II come re di Sicilia nel dicembre 1713, la sua partenza per rientrare a Torino all'inizio del settembre 1714 nonché la capitolazione di Palermo alle truppe spagnole i primi di luglio 1718, con il conseguente abbandono della città da parte del viceré Maffei e della sua corte. Note ^ La Sicilia di Vittorio Amedeo II di Savoia ed il Vicereame austriaco di Fara Misuraca e Alfonso Grasso ^ Vittorio Amedeo II di Savoia sull'Enciclopedia Italiana ^ Vittorio Amedeo II - Un anno in Sicilia di Alberico Lo Faso di Serradifalco Archiviato il 21 luglio 2013 in Internet Archive., la visita di Vittorio Amedeo II nel regno di Sicilia. ^ Isidoro La Lumia, La Sicilia sotto Vittorio Amedeo di Savoia, 1877, p. 208. ^ Centro Studi Piemontesi, Studi piemontesi, vol. 28, ed. 2, 1999, p. 546. Bibliografia Simone Candela, I piemontesi in Sicilia, 1713-1718, Caltanissetta, S. Sciascia, 1996. Lo Faso di Serradifalco Alberico, Piemontesi in Sicilia con Vittorio Amedeo II. La lunga marcia del conte Maffei, in Studi Piemontesi, vol. XXVIII, fasc. 2, 1999, pp. 539-555. Approfondimenti Carlo Alberto Garufi, Rapporti diplomatici tra Filippo V e Vittorio Amedeo II di Savoia nella cessione del Regno di Sicilia, Palermo, Scuola Tip. Boccone del Povero, 1914. Voci correlate Chiesa cattolica nel regno di Sicilia Filippo Juvarra, architetto della corte sabauda Storia di Siracusa in età spagnola (1700 - 1734) Storia della Sicilia spagnola Storia della Sicilia austriaca Sovrani di Sicilia

lunedì 13 maggio 2024

Calogero Taverna, nonagenario, nasce a Racalmuto il Paese di Sciascia. Percorso il normale ciclo scolastico sino alla laurea, entra in Banca d'Italia. Inquadrato nell'Ispettorato Vigilanza, assolve con originalità ed acume ruoli ispettivi topici come quello del caso Sindona. In urto con le alte sfere di Via Nazionale, esplica incarichi apicali nella direzione di banche. Consulente dell'istituto erogatore delle provvidenze comunitarie anche qui determina scombussolamenti. Lasciata ogni collaborazione bancaria e creditizia, si dedica alla ricerca storica: frequenta archivi come quello segreto vaticano o quello centrale di stato o quelli periferici delle varie curie vescovili e parrocchiali. Acquisisce una non usuale visione delle vicende religiose dell'Italia medievale e moderna. In questo volume si sofferma sulle incidenze delle credenze e dei riti sulla vita sociale e politica del suo paese natio. Arriva a conclusioni capovolte rispetto a quelle canoniche di uno Sciascia o degli autori ecclesiastici siciliani.

domenica 28 gennaio 2024

CAMPANE A MARTELLO NEL TRIENNIO 1618e1620 Nel settecento e è da presumere molto fondatamente e il rilegatore ecclesiastico di Racalmuto mette assieme i fausti atti matrimoniali dell'ultimo ventennio del XVI secolo ed un lugubre fascicolo di contabilità mortuaria della Matrice che riguarda un triennio: 1618e1620. E' proprio da far scongiuri contro un archivista in tunica tanto greve ed alquanto iellatore. Munitici di efficace antidoto scaramantico, possiamo indagare sull'ultima parte di quel libro di archivio. Dati, circostanze e notizie assurgono a ghiottoneria storica per la ricostruzione della Racalmuto secentesca, quella dei Girolamo del Carretto, tanto per orientarci. Per il primo funerale del fascicolo, si annota che sono stati percetti cinque tarì e 10 grani. Le esequie avvennero il 4 ottobre del 1618, presente l'intero clero che sappiamo essere una compagine numerosa di una ventina di consacrati. Testualmente è detto con grafia minuta e dimessa: 'a 4 di 8bre 2a Ind. ivi8 (1518) e Paulo Pirrera si morse e fu sepolto a Santa Maria presente clero ...... tt.5 e 10'. Seguono altre 469 annotazioni, sino al 19 novembre del 1620. La triste nota finale è per 'Gerlanda di Gerlando Luparello fu morta et sepulta allo Carmine ........tt. 5 e 10'. Valore di dati statistici assume il seguente riparto: fel1 anno n.ro popolaz 1618 49 196 5.000 39,2 28,91 ottobre 18 216 5.000 43 28,91 novembre 17 204 5.000 40,8 28,91 dicembre 14 168 5.000 33,6 28,91 1619 262 262 5.000 52,4 28,91 gennaio 22 264 5.000 52,8 28,91 febbraio 18 216 5.000 43,2 28,91 marzo 11 132 5.000 26,4 28,91 aprile 12 144 5.000 28,8 28,91 maggio 5 60 5.000 12 28,91 giugno 16 192 5.000 38,4 28,91 òluglio 47 564 5.000 112,8 28,91 agosto 51 612 5.000 122,4 28,91 settembre 27 262 5.000 52,4 28,91 ottobre 22 264 5.000 52,8 28,91 novembre 19 228 5.000 52,4 28,91 dicembre 12 144 5.000 28,8 28,91 1620 159 179 5.000 35,8 28,91 gennaio 20 240 5.000 48 28,91 febbraio 25 300 5.000 60 28,91 marzo 16 192 5.000 38,4 28,91 aprile 15 180 5.000 36 28,91 maggio 18 216 5.000 43,2 28,91 giugno 10 120 5.000 24 28,91 luglio 11 132 5.000 26,4 28,91 agosto 9 108 5.000 21,6 28,91 settembre 15 180 5.000 36 28,91 ottobre 10 120 5.000 24 28,91 novembre 10 180 5.000 36 28,91 f+l2 Anche se gli sbalzi negli indici di mortalità sono notevoli di anno in anno, siamo ancora in situazione di 'mortalità normale'. Vi saranno nel 600 anni 'infaustissimi', come vedremo, in cui la morte falcidia con quozienti da capogiro. Un segno di recrudescenza nella mortalità della Racalmuto del '600 si ha nel trimestre estivo del 1609 (con luglio interessato da un quoziente di mortalità del 112,80 per mille e agosto quando il quoziente svetta addirittura fino al 122,40 per mille). Come sapremo dall'analisi di altra documentazione più completa relativa ad alcuni decenni dopo, la calura estiva e gli inquinamenti idrici saranno le cause scatenanti di una vera strage degli innocenti: la mortalità infantile, di per sè ferocemente estesa in quei secoli di scarsa igiene, esplode ancor più virulenta in taluni periodi estivi. Tra questi, il 1619; l'anno successivo, inceve, la iattura risulta scongiurata. Notiamo una costante: i mesi più salubri sono quelli del quadrimestre intermedio marzoegiugno e di solito la mortalità flette nei mesi che vanno da settembre a dicembre.

domenica 14 gennaio 2024

domenica 25 gennaio 2015 L'Archivio parrocchiale della Matrice di Racalmuto Il primo atto di battesimo della Matrice di Racalmuto Anno 1554 Viene Battezzato il figlio di Gilormo La Licata Inferno Il sacerdote celebrante è il rev. Presti Vincenzo Colicchia RACALMUTO NEI REGISTRI PARROCCHIALI Premessa Col trepido ricordo della mia prima giuventù trascorsa a Racalmuto, mi sono applicato alla decifrazione delle carte d'archivio della Matrice, risalenti al XVI e XVII secolo. Quando, giovanissimo, ho consultato per la prima volta gli atti di battesimo e matrimoniali, ho potuto percorrere all'indietro la mia ascendenza, per parte paterna, sino alle soglie del XVIII secolo: il diligente archivio parrocchiale lo consentiva. Dopo, lavoro e personali interessi mi hanno portato lontano da quelle ricerche, rimanendomi solo vaghe nostalgie e nebulose idee. In questi anni novanta, libero ormai dagli assilli di una professione, ho potuto riannodare il discorso sulla documentazione racalmutese conservata presso la Matrice di Racalmuto, interrottosi circa mezzo secolo fa. Me lo ha consentito l'attuale Arciprete, don Alfonso PUMA. Prete sensibile ed aperto alle cose della cultura, mi ha accordato fiducia dandomi libero accesso ai delicati e preziosi registri della lontana comunità parrocchiale. Gli sono profondamente grato e lo ringrazio con la stima di sempre, sentendo più intensa l'antica amicizia che mi lega a questo sacerdote, zelante nella sua missione eppure non chiuso in fanatismi e pregiudizi. Se dalle mie ricerche qualche luce verrà sugli eventi del passato racalmutese, all'Arciprete Puma va dato il dovuto merito. Ne sottolineamo, oltre alla riconosciuta bontà d'animo, una intelligenza, una modernità ed una disponibilità culturale, che senza nulla togliere alle prerogative del suo militante sacerdozio, lo arricchiscono d'ascendente oltre i limiti dei fedeli e dei parrocchiani. La collaborativa apertura di padre Puma ci ha messo in condizione di studiare gli atti più antichi dell'archivio parrocchiale, iniziando da un quinterno cucito e non rilegato e risalente al 1554. Vi abbiamo rintracciato 105 atti di battesimo. Dovrebbero essere le più antiche trascrizioni documentali della Matrice di Racalmuto. Partendo dalla dodicesima indizione 'anticipata' - gli archivisti di Racalmuto usavano il sistema 'greco' nella sua versione originaria bizantina che faceva decorrere l'indizione dal 1° settembre -, il vetusto quinterno ci certifica dei battesimi dei nostri antenati dall'8 di dicembre 1553 al 30 di agosto 1554. Mancano dunque i mesi di settembre, ottobre e novembre del 1553. La media mensile dei battesimi di quell'anno si attesta su quota undici: risultano assenti all'appello, pertanto, 30-35 neo battezzati a mezzo del XVI secolo. Altri atti di battesimo di quel secolo possiamo ricavarli da altri sparsi quinterni, del tipo di quello prima descritto: liso e consunto il quinterno relativo al 1564, questo appare più un resoconto contabile che un registro ecclesiastico dei battesimi (eppure ci fornisce dati su battesimi solenni e su quelli 'bassi': 2 tarì i primi, 1,20 i secondi). L’Algozini fu un solerte arciprete di Racalmuto degli anni ’30 del ‘700. La datazione del 3 aprile 1571. Il corsivo del Cinquecento racalmutese è – come si vede e di ardua decifrazione. Un motivo di pio per un laboratorio paleografico locale, ma a livello universitario. Più completa la raccolta relativa all'indizione del 1571 (4.a); alquanto disordinata la documentazione riguardante l'indizione del 1576 (9.a) e comunque limitata al periodo (1.11.1575-28.5.1576); del pari monca la raccolta dei battesimi relativi al 1584. La fascicolazione fatta di recente (nel decennio del 1980) è piuttosto superficiale e spesso inattendibile (si ascrivono al 1564 atti che invece attengono a dieci anni prima: al 1554). Del tutto spurii e parziali appaiono due inserti documentali: il primo ci conduce al 1750 ed in gradevole grafia ci attesta di oltre 140 atti matrimoniali; il secondo, mancante di ogni tipo di datazione, ha tutta l'aria di un censimento dei nuclei familiari esistenti in Racalmuto. Parziale, anche questo, è a nostro avviso collocabile nel XVIII secolo Rilegato, ben tenuto e con un indice sia pure interrotto e per ordine alfabetico dei nomi (anzichè dei cognomi), così appare a distanza di secoli un registro, che ci è stato agevole consultare; rubricato come 'stato di famiglia e MATRIMONI 1582-1600', risulta invero una documentazione più completa. Esordisce con un atto matrimoniale del 2 settembre XI.a Indizione 1582 e si snoda diligentemente e con dovizia di dati anagrafici lungo quasi un ventennio, sino appunto al 13 di agosto del 1600. In appendice, del tutto arbitrariamente, è accluso il conteggio economico dei funerali (solenni e 'bassi': 5 tarì e 10 i primi, appena un tarì e 20 i secondi) che si ebbero dal 4 ottobre del 1618 al 19 novembre del 1620. Rilegati in carta pecora, presa da chissà quale precedente documentazione, sono gli atti di morte che dal 3 settembre del 1664 ci conducono sino all'anno tremendo del colera che si abbattè su Racalmuto nel 1672: la decima indizione, che per il calcolo 'greco' della Matrice racalmutese va dal 1° settembre 1671 al 31 agosto 1672, è a ben ragione segnata dal locale archivista 'amarissima e infaustissima'. Si pensi che sono morti in un anno oltre 1200 racalmutesi, un quarto della popolazione, quanti ne erano morti nei precedenti sette anni che non erano certo tempi di lunga vita media. Il registro, che di tanto in tanto reca chiose di notevole valore storico, è documento importantissimo per la ricostruzione di un secolo di storia locale doloroso e sconvolgente. Agli esordi di questo secolo vi fu un fiorire di ricerche d'archivio presso il locale - e folto - clero. Mi si dice che sacerdoti come il Cipolla - l'artefice di sfortunate iniziative economiche e sociali - e don Gerlando di Falco, lo stimato e prodigo restauratore della chiesa di san Giuseppe, si accinsero ad una 'rubricazione' dei battezzati della Racalmuto del '600 e successivi secoli. Una di queste rubriche è datata 10 marzo 1914. Dopo, il cataclisma della prima guerra mondiale, avrà distolto da tali uzzoli archivistici. Noi abbiamo avuto tra le mani una di queste rubriche e ne abbiamo fatto la trasposizione nel 'computer'. E ringraziamo anche di ciòla benevola accondiscendenza dell'arciprete PUMA. In sintesi, sono quattro i nuclei documentali che, in prima battuta, abbiamo potuto studiare. Affidandoci al 'Personal Computer' e ad un programma LOTUS del 1988 e abbiamo seguito passo passo l'opera degli archivisti di Racalmuto, sicuramente sacerdoti del XVI e XVII secolo. L'imperio del Concilio di Trento lascia il suo segno nel lontanissimo territorio di Racalmuto. La cultura della Chiesa post-tridentina ci consente oggi uno sguardo non meramente curioso su un mondo contadino, paesano, corrusco, talora sanguigno, in perenne lotta con la morte, teso al sopravvivere più che al vivere e, in un mondo che è nostro perché vissuto dai nostri antenati. Cognomi, nomi, parentele, mestieri di oggi hanno echi sorprendenti nei lisi registri di quei tempi che il locale clero ci ha fatto pervenire, sull'onda - appunto - del Concilio di Trento. La trascrizione in 'rubrica' dovuta a preti del novecento (Cipolla o Di Falco, poco importa) non è manipolazione e vi è assente ogni adulterazione: non è quindi spuria quell'opera e ci aiuta nella ricostruzione del fluire demografico dei primi secoli dell'epoca moderna della nostra antica terra di Racalmuto. I quattro momenti della nostra ricerca si snodano lungo l'arco di due secoli: dalla prima metà del '500 fino alla prima metà del '700. Sono spunti antologici che ci consentono di spaziare dai ritmi della locale procreazione ai coaguli familiari delle combinazioni matrimoniali, alle falcidie impetuose e spesso impietose delle morti soffocatrici della vita in non tarda età. Non abbiamo analizzato con metodo ed esaustivamente tutta la trafila documentale esistente presso l'archivio parrochiale di Racalmuto; almeno per ora. Se ne avremo tempo, lo faremo ben volentieri. Non ci dispiacerebbe per di avere tracciato un solco, dato l'avvio a ricerche più— pregevoli da parte di locali esperti. Speriamo Per il momento, le nostre risultanze si radicano nella seguente serie di dati d'archivio: e 1) n. 5 quinterni alti, stretti ed a forma di colonna relativi ai nati di Racalmuto delle indizioni 12.a (1554); 7.a (1564); 14.a (1571); 4.a (1576) e 12.a (1584). Come appendice, abbiamo unitamente esaminato il quinterno relativo ai matrimoni celebrati nell' 1750 e lo stralcio del censimento ad opera del clero di Racalmuto che pu• collocarsi nella prima metà del '700; e 2) il registro degli atti a colonna singola che riporta i matrimoni dal 1582 al 1600 nella prima parte e i rendiconti dei funerali dal 1618 al 1620 nella seconda parte; e 3) il registro dei morti dal 1664 al 1672: un ciclo di otto anni di grande utilità per studi statistici sulla vita media a Racalmuto nello scorcio finale del secolo della peste; e 4) la 'rubrica' redatta alla vigilia della prima guerra mondiale dai giovani sacerdoti di Racalmuto per catalogare i battezzati risultanti in archivio relativamente al periodo 1677e1686 ed a quello intercorrente tra il 1704 e il 1708. LA NATALITA' NELLA RACALMUTO DEL XVI SECOLO. Il Concilio di Trento si apre il 13 dicembre 1545, viene sospeso nel 1552, e dopo varie vicissitudini si riapre nel 1562 per concludersi il 4 dicembre 1563. L'ordinamento del clero e la disciplina degli archivi parrocchiali sono collegabili alla parte finale del Concilio. Ma, in quel di Racalmuto, il nostro clero sa persino anticipare i tempi: il registro dei battesimi e il più antico che siamo riusciti a reperire presso la Matrice e risale addirittura all'8 dicembre del 1553. Più che di registro trattasi di un quinterno stretto ed alto a mo' di colonna, purtroppo amputato dei primi fogli che sono andati smarriti insieme alla memoria dei battezzati dal 1° settembre 1553 al 7 ottobre 1553. In base ai nostri calcoli, oltre trentacinque nominativi dovevano essere stati registrati in quel periodo. La formula adottata era la seguente: '' Die....xbris (per dicembre) lu (e spesso: lo) figlio (per i maschietti) e la figlia (per le bambine) di ...(nome del padre) e di...(cognome del padre) nomine ....(nome del battezzato) li c¢pari (i compari)..... la c¢mari ..... presti (vale per prete o presbitero) ........''. Il ricorso a contrazioni, simboli ed abbreviature non è infrequente, specie quando trattasi di nomi usuali (JO: per Giovanni; Vic. per Vincenzo, etc.). Il cognome delle madrine viene spesso reso con curiosa forma al femminile (la Terranova, la Casuccia, la Taverna, etc). La trascrizione dell’atto di battesimo PIETRO figlio di Giuseppe SANCALOYARO Da parte del sacerdote presti Dionisi Lombardu L'intento è quello di servirsi del latino, ma l'intrusione di modi e termini dialettali rende suggestiva la contaminazione: ci è dato leggere, ad esempio: 'si batizau'; 'Vartulu'; 'Lu Bruttu'; 'Vurzillinu'; 'Jugnettu' (per Luglio); etc.) Correva il 6 agosto del 1554 e la calura estiva doveva essere, come di consueto, pesantissima. L'archivista doveva forse essere lo stesso sacerdote ufficiante il battesimo. Se così, stava nella chiesa madre il sacerdote don Lisi Lombardo. Alla bambina da battezzare veniva imposto il nome di 'Catrinella'. Se ne dichiarava padre 'mastro Antonino Petruzzella'. Forse per la 'berretta' che portava, forse per la barba a pizzo, ma più verosimilmente per certi carogneschi sospetti sulla partenità, l'annoiato archivista agghindava 'mastro' Antonino con uno schizzo caricaturale dalla ammiccante 'aureola'. Un messaggio o solo un riempitivo dovuto alla noia estiva dell'amanuense? Dopo oltre quattro secoli qualche eco giunge a noi e noi l'affidiamo a queste note non prive di un intento burlesco simile a quello che sospettiamo nel prete racalmutese del '500. Non crediamo che vi siano documenti e almeno tra quelli sinora noti e che diano generalità di nostri antenati risalenti a prima del 1554. Nelle registrazioni religiose della Matrice abbiamo, invece, il primo lungo elenco di racalmutesi. Molti dei ceppi attuali vi hanno sorprendente riscontro. Famiglie, oggi note e numerose, vi possono ricercare le loro antiche origini. Gli AGRO'; gli ALAIMO; gli ALFANO; gli ACQUISTA; gli ARNONI; gli AVARELLO; gli ARRIGO; i BARBERI; i BURSELLINO; i CAPITANO; i CARLINO; i CASTRONOVO; i CINCOMANI; i COLLURA; i CURTO; i FALLETTA; i FERLISI; i GARLISI; i GIANCANI; i GIGLIA; i GRACI; i GRILLO; i GUELI; i GULPI (poi VOLPE); i LA LICATA e l'equivalente ceppo dei LICATA; i LA MANTIA; i LA ROCCA; i LIONE (un Mariano LIONE inteso come INFERNO, figlio di Girolamo è anzi il primo della lista essendo stato battezzato l' 8 dicembre del 1553); i MACALUSO; i MILAZZO; i MULE'; i MURRIALI; i PIRRERA; i PITRUZZELLA; i PUMA; i ROMANO; i SALVO; i SANFILIPPO; gli SCIASCIA; gli SFERRAZZA (o SFIRAZZA); sono costoro i casati più antichi e ricorrenti di Racalmuto nelle carte del 1554. Sposati e fertili hanno bambini da battezzare tra l'otto dicembre del 1553 e il '30 di agustu' del 1554. In quel torno di tempo ci imbattiamo in tre cappellani che benedicono il battesimo: don Vincenzo Colichia, padre Dionisi Lumbardo e don Antonio La Matina. Trascrizione di un atto di battesimo: adi ultimo di aprili si batticzau la figlia di Orfeu di Grachi, nomine SICILIS. Li compari: Laurenczo Curto; Petru Pitralia; Antonino Curtu di Joanni. La commari Catrini la Michela. Presti Vinchenczo COLICHIA. Per curiosità ma anche per obiettiva rilevanza, trascriviamo il primo atto di battesimo: ''Die 8 xbris (1553), lu figlio di Girolamo La Lione alias Inferno nomine Mariano (è stato battezzato). Li compari: mastro Jacomo Picuni e mastro Agustino Sarachi; la commari Joanna di Puma di Petro. Presbiter Vincenzo Colichia''. Quel che rileva è la presenza di ben due 'mastri' fra i padrini. Racalmuto, dunque, in quel periodo non è solo un centro contadino o una baronia strettamente agricola sotto il dominio dei baroni Del Carretto (questi e si sa e assurgeranno a conti nel 1576) ma un'alacre cittadina con una diffusa maestranza. E' da pensare che siffatta maestranza fosse preminentemente edile. Castello baronale, espansione urbana e costruzione di nuove chiese determinavano, di certo, un boom edilizio cui soccorrevano muratori locali e specialisti dei più evoluti centri vicini. Riscontriamo, così, cognomi che stanno a testimoniare l'origine di molti immigrati: Giuliano di Girgenti; Agostino di Modica; Gian Antonio Piemontese; Pietro di Aversa; Vitu lu Sardu; Giseppi di Milazzo. E' da escludere, però, che allora Racalmuto fosse un paese minerario. Lo zolfo diverrà rilevante solo a metà dell'ottocento, in ispecie dopo l'introduzione dei forni ideati dall'ing. GILL. Come nota di costume, è da annotare che ogni battesimo era assistito da due padrini. Costoro e piuttosto ricorrenti e non sembrano legati da vincoli di parentela con la famiglia del battezzato, ma appaiono che altro in veste di notabili: la gente di rispetto di allora. Se è così, la loro ricognizione ha un certo peso: Antonio Montiliuni, Nardo Falletta, Bartolo Brucculeri, Cosimo Macaluso, Paolo Rosina, Pietro Vurzellino, Nardo di Alaimo, Jacomo Blundo, Mariano Agro', Bastiano d'Acquista, Lorenzo Curto, Paolo di Vigna, Nardo di Mule', Santo di Puma, Francesco di Giglia, Nardo La Licata, Antonio Parisi, Michele Taibi, Pietro Varneri, Cesare d'Acquista, Stefano Busuito, Pietro di Gueli, Antonino Giglia, Mariano di Mule', Jacopo Giarrizzo, Paolo Murriali, Girolamo Volpe, Lionardo La Lumia, Bastiano Macaluso, Pietro di Puma, Giovanni La Licata, Mariano La Lumia, Andrea Lo Brutto, Antonio Lo Brutto, Minicu Nalbuni, Pietro Alfano, Nino La Mendola, Pietro Taibi, questi i maggiorenti della Racalmuto di metà secolo quindicesimo. Gli atti di battesimo ci dicono anche che il notaio di allora era Matteo Damiano. Dato che conferma, per altro verso, l'importanza di Racalmuto ove esercita con profitto un professionista notaio. Accanto ai 'compari' di battesimo abbiamo la 'commari'. Codesta non ha rapporti di parentela o di affinità coi padrini, non è mai la moglie di uno di questi. La sua funzione sembra essere tutta religiosa. A lei si affida il compito della futura educazione del neonato. Talora la madrina è una suora o una delle tante terziarie (francescane, agostiniane, etc.) Doveva comunque trattarsi di pie donne, assidue frequentatrici della chiesa Madre. Quando si aveva una battezzanda, a costei spesso si dava lo stesso nome della 'commari' a comprova che in ogni caso la figura della 'madrina' era molto considerata. Ne forniamo un primo elenco: Giovanna di Puma; Paola di Nunzia; Fiuri Salvagio; Girolama La Mantia; Graziella Murriali; Angela la Guarnera; Angela Vella; Laura Bucculera; Giovannella La Mantia; Billizza Laudica; Giovannella Sansone; Sabella Di Liberto; Caterina Laurita; Ioannella Tudisca; Caterina La Licata; Francesca la Taverna; Betta la Biunda; Joannella la Puma; Joannella la Belloma; Pitruzza Terranova; Lorenza la Curdara; Girolama la Miliota; Francisca la Murriala; Paola Garlisi; Caterina Sanfilippa; Bianca la Spagnola; Caterina la Garlisa. Dal dicembre 1553 all'agosto 1554 sono stati dunque registrati n. 105 battesimi. Non è pertanto infandato pensare che le nascite annue si aggirassero sulle 140. Il TINEBRA MARTORANA (cfr. il suo RACALMUTO: memorie e tradizioni, pag. 105) riferisce che Racalmuto contava nel 1548 890 case e quasi 4000 abitanti (ascesi nel 1595 a 4447). Se così è, il quoziente di natalità a metà del secolo XVI era del 35 per mille, alla stregua di quanto registrato nel 1901 per tutta la Sicilia, ma molto al di sotto del quoziente della stessa Sicilia avutosi nel 1861 (42,20 per mille), stando allo studio di Gino Longhitano: la dinamica demografica (in La Sicilia, volume della Storia d'Italia, ed. Einaudi, pag. 987). La mortalità infantile dell'epoca era molto alta, come vedremo analizzando i libri dei morti della stessa Matrice, così come era breve la vita media. Nell'ambito dei 105 battezzati, abbiamo una prevalenza di maschietti (55) sulle bambine. I nomi sono quasi tutti gentili: abbondano i Francesco, Angelo, Giuseppe, Pietro, Natale, Girolamo per i maschi; Giovanna, Stefana, Antonina per le donne. Al contempo, affiorano nomi graziosi come Giovanna Chiara, Palma, Novella; Giulio, Rodamonte, Barnaba, Marco, Ottaviano, Bartolo. Non sono ancora diffusi nomi del tipo: Calogero (nome diffusosi attorno al 1750) o Crocifissa o Salvatrice. Documento con data coeva del 1554. Illeggibile in tante parti, specie per quanto attiene al cognome di codesto GIOVANNI. Leggibilissima invece la firma del “presti Dionisi LUMBARDU”. Documento indubbio del 1563. Adi 16 ditto Si batticzau la figlia di Bastiano di Acquista, nomine Catinella. Lu compari fu Antonino Morriali, la commari Catrini La Negla. Presti Dionisi Lumbardu. Adi 28 V Indictione 1563 RACALMUTO NEL 1564 Il quinterno successivo riguarda il 1564: dunque dieci anni dopo. E' diviso in due parti: la prima attiene ad alcuni introiti da matrimoni celebrati; la seconda contiene le annotazioni sui crediti vantati per battesimi.Illeggibili le prime due colonne e neppure agevole la lettura delle altre per la consunzione del tempo. In ogni caso, abbiamo traccia di ben 38 matrimoni che se riguardano un anno intero comportano un quoziente di nuzialità pari a 9,5 per mille (mantenendo fisso il numero di abitanti in 4.000) ben superiore a quello del 1861 dell'intera Sicilia (7,33) e del 1901 (7,43), riferendoci sempre allo studio del LONGHITANO prima citato. Si pagavano 2 tari' e 7 grani per essere 'inguaggiati et spusati'. A titolo meramente indicativo, trascriviamo due registrazioni matrimoniali, le quali invero sono le sole che abbiano una qualche compiutezza; il resto non è apparso suscettibile di integrale decifrazione. Al n. 39 si ha dunque: '' Matte' di Noto f. di Luca et Joannella di Noto cum Angiluzza f. di mastro Jacumu et Betta di Blundo in g. et sp. (inguaggiati et spusati), p.nti (presenti) Lisi La Regina, Antonino Labbati et Francesco Bucculeri Chillici.....tt. (tari') 2 e 7 (grani). PAGAU.' Al n. 36 abbiamo: ''Adi' 26 ditto (26 agosto 1564) e Petru Sfirrazza f. di Nardu et Pina di Sfirrazza cum Diana f. di mastro Bastiano et quondam (fu) Sicilia di Nobili, presenti Santu Curtu, Cesari di Puma et Nardu di Miceli'. Nel complesso, per quel che si riesce a decifrare, veniamo a conoscere gli estremi delle nozze fra le seguenti famiglie: un Falletta con Joannella Alaimo; Juliano di Pani con Vincenza di Averna; Luciano Pirrera con Antonella di Minico; un Arrigo con Lauria Puma figlia di Jacomo e Rosa Puma; un La Matina con Rosa di Blundo; un Casali con una Mule'; un Napuli con Agata Santangela; un Sanfilippo con una La Rocca; un altro Sanfilippo (Nardu) con Narcisa Arrigo; Paolino Romano con Sabella Vulpi; Agustino Facciponti con Cuntissa Lu Portu; Cesaru Picuni con Lauria La Licata Infernu. Il matrimonio tra Cataldo lu Porco e Vincenza Pisano dovette essere di rilievo se tra i testi troviamo 'don Cesaro lo Carretto' che ha tutta l'aria di appartenere ai locali baroni del Carretto. Tra genitori e testi rileviamo ben 6 'mastri': mastro Francisco di Girgenti; mastru Vartulu Raspanti; mastro Antonino Cacciaturi; mastro Jacumu di Blundo; mastro Pompeo Pisano e mastro Bastiano di Nobili. Anche da questi dati, abbiamo la conferma che a Racalmuto del '500 le maestranze erano vaste ed operose. Se i cognomi sono indicativi, resta fondata l'ipotesi di tanti immigrati a Racalmuto nel settore dei mestieri. Cognomi come Jo Antonio Piamontisi, Jo Sequales e Nardo Montiliuni fanno pensare ad una locale burocrazia proveniente dal di fuori della Sicilia, ed in un caso di indubbia origine spagnola. Altre famiglie di spicco sono reperibili fra quell'incerta documentazione matrimoniale. Segniamo qui: La Mantia; Carlino; Asaru; Palermo; Cullura; Vaccari (Pietro), Amella; Tabuni; Taibi; Scibetta; Cavallaru; Costi; Vella; Virtulino e Castronovo. Documento comprovante il sacerdozio di presti Antonio Castagna, il quale battezza “die XXVIII 4 indictionis mensis majj,lu figlo di Calojaro Sfiracza, nomine Sancto. Li compari Nardo Firmuso et Mariano di Mulé; la commari Barbula la Migluri”. La seconda parte del fascicolo è di natura meramente contabile, anche se concerne alcuni battesimi celebrati nel 1564. E' tenuta a doppia colonna: da una parte la causale e dall'altra l'andamento del credito. Sembra che si tratti dell'affitto di alcuni indumenti battesimali: coxini (piccole cotte), tovaglie; collaricchi (collettini); falde; cordelli russi (cordoncini rossi); faxe (fasce); vilo di sita (velo di seta); chiumazzella (piccolo cuscino); falda di pannizzu. La tariffa è fissa: tt. 1 e 10 (un tari' e 10 grani). Nella seconda parte del registro, viene segnata una formula usuale: 'divi aviri...tt.1e10'. L'evidenza risulta alla fine cassata con un grande taglio a forma di 'X'. I dati, riferendosi a soli n. 34 battesimi che vanno dall'ottobre 1563 all'agosto 1564, fanno pensare, appunto, ad un affitto di indumenti e fanno arguire che il resto dei battesimi ( per lo meno, altri 110) di quell'anno sia avvenuto con vestiario di proprietà, oppure, più verosimilmente, senza orpelli. Il documento testimonia del dialetto siciliano dell'epoca che non sembra discostarsi di molto da quello attuale. A tal fine segnaliamo altri lemmi ed alcune espressioni: 'nu morsu di pezza'; 'si ristau per lu dittu debitu'; 'divi aviri'; 'uno coxino cun lu pertuso'; 'divi aviri tt.1e10 e l'appi patri Nicola'; 'un coxino cu li lenzi russi et una tovaglia intagliata cu li fiuri'; 'uno coxino et una tovaglia vecchi'; 'jennaru'; 'maiu'; 'virdi'; 'cu certi pannizzi'. Se quelli che pagavano un tari' e 10 grani per agghindare i battezzandi erano gli appartenenti al ceto medio della Racalmuto del cinquecento, eccone il significativo elenco: Natali Falletta; Nuzzu Cozzu; Matte' Montiliuni; Jo Macaluso di Nardu; Antonino di Polito; Pietro La Matina; Francesco Virguni; Philippo La Licata di Antonino; Andria Chinnirella; Antonio di Liberto; Pietro di Lintini; Jacomo Casuccia (che esige 'uno coxino cu li cordelli russi'); Marco Calichi; Juliano di Pani (che vuole 'una faxa cu certi pannizzi et uno collaricchiu'); Paolo Amorella; Simuni Vitellu (anche qui si ha 'uno coxino cu li cordicelli russi'); Antonino Cardala; Antonino Lu Sardo; Antonino Amella; Francesco Romano; Cola di Migliuri; Petru Randazzo; Battista Rizzu; Cola Bucculeri; Pietro Purcello; Antonino Borsillino (che pretende 'un coxino cu li lenzi russi et una tovaglia intagliata cu li fiuri' sempre per un tari' e 10 grani); Antonino Rizzo di la Favara; Jo Antonio di Puma; Bastianu Macalusu; Martinu Catanisi; Antonino di Benedittu; Girolamo Gargo e Jo Collura. Padre Dionisi Lumbardu si cimenta in un ingenuo fregio. Ecco un atto indubbio del 1564. Patrini sono personaggi eccellenti della Racalmuto del ‘500: “lo rev.do don LIONARDO LA LUMIA” e “lo magnifico Ercuri Tudiscu minori” con “lo rev.do don Lelio di Bertuglia”. La commare è “donna Joannella Piamontisi”. L'ESPLOSIONE DEMOCRATICA DEL 1570e1571 La nostra ricerca si estende ad un fascicolo di battesimi che dal primo di ottobre del 1570 ci conduce passo passo fino al 9 ottobre del 1571. Segue un elenco di donne per la gran parte coniugate. I primi tre fogli sono illeggibili per l'inchiostro sbiaditosi nel tempo per effetto di acqua cadutavi sopra. Il senso di quell'elenco sfugge del tutto. Eccone alcuni stralci: e Geronima m. (moglie) di Santo Favara; e Geronima m. di Nino Barba; e Vicenza la Pitruxella; e Antonia la Pantanedda; ..... e Lauria m. di Nardo lu Sardo; e Antonella m. di Jacubo Barba; e Margarita m. di Paulino Boscarino; ...... e Margarita la Manna; e Catrina la Pitruxella. Il fascicolo e come altri della specie, del resto e fu soggetto ad attento esame nel settecento, interpolato e forse manomesso. In un punto viene così annotato con bella calligrafia del '700: 'Die 3 Aprilis 1571. ALGOZINI Archip.r 1731'. Se le manipolazioni del '700 non hanno del tutto falsato la raccolta di atti battesimali, siamo in presenza di un dato attestante una vera esplosione demografica in quel frangente: trattasi di ben 238 atti di battesimo, che, se ristretti ad un periodo di un anno intero, scendono a 229 battesimi rappresentanti un quoziente di natalita' e ipotizzando la popolazione di allora in 4500 abitanti e del 50, 89 per mille che risulta incrementato del 45,4% rispetto al quoziente prima calcolato per il 1554. Notiamo, pure, una inversione di tendenza: la natalità infantile femminile è, ora, maggiore di quella maschile (il 52,10% sulle nascite complessive del periodo ammontanti a 238). Si snodano, in questo documento, i capostipiti dell'intero tessuto familiare racalmutese, per la gran parte ancor oggi presente. Oltre ai cognomi prima annotati, emergono le varie famiglie dei Gagliano, Vivona, Conti, Vento, Graci, Russello, Judici, Dinolfo, Micciche', Zauna, Curdaro, Lo Re, Falarifixi, Falci, Taverna, Ciraulo etc. Notiamo qui e e ciò varrà per tutto il Cinquecento e che le grandi famiglie dell'Ottocento quali i Matrona ed i Tulumello non sono ancora apparse nelle carte parrocchiali della Racalmuto dell'epoca. Le maestranze si accrescono vieppi—; emergono, infatti, i seguenti 'mastri': m.o Mariano Pitruxella, m.o Andria Castronovo; m.o Giuliano Giglia; m.o Paolo Castronovo; m.o Paolo Brigantino; m.o Jacomo Puma; m.o Pietro Moranda; m.o Julio Cannatello; m.o Jo Gulpi; m.o Minico Genua; m.o Carlo Facciponti; m.o Pietro di Girardo; m.o Giuseppe Blundo; m.o Gian Battista Romano; m.o Gerlando Arrigo; m.o Antonino Tabuni; m.o Antonuzzu di Arnuni; m.o Antonino Jacupunello; m.o Francesco Pitricella, m.o Arrigo Presti, m.o Arrigo Benigno, m.o Giuseppe Cacciaturi, m.o Francisco Cacciaturi, m.o Pasquali lu Longu, m.o Mariano Simuni, m.o Antonuzzu Millardu, m.o Gireri San Mariano. m.o Arrigo Bino e m.o Antonino Falletta. 29 'mastri' non sono pochi, oltre il 10% dei nuclei familiari menzionati. Alcuni di loro e quali il Genua, lo Jacupunello, il Moranda, il Brigantino e fanno congetturare di essere 'mastri' immigrati. Racalmuto prospera pu• permettersi ora per lo meno due notai: il notaro Benedetto di Amella, che padre di un bambino gli da' l'inconsueto nome di VENTIANO, ed il notaro Cola Montiliuni. Personaggi di spicco non mancano e questi vengono ossequiati spagnolescamente anche negli atti austeri dell'archivio parrochiale con un rispettoso 'don'. Rientrano fra tali gentiluomini della Racalmuto del 1571 'don' Filippo La Tona e 'don' Pietro Sabella. Le testimonianze sul clero di Racalmuto in quel torno di tempo sono segnatamente esplicative di una presenza assidua e di una composizione molto numerosa, segno di un centro molto importante e relativamente ricco di mezzi di sostentamento per sacerdoti laici e regolari, ed anche per suore. Tra le madrine, in cinque battesimi figurano religiose. Due di loro e Soro Palma di Aidoni e soro Palma di Jandridochi e hanno l'aria di forestiere che dovettero ben trovarsi a Racalmuto, tanto da venire chiamate a fare da 'commare'. Il folto clero annovera: don Gerlando e don Vincenzo Averna, don Giovanni Cacciaturi, don Antonino d'Auria, don Giuseppe Garambula, don Antonino La Matina, don Antonino Lumia, don Michele Miccichi, don Filippo Macina e don Giuseppe Nicastro. Son dieci sacerdoti che hanno officiato nei battesimi e sono quindi da considerare attivi, in qualità di cappellani. Qualche volta vengono chiamati a fare da 'compari': capita a don Vincenzo Averna, a don Michele Miccichi e a don Giuseppe Garambulo. Un altro sacerdote è presente talora ai battesimi come 'padrino' senza officiare e trattasi del 'presbiter' Monsirrato di Agro'. LA CRESCITA DEMOGRAFICA CONTINUA ANCHE NEL 1576 Risparmiato dalle ingiurie del tempo e giunto fino a noi è un altro interessante fascicolo che raccoglie di atti di battesimo dal primo novembre 1575 al 28 maggio 1576. Sono segnati n. 167 battesimi. In ragion d'anno, pu• sostenersi che nacquero in Racalmuto sui 285 bambini e cioè vi fu un quoziente di natalità superiore al 60 per mille (incremento del 19,69% rispetto a cinque anni prima). L'attendibilità del calcolo non sembra dubitabile, a meno che la popolazione dell'epoca fosse ben maggiore dei 4700 abitanti accreditati. La presenza dei del Carretto è ora testimoniata dalla circostanza che una Betarice del Carretto acconsente a fare da 'commare' l'11 dicembre del 1575 nel battesimo di una bambina Vincenza, figlia del notabile Pietro di Agro'. Il padrino è Vincenzo Canigliaro. Celebra il battesimo padre Vincenzo di Averna che abbiamo già conosciuto fra i cappellani operanti in Racalmuto nel quinquennio precedente. L'espansione demografica porta ad un accentuarsi dell'omonimia: il soprannome o la 'ingiuria' si diffonde ai fini di evitare confusione. Tali soprannomi sono spesso rivelatori di aspetti sociali ed economici non proprio trascurabili. Qualche Sfiraza è contraddistinto come un Falchotta (che lascia pensare a qualche feudo di proprietà) per distinguerlo da un omonimo che viene invece indicato come Tuminello o da altro chiamato pure Bozaro; un Ruggeri è soprannominato Scaccia con evidente riferimento alla località ancor oggi così indicata; Antonella Montana è intesa come 'lu Caliato'; abbiamo così un SALVOeBRIGALINO. Altre 'ingiurie' palesano aspetti fisici o morali o professionali. Gli Amella sono 'Granusi'; Lu Sardu è Polito; Cesaro di Agro' è Mancuso; un altro Agro' è 'lu Russu'; un Amella risulta Predicatori; un Graci diviene Fellarangi (affetta arance ?); Bartolomeo Vitale è Catalano; Girolamo La Licata risulta 'Critaro'. Alcuni doppi cognomi stanno a significare l'unione di talune importanti famiglie con la combinazione di matrimoni: abbiamo così gli AMELLAeBARTOLOTTA; i DORIAeCASUCCIO (e sembra qui che i DORIA siano oriundi liguri come i Del Carretto, cui forse erano legati da vincoli di parentela); i ROTULOeBATTAGLIA; i MACALUSOeCURCIO, i MARTORANAeRE. Si diffondono, del pari, cognomi particolarmente espressivi: La Mendola; Provinzano; Marturana; Introna; Blundo; Formusa; Pirrera; lu Brutto; lu Maligno; lu Longo; Curto; Cacciaturi; lu Bello; Gulpi; La Matina; Lu Chichiro; Bucculeri; La Lumia; Barberi; Bursellino; Balduni; Bellomo; Pullicino; Gangarussa; Cavallaro; Lumbardo; Burgio; La Cipolla; Termini; Cavarello; Jacuzzo; Favara; Tudisco; Ristivo; Falletta; Amurella; Puma; Gagliano; Lu Conti; Capoblanco; Picuni; Vaccari; Lupo; Pitralia; Picuraro; Gulisano; Malaspina; Guastella; Crixafo; Firraro; Nalbuni; Vigna; Cavaleri. L'antica origine araba sempre comprovata dalla presenza di cognomi quali gli Alaimo, i Macaluso, i Taibi, i Martorana etc.: ceppi importanti ma non maggioritari. Mi sia qui permessa una divagazione molto personale: nel fascicolo trovo e dopo un accenno ad un appartenente alla mia famiglia del 1554 e un secondo riscontro della presenza dei Taverna in quel di Racalmuto. Il 26 febbraio del 1576 i coniugi Paola e Mariano AmellaeCimbiririllo battezzavano il loro figliolo Rocco. Veniva chiamata a far da 'commare' Francesca 'la muglieri di Jacumu Taverna'. 'Lu compari Rugeri La Scalia'. L'Amella è un 'mastro'. Per altro verso, abbiamo una ulteriore riprova che la funzione della 'madrina' è essenzialmente di natura religiosa e non sussiste ancora l'usanza di utilizzare coniugi o parenti per la coppia di padrino e madrina. Quanto afferma Maria Pia Demma ( cfr. il suo 'Percorso Biografico e Artistico' in Pietro Asaro "il Monocolo di Racalmuto", Racalmuto 1985. pag. 30) non risulta fondato. Nè nel caso della nostra antenata nè nella copiosa documentazione sulla composizione delle coppie di 'compare' e 'commare' i 'padrini erano scelti fra le coppie di sposi, diversamente da quanto afferma la Demma. Se quindi un Pietro Asaro risulta presente a Racalmuto 'come padrino di battesimo di una bambina', la circostanza che vede in quel battesimo come madrina una certa 'Antonia Fubella' non significa affatto che il 'd'Asaro non era ancora sposato'. La Demma, del resto, non da' per 'probante' la circostanza. I nostri documenti comprovano la totale irrilevanza dell'evenienza. Varie volte è stata sottolineata la peculiarità del ruolo delle 'madrine' nei battesimi. Fra le più ricorrenti abbiamo: Vincenza CasuccioeDoria; Vincenza di Salvo; Laura Vinciguerra; Caterina Pitralia; Betta Capoblanco; Fiuri Camalleri; Mariella di Giglia; Fiuri di Gasparo; Juannella di Amella; Margherita la Guastella e Bianca Cavaleri. Sora Palona e Suor Giulia La Licata sono suore apprezzate se vengono chamate a fare da 'madrine'. Il clero ministrante è ora composto da: padre Lisi Provenzano; don Vincenzo Averna (quello operante anche nel 1571) e solo per un paio di battesimi, alla fine di maggio del 1576, ritorno padre Gerlando di Averna. Giovan Battista Montiliuni è sempre il notaio del paese: è il 'padrino' di Stefanella Caterina, figlia di Antonino e Marchisa Sauni. La madrina è, invece, 'Maruzza muglieri di Lixandro La Barbera'. Si accrescono le maestranze locali. I nomi nuovi sono: m.o Paolo Bucculeri; m.o Francesco Balduni; m.o Rugeri La Scalia; m.o Matte' Bucculeri; m.o Antonino Montana; m.o Paolo Cacciaturi; m.o Gasparo Montiliuni; m.o Rugeri di Salvo; m.o Pasquale di Lungu; m.o Giacomo Bursellino; m.o Angilo Favarisi; m.o Antonino Alletto e m.o Paolo La Cipolla. Una curiosita': il primo gennaio 1576 vengono battezzati due gemelli Francesco e Giuseppe, figli di Michele Salvagio: la coppia dei padrini è costituita da Gerlando Marturana e da Giuliano Lo Sardo; la madrina è Caterina Pitralia. RACALMUTO NEL 1584 Gli atti battesimali a nostra disposizione per questa prima ricerca ci portano, con un salto di otto anni, al 1584. Il relativo fascicolo appare manomesso varie volte (prima nel settecento e poi in questo secolo). Le registrazioni riguardano il periodo 30 dicembre 1583e25 ottobre 1584, ma per disordine iniziale e successiva manomissione non risultano in regolare successione. Nel primo foglio sono annotati battesimi relativi ai giorni 21, 24, 25 e 27 'Januarii'. L'indicazione dell'anno 1584 in testa ed a margine sinistro del foglio è del 'Settecento ma è attendibile. Giunti al 26 settembre 1584 (la precisazione che trattasi della XIII indizione è autentica e corretta essendo in uso la periodizzazione 'bizantina') vi è un salto al 30 dicembre (1583, precisa il notista del Settecento). Gli atti proseguono quindi regolarmente per il periodo 30 dicembre 1583e20 gennaio 1584 per riprendere le interrotte trascrizioni relative al settembre 1584. Il fascicolo è cucito con tale interpolazione e tutto lascia pensare che la confusione sia avvenuta nella ricognizione del diciottesimo secolo. Fu in questo secolo che si ebbe in Agrigento la visita apostolica del De Ciocchis che impose il rispetto delle direttive romane in materia di tenuta degli archivi ecclesiastici (sul De Ciocchis cfr. Paolo Collura e Le piu' antiche carte dell'Archivio Capitolare di Agrigento e Palermo 1961, pag. X). Scrive il Collura: '...per trovare il primo dettagliato, se non completo, inventario del Tabulario agrigentino bisogna aspettare il 1741e1742, anno della visita del diligentissimo mons. Angelo De Ciocchis: egli prescrisse l'applicazione delle sagge norme dettate da Benedetto XIII nella bolla MAXIMA VIGILANTIA del 1727'. La prescrizione valse evidentemente anche per l'archivio parrocchiale di Racalmuto. La bolla, comunque, ebbe in luogo i suoi effetti già prima, come dimostra l'annotazione dell'arciprete Algozini fatta nel 1731 sul registro dei battesimi del 1571 che abbiamo avuto modo di segnalare. Ricostruito l'ordine cronologico di quegli atti battesimali, abbiamo conferma della crescita demografica di Racalmuto. Dal 30 dicembre 1583 al 25 ottobre 1584 si hanno 194 battesimi, con un quoziente di natalità in ragione di anno calcolabile sul 54 per mille (inferiore a quello del 1576, ma pur sempre elevato). Ora, per•, sono i maschi ad avere il sopravvento sulle femmine (108 contro 86). I battesimi si concentrano in gennaio (27), febbraio (27), maggio (17), settembre (29) e ottobre (21); si diradano a marzo (14), aprile (12), giugno (13), luglio (15) e agosto (16). Natalità invernale ed esodo estivo nelle campagne possono spiegare il fenomeno. Segnaliamo la nuova composizione delle maestranze tra le quali ora figurano: m.o Paolino di Conti; m.o Giseppi di Pino; m.o Antoniuzzu Travali; m.o Paolo d'Amico; m.o Luciano La Manta; m.o Pietro di Naduri; m.o Nardo di Noto; m.o Baldassaro Baruni; m.o Paolo Docturi; m.o Currao Buxema; m.o Julio Castella; m.o Leonardo Carniglia; m.o Cesaru Buxemi; m.o Josephi Infantino; m.o Angilo Madona; m.o Vincenzo Todaro; m.o Masi Bonsignore; m.o Francesco Bavemi; m.o Giseppi la Vigna; m.o Antonio Bosa; m.o Rodolfo Teraso; m.o Vincenzo Barba; m.o Paolo Roxi, oltre a taluni 'mastri' operanti già nei precedenti anni. Ma sono i notabili che divengono piu' numerosi e rispettati. Alla spagnola, alcuni di loro vengono ossequiati con un altisonante titolo di 'Magnifico': 'magnifico' è Giseppe di Poma; Josephi La Lumia; Jacobo di Poma; Martino Rizzo. La diffusione dello spagnolismo pure nella redazione di atti parrochiali emerge dall'uso di titoli quali 'don', 'magister', 'dominus'. Negli atti del 1584 ci incontriamo con i seguenti uomini di rispetto: 'dominus' Antonino Ciccarano; 'monsignor' Raneri Fanara; 'magister' Narciso Giandardone; 'don' Agustino Galione; 'monsignor' Gasparo Bona; 'monsignor marchese' Jandodoni; 'missere' Joachin Martino Spagnolo; 'donna Di Lio Catirnella'. Sono titoli onorifici che sembrano tributati a 'forestieri' eccellenti: quei cognomi erano e sono inconsueti a Racalmuto. In pieno stile spagnolesco questo atto di battesimo del 23 maggio 1584: ' Die 23 di majo e Francesco figlio di lu magnifico Josepi e la magnifica Margaritella La Lumia fu batizato per me don Paolino Paladino. Lu cumpari fui lu magnifico Balsamo (punto corroso); la commari fui la magnifica ... la Galioto'. E' presente nella vita cittadina il notaio Giseppi Curto. La documentazione del 1584 ci fornisce molti elementi sul clero locale. Sappiamo per certo che a partire per lo meno dall' 11 settembre 1584 arciprete di Racalmuto è don Michele ROMANO. Cappellani sono di certo: don Monserrato di Agro'; don Francesco Nicastro; don Joseppi d'Averna; don Paolino Paladino; don Lisi Provinzano. Fra i padrini di battesimo troviamo: don Jo Macaluso e il 'diacono' Leonardo Spalletta (che dal febbraio 1584 viene indicato come 'presbiter'). Si desume che, mancando ancora il Seminario, gli aspiranti al sacerdozio si formassero presso la locale chiesa madre: in loco ricevessero gli ordini minori e quindi la consacrazione sacerdotale. Nel frattempo operavano perfettamente inseriti nel contesto sociale del centro urbano, tanto da venire chiamati, ad esempio, quali 'padrini' nei battesimi e, vedremo dopo, anche quali 'testi' nei matrimoni. Il crescente inserimento delle monache nel tessuto sociale lo desumiamo dal diffondersi del costume di chiamarle a 'madrine' nei battesimi. Gli atti ci testimoniano delle seguenti 'commari' suore: soro Gianna Randazzo; soro Lauria di Murriali e soro Michelina la Corta. Il 24 settembre 1584 Lisabetta La Nobili battezza il suo figlioletto Francesco avuto da una relazione illegittima: Padre Francesco Nicastro esplicitamente annota che 'lo patri è incognito'. Di spicco sono i padrini: 'lo compari fui mastro Cesaro Buxemi et la commari fui Vincenza la Casuccia'. Tra i cognomi ora invalsi quelli più significativi ci appaiono: Ragusa; Xangula; Vircico; Fuca'; Cianciana; Modica; Naduri; lu Grecu; Di Falco; di Capitano; Balgiso; Bordonaro; di Vutera; Turrimuzza; Castagliuni; Caltanissetta e la Saragura. Un atto di battesimo ha attirato la nostra attenzione e lo riportiamo per intero in omaggio a Leonardo Sciascia. 'Die 5 settembris XIII Indictionis 1584: Marta figlia di Filipo e Marucza di XAXA (id est: Sciascia) fuj batizata per me don Paulino Paladino. Lu conpari fuj Gilormo lu Conti (il conte Girolamo del Carretto?); la comari fuj Francesca mj (muglierj) di Bernardo Bocoleri': Siamo ora nel 1570. Abbiamo un nuovo cappellano, padre Giuseppi GARAMBULA NOZZE DEL '500 NELLA TERRA DI RACALMUTO In bella rilegatura, con una rubrica alfabetica di apertura (però incompleta e relativa ai nomi, anziche' ai patronimici), intramezzato da citazioni latine, è conservato nella Matrice un libro di 'matrimoni' che dal 2 settembre 1582 (inizio della undicesima indizione 'bizantina') ci conduce passo passo sino al 13 'agusti' del 1600. Nella rubrica alfabetica di quegli atti matrimoniali, molte lettere sono precedute da versetti religiosi in latino che hanno una qualche attinenza con la lettera dell'alfabeto interessata. Prima della 'E', crediamo di leggere 'Emmanuel vocabitque nomen eius ut sciat et probare et eligere natum hominis'. Alla lettera 'Q' è anteposto il detto 'queretis me et non invenietis'. Poi, per celia o per sadico astio di votati al celibato contro nubendi che si vorrebbero iellare, è scritto, a premessa della lettera 'T': "Tempus eorum breve est". Suggella l'esordio del registro degli atti matrimoniali un catastrofico 'et omnes sicut aqua dilabimur'. L'ordine alfabetico, la rilegatura e le prave citazioni latine sembrano opera settecentesca, connessa al riordino dell'archivio parrochiale del 1731 sotto la sorveglianza dell'arciprete Algozini che abbiamo avuto modo di rievocare. Ma il latino è ben conosciuto anche dai preti archivisti del '500 racalmutese. 'Adsit principio virgo beata meo', invoca il sacerdote che si accinge a trascrivere gli atti di battesimo della XI indizione (settembre 1582). Siamo nel 1585, 2 di luglio. Ora la grafia è pie abbordabile. Leggiamo: Francisca figla fi Cola e Barbula di Muncaru fui batticzata per presti Francisco Nicastru. Lu compari lo magnifico signor Petru Tudisco, la commari la signora Francesca Panzica. Per la curia romana,tutto il 1582 rientra nella decima indizione. Perche' allora a Racalmuto il 2 settembre 1582 (la prima registrazione del nostro fascicolo) viene segnato come XI indizione? Non e' un errore del prete: come abbiamo più volte segnalato, da noi perdurava l'anno bizantino che era retrodatato al primo di settembre. Il Cappelli (cfr. A. Cappelli: Cronologia Cronografia e Calendario Perpetuo, Hoepli e Milano e 1983, pag. 6) ben ci illustra la questione: 'l'INDIZIONE e precisa e è un periodo cronologico di 15 anni, originario, a quanto pare, dall'Egitto e che, dal sec. IV in poi, divenne una delle più importanti note croniche dei documenti, tanto in Occidente che in Oriente. Il suo punto di partenza risale ai tempi di Costantino il Grande e precisamente al 313 dell'Era Cristiana. Gli anni di ciascuno di questi periodi quindicennali numeravansi progressivamente dal 1 al 15, poi si ricominciava da capo, senza mai indicare di qual periodo indizionale trattavasi. Anche per questo sistema di datazione vari•, secondo i paesi e i tempi, la data del mese e del giorno da cui facevasi cominciare una nuova indizione. In origine pare che il suo punto di partenza fosse al primo settembre, come l'anno bizantino e questa fu detta INDIZIONE GRECA o COSTANTINOPOLITANA, perchè molto usata in oriente e specialmente in Grecia. In Italia la vediamo in uso, sino dalla fine del sec. IV, specie in Milano e nel dominio longobardo, tanto pei documenti regi come pei ducali e privati. Fu pure usata a Venezia, Lucca, Pistoja, Prato, Napoli, Puglie, Calabria e in Sicilia.' Anche a Racalmuto, possiamo dunque integrare, con qualche punta di campanilismo. Se i coevi atti di battesimi ci appaiono disattenti e sciatti, non è così per gli atti di matrimonio. Vengono adottate formule elaborate, con locuzioni latine, non privi di formalismo giuridico. Ci sono, certo, corruzioni linguistiche di derivazione dialettale, ma l'ossatura resta pur sempre dotta, segno di una cultura in seno al clero di Racalmuto non priva di un qualche valore. Viene fuori uno spaccato del locale sacerdozio articolato, piramidale, molto alfabetizzato (pur inflazionato da clerici che riescono poi a raggiungere gli ordini maggiori). Il primo atto di matrimonio e dopo perfezionato nella formulazione ed impreziosito da richiami a sinodi diocesani ed a dettami tridentini e appare, già, molto paradigmatico e val la pena di riportarlo integralmente: prove ed indizi di quanto abbiamo prima asserito vi sono sparsi a profusione. Il nostro registro, dopo la invocazione latina alla Vergine di prima, così esordisce: 'Die 2 settembre XIe Ind.s 1582 anni con.nis (conciliationis) incipientis e Giseppe figlio delli q.dam (quondam) Antonino et Catherinella Morriale con Catherinella f. di Paulo e la q.dam Francesca Barba, servatis servandis e fatte le tre denunciatione inter missarum sollemnia, non si trovando impedimento alcuno contrassiro matrimonio pp.ce (publice) in facie ecclesie e gli fo fatta la beneditione per me don Michele Romano arciprete, p.nti (presenti) clerico Francesco Nicastro e clerico Orlando di Averna e molti altri genti'. Due chierici e un arciprete vengono subito testimoniati. Il Nicastro sarà dopo prete e cappellano; il Romano è arciprete abbastanza colto, che sa di latino e di diritto e possiamo supporlo 'doctor in utroque iure' e e che non disdegna di benedire le nozze volendo essere attivo nel suo sacerdozio. Ma tocca a lui compilare la formula di rito per la registrazione dell'atto matrimoniale: i cappellani, dopo, la ricalcheranno con errori e adulterazioni. Il successivo 10 ottobre, ecco, ad esempio, come la formula viene storpiata: ' eodem e Mastro Joani Lumardo di la cita di Castro Joanj cum Rosella f. di Agustino e Joanella di m.o Arigo servatis servandindis e fate le tre denucziacione e jntenter misarum solemnia non si trovando inpedimento alcono contra essiro matrimonio p.e p.e jn facie clesie e foru benedetj ne la missa celebrata per me don Paulino Paladino cappellano di la matri eclesia p.nti sudiacono Frazinsco Nicastro e lu magnifico Jacobo Piamontisi e m.o Masi Monsignore'. Ora abbiamo una paleografia accattivante. Die 24 eodem , Geronimo figlo di Joseppi e di Ioanella di MONTANA fui batticzato per presti Francisco Nicastro. Lo compari fui Marco Pitrucella; la commari frui Monica mugleri di Joanni di Vigna. Siamo negli anni ’80 del Cinquecento e già si stagliano vive e vivaci personalità che ancor oggi a Racalmuto sono cospicue. Ma storpiature a parte, quante altre notizie anche qui: il Nicastro è divenuto 'sudiacono' (il 9 gennaio del 1583 lo riscontremo diacono e poi prete); Jacobo Piamontisi è un 'magnifico' e ciò ci fa pensare a un forestiero con inacrichi amministrativi pubblici in paese. Il Lumando è un 'mastro' che viene da Castrogiovanni e che pu• accasarsi in Racalmuto sposando la figlia di un altro 'mastro': Agustino Arigo. Abbiamo un' altra delle tante conferme di una 'terra' di Racalmuto alacre, industriosa ed aperta alle maestranze esterne. La raccolta contiene n. 779 atti di matrimonio relativi ai seguenti anni o scorci di anno e così statisticamente inquadrabili: anno Matrimoni abitanti quoziente nuzialità n.ro presunti per mille 1582 (2/9e31/12) 14 4300 13,03 (7,33)(1) 1583 45 4300 10,46 (7,33) 1584 50 4300 11,63 '' 1585 28 4350 6,44 '' 1586 41 4350 9,43 '' 1587 54 4350 12,42 '' 1588 62 4350 14,25 '' 1589 38 4350 8,74 '' 1590 37 4400 8,41 '' 1591 22 4400 5,00 '' 1592 58 4400 13,18 '' 1593 50 4400 11,36 '' 1594 61 4400 13,86 '' 1595 40 4447 (1) 8,99 '' 1596 57 4447 12,82 '' 1597 23 4447 5,17 '' 1598 36 4447 8,09 '' 1599 31 4447 6,98 '' 1600 (sino al 13/8) 32 4447 11,51 '' (1) Dato relativo alla Sicilia del 1861 secondo il Longhitano. (2) Dato desunto da 'Dizionario Topografico della Sicilia' di Vito Amico. Il quadro statistico si arricchisce di elementi chiarificatori della vita sociale dell'epoca: veniamo a conoscere che tante spose restano presto vedove, ma non vi è remora alcuna alle loro seconde nozze. Invero, a sposarle più che i compaesani e che ci sembrano vittime di pregiudizi sessuali e di gelosie per la prima notte e sono i 'forestieri'. La chiesa locale un qualche allineamento alla cultura matrimoniale del luogo mostra di subirlo. Le vedove che si risposano e e spesso trattavasi quasi bambine, visto che a quattordici anni le donne spesso convolavano a 'giuste' nozze e vengono melanconicamente designate con il termine latino di 'relicta'. Non rientravano nel patronimico di nascita: ognuno di loro era solo 'la relicta di lu quondam' con nome e cognome del marito defunto. Nella documentazione, il primo di tali matrimoni risale al 22 febbraio 1583. Riguarda: 'Joanj Fadecta figlio di lu condam Joanj Fadecta con Rosella muglieri di lu condam Antonino Santo Filippo.....''. Appare un mastrimonio solenne per la presenza di testi eccellenti. 'P.nti e prosegue infatti l'atto e lu mang.co Paulo Catalano, Joanj Xortino e Franchico Lupo e multa quantitati di agente'. Purtuttavia, uno sposo orfano di padre ed una vedova non celebrano le nozze di domenica: qui è solo martedì, sia pure il martedì 'grasso' del 1583. Abbiamo appurato che è una costante il matrimonio di vedove nel corso della settimana: le nozze veramente solenni avvengono, invece, di domenica o nei giorni festivi oppure di sabato. Di un certo rilievo è il riparto per anno dei matrimoni delle vedove: Cognome del nome II.o marito Paese di orig. I.o marito II.o marito (se diverso da Racalmuto) 1583 1 SantoeFilippo Rosella Fadecta Joanj 2 Vanilla Juanella La Licata Vicenso 3 Castagna Nuczia Xaviteri Petro SantoeFilipo 4 Capoblanco Francisca Bocoleri Bernardo 1584 1 Lu Broto Joanela Bocoleri Vito 2 Magaloso Contissa Salamoni Petro Groti 3 Castrinovo Vicenza Massaro (lo) Josephi 4 Lu Bello Dama' Alaimo (d') Francesco 1585 1 Micciche' Felicita Suttalanzi Petro Nicoxia 2 Jannuzzo Beatrici Bucculeri Antonio 3 Dinulfo Diana Mule' (di) Franco 1586 1 Casuccia Antonia Chinco Baptista Giorgente 2 Jo:maria Angiluzza Morriali Francesco 3 Lo Bosco Leonora Lonestho Deonisi Maltisi 4 Martorana Antonella Firraro Lixandro Sutera La Matina 5 Gulisano Cuntissella Milioto Lisi 6 Modica Marigaritella Terranova Mariano 7 Marthorana Joannella Marino Antonia Vulpi 8 Macaluso Joannella Bocculeri Lauricella Vito Fabaria 9 Lu Conti Joannella Frangiamori Josephi 10 PiazzaeSpinuso Antonella Bocculeri Agro'eVento Ja: 11 Sanfilippo Lauriella Jangreco Antonino 12 Pitrocella Casanova Angiluzza Santo Filippo Jo: Juliano 1587 1 Pulisano Ioannella Sutta Santi Joanni P.ro Nicoxia 2 Monteleoni Antonia Alferi m.o Ioseppi Cannicatì 3 Barbo Munda La Licata Jacobo li Grutti 4 Romano Joanella Barberi Petro 5 Vinciguerra Alionorella Alexi (di) Joseph Ayduni 6 Gaglano Margarita Bucculeri Cristofalo 7 Petrocella Caterj Cachi Petro Girgenti 8 Martello Milia Lo Conti Francesco Cirami 9 Milioto Catrinella Saldi' Joseph Grutti 10 Castronovo Catrinella Capuczo Josephi Mussumeli 11 Amedo Vichinzella Noto JoanieAntonj 12 Barberi Antonella Savarino Luca 1588 1 Frangiamuri Janucza Castillano Stefano 2 La Mendola Vincenza Noranti Norato 3 Infantino Beatrici Grachi (di) Andrea 4 Vanchida Antonella Firraro Petro Ciramj 5 Todisco Lauria Mangia m.o Joannj Galisano 1589 1 La Chiana Antona Laviangnio Calogiaro 2 Antroroco Francesca Rocharo Salvo Cannicatì 3 Blundo Catrinj Saguna Antonino 1590 1 Romillo Antonella Galeto Filipo 2 Lo Bosco Antona Agusta Joseppi 3 Agro' (di) Ioanella Grillo Joannj 4 Gulpi Antoninella Alaimo (di) Marco 1591 1 Sanfilippo Vincenza La Mantia Joseppi 2 Amella (di) Antonella Vigna (di) Joanni 3 Curto La Mantia Pitruza Pitrocella Paolo 1592 1 Mirabella Clementia Muzicato Joseppi Castrojo: 2 Caltavuturo Lauria Milioto Petro 3 Gueli (di) Joanella Rotulo Fidirico 4 Lo Sardo Bartula Barba Chiumbuluni Antonino 5 Ginsuni Joseppa Birtulino Gerolimo 6 La Lomia Biancuza Curto Antonino 7 Tuciolino Prima Di Franco Francesco 1594 1 Romo Joaneda Buxemi mastro Paulino 2 Riczo Frachiscella Zayarigo m.o Antonino Grutti 3 Santofilippo Antoneda Montana Francesco 1595 1 Lumbardo Leonora Galanti (lu) Vito m.o 1596 1 Gulpi Angela Sanfilippo Pietro 2 La Licata Margherita Schillaci Filippo 3 Aleci (di) Helisabetta Pirruni Antonino Ceramj 4 Acquista (di) Angila Puglisi Barberi Jo: 5 Firraro Angila Mauro Silvestro 6 Arrigo Angilella Fixina (di) Filippo 7 Fachiponti Angela Catania m.o Gerlando Girgenti 8 La Lomia Joanella Amico (di) Aloisio Mussumeli 1598 1 Martura Biatrici Aparo (di) Scanio 1600 1 Virtulino Francisca Fidirico Francesco f+l2 Le nozze di vedove si attestano sul 9,11% del totale del campione esaminato. L'andamento non è stato costante. Riportato ad anno, è calcolabile il seguente sviluppo: fel1 Anno n.ro matrim.ni nozze di vedove percentuale B*100/B (A) (B) 1583 45 4 8,89 1584 50 4 8,00 1585 28 3 10,71 1586 41 12 29,27 1587 54 12 22,22 1588 62 5 8,06 1589 38 3 7,89 1590 37 4 10,81 1591 22 3 13,64 1592 58 7 12,61 1593 50 0 e 1594 61 3 4,92 1595 40 1 2,50 1596 57 8 14,04 1597 23 0 e 1598 36 1 2,78 1599 31 0 e 1600 32 1 3,12 f+l2 Le 'relicte' che sposano forestieri sono n. 24 (33,8%), un terzo dunque. Quattro sono di Grotte; tre di Agrigento; due di Mussumeli; due di Canicattì; tre di Cerami; altre sposano gente di Sutera, Favara, Giuliana, Aidone, San Filippo del Mela ed anche di Malta. Se racalmutesi sposavano forestiere, fatto del tutto scontato, i registri della Matrice non ne annotavano il matrimonio, spettando alla parrochia della sposa. Pur vista dal solo lato delle donne, l'apertura di Racalmuto all'esterno è, dunque, ben vasta. A completamento, trascriviamo i forestieri che non si limitavano a sposare vedove racalmutesi, ma anche le locali nubili. fel1 SPOSO Prov.nza SPOSA 1582 1 BONOINFANTI Battista Sutera GRACI Isabella 2 LUMARDO m.o Joanj Castrojo: ARIGO Rosella 1583 1 BONJORNO Gian Antonio Ganci AGRO' (di) Contissa 2 PAPALI Filipo Sutera XORTINO Contissa 1584 1 VALANCA Juliano Mussumeli AQUISTA Gerlandella 1585 1 LA ROCCA Cola Girgenti CIRAULO Joanella 2 LINTINI Gioseppi Girgenti AMELLA Alvara 3 ALAIMO Antonino Grutti TAIBI Mariella 4 GANGI Giseppi Cannicatti' MULE' Rosa 5 D'ALVARO Rafaele Terranova LIXANDRO Marina 6 LASCENATO Jacobo Canicatti' LIMBARDA Angila 1586 1 LO GULLO Paolo Monsmellis ALAIMO Vincentia 2 VINCIGUERRA Giorgio Grutti VACCARO Joanella 3 ALECI Paolino Sutera S.FILIPPO Elisabetta 4 GAGLIANO Cola Villafranca CHIARAMONTI Geronima 5 CINA PANSANO Josephi Giorgenti MOLE' Gentilella 6 SCURSUNI Paolino Fabaria ARMENIO Josepella 7 MOSSUTO Josephi Favara MONISTERI Maruzza 1587 1 VACARO Santo Sutera D'AMEDO Jorlandella 2 FONTANA Joseppi Vicari D'ASARO Catrinella 3 GUARACI Masi Girgenti MOLE' Gintili 4 LANZALACO Antonio Mussumeli S.FILIPPO Antonella 5 LA MOTTA Cola Catania GRILLETTA Joannella 6 LAGO Filippo Girgenti S.ANGILO Petra 7 PAGANI Bastiano Castroioanni LA MENDOLA Antonina 8 PHIMARTI Bastiano Troina LA BRUNA Antonina 1588 1 MARINO Joseppi Tortorici PILLITTERI Letizia 2 DIDOMINICO Jo:Bat.sta Caselli GULPI Sabelluzza 3 D'ALVARO Jolio Terranova LA LICATA Francesca 4 LO PORTO Raineri Vicari SCOZZARO Francesca 5 MONTISANO Mercurio Cirami GUELI Vincenza 6 SFIRAZZA Leonardo Sutera SINACRA Criscentia 7 PUTRICELLO Aloisi Naro GUELI Maruzza 8 CASABRUNO Andria Piazza LA NIVORA Antonina 1589 1 GRAZIA Antonino S.Angelo SPARTI Paola 2 RAMUNDO Jacubo Sutera BURSALINO Maruzza 3 LIBRISI m.o Carlo Pitralia LU NOBILI Juanella 4 LAIACONO m.o Masi Aiduni GUARINO Lucrezia 5 VINEURA Francesco Castrojoanni MODICA Joanella 6 MANCUSO Mariano Naro LU BELLA Chaterina 1590 1 GIGLIA Francesco S.Blasi CHIARAMUNTI Angilella 2 TINEBRA Joseppi Castrojoanni GRACI Agata 3 TINEBRA Angilo Castrojoanni DI FALCO Minichella 1591 1 SCHILLACI Vincenzo Cirami VAVUSA Angila 2 TURANODI Joseppi Caltabellocta GARLISI Catarina 1592 1 GRASSO Pascali Castrojoanni GUELI Francesca 2 SERIO Cesaro Santo Filippo RIZZO Martina 3 MANGIAMELI Ectaro Milillo GUELI Angela 4 VARELLO Gerlando Castrojoanni CIMINI Angila 5 LAURICELLA Antonio Fabaria MACALUSO Vincenza 6 VACCARELLA Andria Fabaria MARTORANA Antonella 7 VARELLO Paolino Castrojoanni MASTROSIMUNI Margaritela 8 AJELLO Marco Ganci VASSO Paolina 9 TERRITU Vincenzo Sutera PALAGRO Franceschella 10 SALDI' Francesco Grutti LA LICATA Sabella 11 VICARI Jacubo Castrojoanni CARLISI Antonella 1593 1 VICARI Signorello Castrojoanni MINICAZZO Paolinella 2 LAZALACO Andria Mussumeli PICICA Joseppa 3 BUXEMI Pietro Jorgenti GRACI Margaritella 4 INGRAO Scipiuni Grutti SCHILACI Joaneda 5 MACARELLA Paolino Sutera LA GREZZA Joannetta 6 CARMELI m.o Filippo Turturici LAUDICO Agata 7 MASELLO Bastiano Gangi TULOMELLO Francesca 1594 1 CHIAZZA Minico Musumeli VINCIGUERRA Josepa 2 STABILI Vicenso Gangi LAUDICO Petruzza 3 DI LUCA Jacubo Palermo GIGLIA Angila 4 CONTI Pietro Cirami MARTURANA Margaritella 5 MIOPLATO Bartolo Genua FAIDA Francesca 6 BURTULINO Matheo Mussumeli MAGRO Maruzza 7 MAGALUSO m. Francesco Petralia PICONI Julia 8 BLASI Minico Mussumeli GUELI Ieronima 9 MAMUNTI Petro Castrojoanni PUGLISI Jacupella 10 LIUNI m.o Francesco Palermo JUSTINIANO Lugrezia 11 SANTOANGILO Vicenso Grutti CARLINO Vatricella 12 FANARA Paolo Favara D'ANNA Paolina 13 AMICO Filippo Sutera CAXA Francischella 14 PALUMBO Jacubo Sutera VIGNORI Joanella 15 TUDISCO Salvaturi Muntalbano BURGIO Filippa 16 CIMINO Marco Grutti DI LURENZA Bettina 17 BUCCULERI Calojro Canicatti' LA LICATA Margaritella 18 MAXILLINI Antonino Mistretta CIMBARDO Maruzza 19 MAZARA Vito Cirami PUMA Jorlandella 1595 1 MISSINA Angilo Canicatti' AMEDDA Catrina 2 TADUTO Filippo Catalniseta MASTROSIMONE Antonedda 3 MIANO Bastiano Cerami FALLETTA Vincenza 4 FORTI (lu) Paolino Camarata PREGADO Francischella 5 PILITERI Marco Sutera AMEDA Vicensa 6 COCHIARA Filipo Grutti FACCIPONTI Jeromedda 7 PECURA Filippo Mussumeli MATTELIANO Vicinsella 8 ZIRAGINA Filippo Girgenti BELGUARDA Maruzza 9 VIRDIRAIMO Pasquali Girgenti DI FACTIO Catarinella 1596 1 MANCUSO Gregorio Castrojoanni SPATA Joannella 2 GARRASI b.ne Francesco Bellocozzo DI UGO Pitronilla 3 MONTIGRINO Vicenso Catania BRANDO Francischella 4 SAJA Vicenso Sutera AGRO' VENTO Magadalena 5 GALATI Caloiro Favara COZZU Juannella 6 CATANIA Joseppi Girgenti FACCIPONTI Joannella 7 SPALLETTA Vincenzo Castrojoanni CIRASA Antonella 8 MARTELLINO Rocco Mistretta ROTULO Caterinella 9 GIRGENTI Giseppi Palermo DI LUCA Lucrezia 1597 1 DI CARLO Marino Sutera FOMENTORO Maruzza 2 CARDELLA Jorlando Giorgenti CACCIATURI Francischella 3 MARTURANA Francesco Caltanixetta LA PAGLIA Iurla 1598 1 BRACCO Francesco Gergenti SALVO Pitruzza 1600 1 RIZZO Antonino Xicli MURATURI Diana 2 RUSSO m.o Guglielmo Palermo FAVARISI Mariella f+l2 Considerati i 24 forestieri che hanno sposato vedove racalmutesi, ed aggiunti i 106 predetti, son ben 130 i matrimoni con non paesani che si hanno a Racalmuto nel periodo (il 16,69% sui 779 matrimoni complessivi). Da Palermo, Scicli, Girgenti, Caltanissetta, Mistretta, Cammarata, Montalbano, Petralia, Tortorici, Troina, Naro, Piazza, Vicari, Villafranca, oltre a centri prima citati, nonchè dalla lontana Genua, arrivano partiti che consentono alle nostre antenate del '500 di accasarsi. Il segno, questo, di una cittadina con intensi intrecci sociali col circondario, l'intera Sicilia e persino con la Liguria (a motivo qui della provenienza dei signori di Racalmuto: i Del Carretto). Tra il 1592 e il 1594 sono tre i matrimoni che contraggono a Racalmuto giovani gangitani: Gangi, posta nelle vicinanze dell'Etna, era ed è alquanto fuori mano per il nostro paese. Da centri impervi come Petralia, Mistretta, Montalbano Elicona, Tortorici, approdano a Racalmuto e vi trovano moglie: sono paesi in gran parte interessati da rimarchevoli presenze della scuola del Gagini. Se a tale scuola si fa risalire la statua della nostra Madonna del Monte, si pu• spiegare perchè quella strana statua sia giunta a Racalmuto e si pu• credere che essa sia giunta dalle citate località tralasciando l'ipotesi inverosimile di un viaggio dall'Africa. In quel tempo, Racalmuto, divenuto granaio spagnolo, è in effervescenza economica e chiese e castello si agghindano e si accrescono. Dalla lontana, ma non irraggiungibile, provincia di Messina, vengono chiamate maestranze specializzate. Opere murarie, pitture, sculture vengono commissionate. Botteghe valide mancano ancora in quel di Racalmuto. Il Monocolo è soltanto un bambino: da quei forestieri avrà tratto stimoli e spunti per divenire quel non trascurabile pittore operante un ventennio dopo. L'importanza racalmutese nell'ultimo squarcio del '500, la rileviamo anche da un matrimonio di tutto spicco. A Racalmuto è insediato il chiarissimo don Giuseppe d'Ugo. Non ha l'aria di essere racalmutese quel personaggio dell'alta borghesia. La figlia sposa, in pompa magna, un barone e lo sposa in Racalmuto ove, purtuttavia, la sua famiglia ha stabile dimora. Come compare di nozze è scelto il locale 'SEGRETO' monsignor Vincenzo Piamontese, notevole esponente della burocrazia spagnola. Agli UGO non mancano i preti e a benedire le nozze è un sacerdote che non esercita il ministero a Racalmuto ma è di certo parente della sposa. L'atto di matrimonio è particolare e noi lo trascriviamo integralmente per la sua esemplarita'. ' Die 18 maij 1596 e il signor don Francesco GARRASI e Belvis barone di Bello Coczo con la sig.a donna Pitronilla figlia dello sig.re Joseppi e Catarinella DI UGO, servatis servandis fatti li tri denunciazioni in ter missarum solemnia, observatu lu hordini sinodali e consiglio tridentino, non si trovando jmpedimento alcuno contra hessiro matrimonio publice in facie ecclesie e foro benedetti per don Leonardo di Ugo, prenti il signor Ieronimo Russo e monsignor Vincenzo Piamontese SEGRETO'. Un'analisi critica dei matrimoni tra forestieri e nubili del luogo induce a pensare, ove si faccia mente locale ai cognomi delle spose che appaiono poco racalmutesi e scarsamente diffusi, che l'apertura sociale fosse meno effettiva di quel che appare a prima vista. Ove si eccettuino quelli di Grotte o di Agrigento, i forestieri che si sposavano a Racalmuto trovano partito tra le vedove oppure tra famiglie da poco trapiantate. Peraltro, anche da questo lato, Racalmuto è nel cinquecento paese di grossa immigrazione. Un quadro sinottico dei matrimoni con forestieri è, in tale ambito, molto significativo. anno Matr.ni abitanti q.nte nuz.tà Matr. con %su q. su 1000 n.ro presunti per mille forestieri matr. abitanti 1582 14 4300 13,03 2 14,29 0,47 1583 45 4300 10,46 3 6,67 0,70 1584 50 4300 11,63 2 4,00 0,47 1585 28 4350 6,44 7 25,00 1,61 1586 41 4350 9,43 12 29,27 2,76 1587 54 4350 12,42 16 29,63 3,68 1588 62 4350 14,25 10 16,13 2,30 1589 38 4350 8,74 7 18,42 1,61 1590 37 4400 8,41 3 8,11 0,68 1591 22 4400 5,00 2 9,09 0,45 1592 58 4400 13,18 12 20,69 2,73 1593 50 4400 11,36 7 14,00 1,59 1594 61 4400 13,86 20 32,79 4,55 1595 40 4447 8,99 9 22,50 2,02 1596 57 4447 12,82 12 21,05 2,70 1597 23 4447 5,17 3 13,04 0,67 1598 36 4447 8,09 1 2,78 0,22 1599 31 4447 6,98 0 e e 1600 32 4447 11,51 2 6,25 0,45 f+l2 Sull'intero aggregato abitativo, il numero di nozze con forestieri non è molto elevato: il massimo si attesta nel 1594 con il 4,55 per mille seguito dal 3,38 per mille del 1587; i minimi si registrano nel 1599 (nessun matrimonio con forestieri), nel 1598 (0,22 per mille), nel 1597 (0,67 per mille) e prima nel 1591 (0,45 per mille) o nel 1584 (0,47 per mille). Diversa, invece, l'incidenza sul numero dei matrimoni annui: ben il 32,79% nel 1594 ed oltre il 29% nel 1586 e nel 1587. Gli anni di maggiore intensità matrimoniale furono il 1584 (q. di nuzialità 11,63 per mille); il 1587 (q. di n. 12,42 per mille); il 1588 (q. di n. 14,25 per mille); il 1592 (q. di n. 13,18 per mille); il 1594 (13,86 per mille) e il 1596 (12,82 per mille). In sintonia con tale intensità furono i matrimoni con forestieri negli anni: 1587, 1588, 1592, 1594 e 1596. Scarseggiarono i matrimoni negli anni: 1585 (q.nte di nuz.tà 6,44 per mille); 1591 (5 per mille) e, consecutivamente, nel triennio 1597 (5,17 %o) 1598 (8,09%o) e 1599 (6,98%o). Parallela la flessione di matrimoni con forestieri: nel 1591, solo il 9,09%; nel 1598, il 2,78% e nel 1599 nessun matrimonio con non racalmutesi. Per contro, nella scarna nuzialità degli anni 1585 e 1597, i matrimoni con non indigeni furono rispettivamente del 25% e del 13,04%, in sintonia con quanto avvenne negli anni di magra del 1589 con il 18,42% e del 1595 con il 22,50%. I matrimoni tra titolati (monsignori, magnifici e gentiluomini) furono non pochi e l'irrinunciabile conservatorismo siciliano impediva digressioni dai ceti di appartenenza. Lo spaccato dell'alta società racalmutese di allora si coglie intero da quegli atti matrimoniali e val quindi la pena di schematizzare. ANNO Sposo Sposa 1583 LA LUMIA magnifico Giseppi D'AMEDA magnifica Margarita 1583 CATALANO magnifico Marino XAXA Blancuzza 1588 CORNIGLIA magnifico Leonardo GAETANO magnifica Natalicia 1588 LAMPOZZO SERAVIGLIO m.co Jo: MIRAGLIA magnifica Joa.lla 1588 D'AFFLITTO magnifico Carlo LU BRUTTO Magnifica Jua.lla 1590 IUSTINIANO magn.co Hieronimo MANTEGNA nobili Beatruzza 1590 CICCARANO magifico Antonino PIAMONTISI magn. Antonella 1592 GRILLO SAURO notaro Joseppi MAGALUSO Antonella 1592 CASTROJOANNI magn.co Angilo CICCARANO mag.ca Elisabetta 1593 ALAIMO Magnifico Pietro MACALUSO magnifica Maruzza 1595 CHIRCO' magnifico Jacubo LA LUMIA magn.ca Vatricella 1595 CASTROJO: Hectaro Micheli MONTELEUNI Costanza figlio di notaro Hieronimo figlia di notaro Cola Altri casati di elevato lignaggio sono reperibili tra i testi alle nozze. Abbiamo i seguenti magnifici: Iacubo di POMA; Pietro TODISCO; Jacubo PIAMONTISI; Cola MONTELIUNI; Artali TODISCO; Bernardino BAVERA; Martino RIZZO; misser Filippo VACCARI; Gasparo MUNTILIUNI; notaro Giseppi CURTO; messere Giuseppe AGRO'; Francesco SANGUINEO; messer Giuseppe SALVO; notaro Jo: Vito d'AMELLA; Angelo di UGO; Chimenti MISSINA; Dario PIAMONTISI; ill.mo don Gerolamo RUSSO; Mariano SCIBETTA e notaro Joseppi SANTANGILO; L'infittirsi degli affari fa proliferare un nugolo di notai: ne contiamo ben 7 : notaro Castrogiovanni Girolamo; notaro Giuseppe Santangelo; notaro Jo:Vito d'Amella; notaro Giuseppe Curto; notaro Cola Monteleone; notaro Gasparo Monteleone e notaro Sauro e Grillo. I 'mastri' che in quel torno di tempo contraggono matrimonio sono n. 36 (4,62%); riusciamo ad individuare 11 altri mastri tra i genitori degli sposi; oltre 20 spose sono figlie di mastri; tra i testi si annovera almeno una ventina di elementi della maestranza locale prima non individuati. Non si è dunque molto lontani dal vero supporre che almeno un quarto della popolazione attiva maschile era dedita ai più vari mestieri. Qualche raro nobile, tanti preti, non pochi professionisti ed impiegati da una parte e, naturalmente, un predominio degli addetti all'agricoltura dall'altra. Il ceto sacerdotale emerge in modo vivido e ben delineato dagli archivi parrocchiali. Presente, attivo e autoritario fu di certo l'arciprete don Michele Romano, ne fu Vicario don Giuseppe d'AVERNA. L'arciprete don Michele ROMANO muore il 28 luglio 1597. Negli atti di matrimonio ci è dato di leggere: 'DIE 28 Julii X Ind. 1597. Incomensa lo conto delli inguaggiati dopo la marte del arciprete don Michele Romano'. Fto: illeggibile. Sono poi sedici religiosi che, in modo o in un altro, lasciano i segni della loro presenza nell'ultimo ventennio del '500: Monsirrato di AGRO'; don Vito ALONGI; frati Antonino AMATO; don Gioseppe di AVERNA; don Lonardo CASTELLANA; don Paolino PALADINO; don Lisi PROVINSANO; don Angelo DARDO; don Balthasaro FERRAGUTO; don Joanni MACALUSO; don Francesco NICASTRO; don Michele ROMANO; don Giuseppe SANTOSTEFANO; don Nardo SPALLETTA; don Joseppi SUTOTURISI e don Leonardo di UGO. Risale ad un secolo dopo (20 settembre 1699) una RELATIO ad LIMINA del Vescovo di Agrigento (e cioè una delle relazioni triennali che i vescovi erano tenuti a fare alla Sede Apostolica dopo il Concilio di Trento sullo stato della propria diocesi). Lì troviamo un ampio ragguaglio sulla vita religiosa di Racalmuto e val la pena di richiamarla consentendoci un quadro di raffronto con quanto emerso dalla documentazione d'archivio sotto esame (cfr. Archivio Segreto Vaticano: Agrigentum, relationes ad limina, B18 e f.314). '' RECALMUTUM e Cittadina (oppidum) di cinquemila abitanti sotto la cura di un arciprete, la cui elezione ed istituzione sono da tanto tempo di diritto comune. Costui ha per il proprio sostentamento quasi duecento scudi. Nella chiesa maggiore si recitano quotidianamente le 'hore canonice' da parte di sacerdoti vestiti con paramenti canonicali (Almutiis insigniti). Vi sono cinque conventi di religiosi: e dei Carmelitani, con tre sacerdoti e due laici; e dei Minori Conventuali, con tre sacerdoti e un laico; e dei Minori di Regolare Osservanza, con 4 sacerdoti e 3 laici; e dei Riformati di S. Agostino con tre sacerdoti e due laici; e una casa addetta ad ospedale in cui stanno i frati di S. Giovanni di Dio, al momento un sacerdote e due laici. Reputo qui di rappresentare che questi religiosi, dopo avere accettato di accudire all'ospedale, non hanno giammai pensato di rinunciare all'istituto ospedaliero, eppure si sono limitati a consumare soltanto per sè il reddito dell'ospedale. Ed essendo esenti dalla giurisdizione del vescovo ordinario, non vi sono forze per costringerli a rinunciare ed a lasciare i locali del convento. Sorge un monastero di monache sotto la regola del terzo ordine di San Francesco ove servono il Signore otto professe corali; due novizie e 5 converse. Oltre alla chiesa maggiore ed a quelle conventuali prima segnalate, vi sono quindici chiese, con quarantasette sacerdoti e trentasei laici.'' Siffatta popolazione religiosa era meno vasta alla fine del '500, ma pur sempre numerosa. Fra i testomini alle nozze incontriamo: il sudiacono Francesco Lupo; il chierico Angilo Cimbardo; soro Lauria Morriale; il chierico Pietro Castilano; il chierico Jacubo d'Avella; il chierico Gioseppi Alberto; il chierico Simuni Alberto; il chierico Francesco Muntiliuni; il chierico Santo Agro'; il chierico Pietro Nobili; il chierico Zacharia Rizzo; il chierico Pietro Macaluso; il chierico Jurlando Morreale; il chierico Pietro Curobi; il chierico Antonino Mule'; il diacono Caloyaro di Franco; il chierico Gasparo Gulpi; il chierico Giuseppe Sanfilippo; il chierico Pietro Tuzzolino; il chierico Giuseppe Minsau; il chierico Jacopo Vella; il chierico Giuseppe Lu Sardo; il chierico Gioseppi di Girgenti; il chierico Pietro Grillo; sudiacono Fabrizio Muntiliuni; fra' Paolo Fanara; il chierico Filippo Sabella e fra' Giseppi di Pomo. Ascendono a 22, dunque, i chierici, cifra non molto lontana dai 36 chierici che gravitavano sulle chiese racalmutesi nel 1699. Lo stretto ordine cronologico seguito nell'annotare gli atti di matrimonio non impedisce agli archivisti parrocchiali di segnare talora resoconti economici e pagamenti vari effettuati. Non sono privi di interesse e non è quindi superfluo riportare quelle note contabili: fel1 7/1/1592: Mangiameli e 'Pagaro al p.tre arcipreti'; 7/1/1592: Lauricella e 'Pagaro al p.tre arcipreti'; 19/1/1592: Muzicato e 'Pagaro al p.tre arciprete'; 19/1/1592: Casuchia e 'Pagaro al p.tre arciprete'; 2/2/1592: Curto:'pecunia habet dominus nostere archipresbiter' 26/8/1596: Spalletta: 'unu anello don Fran.co'; 21/10/1596: 'Fin qui son pagato don Michele Romano'; 3/11/1596: Muntana: 'Fin qui son pagato don M. Romano'; 16/11/1596: Cicala: 'gratis'; 25/11/1596: Girgenti:'per un anello inpotere del arciprete'; 10/2/1597: Cala': 'fin qui pagato'; 'Die 24 ottobris X ind. 1597. Mi detti lu cunto don Leonardo Spalletta delli sponczalicii a mia don Giuseppe Romano come procuraturi di mons. ill.mo' 'ADI 6 febraurii 1598 e feci conto de inguagiati don Leonardo Spalletta con me don Joseppi Romano'; 'DIE 16 Julii XI ind.nis 1598: Pigliau la possessioni don Vito Belloguardo e don Antonio d'Amato procuratori di don Lexandro CAPOZZA per l'arcipretato di Racalmuto come appare per atto plubico'. 'DIE 14 agusti XIIe ind.nis 1599 e Pigliao la possessioni don Vito BELGARDO canonico di Gergenti et don Mariotta di la magiore ecclesia di Racalmuto per don Lexandro Capocia'; 'DIE 15 agusti XIe ind. 1598 e Incomensao don Matteo Gueli a diri missa ...per ecclesia di Racalmuto'; 'Di la majori eccelsia di Racalmuto pigliao pochi fiori don Andria Argumento a li 7 di marzo XIII ind. 1600'. f+l2 A don Michele ROMANO sembra dunque succedere don Lexandro CAPOZZA nell'arcipretura di Racalmuto. Ma questi, conseguita l'arcipretura forse con concorso, è riluttante a insediarsi nel lontano 'oppidum'. Non ne prende possesso personalmente, ma vi manda due procuratori, naturalmente con tanto di atto pubblico. L'eterna questione agitata dal Concilio di Trento sulla necessità dello stanziamento in loco dei pastori, pare che non investa solo i vescovi ma anche le arcipreture nella Sicilia del Viceregno spagnolo. Di questo Lexandro CAPOZZA, arciprete latitante di Racalmuto, non troviamo traccia negli archivi parrochiali per almeno un altro anno. Morto il Romano nell'ottobre del 1597, si aspetta il luglio per vedere i procuratori del nuovo arciprete, la cui presenza chissà se mai c'è stata in Racalmuto ma alla cui borsa affluivano i 200 scudi arcipretorali del nostro 'oppidum', munito di autonomia antica di diritto comune. Ancora a metà agosto del 1599, di questo arciprete Capozza o Capocia neppure l'ombra: solo giungono i canonici agrigentini a riscuotere i lucenti scudi racalmutesi 'd'ordine e per conto', da buoni procuratori di quel fantomatico arciprete di cui storpiano il cognome. Piluccando tra il colorito frasario della documentazione, ci è consentita una ricognizione di modi di dire e lemmi del dialetto racalmutese del '500. 'Contrassero' diviene 'contra essiro'; 'foru benediti nella missa per me..' traduce: furono benedetti nella messa celebrata da me...'; la Matrice viene chiamata 'la majori ecclesia'; 'molta gente' viene indicata con locuzioni approssimative quali 'molti altri genti' o 'et multa quantitati di agenti'. 'Racalmuto' è spesso scritto correttamente, ma talora è storpiato in 'Rayalmoto', 'Raulmutu' e 'Recalmuto'. Grotte è chiamata 'la terra di li Groti' o 'di li Grutti'. Affiorano termini e verbi quali 'Jongno'; 'cunto'; 'inguagiati'; 'pigliao'; incomensao'; 'abrili'; 'diri missa'; 'possessioni'; 'sponczalicii'; 'habitaturi'; 'essirili stata morta'; 'muglieri'. Le mie personali radici racalmutesi risultano comprovate dal seguente atto matrimoniale: '' 18 gennaio 1587 e Jacubo TAVERNA e Natalina di CAVALARO di la terra di RAYALMOTO, servatis servandis e fatti li tre denonciationi inter missarum solemnia, non si trovando inpedimento alcono, contra essiro matrimonio publice in facie ecclesie e foro beneditti ne la missa celebrata per me don Paolino Paladino, presenti Antonuzzo Moriali e presbiter Francesco Nicastro e multa quantità di agente'. Il matrimonio fu celebrato di domenica e fu quindi piuttosto solenne. Nel 1991, tre lustri fa, annotavamo quanto rimane nel registro cinquecentesco della Matrice. Ci piace così testimoniare la nostra antica passione per le carte archivistiche racalmutesi. Un altro esempio lo riportiamo per la peculiarità della deroga episcole che occorse data la giovanissima età della sposa, che doveva avere meno di quattordici anni: quasi una bambina. 'DIE 20 januarii IIIe ind. 1590 e Mariano SANTO ANGILO con Caterinella figlia di Vincenzo et Antonella DI FALCO, dem.to delli sp.li e M. R.ss. don Thomasi di Leto e don Francesco Zangalis in similibus pietatem habentium non obstante etate non q.pleta ditte Caterinelle viri potentis dato al R.s. Arcipresbiter, servatis servandis e fatte le tre denunciatione inter missarum solemnia e servato l'ordine sinodali non si havendo retrovato impedimento alcuno, publice contrassero matrimonio in facie ecclesie e foro beneditti per don Paolino Paladino, presenti lu p. don Joseppi di Averna e padre Francesco Nicastro e clerico Angilo Limbardo cum multa quantità di genti''. I curiali don Tommaso Leto e don Francesco Zangalis forniscono dunque un documento di dispensa matrimoniale alla giovanissima Caterinella, che non ha ancora raggiunto l'età per un 'vir potens', spinti da un sentimento di pietà. La formula, press'a poco dice questo: il senso è alquanto recondito ed un po' pruriginoso. Che a quell'epoca, le ragazze si sposassero spesso appena raggiunto il quattordicesimo anno di eta' risulta provato da questi ed altri documenti. TAIBI Mariella si sposa nel 1585 con Antoninno Alaimo di 'Grutti' a soli quattordici anni (meno un mese); a quindici anni si sposa, l'8/9/1585, Margherita JURDANO; l'orfanella VACCARO Jacobella ha da poco superato i quattordici anni quando, il 3 novembre 1585, sposa Paolo La Licata; nelle stesse condizioni, RIZZO Juannella, andata sposa a Jeronimo Garlisi il 7 gennaio 1586; quindicenne la sposina Catrinella TERRANOVA (7 gennaio 1587). Nota dolente è quella della breve vita media: si pensi che n.109 sposi sono già sicurante orfani di padre (il 14%); n. 29 risultano orfani di madre ( e qui va notato che raramente viene trascritta la maternità: solo 245 volte e tanto consente di calcolare attorno al 12% gli sposi orfani di madre); quanto alle spose, sono 113 quelle sicuramente orfane di padre (delle vedove non sappiamo nulla in proposito e di tante spose non viene indicata per nulla la paternità: siamo quindi ben oltre l'apparente 15%). Quando esamineremo il libro dei morti avremo, comunque, possibilità più vaste per cercare di stimare la vita media dei racalmutesi tra i secoli XVI e XVII, nonchè di effettuare altre misurazioni sulla mortalità infantile ed altri aggregati demografici. p? s+l2< nr54nc125np31 CAMPANE A MARTELLO NEL TRIENNIO 1618e1620 Nel settecento e è da presumere molto fondatamente e il rilegatore ecclesiastico di Racalmuto mette assieme i fausti atti matrimoniali dell'ultimo ventennio del XVI secolo ed un lugubre fascicolo di contabilità mortuaria della Matrice che riguarda un triennio: 1618e1620. E' proprio da far scongiuri contro un archivista in tunica tanto greve ed alquanto iellatore. Munitici di efficace antidoto scaramantico, possiamo indagare sull'ultima parte di quel libro di archivio. Dati, circostanze e notizie assurgono a ghiottoneria storica per la ricostruzione della Racalmuto secentesca, quella dei Girolamo del Carretto, tanto per orientarci. Per il primo funerale del fascicolo, si annota che sono stati percetti cinque tarì e 10 grani. Le esequie avvennero il 4 ottobre del 1618, presente l'intero clero che sappiamo essere una compagine numerosa di una ventina di consacrati. Testualmente è detto con grafia minuta e dimessa: 'a 4 di 8bre 2a Ind. ivi8 (1518) e Paulo Pirrera si morse e fu sepolto a Santa Maria presente clero ...... tt.5 e 10'. Seguono altre 469 annotazioni, sino al 19 novembre del 1620. La triste nota finale è per 'Gerlanda di Gerlando Luparello fu morta et sepulta allo Carmine ........tt. 5 e 10'. Valore di dati statistici assume il seguente riparto: fel1 Anno (periodo) n.ro (in ragione popolazione %o su media sie di anno) presunta pop. liana XIX 1618(4.10e31.12) 49 196 5.000 39,20 28,91 ottobre 18 216 5.000 43,20 28,91 novembre 17 204 5.000 40,80 28,91 dicembre 14 168 5.000 33,60 28,91 1619 262 262 5.000 52,40 28,91 gennaio 22 264 5.000 52,80 28,91 febbraio 18 216 5.000 43,20 28,91 marzo 11 132 5.000 26,40 28,91 aprile 12 144 5.000 28,80 28,91 maggio 5 60 5.000 12,00 28,91 giugno 16 192 5.000 38,40 28,91 luglio 47 564 5.000 112,80 28,91 agosto 51 612 5.000 122,40 28,91 settembre 27 262 5.000 52,40 28,91 ottobre 22 264 5.000 52,80 28,91 novembre 19 228 5.000 52,40 28,91 dicembre 12 144 5.000 28,80 28,91 1620(1.1e19.11) 159 179 5.000 35,80 28,91 gennaio 20 240 5.000 48,00 28,91 febbraio 25 300 5.000 60,00 28,91 marzo 16 192 5.000 38,40 28,91 aprile 15 180 5.000 36,00 28,91 maggio 18 216 5.000 43,20 28,91 giugno 10 120 5.000 24,00 28,91 luglio 11 132 5.000 26,40 28,91 agosto 9 108 5.000 21,60 28,91 settembre 15 180 5.000 36,00 28,91 ottobre 10 120 5.000 24,00 28,91 novembre 10 180 5.000 36,00 28,91 f+l2 Anche se gli sbalzi negli indici di mortalità sono notevoli di anno in anno, siamo ancora in situazione di 'mortalità normale'. Vi saranno nel 600 anni 'infaustissimi', come vedremo, in cui la morte falcidia con quozienti da capogiro. Un segno di recrudescenza nella mortalità della Racalmuto del '600 si ha nel trimestre estivo del 1609 (con luglio interessato da un quoziente di mortalità del 112,80 per mille e agosto quando il quoziente svetta addirittura fino al 122,40 per mille). Come sapremo dall'analisi di altra documentazione più completa relativa ad alcuni decenni dopo, la calura estiva e gli inquinamenti idrici saranno le cause scatenanti di una vera strage degli innocenti: la mortalità infantile, di per sè ferocemente estesa in quei secoli di scarsa igiene, esplode ancor più virulenta in taluni periodi estivi. Tra questi, il 1619; l'anno successivo, inceve, la iattura risulta scongiurata. Notiamo una costante: i mesi più salubri sono quelli del quadrimestre intermedio marzoegiugno e di solito la mortalità flette nei mesi che vanno da settembre a dicembre. In due anni e due mesi entrano nelle casse della Matrice e per funerali, esequie e sepolture dei 470 racalmutesi deceduti e 38 onze e 26 tarì. Al fine di orientarci sul valore della moneta in quei tempi a Racalmuto, ci avvaliamo del libro di contabilità del Convento di santa Chiara di Racalmuto (cfr. Archivio di Stato di Agrigento e Inv. n. 64 vol. 533 e Libro di exito del Venerabile Monasterio di S. Clara fundato in questa terra di Racalmuto dell'anno 1649). Una salma di orzo e due di gesso costavano nel 1649 un'onza e 6 tarì; un quintale di olio 3 onze e 18 tarì; una 'sola' di cuoio e la relativa confezione di 10 paia di 'tappini' un'onza e dodici tarì (42 tarì, dunque, per 10 paia di pianelle: se attribuiamo un valore attuale di L.10/11 mila per ogni paio di pianelle di cuoio, possiamo stimare in L. 2.500 circa un tarì e in L. 75.000 circa un' oncia, mentre il grano dovrebbe equivalere a L. 125). Vediamo altri dati: e '1.12.'49 e a mastro Antonio Briganti lanaro per canne 50 di lana: onze 9 tt. 17 gg.10' (una canna equivaleva a m.2,064 e pertanto un metro di lana fu comprato a tt. 2 e 16 gg. e cioè a L. 4.500 di oggi, secondo il nostro calcolo); e '1.12.1649 e mezza salma di 'scebba' ...onze 1 e tt. 6 (pari a L. 90.000) e ' 1.1.1650 e vitto per un mese delle Monache ... onze 6' (pari ad attuali L. 450.000); e 'una salma di carbone ...onze 0 e tt. 24' (L. 60.000); e 'a Francesco Barberi per 8 mesi di servizio .... onze 4' (L. 300.000); e '27.3.1650 e 4 rotoli di cera lavorata onze 1 e tarì 10' (L.100.000 e cioè a L. 31.500 a Kg. dato che un rotolo equivaleva a grammi 793,42); e '1.4.1650 e a mastro Pietro Tagano per 16 paia di scarpe ... onze 2 e tarì 4' (pari L.155.000 in totale e a L. 9.700 per ogni paio di scarpe a conferma dell'attendibilità del nostro calcolo); e '1.4.1650 e per cafisi tre di olio ... onze 1 e tt. 26' (in totale L. 215.000); e '1.6.1650 e a Francesco Barberi e Pietro Falletta per tre tumoli di lenticchie e 8 tumoli di fave ... onze 1 e tarì 5' (pari a L. 87.500 e, quindi, a L. 463 a litro: 1 tumolo = litri 17,193); e 'a Francesco Rizzo per 5 rotoli di candele onze 1 e tt. 20' (pari a L. 100.000 e quindi a L. 25.210 a Kg.). Ritornando alle entrate da funerali del 1618e1620, possiamo congetturare, sulla base dei riferimenti contabili precedenti, che quelle 38 onze e quei 26 tarì non superassero i tre milioni e mezzo in lire attuali, forse i quattro e mezzo se supponiamo in un quarto di secolo un'inflazione comulativa del 20/25%. Francamente un p• poco, essendo peraltro ripartiti tra almeno quattro cappellani accompagnatori: don Mario CURTO, don Giuseppe d'ASARO, don Giuseppe SANFILIPPO e padre Francesco Vintura, e e sia pure non sempre e con l'intero clero. Sono 122 i funerali a tariffa alta (pari al 25,96%), quelli definiti dagli archivisti di allora: 'grandi' e che costavano 5 tarì e 10 grani; i 'minori' (da un tarì ad un tarì e 10 grani) sono 328 (69,79%) e 20 quelli gratuiti (4,26). Il funerale gratuito era talora dovuto all'estrema miseria della famiglia del defunto, ma spesso era segno di rispetto per il risalto sociale o per le benemerenze religiose che il defunto vantava in vita o che riguardavano gli stretti congiunti. L'intero clero segue 'gratis' i funerali: di Vincenzo, figlio di Clementi MISSINA;di mastro Giacomo BLUNDO; di Paula AMORELLA; di Girolamo PILLITTERI; di Pietro LO SARDO e del sacerdote don Francesco BUSCARINO. Ci sembrano 5 cadaveri eccellenti per i quali la gratuità delle onoranze funebri è ben segno di distinzione. Tocca di accompagnare gratis al cappellano don Francesco d'Asaro, Vincenzo COFFARO della terra di Gibillina che è deceduto allo 'Spitale. Qui è il caso di parlare di miseria. Così succede a padre Mario CURTO che gratuitamente accompagna all'ultima dimora (nella chiesa di S. Giuliano) Brandina LA BELLA, o Antonina LA SICHILIANA. A don Giuseppe SANFILIPPO tocca di farlo gratis per Paolo PILLICINO di Raffadali, morto all'ospedale e sepolto nella chiesa che vi era aperta al culto. Le annotazioni d'archivio provano che all'inizio del '600 erano le seguenti chiese quelle adibite alle sepolture: la chiesa di S.MARIA di GIESU; la chiesa del MONTE; la chiesa di S.GIULIANO; la chiesa di S. FRANCESCO; la chiesa della NUNZIATA; la chiesa del CARMINE; la chiesa di Santa ROSANA (in sei funerali è citata in tale modo); la chiesa di S.NICOLAO; la chiesa dell'HOSPITALI. Sono nove dunque le chiese di Racalmuto documentabili con le carte parrocchiali in esame: siamo ancora lontani dalle 15 chiese foranee di cui parla la relazione 'ad limina' del 1699 fatta dal vesvovo di Agrigento, l'arc. Francesco Ramirez. Le chiese di S. Francesco, dell'Annunziata (e cioè la 'major ecclesia parochi'), del Carmelo, di Santa Maria de Jesu e di S. Giuliano sono citate dal PIRRI che scrive proprio in quel periodo (le sue NOTITIAE SICILIENSIUM ECCLESIARUM sono del 1630e1633). Quanto alla chiesa che crediamo di leggere in Santa Rosana, si pu• formulare l'ipotesi che ad essa si riferisca il Pirri nel seguente passo: ®pervetusta erat aedes ab an. 1400 circiter ubi, ad annum 1628, dipincta videbatur S. Rosalia V. in habitu eremitico, crucem et librum prae manibus gestiens; sed incuria aliquorum ob novum aedificium dicatum eidem Virgini, cuius colunt reliquias, cum societate animarum Purgatorii habente unc.70, deleta est. Il Pirri accenna anche alla 'domus hospitalis' che è dedicata a S. Sebastiano: nei nostri atti la chiesa è indicata solo come 'hospitali'. Non viene menzionata dal Pirri solo la chiesa di S. Nicola; peraltro questi accenna ad un 'coenobium cum Ecclesia S. Benedicti' che sarebbe sorta in tempo immemorabile 'prope viam qua itur Agrigentum', presso la via che conduce ad Agrigento; una chiesa comunque di cui ai suoi tempi si era persa la memoria. Olim erat, precisa infatti l'erudito abate netino. Usuale interpolare note di cronaca nel libro contabile: forse oggi ci è indifferente sapere che 'adì 9 di 9bre (1618) and• alli Grutti Don Gioseppe Sanfilippo' e che 'a 23 di 9bre venne in Racalmuto d. Gioseppe Sanfilippo delli Grotti', ma allora l'interruzione era importante segnarla nel libro dei morti per don Filippo Acquista. Un'altra chiosa indica che 'adì 20 di Xbre ho visto le predette somme di denari e ci siamo agiustati con don Giuseppi Sanfilippo sino al presente giorno, Don Filippo Acquista'. 'A 8 di luglio (1619) e è annotato altrove e venne il signor Archiprete di Roma'. Poi, 'a 9 di 7bre (1619) and• il sig.r Archiprete in Palermo' e, dopo una settimana, il 14 settembre 'venne il signor Archiprete di Palermo'. Quest'andare dell'arciprete, prima (a luglio) a Roma e subito dopo (a settembre) a Palermo fa pensare a qualcuna delle liti curiali ricorrenti nel Seicento in cui è investito anche il clero Racalmutese. Memorabile resterà il processo romano al vescovo Traina, nel 1650e1, intentato da canonici ribelli di Agrigento (cfr. ASV e Relationes ad Limina 18/A e f 119 e ss.) GLI ANNI '60 DEL XVII SECOLO RACALMUTESE Uno spaccato tragico, triste, accorante, ma pur sempre trepido ed di marcata puntualità storica, della RACALMUTO del seicento si coglie in un libro rilegato in carta pecora, ben tenuto e ben leggibile. Già l'esordio è un ricordo storico di forte interesse. La prima pagina è di dedica, di intitolazione e di rilevanza documentale. ®JESUS.MARIA.JOSEPH e premette il registro, che riguarda: e LIBER MORTUORUM IN TERRA RACALMUTI, in anno 3:e IND:s 1664 . 1665 . 1666 . 1667. 1668 . 60 . 70 eee Archipresbitero S. T. D:re Don Salvatore PETROZZELLA eiusdem terre qui hodie p:ma die Septembris 3:e Ind.s 1664, virtute Bullarum Apostolicarum datarum Rome die 18 Aprilis, et in Regno die 14 Augusti 1664, executarum, ac Agrigenti die 29 eiusdem Augusti per ecc:mum et R:mum D:num D. Fra:cum GISULFO et USOVIO Agrig.num Antistitem presentatarum et executarum, possessionem eiusdem Archipresbiteratus Dei gratia est adeptus.¯ Con altra grafia, ed evidentemente otto anni dopo, viene annotato: ®usque ad annum 1672 X ind. Die 31 Ag. ...¯. Racalmuto era dunque un centro ecclesiale di grande importanza: per avere la sua arcipretura occorreva una Bolla pontificia (che il racalmutese Petruzzella ottiene il 18 aprile del 1664); la quale doveva essere resa esecutiva dalle autorità laiche del Regno (e nel nostro caso, da aprile si deve aspettare sino al 14 agosto del 1664); per essere infine esaminata ed approvata dal presule di Agrigento (sia pure a tambur battente, meno di 15 giorni dopo e cioè il 29 agosto di quell'anno). L'exursus d'esordio ci ragguaglia, in un latino limpido ed elegante, sulle procedure seicentesche che quanto a inceppi burocratici sono intricati come quelli d'oggidì. Facciamo subito conoscenza con un altro eccellente arciprete e abbiamo avuto modo di apprezzare don Michele Romano e e apprezziamo che viene dismesso l'andazzo cinquecentesco di dare la parrocchia racalmutese a forestieri che, percetti i proventi tramite procuratori scelti fra i canonici di Agrigento, non avevano alcuna voglia di raggiungere il nostro altopiano, come quel non meglio precisato don Lexandro CAPOZZA o CAPOCCIA di chissà dove che vien citato negli atti matrimoniali del 1598. Il Petruzzela è dottore in Sacra Teologia e quanto a latino sa il fatto suo: quel 'possesionem est adeptus (da _adipiscor_)' è un tocco di perizia quasi ciceroniana. Ci pare più bravo del suo predecessore cinquecentesco don Michele Romano che qualche sbavatura se la concedeva. Don Salvatore Petruzzella, dottore in teologia e nostro arciprete nella seconda metà del seicento, non ebbe purtroppo vita lunga: moriva a soli 43 anni, il 29 maggio 1666. Fino a pochi giorni prima (l'11 maggio) era sulla breccia nel suo ministero sacerdotale, confessando ed assistendo moribondi come il marito di certa Angela, Antonino LA LICATA BUMBOLO morto a 65 anni. ®Anno domini 4.e Ind.is 1666 die 29 Maij Hora X:a e Sacerdos S. T. Dr. Don Salvator _PETROZZELLA_ Archipresbiter huius Matricis eccl.e Terre RACALMUTI, annorum 43 circiter, in sua propria domo huius predicte terre in Commmunionem sancte matris eccl.e animam Deo redidit cuius corpus eodem die sepultum est in hac Matrici eccl.a presente clero; confessus mihi Don Paulino Falletta Cappe.no die 23 eiusdem mensis Maij ac sanctiss.mo viatico refectus et tandem sacri olei untione roboratus die 27 eiusdem per D. Libertinum de AGRO' et Cappellanum.¯ A fianco dell'atto è stato annotato: ®il 6 di luglio 1666 si hanno agiustati li festuarij delli Ragioni di quarta per mano di don Libertino di Agro' a tutto il presenti giorno del 29 di Maggio presenti e Et finis sui Archipresbiteratus.¯ L'arida logica della contabilità prendeva il sopravvento, oppure è da ammettere che la vita (specie religiosa) continuava. Qualche tempo prima(il 10 marzo 1665) era morto un altro racalmutese arciprete: si chiamava don Pietro CURTO e anche lui era dottore in sacra teologia. L'arcipretura, per•, l'aveva nella diocesi di Palermo e precisamente a Ventimiglia di Sicilia, ma era nato a Racalmuto (huius terre Racalmuti, viene annotato) e qui, assistito dall'arciprete Petruzzella e da don Mariano di Agro', viene a morire. Ha funerali gratuiti, è presente l'intero clero ed è sepolto nella Matrice. Dell'arciprete CURTO parla il nostro Tinebra Martorana (cfr. pag. 163). Trae la notizia dalla lettera del governatore arabo di Racalmuto (RahaleAlmut) all'emiro di Palermo che sappiamo essere un volgare falso dell'abate Vella (sapida è l'ironia sull'argomento di Leonardo Sciascia che pure degn• della sua mirabile prefazione il libro del TinebraeMartorana e v. pag. 8 ss.). Sulla fallace scia del malevolo abate Vella, il nostro storico Tinebra fa dell'arciprete Curto un gesuita autore di un non meglio precisato Corso filosofico che avebbe pubblicato nel 1656. A quel tempo il vero e non gesuita arciprete Pietro Curto era morto già da un anno. Chissà perchè l'abate Vella fu preso dall'uzzolo di prendere un arciprete vero nato nella terra di Racalmuto e farne un sussiegoso filosofo gesuita. ®Di quest'uomo che onor• Racalmuto, poco si conosce¯, dice il Tinebra. I nostri archivi parrocchiali ci fanno ora scoprire quando nacque e quando morì e dove fu arciprete. Non è molto, ma è già qualcosa. L'arcipretura di Racalmuto rimane vacante per un paio di anni e la sua amministrazione è affidata ad un padre Economo. Succede a D. Salvatore Petruzzella, don Vincenzo LO BRUTTO il 7 novembre 1668. Anche costui è un dottore in Sacra Teologia: ®Anno D.ni 7.e Ind.nis 1668 Die 7 novembris e precisa il nostro registro e liber mortuorum sub cura S(acre) T(eologie) D(octor) D. Vincentii _LO BRUTTO_ arch.ri e vidit (segue la firma illeggibile, ma sicuramente attribuibile al nuono arciprete). Francamente, la sua cultura non ci sembra all'altezza del predecessore, ma forse è anche lui racalmutese dato il cognome. Come si vede, il Seminario di Agrigento sfornava dottori in teologia e Racalmuto non era da meno nel mandarvi suoi figli per addottorarvisi in teologia e divenire poi arcipreti che sappiamo essere ben remunerati. Don Francesco GISULFO e succeduto al chiacchierato e, pare, avarissimo Mons. TRAINA che però• istituì il seminario e in una sua relazione 'ad limina' (cfr. ASV e Realtiones ad Limina, AGRIGENTUM e A 18) esalta il seminario divenuto meta di studi da tutta la diocesi. Di tirocinanti ®ad quod seminarium e scrive al Papa l' 8/11/1661 (cfr. ib. f. 173 e ss.) e magnus ex tota Dioecesi confluit numerus¯. Tali tirocinanti, che confuiscono in Seminario da tutta la Diocesi in gran numero, sono in quell'anno 40 alunni e 34 convittori. Da lì provengono gli arcipreti di Racalmuto che abbiamo citato. Dal 3 settembre 1664 al 27 agosto 1671, sono avvenuti a Racalmuto 1270 decessi. Dopo, si ha un'epidamia funestimma: ®incipit indictio X.a amarissima e scrive in bella grafia il prete e in anno millesimo sexcentesimo septuagesimo primo (1.9.1671) infaustissimo¯. E' ancora arciprete don Vincenzo Lo Brutto che ci tiene a precisare di essere un dottore in sacra teologia. In quell'anno i morti furono tanti (quanti se ne erano avuti nei precedenti sette anni) da uscire dalla normalità. E' il classico anno a 'quoziente di mortalità anomala'. Per i nostri appunti di statistica racalmutese, tralasciamo per il momento quei dati 'erratici'. Del resto la normalità era tutt'altro che confortante: la vita media e esclusa la mortalità al di sotto dell'anno e era appena di 32,7 anni. Circoscrivendo la statistica a quelli che avevano superato il decimo anno di età, la vita media non va oltre i 47,2 anni ed anche a prescindere dalla mortalità al di sotto dei vent'anni, la media della vita nella Racalmuto della seconda metà del seicento è contratta in appena i 51,4 anni. Questo non significa che non vi fossero dei fortunati dalla vita lunghissima. La moglie del fu Paolino Missina, Antonia visse 102 anni (+ 15.8.1669); novantasei anni vissero Vincenza de Napoli e soro Francesca Curto una terziaria che era vedova di Antonino Curto; Geronima Vaccari visse 94 anni; il più longevo tra i maschi è CIACHA (Sciascia) Vito che visse 90 anni (+ 7/11/1669). Un primo scandaglio ci consente il seguente riparto: fel1 anni di vita n. su totale defunti % da 90 a 102 5 1.270 0,39 da 80 a 87 24 " 1,89 da 70 a 79 64 " 5,04 da 60 a 69 80 " 6,30 da 50 a 59 84 " 6,61 da 40 a 49 97 " 7,64 da 30 a 39 84 " 6,61 da 20 a 29 53 " 4,17 da 10 a 19 70 " 5,51 da 1 a 9 188 " 14,80 fino a 1 anno 521 " 41,02 f+l2 La mortalità infantile, raggiungendo il 55,82% del totale dei morti nel periodo, è perentoriamente sottolineata nella sua enorme dimensione. Pur se le donne sono le uniche a sfondare quota 90, appartiene a loro la preponderanza nel numero dei morti: 647 (50,94%) rispetto a 623 (49,06%). Una schematica sintesi dell'andamento della mortalità in quegli anni pu• essere presentata come dal seguente prospetto: fel1 Ind.ne Anni morti popolaz. quoz.nte quoz.mor. 1.9e31.8 presunta mortalità Sicilia (a) per mille 1861 (b) eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee III 1664e65 249 5.106 48,77 29,12 IV 1665e66 198 " 38,78 " V 1666e67 136 " 26,64 " VI 1667e68 189 " 37,02 " VII 1668e69 229 " 44,85 " VIII 1669e70 185 " 36,23 " IX 1670e71 84 " 16,45 " eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee (a) Da Dizionario Topografico della Sicilia, di Vito Amico. (b) Gino Longhitano, op. cit., pag. 987. f+l2 L'indice medio di mortalità del triennio 1618e1620 era stato del 42,47 per mille abitanti: quello del settennio 1664e1671 scende addirittura a 35,54 per mille, di poco superiore al quoziente calcolato in Sicilia nell'anno dell'annessione all'Italia. La nona indizione 1.9.1670e31.8.1671 si contraddistingue per un quoziente di mortalità tanto basso (16,45 per mille) da rangiungere livelli accettabili da inoltrato novecento. Si pensi che un siffatto quoziente viene raggiunto in Sicilia soltanto attorno al 1930 (1931=15,92 per mille). Ma è segno fallace: col settembre del 1671 arriva la peste che si protrae sino all'agosto del 1672 uccidendo quasi un quarto della popolazione racalmutese. Si dovette aprire un cimitero, non bastando più le chiese per le fitte 1.260 sepolture (con un quoziente di mortalità pari a 247,77 per mille). Se consideriamo quest'ultimo quoziente, quello medio del periodo sale da 35,54 per mille a 141,15 per mille: quoziente tanto anomalo ed inconsueto quanto tragico e raccapricciante. Dopo quella morìa, a Racalmuto non dovettero rimanere più di quattro mila persone. Ma la sciagura dette l'aire per una procreazione più intensa di quella già alta in uso e in un venticinquennio la popolazione di Racalmuto torn• sulle cinquemila unità, come ci attesta il vescovo Ramirez nel 1699. La curva di mortalità nel corso dei mesi si atteggia spesso in modo non difforme da quella vista per il triennio 1618e1620, ma frequenti sono le eccezioni che per di più sono molto chiarificatori della drammatica altalena della salubrità del nostro paese nel seicento, giusta l'emblematicità del seguente prospetto: fel1 _NUMERO DI MORTI PER MESI NEL 1664e1671_ mese _@@@@@@@@@@@@@@i n d i z i o n i@@@@@@@@@@@_ media '64e5 '65e6 '66e7 '67e8 '68e9 '69e70 '70e71 media 1618e20 III IV V VI VII VIII IX eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee set. 15 13 9 17 49 18 7 19 21 ott. 18 14 13 4 33 28 8 17 16 nov. 20 8 13 11 17 19 5 13 18 dic. 24 25 13 14 13 19 9 17 13 gen. 23 29 16 23 15 23 21 21 21 feb. 24 18 15 23 11 13 5 16 22 mar. 28 17 14 15 10 8 3 14 14 apr. 24 11 8 12 16 17 2 13 14 mag. 18 12 8 10 8 9 5 10 12 giu. 17 12 7 9 13 12 5 11 13 lug. 23 22 9 16 12 9 4 14 29 ago. 15 14 11 34 30 10 13 18 30 eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee f+l2 Innanzitutto, la media dei sette anni è conforme a quella del triennio 1618e1620 per il mese di gennaio (con un quoziente di mortalità in ragione di anno pari a 49,35 su mille abitanti, che è sempre un alto quoziente di mortalità. Inclemenza del tempo e stenti vari, con problemi anche di nutrizione (si dice ancor oggi:dopu natali, lu friddu e la fami), il peggioramento repentino delle condizioni di vita, insomma, falcidiava la vita di vecchi e bambini. Per gennaio, tale recrudescenza di mortalità è una costante sia all'inizio del secolo sia verso i tre quarti. Marzo, aprile e maggio sono pure, conformemente alla media dei primi decenni del secocolo, mesi flessivi quanto a mortalità. La primavera giovava proprio ai racalmutesi. Diverge la media di agosto: le morìe per tifo e per malattie infettive specie tra i bambini non erano puntuali in quel caldo mese, ma quando scoppiavano era davvero devastanti. Nel settennio, l'agosto simile agli anni venti del 1600 si verific• nel 1668 e nel 1669, con quozienti di mortalità in termini annui rispettivamente del 79,91 e 70,51, indici enormi. Il mese di agosto fu però• di bassa frequenza nei decessi nell'anno 1665 (35,25%o); 1666 (32,90%o); 1667 (25,85%o); 1670 (23,50%o) e 1671 (30,55%o). Furono mesi di contratta mortalità: novembre 1665 (18,8%o); settembre 1666 (21,15%o); aprile e maggio del 1667 (18,8%o); giugno 1667 (16,45%o); luglio 1667 (21,15%o); ottobre del 1667 (9,4%o); giugno 1668 (21,15%o); maggio 1669 (18,8%o); marzo (18,8%o) maggio e luglio 1670 (21,15%o) e il terzo quadrimestre di quell'anno (17%o). Il mese che in assoluto ebbe il più basso quoziente di mortalità fu aprile 1671 (4,7%o), beffardo preludio della peste del successivo mese di settembre, peste che si protrasse per un anno come abbiamo prima segnalato. f+l2s+ e che nella seconda metà del sec. XII pagava come censo tre libbre d'incenso. Tenuto conto che i Malcovenant erano signori del Feudo di Calatrasi (cf. GARUFI: I documenti inediti etc. pp. 85e86) e di Bisacquino (cf. l.c. pp. 190e192) si sarebbe indotti a pensare che essa possa essere localizzata in quella zona; tuttavia la nota dorsale ci indica con chiarezza che si tratta di quella chiesa attorno alla quale nel sec. XVI fu edificato il paese di S. Margherita Belice (cf. SCATURRO, I, p. 246)'. Svanita la prova di un luogo sacro risalente al 1108, quel documento ci chiarisce almeno come in quel tempo poteva sorgere un centro agricolo, per esempio, in un castello saraceno che si vantava di risalire al buon Hammud quale è da pensare fosse Racalmuto. Il Malcovenant dona ad un suo consanguineo delle terre con degli schiavi saraceni. Il parente, un militare in disarmo, vi costruisce una chiesa (una chiesa di S. Maria vi è pur sempre a Racalmuto: non risale al 1108, ma nel 1310 è operante ed il suo presule, MARTUZIO DE SILOFONO, versa un'oncia al papa per le decime ). Viene dal vescono fatto chierico per amministrarla. Le terre di pertinenza sono vaste. Ad accudirle penseranno i saraceni. Così recita il documento agrigentino: 'hec sunt nomina rusticorum, quos predictus Robertus Sancte Margarite donavit: ALIBITHUMEN, HBEN EL CHASSAR, SELLEM EBLIS, MIRRIARAPIP ABDELCAI, MAIMON BIN CUIDUEN, hii quinque'. Scomunica per chi vi attenta; benedizioni per chi ne accresce la ricchezza: ' Si quis e aggiunge il vescovo e vero eccelesiam Sancte Margarite Agrigentine Ecclesie omnino subiectam circa possessiones eius in aliquo defraudaverit, anathema sit; qui vero eam aut de rebus mobilibus aut immobilibus augmentaverit, gaudia eterne vite cum sanctis peremniter percipiat'. Con siffatta benedizione, anche Racalmuto ebbe a prosperare. Nel 1308 e 1310 anche un altro religioso pagava le decime a Roma. Era meno ricco, ma pur sempre tassato come risulta dalle RATIONES CALLECTORIE REGNI NEAPOLITANI e 1308/1310 (ASVeCollect. 161 f97v). ®Presbiter Angilus de Monte Caveoso pro officio suo sacerdotali quod impendit in Casali RACHALAMUTI solvit pro utraque (decima)......tt. (tarì) IX¯. Si rammenti che 30 tarì formavano un'oncia. I frutti di S. Maria valevano oltre tre volte e un terzo quelli per la cura delle anime dell'intero villaggio o 'casale' secondo la precisazione del collettore papale. I religiosi di Racalmuto pagano, dunque, 39 tarì per due decime dei primi anni dieci del XIV secolo. Nel 1374, l'intero paese pagherà per liberarsi dall'interdetto 228 tarì, ripartiti tra 136 fuochi. Gli abbienti dovettero tassari per 3 a fuoco, i 'mediocri' per 2 e i poveri per 1. Non crediamo che i maggiorenti pii ncisi dalle tasse siano stati molti, forse non più di 5. I mediocri, e cioè la bortghesia, dovettero essere dunque molto numerosi (pensiamo oltre 70 fuochi, pari a circa il 52%). I poveri, con le loro case fatte di paglia stando alla descizione dell'arcivescovo du Mazel che parla di 'domus pulee', erano tanti ma non la maggioranza del paese. Dei saraceni, fatti schiavi e condannati alla servit— della gleba, si era frattanto persa la traccia. I pochi nomi che troviamo negli archivi del cinquecento, seppure eredi di quei primi contadini indigeni, hanno ora tutta l'aria di essere i benestanti del paese. Hanno cariche pubbliche. Dominano la scena e sono l'alta borghesia del paese. Tra la borghesia cinquecentesca non vi è neppur traccia di quelle grandi famiglie che hanno dominato nell'ottocento. Nè baroni Tulumello, n‚ gentiluomini come i Messana, i Matrona, i Farrauto, i Picataggi, etc. I maggiorenti di allora quali i D'AMELLA, i LA LOMIA, gli UGO, i PIAMONTISI ed altri si sono dopo volatizzati da quel di Racalmuto. Alcuni loro eredi prosperano oggi, ad esempio, a Canicatti'. Verso la fine del 500, giungono a Racalmuto 'mastri' che vi attecchiranno ed oggi i loro discendenti costituiscono nuclei cittadini onorati e di larga diffusione. SAVATTERI, BUSCEMI, SCHILLACI, RIZZO, BONGIORNO, CHIAZZA, sono fra questi, per fare solo alcuni esempi. Lo comprovano gli atti matrimoniali che andiamo a riportare, sia pure con mero valore antologico: SAVATTERI (provenienza: Mussumeli) '7 7bris XIIIe Ind.nis 1586 e Vincenzo figlio di Vito et Angila Carlino cum Margaritella figlio di Paulino et Belladonna SAVATERI dilla terra di Mussumeli, servatis servandis et facti li tri denunciatione inter missarum solenia et observato l'ordine sinodali et consilio tredentino, non si trovando inpedimento alcuno, contrassero matrimonio pp.ce in facie ecclesie et foro beneditti nella missa celebrata per me presti Francesco Nicastro, presenti li magnifici notari Cola et Gasparo Montiliuni et notaro Jo:Vito D'Amella et di multa quantità di personj'. BUSCEMI (provenienza: Agrigento) 'Die 6 di Jongno 1593 e Petro BUXEMI di la gitati di Jorgenti cum Margaritella figlia di Jacubo di Graci, servatis servandis .... contraessiro matrimonio pp.ce e foro benediti per me don Paolino Paladino, presento presbiter Francesco di Nicastro, don Michele Romano e multa quantità di agenti'. SCHILLACI (provenienza: Cerami) 'Die 9 februarij 1591 e Vincenzo SCHILLACI di la terra di Cirami cum Angila figlia di Calogiaro Savuso, servatis servandis ...., contrassiso matrimonio pp.ce e foro beneditti per don Paolino Paladino, presenti Paulino Buscarino et Antonino di Mole' et multa quantità di genti'. SCHILLACI (provenienza: Sutera) 'Die 21 di Jongno 1593 e Scipiuni Jngrao di li Gruti cum Joanedda SCYLACHI di la terra di Sutera, servatis servandis e fatte le tri denunciationi inter missarum solemnia, non si trovando inpedimento alcono, contra essiro matrimonio pp.ce e foro beneditti per me don Paolino Paladino, presenti clerico Jacubo di Avedda e multa quantità d'agenti'. RIZZO (provenienza: Scicli) 'Die 30 Januarii 1600 e Antonino RICZO di la terra di Xicli cum Diana figlia di lu q.dam Minicu et Margarita Muraturi, servatis servandis et facti li tri denunciationi inter missarum solemniarum et observato l'ordini sinodali seu concilio tridentino, non si trovando impedimento alcuno, contrassiro matrimonio publice et in facie ecclesie foro benedicti per don Leonardo Spalletta, p.nti Filippo di Graci e Francesco Furesta'. BONGIORNO (provenienza: Gangi) 'Die 6 di ferbaro 1583 e Vicenso BONJORNO di Ganci con Contissa figlia di Petro e Joannella di Antonuczo Caldararo di Agro', a litre (lettera) di monsignore illustrissimo e reverendissimo di Jurgenti, servatis servandis e facte li tre denunciaczioni, la prima a li 9 la 2a a li 16 e la tercza a li 30 di Jnaro inter missarum solemnia, non si trovando inpedimento alcono contraessiro matrimonio pp.ce in facie ecclesie e foru benediti jn la missa celebrata per me don Paolino Paladino, presenti lu magnifico Jacubo Piyamontisi, lu magnifico Cola Montiliuni, lu magnifico Marino Catalano e multa quantitati di agenti'. PIAZZA (provenienza: Mussumeli) 'Die 8 Januarii 1594 e Minico di CHIACZA di la terra di Musumeli con Josepa di Vinciguerra, servatis servandis ..., contra essiro matrimonio pp.ce et foro benediti per me don Paulino Paladino, p.nti Mastro Francesco Sachineo, clerico Jacubo d'Aveda e multa quantità di agenti'. LO JACONO (provenienza: Aidone) 'Die XVo Julii Xe ind.is 1589 e Mastro Masi La Iacono della terra di Daiduni cum Lucretia figlia di Antonj et Hiaronima di Guarino, servatis servandis .... contrassero matrimonio pp.ce in facie ecclesie e foro beneditti per presbiter Leonardo Spalletta, p.nti Ioanni di Vigna et Hieronimo Piruchio et multa quantità di genti'. s+l2< nr54nc125np31 CAMPANE A MARTELLO NEL TRIENNIO 1618e1620 Nel settecento e è da presumere molto fondatamente e il rilegatore ecclesiastico di Racalmuto mette assieme i fausti atti matrimoniali dell'ultimo ventennio del XVI secolo ed un lugubre fascicolo di contabilità mortuaria della Matrice che riguarda un triennio: 1618e1620. E' proprio da far scongiuri contro un archivista in tunica tanto greve ed alquanto iellatore. Munitici di efficace antidoto scaramantico, possiamo indagare sull'ultima parte di quel libro di archivio. Dati, circostanze e notizie assurgono a ghiottoneria storica per la ricostruzione della Racalmuto secentesca, quella dei Girolamo del Carretto, tanto per orientarci. Per il primo funerale del fascicolo, si annota che sono stati percetti cinque tarì e 10 grani. Le esequie avvennero il 4 ottobre del 1618, presente l'intero clero che sappiamo essere una compagine numerosa di una ventina di consacrati. Testualmente è detto con grafia minuta e dimessa: 'a 4 di 8bre 2a Ind. ivi8 (1518) e Paulo Pirrera si morse e fu sepolto a Santa Maria presente clero ...... tt.5 e 10'. Seguono altre 469 annotazioni, sino al 19 novembre del 1620. La triste nota finale è per 'Gerlanda di Gerlando Luparello fu morta et sepulta allo Carmine ........tt. 5 e 10'. Valore di dati statistici assume il seguente riparto: fel1 Anno (periodo) n.ro (in ragione popolazione %o su media sie di anno) presunta pop. liana XIX 1618(4.10e31.12) 49 196 5.000 39,20 28,91 ottobre 18 216 5.000 43,20 28,91 novembre 17 204 5.000 40,80 28,91 dicembre 14 168 5.000 33,60 28,91 1619 262 262 5.000 52,40 28,91 gennaio 22 264 5.000 52,80 28,91 febbraio 18 216 5.000 43,20 28,91 marzo 11 132 5.000 26,40 28,91 aprile 12 144 5.000 28,80 28,91 maggio 5 60 5.000 12,00 28,91 giugno 16 192 5.000 38,40 28,91 luglio 47 564 5.000 112,80 28,91 agosto 51 612 5.000 122,40 28,91 settembre 27 262 5.000 52,40 28,91 ottobre 22 264 5.000 52,80 28,91 novembre 19 228 5.000 52,40 28,91 dicembre 12 144 5.000 28,80 28,91 1620(1.1e19.11) 159 179 5.000 35,80 28,91 gennaio 20 240 5.000 48,00 28,91 febbraio 25 300 5.000 60,00 28,91 marzo 16 192 5.000 38,40 28,91 aprile 15 180 5.000 36,00 28,91 maggio 18 216 5.000 43,20 28,91 giugno 10 120 5.000 24,00 28,91 luglio 11 132 5.000 26,40 28,91 agosto 9 108 5.000 21,60 28,91 settembre 15 180 5.000 36,00 28,91 ottobre 10 120 5.000 24,00 28,91 novembre 10 180 5.000 36,00 28,91 f+l2 Anche se gli sbalzi negli indici di mortalità sono notevoli di anno in anno, siamo ancora in situazione di 'mortalità normale'. Vi saranno nel 600 anni 'infaustissimi', come vedremo, in cui la morte falcidia con quozienti da capogiro. Un segno di recrudescenza nella mortalità della Racalmuto del '600 si ha nel trimestre estivo del 1609 (con luglio interessato da un quoziente di mortalità del 112,80 per mille e agosto quando il quoziente svetta addirittura fino al 122,40 per mille). Come sapremo dall'analisi di altra documentazione più completa relativa ad alcuni decenni dopo, la calura estiva e gli inquinamenti idrici saranno le cause scatenanti di una vera strage degli innocenti: la mortalità infantile, di per sè ferocemente estesa in quei secoli di scarsa igiene, esplode ancor più virulenta in taluni periodi estivi. Tra questi, il 1619; l'anno successivo, inceve, la iattura risulta scongiurata. Notiamo una costante: i mesi più salubri sono quelli del quadrimestre intermedio marzoegiugno e di solito la mortalità flette nei mesi che vanno da settembre a dicembre. In due anni e due mesi entrano nelle casse della Matrice e per funerali, esequie e sepolture dei 470 racalmutesi deceduti e 38 onze e 26 tarì. Al fine di orientarci sul valore della moneta in quei tempi a Racalmuto, ci avvaliamo del libro di contabilità del Convento di santa Chiara di Racalmuto (cfr. Archivio di Stato di Agrigento e Inv. n. 64 vol. 533 e Libro di exito del Venerabile Monasterio di S. Clara fundato in questa terra di Racalmuto dell'anno 1649). Una salma di orzo e due di gesso costavano nel 1649 un'onza e 6 tarì; un quintale di olio 3 onze e 18 tarì; una 'sola' di cuoio e la relativa confezione di 10 paia di 'tappini' un'onza e dodici tarì (42 tarì, dunque, per 10 paia di pianelle: se attribuiamo un valore attuale di L.10/11 mila per ogni paio di pianelle di cuoio, possiamo stimare in L. 2.500 circa un tarì e in L. 75.000 circa un' oncia, mentre il grano dovrebbe equivalere a L. 125). Vediamo altri dati: e '1.12.'49 e a mastro Antonio Briganti lanaro per canne 50 di lana: onze 9 tt. 17 gg.10' (una canna equivaleva a m.2,064 e pertanto un metro di lana fu comprato a tt. 2 e 16 gg. e cioè a L. 4.500 di oggi, secondo il nostro calcolo); e '1.12.1649 e mezza salma di 'scebba' ...onze 1 e tt. 6 (pari a L. 90.000) e ' 1.1.1650 e vitto per un mese delle Monache ... onze 6' (pari ad attuali L. 450.000); e 'una salma di carbone ...onze 0 e tt. 24' (L. 60.000); e 'a Francesco Barberi per 8 mesi di servizio .... onze 4' (L. 300.000); e '27.3.1650 e 4 rotoli di cera lavorata onze 1 e tarì 10' (L.100.000 e cioè a L. 31.500 a Kg. dato che un rotolo equivaleva a grammi 793,42); e '1.4.1650 e a mastro Pietro Tagano per 16 paia di scarpe ... onze 2 e tarì 4' (pari L.155.000 in totale e a L. 9.700 per ogni paio di scarpe a conferma dell'attendibilità del nostro calcolo); e '1.4.1650 e per cafisi tre di olio ... onze 1 e tt. 26' (in totale L. 215.000); e '1.6.1650 e a Francesco Barberi e Pietro Falletta per tre tumoli di lenticchie e 8 tumoli di fave ... onze 1 e tarì 5' (pari a L. 87.500 e, quindi, a L. 463 a litro: 1 tumolo = litri 17,193); e 'a Francesco Rizzo per 5 rotoli di candele onze 1 e tt. 20' (pari a L. 100.000 e quindi a L. 25.210 a Kg.). Ritornando alle entrate da funerali del 1618e1620, possiamo congetturare, sulla base dei riferimenti contabili precedenti, che quelle 38 onze e quei 26 tarì non superassero i tre milioni e mezzo in lire attuali, forse i quattro e mezzo se supponiamo in un quarto di secolo un'inflazione comulativa del 20/25%. Francamente un p• poco, essendo peraltro ripartiti tra almeno quattro cappellani accompagnatori: don Mario CURTO, don Giuseppe d'ASARO, don Giuseppe SANFILIPPO e padre Francesco Vintura, e e sia pure non sempre e con l'intero clero. Sono 122 i funerali a tariffa alta (pari al 25,96%), quelli definiti dagli archivisti di allora: 'grandi' e che costavano 5 tarì e 10 grani; i 'minori' (da un tarì ad un tarì e 10 grani) sono 328 (69,79%) e 20 quelli gratuiti (4,26). Il funerale gratuito era talora dovuto all'estrema miseria della famiglia del defunto, ma spesso era segno di rispetto per il risalto sociale o per le benemerenze religiose che il defunto vantava in vita o che riguardavano gli stretti congiunti. L'intero clero segue 'gratis' i funerali: di Vincenzo, figlio di Clementi MISSINA;di mastro Giacomo BLUNDO; di Paula AMORELLA; di Girolamo PILLITTERI; di Pietro LO SARDO e del sacerdote don Francesco BUSCARINO. Ci sembrano 5 cadaveri eccellenti per i quali la gratuità delle onoranze funebri è ben segno di distinzione. Tocca di accompagnare gratis al cappellano don Francesco d'Asaro, Vincenzo COFFARO della terra di Gibillina che è deceduto allo 'Spitale. Qui è il caso di parlare di miseria. Così succede a padre Mario CURTO che gratuitamente accompagna all'ultima dimora (nella chiesa di S. Giuliano) Brandina LA BELLA, o Antonina LA SICHILIANA. A don Giuseppe SANFILIPPO tocca di farlo gratis per Paolo PILLICINO di Raffadali, morto all'ospedale e sepolto nella chiesa che vi era aperta al culto. Le annotazioni d'archivio provano che all'inizio del '600 erano le seguenti chiese quelle adibite alle sepolture: la chiesa di S.MARIA di GIESU; la chiesa del MONTE; la chiesa di S.GIULIANO; la chiesa di S. FRANCESCO; la chiesa della NUNZIATA; la chiesa del CARMINE; la chiesa di Santa ROSANA (in sei funerali è citata in tale modo); la chiesa di S.NICOLAO; la chiesa dell'HOSPITALI. Sono nove dunque le chiese di Racalmuto documentabili con le carte parrocchiali in esame: siamo ancora lontani dalle 15 chiese foranee di cui parla la relazione 'ad limina' del 1699 fatta dal vesvovo di Agrigento, l'arc. Francesco Ramirez. Le chiese di S. Francesco, dell'Annunziata (e cioè la 'major ecclesia parochi'), del Carmelo, di Santa Maria de Jesu e di S. Giuliano sono citate dal PIRRI che scrive proprio in quel periodo (le sue NOTITIAE SICILIENSIUM ECCLESIARUM sono del 1630e1633). Quanto alla chiesa che crediamo di leggere in Santa Rosana, si pu• formulare l'ipotesi che ad essa si riferisca il Pirri nel seguente passo: ®pervetusta erat aedes ab an. 1400 circiter ubi, ad annum 1628, dipincta videbatur S. Rosalia V. in habitu eremitico, crucem et librum prae manibus gestiens; sed incuria aliquorum ob novum aedificium dicatum eidem Virgini, cuius colunt reliquias, cum societate animarum Purgatorii habente unc.70, deleta est. Il Pirri accenna anche alla 'domus hospitalis' che è dedicata a S. Sebastiano: nei nostri atti la chiesa è indicata solo come 'hospitali'. Non viene menzionata dal Pirri solo la chiesa di S. Nicola; peraltro questi accenna ad un 'coenobium cum Ecclesia S. Benedicti' che sarebbe sorta in tempo immemorabile 'prope viam qua itur Agrigentum', presso la via che conduce ad Agrigento; una chiesa comunque di cui ai suoi tempi si era persa la memoria. Olim erat, precisa infatti l'erudito abate netino. Usuale interpolare note di cronaca nel libro contabile: forse oggi ci è indifferente sapere che 'adì 9 di 9bre (1618) and• alli Grutti Don Gioseppe Sanfilippo' e che 'a 23 di 9bre venne in Racalmuto d. Gioseppe Sanfilippo delli Grotti', ma allora l'interruzione era importante segnarla nel libro dei morti per don Filippo Acquista. Un'altra chiosa indica che 'adì 20 di Xbre ho visto le predette somme di denari e ci siamo agiustati con don Giuseppi Sanfilippo sino al presente giorno, Don Filippo Acquista'. 'A 8 di luglio (1619) e è annotato altrove e venne il signor Archiprete di Roma'. Poi, 'a 9 di 7bre (1619) and• il sig.r Archiprete in Palermo' e, dopo una settimana, il 14 settembre 'venne il signor Archiprete di Palermo'. Quest'andare dell'arciprete, prima (a luglio) a Roma e subito dopo (a settembre) a Palermo fa pensare a qualcuna delle liti curiali ricorrenti nel Seicento in cui è investito anche il clero Racalmutese. Memorabile resterà il processo romano al vescovo Traina, nel 1650e1, intentato da canonici ribelli di Agrigento (cfr. ASV e Relationes ad Limina 18/A e f 119 e ss.) GLI ANNI '60 DEL XVII SECOLO RACALMUTESE Uno spaccato tragico, triste, accorante, ma pur sempre trepido ed di marcata puntualità storica, della RACALMUTO del seicento si coglie in un libro rilegato in carta pecora, ben tenuto e ben leggibile. Già l'esordio è un ricordo storico di forte interesse. La prima pagina è di dedica, di intitolazione e di rilevanza documentale. ®JESUS.MARIA.JOSEPH e premette il registro, che riguarda: e LIBER MORTUORUM IN TERRA RACALMUTI, in anno 3:e IND:s 1664 . 1665 . 1666 . 1667. 1668 . 60 . 70 eee Archipresbitero S. T. D:re Don Salvatore PETROZZELLA eiusdem terre qui hodie p:ma die Septembris 3:e Ind.s 1664, virtute Bullarum Apostolicarum datarum Rome die 18 Aprilis, et in Regno die 14 Augusti 1664, executarum, ac Agrigenti die 29 eiusdem Augusti per ecc:mum et R:mum D:num D. Fra:cum GISULFO et USOVIO Agrig.num Antistitem presentatarum et executarum, possessionem eiusdem Archipresbiteratus Dei gratia est adeptus.¯ Con altra grafia, ed evidentemente otto anni dopo, viene annotato: ®usque ad annum 1672 X ind. Die 31 Ag. ...¯. Racalmuto era dunque un centro ecclesiale di grande importanza: per avere la sua arcipretura occorreva una Bolla pontificia (che il racalmutese Petruzzella ottiene il 18 aprile del 1664); la quale doveva essere resa esecutiva dalle autorità laiche del Regno (e nel nostro caso, da aprile si deve aspettare sino al 14 agosto del 1664); per essere infine esaminata ed approvata dal presule di Agrigento (sia pure a tambur battente, meno di 15 giorni dopo e cioè il 29 agosto di quell'anno). L'exursus d'esordio ci ragguaglia, in un latino limpido ed elegante, sulle procedure seicentesche che quanto a inceppi burocratici sono intricati come quelli d'oggidì. Facciamo subito conoscenza con un altro eccellente arciprete e abbiamo avuto modo di apprezzare don Michele Romano e e apprezziamo che viene dismesso l'andazzo cinquecentesco di dare la parrocchia racalmutese a forestieri che, percetti i proventi tramite procuratori scelti fra i canonici di Agrigento, non avevano alcuna voglia di raggiungere il nostro altopiano, come quel non meglio precisato don Lexandro CAPOZZA o CAPOCCIA di chissà dove che vien citato negli atti matrimoniali del 1598. Il Petruzzela è dottore in Sacra Teologia e quanto a latino sa il fatto suo: quel 'possesionem est adeptus (da _adipiscor_)' è un tocco di perizia quasi ciceroniana. Ci pare più bravo del suo predecessore cinquecentesco don Michele Romano che qualche sbavatura se la concedeva. Don Salvatore Petruzzella, dottore in teologia e nostro arciprete nella seconda metà del seicento, non ebbe purtroppo vita lunga: moriva a soli 43 anni, il 29 maggio 1666. Fino a pochi giorni prima (l'11 maggio) era sulla breccia nel suo ministero sacerdotale, confessando ed assistendo moribondi come il marito di certa Angela, Antonino LA LICATA BUMBOLO morto a 65 anni. ®Anno domini 4.e Ind.is 1666 die 29 Maij Hora X:a e Sacerdos S. T. Dr. Don Salvator _PETROZZELLA_ Archipresbiter huius Matricis eccl.e Terre RACALMUTI, annorum 43 circiter, in sua propria domo huius predicte terre in Commmunionem sancte matris eccl.e animam Deo redidit cuius corpus eodem die sepultum est in hac Matrici eccl.a presente clero; confessus mihi Don Paulino Falletta Cappe.no die 23 eiusdem mensis Maij ac sanctiss.mo viatico refectus et tandem sacri olei untione roboratus die 27 eiusdem per D. Libertinum de AGRO' et Cappellanum.¯ A fianco dell'atto è stato annotato: ®il 6 di luglio 1666 si hanno agiustati li festuarij delli Ragioni di quarta per mano di don Libertino di Agro' a tutto il presenti giorno del 29 di Maggio presenti e Et finis sui Archipresbiteratus.¯ L'arida logica della contabilità prendeva il sopravvento, oppure è da ammettere che la vita (specie religiosa) continuava. Qualche tempo prima(il 10 marzo 1665) era morto un altro racalmutese arciprete: si chiamava don Pietro CURTO e anche lui era dottore in sacra teologia. L'arcipretura, però, l'aveva nella diocesi di Palermo e precisamente a Ventimiglia di Sicilia, ma era nato a Racalmuto (huius terre Racalmuti, viene annotato) e qui, assistito dall'arciprete Petruzzella e da don Mariano di Agro', viene a morire. Ha funerali gratuiti, è presente l'intero clero ed è sepolto nella Matrice. Dell'arciprete CURTO parla il nostro Tinebra Martorana (cfr. pag. 163). Trae la notizia dalla lettera del governatore arabo di Racalmuto (RahaleAlmut) all'emiro di Palermo che sappiamo essere un volgare falso dell'abate Vella (sapida è l'ironia sull'argomento di Leonardo Sciascia che pure degn• della sua mirabile prefazione il libro del TinebraeMartorana e v. pag. 8 ss.). Sulla fallace scia del malevolo abate Vella, il nostro storico Tinebra fa dell'arciprete Curto un gesuita autore di un non meglio precisato Corso filosofico che avebbe pubblicato nel 1656. A quel tempo il vero e non gesuita arciprete Pietro Curto era morto già da un anno. Chissà perchè l'abate Vella fu preso dall'uzzolo di prendere un arciprete vero nato nella terra di Racalmuto e farne un sussiegoso filosofo gesuita. ®Di quest'uomo che onor• Racalmuto, poco si conosce¯, dice il Tinebra. I nostri archivi parrocchiali ci fanno ora scoprire quando nacque e quando morì e dove fu arciprete. Non è molto, ma è già qualcosa. L'arcipretura di Racalmuto rimane vacante per un paio di anni e la sua amministrazione è affidata ad un padre Economo. Succede a D. Salvatore Petruzzella, don Vincenzo LO BRUTTO il 7 novembre 1668. Anche costui è un dottore in Sacra Teologia: ®Anno D.ni 7.e Ind.nis 1668 Die 7 novembris e precisa il nostro registro e liber mortuorum sub cura S(acre) T(eologie) D(octor) D. Vincentii _LO BRUTTO_ arch.ri e vidit (segue la firma illeggibile, ma sicuramente attribuibile al nuono arciprete). Francamente, la sua cultura non ci sembra all'altezza del predecessore, ma forse è anche lui racalmutese dato il cognome. Come si vede, il Seminario di Agrigento sfornava dottori in teologia e Racalmuto non era da meno nel mandarvi suoi figli per addottorarvisi in teologia e divenire poi arcipreti che sappiamo essere ben remunerati. Don Francesco GISULFO e succeduto al chiacchierato e, pare, avarissimo Mons. TRAINA che però istituì il seminario e in una sua relazione 'ad limina' (cfr. ASV e Realtiones ad Limina, AGRIGENTUM e A 18) esalta il seminario divenuto meta di studi da tutta la diocesi. Di tirocinanti ®ad quod seminarium e scrive al Papa l' 8/11/1661 (cfr. ib. f. 173 e ss.) e magnus ex tota Dioecesi confluit numerus¯. Tali tirocinanti, che confuiscono in Seminario da tutta la Diocesi in gran numero, sono in quell'anno 40 alunni e 34 convittori. Da lì provengono gli arcipreti di Racalmuto che abbiamo citato. Dal 3 settembre 1664 al 27 agosto 1671, sono avvenuti a Racalmuto 1270 decessi. Dopo, si ha un'epidamia funestimma: ®incipit indictio X.a amarissima e scrive in bella grafia il prete e in anno millesimo sexcentesimo septuagesimo primo (1.9.1671) infaustissimo¯. E' ancora arciprete don Vincenzo Lo Brutto che ci tiene a precisare di essere un dottore in sacra teologia. In quell'anno i morti furono tanti (quanti se ne erano avuti nei precedenti sette anni) da uscire dalla normalità. E' il classico anno a 'quoziente di mortalità anomala'. Per i nostri appunti di statistica racalmutese, tralasciamo per il momento quei dati 'erratici'. Del resto la normalità era tutt'altro che confortante: la vita media e esclusa la mortalità al di sotto dell'anno e era appena di 32,7 anni. Circoscrivendo la statistica a quelli che avevano superato il decimo anno di età, la vita media non va oltre i 47,2 anni ed anche a prescindere dalla mortalità al di sotto dei vent'anni, la media della vita nella Racalmuto della seconda metà del seicento è contratta in appena i 51,4 anni. Questo non significa che non vi fossero dei fortunati dalla vita lunghissima. La moglie del fu Paolino Missina, Antonia visse 102 anni (+ 15.8.1669); novantasei anni vissero Vincenza de Napoli e soro Francesca Curto una terziaria che era vedova di Antonino Curto; Geronima Vaccari visse 94 anni; il più longevo tra i maschi è CIACHA (Sciascia) Vito che visse 90 anni (+ 7/11/1669). Un primo scandaglio ci consente il seguente riparto: fel1 anni di vita n. su totale defunti % da 90 a 102 5 1.270 0,39 da 80 a 87 24 " 1,89 da 70 a 79 64 " 5,04 da 60 a 69 80 " 6,30 da 50 a 59 84 " 6,61 da 40 a 49 97 " 7,64 da 30 a 39 84 " 6,61 da 20 a 29 53 " 4,17 da 10 a 19 70 " 5,51 da 1 a 9 188 " 14,80 fino a 1 anno 521 " 41,02 f+l2 La mortalità infantile, raggiungendo il 55,82% del totale dei morti nel periodo, è perentoriamente sottolineata nella sua enorme dimensione. Pur se le donne sono le uniche a sfondare quota 90, appartiene a loro la preponderanza nel numero dei morti: 647 (50,94%) rispetto a 623 (49,06%). Una schematica sintesi dell'andamento della mortalità in quegli anni pu• essere presentata come dal seguente prospetto: fel1 Ind.ne Anni morti popolaz. quoz.nte quoz.mor. 1.9e31.8 presunta mortalità Sicilia (a) per mille 1861 (b) eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee III 1664e65 249 5.106 48,77 29,12 IV 1665e66 198 " 38,78 " V 1666e67 136 " 26,64 " VI 1667e68 189 " 37,02 " VII 1668e69 229 " 44,85 " VIII 1669e70 185 " 36,23 " IX 1670e71 84 " 16,45 " eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee (a) Da Dizionario Topografico della Sicilia, di Vito Amico. (b) Gino Longhitano, op. cit., pag. 987. f+l2 L'indice medio di mortalità del triennio 1618e1620 era stato del 42,47 per mille abitanti: quello del settennio 1664e1671 scende addirittura a 35,54 per mille, di poco superiore al quoziente calcolato in Sicilia nell'anno dell'annessione all'Italia. La nona indizione 1.9.1670e31.8.1671 si contraddistingue per un quoziente di mortalità tanto basso (16,45 per mille) da rangiungere livelli accettabili da inoltrato novecento. Si pensi che un siffatto quoziente viene raggiunto in Sicilia soltanto attorno al 1930 (1931=15,92 per mille). Ma è segno fallace: col settembre del 1671 arriva la peste che si protrae sino all'agosto del 1672 uccidendo quasi un quarto della popolazione racalmutese. Si dovette aprire un cimitero, non bastando più le chiese per le fitte 1.260 sepolture (con un quoziente di mortalità pari a 247,77 per mille). Se consideriamo quest'ultimo quoziente, quello medio del periodo sale da 35,54 per mille a 141,15 per mille: quoziente tanto anomalo ed inconsueto quanto tragico e raccapricciante. Dopo quella morìa, a Racalmuto non dovettero rimanere più di quattro mila persone. Ma la sciagura dette l'aire per una procreazione più intensa di quella già alta in uso e in un venticinquennio la popolazione di Racalmuto torn• sulle cinquemila unità, come ci attesta il vescovo Ramirez nel 1699. La curva di mortalità nel corso dei mesi si atteggia spesso in modo non difforme da quella vista per il triennio 1618e1620, ma frequenti sono le eccezioni che per di più sono molto chiarificatori della drammatica altalena della salubrità del nostro paese nel seicento, giusta l'emblematicità del seguente prospetto: fel1 _NUMERO DI MORTI PER MESI NEL 1664e1671_ mese _@@@@@@@@@@@@@@i n d i z i o n i@@@@@@@@@@@_ media '64e5 '65e6 '66e7 '67e8 '68e9 '69e70 '70e71 media 1618e20 III IV V VI VII VIII IX eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee set. 15 13 9 17 49 18 7 19 21 ott. 18 14 13 4 33 28 8 17 16 nov. 20 8 13 11 17 19 5 13 18 dic. 24 25 13 14 13 19 9 17 13 gen. 23 29 16 23 15 23 21 21 21 feb. 24 18 15 23 11 13 5 16 22 mar. 28 17 14 15 10 8 3 14 14 apr. 24 11 8 12 16 17 2 13 14 mag. 18 12 8 10 8 9 5 10 12 giu. 17 12 7 9 13 12 5 11 13 lug. 23 22 9 16 12 9 4 14 29 ago. 15 14 11 34 30 10 13 18 30 eeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeee f+l2 Innanzitutto, la media dei sette anni è conforme a quella del triennio 1618e1620 per il mese di gennaio (con un quoziente di mortalità in ragione di anno pari a 49,35 su mille abitanti, che è sempre un alto quoziente di mortalità. Inclemenza del tempo e stenti vari, con problemi anche di nutrizione (si dice ancor oggi:dopu natali, lu friddu e la fami), il peggioramento repentino delle condizioni di vita, insomma, falcidiava la vita di vecchi e bambini. Per gennaio, tale recrudescenza di mortalità è una costante sia all'inizio del secolo sia verso i tre quarti. Marzo, aprile e maggio sono pure, conformemente alla media dei primi decenni del secocolo, mesi flessivi quanto a mortalità. La primavera giovava proprio ai racalmutesi. Diverge la media di agosto: le morìe per tifo e per malattie infettive specie tra i bambini non erano puntuali in quel caldo mese, ma quando scoppiavano era davvero devastanti. Nel settennio, l'agosto simile agli anni venti del 1600 si verific• nel 1668 e nel 1669, con quozienti di mortalità in termini annui rispettivamente del 79,91 e 70,51, indici enormi. Il mese di agosto fu però di bassa frequenza nei decessi nell'anno 1665 (35,25%o); 1666 (32,90%o); 1667 (25,85%o); 1670 (23,50%o) e 1671 (30,55%o). Furono mesi di contratta mortalità: novembre 1665 (18,8%o); settembre 1666 (21,15%o); aprile e maggio del 1667 (18,8%o); giugno 1667 (16,45%o); luglio 1667 (21,15%o); ottobre del 1667 (9,4%o); giugno 1668 (21,15%o); maggio 1669 (18,8%o); marzo (18,8%o) maggio e luglio 1670 (21,15%o) e il terzo quadrimestre di quell'anno (17%o). Il mese che in assoluto ebbe il più basso quoziente di mortalità fu aprile 1671 (4,7%o), beffardo preludio della peste del successivo mese di settembre, peste che si protrasse per un anno come abbiamo prima segnalato. Il foglio precedente quello del battesimo di fra Diego La Matina reca questa data: 27 di febbraio 4 indizione 1621. In calce siamo a metà marzo. Il giorno precedente il 14 detto (marzo 1621) viene battezzato Diego La Matina. Questa è la registrazione in un quaderno di annotazioni provvisorio. Vi è poi un registro in bella ove l’atto viene riportato in modo pie leggibile. Qui leggiamo: “ad: [a detto] Diecho figlio di Vincenzo et Francesca fui battezzato per il sudetto [e cioè don Paolino d’Asaro, fratello del piettore Pietro d’Asaro]. Patrini: Jacobo Sferruzza et Giovanna di Gerlando di Gueli.” Al foglio 77 del registro in bella fra Diego viene registrato sotto la data del 13 marzo 1621. Testualmente abbiamo: A detto – Diego figlio di Vincenzo e Francesca La Matina giugali fu battezzato per lo duetto. Patrini Giacomo Sferruzza e Gioanna di Gerlando di Gueli.