Signor Presidente, signori soci di maggioranza, signori
piccoli azionisti e soprattutto signori soci che si riconoscono in Finmedit,
Quest’incontro
si carica di drammatici accenti e non è consentito ad alcuno divagare: se ci
dovessero difettare il reciproco rispetto, la saggezza e l’oculata pazienza,
andremmo incontro a nefaste conseguenze, pregiudizievoli per tutti.
Siamo qui
assemblati soggetti portatori dei più disparati interessi; abbiamo tante
ragioni per confliggere reciprocamente:
avremo la forza di trovare i punti di confluenza, anziché scatenarci in contese
esasperate?
Un socio di
minoranza è già partito a testa bassa per tutto contestare: ragioni ne ha da
vendere. Vogliamo provare ad intenderci? Il socio di maggioranza, con il suo
58% o giù di lì, ha solo voglia di delibare quanto deciso altrove? In questo
caso, a noi soci di minoranza non resta altro che scandire qui il nostro
dissenso e tentare in altre sedi la salvaguardia delle nostre residue
interessenze.
Lo
premettiamo subito: dovremmo parlare per ore ed ore solo per abbozzare la
pregnanza dei nostri interessi di soci di minoranza lesi e compressi in anni ed
anni di sopraffazioni, provenienti dalle più diverse sedi anche tutorie. Non ci
verrà consentito. Ci venga consentita almeno
una pausa di riflessione per un’intesa là dove questa è possibile.
Il presente
raduno scaturisce dai risultati ispettivi della Banca d’Italia del 1999 che
neppure ci vengono indicati. Per il Consiglio di Amministrazione, basterebbe
questo ultracriptico ragguaglio: occorre «una rettifica … in via prudenziale
[di L. 145mld, o forse di L. 175,8 mld o forse per una cifra ancora maggiore
sino a spiegare “una perdita di periodo di L. 220,4 mld”] a seguito degli esiti
della visita ispettiva della Banca d’Italia recentemente rassegnati».
Ai soci di
minoranza non s’intende far sapere altro. E’ ciò sufficiente per decidere o per
opporsi?
Si chiede
piena fiducia nel C.d’A che si limita ad una generica assicurazione sul fatto
che le indicazioni ispettive «saranno oggetto di puntuale disamina anche alla
luce dell’evoluzione più recente».
Capirà bene
il socio di maggioranza che siffatta fiducia i piccoli azionisti non possono
accordarla. Capirà bene il socio di maggioranza che già nella stessa
costituzione di questa presidenza – il rispetto per le persone è fuori
discussione – i sospetti di interessi in conflitto varcano abbondantemente la
soglia degli indizi gravi, precisi e concordanti. E sono sospetti che dilagano
per ogni dove: dalle stesse formulazioni del presente ordine del giorno alle
decorse deliberazioni assembleari, a partire da quelle del 1994.
C.d’A –
indiscussa espressione del socio di maggioranza – collegio sindacale, il socio
di maggioranza medesimo non reputano di rischiare troppo sotto il profilo del
conflitto d’interessi? Non reputano di sospendere questi lavori per un
contemperamento delle confliggenti posizioni, specie nei confronti dei soci che
fanno riferimento a FINMEDIT?
Per quel
che ne sappiamo extra moenia i
rilievi ispettivi vanno soppesati con rispetto verso la Banca d’Italia ma senza
timori riverenziali per ciò che concerne la loro attendibilità, che ci pare
spesso claudicante e soprattutto in contrasto con l’operato della medesima
Banca d’Italia, sia quella che perfezionò le acri risultanze dell’ispezione Scattone,
sia quella che sino alla reiterazione del controllo di Vigilanza del 1999 aveva
assistito con favore la gestione Banca di Roma.
Conosciamo
il valore dell’ispettore Barbagallo e non siamo tra quelli che pensano che il
valente funzionario – a quanto pare parente o affine del dott. Noto – possa essersi fatto
impressionare dalla voglia della Banca di Roma di incorporare nientemeno che
il quasi millenario Banco di Sicilia. Resta
singolare che le ultime risultanze ispettive finiscono per apparire un pamphlet contro lo stesso Istituto di appartenenza
dell’ispettore.
Gli attuali
esponenti della Mediterranea hanno fatto approntare una difesa dei consiglieri
e sindaci incappati in censure ispettive (credo che ai soci di minoranza
occorra far sapere chi paga queste difese così come necessita ragguagliare sul
costo delle complesse procedure a tutela degli esponenti aziendali sotto accusa
a seguito della precorsa ispezione Banca d’Italia): trattasi di difesa
effimera, di sostanziale ammissione di colpa, di postulazione di una generica
attenuante per avere operato in modo tale che alla fine: «la complessa
situazione della Banca, ove riferita alle risultanze della precedente ispezione
della fine del 1994, è risultata in continuo miglioramento.» Ci si limita, così,
a dolersi flebilmente del fatto che «il negativo giudizio formulato in sede
ispettiva non abbia considerato l’impegno del consiglio …. e i positivi
miglioramenti in relazione alla situazione della Banca così come definita nella
precedente ispezione.» (A noi qui poca importa la sbavatura giuridica di quella
difesa avverso le sanzioni amministrative bancarie, che scaturisce tutta dalla
sottovalutazione delle lettere contestative del locale direttore della Banca
d’Italia).
A noi soci
di minoranza interessa invece organare una controdeduzione pregevole specie
sotto il profilo fattuale per tamponare le conseguenze della visita ispettiva,
che, così come traspare, porta dritto dritto ai provvedimenti dell’art. 80 del
TULB (si ribadisce: art. 80 e non ad esempio art. 70 o art. 76). Cari soci, se
bastassero gli anatemi dell’amico Marcantonio per scongiurare siffatti
pericoli, non ci mancherebbe la voce per sacramentare, ma la mia precorsa
esperienza nel settore mi rende oltremodo preoccupato e preoccupati dovrebbero
essere i politici per le conseguenze
economiche del territorio, i sindacati per i riverberi sull’occupazione, il
socio di maggioranza per i riflessi sul suo bilancio (a quanto ascende ora il
valore della partecipazione “Mediterranea”?), il C.d’A ed il collegio sindacale
per dover rispondere in sedi non commendevoli su distorsioni contabili ed
altro, i soci di minoranza plaudenti nel passato alla Banca di Roma (con
compensi di natura professionali?) e noi soci che ci rifacciamo a Finmedit che
vedremmo polverizzare quel che ancora – sia pur poco – rimane dei nostri
capitali di rischio.
Non è
questo un motivo per unirci?
Su tale
base ed a tale fine si potrebbe collaborare per una contrapposizione difensiva
avverso la Banca d’Italia. Tanti di noi hanno professionalità pregresse che
potrebbero essere di grande aiuto. L’offriamo al C.d’A. che dovrebbe subito
accettare: siamo sulla stessa barca.
Se questa
proposta dovesse essere accolta, si renderebbe necessario interrompere
l’assemblea e riconvocarla per deliberare sui risultati che una siffatta
commissione mista di cointeressati riterrebbe utile sottoporre all’approvazione
dell’intero sodalizio bancario.
Diversamente,
i soci di minoranza dovrebbero respingere l’intero o.di g. che viene proposto e
predisporre gli strumenti tecnico-giuridici per una difesa giudiziaria, il cui
filo conduttore non può non essere il conflitto di interessi con il socio di
maggioranza – spesso socio tiranno – e con quanti vi si sono accodati o vi si
accodano.
Il conflitto parte da lontano e a dire il vero con una
intrusione della Banca d’Italia, a dir poco, irrituale. Fu infatti il locale
direttore della Banca d’Italia a rappresentare nel 1994 i desiderata dell’Organo Centrale
tendente ad imbarcare la banca
del sud nell’alveo del mega gruppo facente capo alla Banca di Roma.
L’autorevole suggerimento trovò spazio in una sede impropria quale è la lettera
ufficiale di contestazione delle risultanze ispettive (nota n. 4626 del 16
settembre 1994): vi si legge, infatti. «... la Banca di Roma dovrebbe acquisire
una quota del 30% del capitale di codesta Banca [Mediterranea] [..]: in tal
modo, codesto ente entrerebbe a far parte del gruppo creditizio Cassa di
Risparmio di Roma. Al riguardo, si è qui dell’avviso che l’accordo debba essere
considerato alla luce dei risultati della verifica ispettiva. In particolare,
l’apporto patrimoniale dovrà essere quantificato tenendo presente la necessità
di fronteggiare il deterioramento dell’attivo e di ripristinare l’equilibrio
reddituale [..]: l’intesa dovrà consentire i più ampi poteri di gestione al
partner prescelto, nel cui gruppo creditizio andrà ricompresa l’azienda ...»
(v. pag. 5).
E
potremmo citare altre fonti che ormai sono di pubblico dominio per i vari
processi anche penali in corso.
Lanciato
lo strale contro B.I., poco possiamo raccogliere da tali lagnanze. La Banca
d’Italia per giurisprudenza consolidata è “organo irresponsabile” (vedasi
sentenza Ambrosiano, Cassazione a sezioni unite del 29marzo 1989 n. 1531) e le
pur acri polemiche della dottrina a nulla hanno approdato. Se F. Vella ha
scritto: «in altri termini si tratta di evitare soltanto che all’illusione del
legislatore totale si sostituisca l’illusione dell’amministrazione tuttofare»,
la discrezionalità della Banca Centrale resta ancora assoluta, ora come allora.
Ma
l’usbergo B.I. non dissolve le responsabilità Bancoroma.
Nel
1993 figuravano tra le azioni proprie L. 18.413/m. comprate per la maggior parte a L. 15/mila.
Con accordi del marzo 1994 la Banca di Roma s’impegnava ad acquistare n.
1.568.816 azioni in portafoglio della Mediterranea a L. 15.000 ed a sottoscrivere integralmente
un aumento del capitale per giungere ad una quota del 30% al prezzo di
emissione non inferiore a L. 15.000. Era un accordo condizionato, ma nella
sostanza non poteva essere modificato se non per eventi allora imprevedibili.
L’atto provvidenziale fu la drastica ispezione Scattone che abbondando in
previsioni di perdite su opinabili sofferenze consentì la riduzione del prezzo
da L. 15.000 per azione a L. 8.000 per azione. La Banca di Roma senza doversi
sbracciare più di tanto potè rinegoziare l’iniziale acquisto delle azioni della
Mediterranea nel proprio portafoglio da L. 15.000 ad azione a L. 8.000;
sottoscrivere sempre a L. 8.000 per azione l’aumento del capitale sociale del
novembre 1994 ed a tale prezzo potè aggiudicarsi quello successivo del 1995.
I
dati tecnici qui non interessano: resta però evidente che la Banca di Roma potè
acquisire l’attuale 58% o giù di lì del capitale sociale della Mediterranea adducendo
soltanto 339/miliardi circa al
posto di L. 636/miliardi circa con una differenza di L. 297/miliardi circa, (miliardo in più, miliardo in meno:
noi non abbiamo per ora i dati precisi). Dobbiamo aggiungere che la cosa, pur
indagata, non ha sinora sortito effetto alcuno presso la magistratura. Il
supporto giuridico sembra essere una perizia di un auditor bancario, di cui la
Banca di Roma è socia, che a dire il vero si è limitato a fare un poco convinto riferimento alle
risultanze ispettive precedenti. Ma particolare di grosso valore, la Banca di
Roma non ha ritenuto, dopo, attendibili le ricostruzioni ispettive e per anni
le sofferenze sono state molto al di sotto rispetto a quelle ispettive. Del
pari le valutazioni delle perdite inerenti.
Se mi si chiede se in atto i soci possano
ancora sperare in un recupero risarcitorio, non so rispondere. Mi pare che
tutte le precedenti delibere assembleari al riguardo dovrebbero essere invalide
per manifesto conflitto di interesse. Oggi, in questa chiamata al giudizio
finale, il socio di maggioranza dovrebbe per lo meno allontanarsi ed il C. di
A. con il collegio sindacale non avrebbe titolo a fare proposte di acquiescenza
ai nuovi risultati ispettivi per la palese confliggenza d’interessi. Una
delibera in ordine delle responsabilità patrimoniali dovrebbe avvenire senza
l’interferenza di soci coinvolti o di amministratori consenzienti.
La mia proposta è comunque quella di
attivare l’art. 2392 c.c. e di richiedere il “provvedimento motivato” alla
Banca d’Italia ai sensi dell’art. 70 c. 7 del TULB, non mancandosi – in caso di
mancato raggiungimento del quorum previsto – di procedere egualmente ad una
nostra segnalazione motivata.
Alla Banca d’Italia deve inoltre essere
fatto presente che vi sono ragioni di assoluta urgenza perché proceda alla
“gestione provvisoria” ex art. 76 del T.U.L.B.
E ciò non tanto per quello che prima abbiamo
abbozzato, pur mancando di dati di dettaglio, ma soprattutto per i seguenti
indici di anomalia nella gestione bancaria.
a)
la Banca non ci
segnala che il nostro sistema informativo è risultato “obsoleto”; che
inadeguato è apparso l’apparato contabile e segnaletico; che carenti si sono rivelati i sistemi di controllo interno.
Ebbene ciò nonostante che dal 1994 ad oggi il carico del conto economico per
competenze a professionisti esterni abbia avuto il seguente ingente sviluppo:
1994 L. 5.432.795.176; 1995 L. 3.447.530.240; 1996 L. 4.914.115.300; 1997 L. L.
6.413.846.934; 1998 L. 7.049.931.185 e già nella prima metà di quest’anno
l’esborso è asceso a L. 5.671.059.916.
b)
Se siamo bene
informati, alla Banca d’Italia non piace neppure il nostro Servizio Ispettorato
- ma per esperienza diretta noi dobbiamo qui esternare il nostro plauso ai
valenti dirigenti della Mediterranea che vi hanno operato e che ancora vi
operano – e tanto rende inaccettabile l’enorme dispersione di mezzi propri nel
pagare ingenti somme alla Capogruppo per prestito di “personale”. Leggendo gli
scarni dati di bilancio abbiamo che nel quinquennio sono stati sborsati questi
emolumenti a dirigenti estranei distaccati dalla Banca di Roma: 1995 L.
1.434.486.272; 1996 L. 3.049.758.246; 1997 L. 2.281.669.399; 1998 L.
2.531.803.065 e nella prima metà del 1999 L. 1.400.830.290. In totale dunque L.
10.699,5 milioni di nessuna utilità, di gratuito aggravio dei vari conti
economici, già pesantemente incisi dall’enorme costo del personale proprio –
invero di altissimo livello, se bene utilizzato – e con incidenze sulle
responsabilità degli amministratori, dei sindaci, nonché con insorgenze conflittuali
di interessi nell’ambito delle assemblee sociali per la presenza determinante
del socio tiranno beneficiario indiretto di codesti indebiti o dispersivi
gravami economici.
c)
Per il nuovo
ispettore della Banca d’Italia gli ingenti accantonamenti per ammortamento in
conto delle varie sofferenze ed incagli che hanno devastato i precorsi esercizi
sono insufficienti e necessiterebbero – a dire degli stessi amministratori –
“rettifiche di valore su crediti in sofferenza e ad incagli pari a L. 175,8
mld.” e cioè L.30,8 mld. per “rettifiche di valore analitiche” e L. 143 mld. a
titolo di svalutazione “forfetaria”. Non venendo ragguagliati in nulla, noi
soci di minoranza contestiamo siffatta impostazione di bilancio. Innanzitutto, occorre conoscere il trend delle
sofferenze dalla precedente ispezione alla presente: occorrono i famosi
allegati di supporto agli stringati rilievi. Necessita stabilire se la gestione
delle precorse sofferenze è stata adeguata e proficua; se il socio di
maggioranza ha favorito i suoi grandi clienti esposti anche in
Mediterranea; se via sia stato uno
storno di posizioni incagliate da Roma a Potenza ed altre peculiarità operative
che passano anche attraverso compravendite di azioni preferenziali della
Mediterranea da parte della Banca di Roma a pregiudizievole sistemazione di
taluni grandi debitori della Mediterranea. Questi e tanti altri aspetti su cui
ci si riserva di intervenire nelle competenti sedi rendono particolarmente
grave il contesto delle responsabilità amministrative di amministratori e
sindaci ed inquinano le precedenti delibere assembleari che hanno inteso
suggellare, col solo assenso dell’interessato socio tiranno, un indirizzo
gestionale che ora la Banca d’Italia torna a stigmatizzare pesantemente.
d)
Per la Banca
d’Italia, prodottasi in uno scrutinio del merito di credito nella sua veste di
terzietà, diffuse sarebbero le manchevolezze che vengono giudicate incoerenti
con l’ipotizzata espansione del comparto. L’iniziale intento di convogliare a
Potenza da Roma risorse tecnico-menageriali rivenienti da una impresa bancaria
di alto standing appare del tutto frustrato. La Banca d’Italia non può pertanto
lasciare la Mediterranea in mano a chi ha tradito la sua fiducia: le resta
l’ufficio ex art. 76 TULB cui deve procedere con urgenza perché vanno
profilandosi manovre pregiudizievolmente dilatorie come è la proposta degli
amministratori, che, pur fustigati dai rilievi ispettivi, vorrebbero un “rinvio
al prossimo esercizio dell’adozione degli opportuni provvedimenti di cui all’art.
2446 c.c.” e ovviamente fidandosi della benevolenza del socio tiranno – per suo
verso interessato a tale conflittuale slittamento di provvedimenti che
sarebbero inceppanti della veridicità e fedeltà del suo proprio bilancio - sperano in una decisione volta a soprassedere
«in questa sede, alla riduzione del capitale a copertura delle perdite al
30/06/99».
e)
Sempre ad avviso dei
nuovi ispettori B.I. gli incagli ufficiali hanno per lo più caratteristica di
sofferenza. Si intuisce, dunque, un deterioramento dell’assistenza creditizia.
Le sofferenze residuano in L. 600/miliardi a seguito di “rettifiche di valore”
per L. 595,6 miliardi (la nostra banca ha crediti in sofferenza per L. 1.196
miliardi che gli amministratori di
diretta emanazione del socio tiranno lasciano marcire da anni tra le pieghe
dell’attivo). Sono destinate, per intuizione ispettiva, a crescere
ulteriormente. La Banca d’Italia non è tenuta ai provvedimenti di rigore, ma un
inquietante interrogativo la dovrebbe attanagliare, specie se lascia l’azienda
bancaria sotto la sua vigilanza, in mano di amministratori e di un socio di
maggioranza a dir poco distratti. Aggiungasi che patologico va giudicato il
comparto degli interessi di mora: trattasi di L. 373.293.701.894 svalutate per
L. 320.953.587.573, il che la dice lunga sulla indolenza degli amministratori
nel recupero almeno parziale degli interessi moratori. Ed il rilievo n. 15 è
molto significativo al riguardo. S’impone quindi l’interrogativo circa
l’atteggiamento della B.I. che al momento si limita a contestare cose tanto
gravi senza assumere le iniziative che, se non la forma, l’essenza della
vigilanza prudenziale imporrebbe senza
indugio.
f)
Rade sarebbero –
sempre per la Banca d’Italia - le autonome e tempestive azioni esecutive volte
al recupero dei crediti. Da ciò dovrebbe scaturire un’immediata e tempestiva
iniziativa nel senso scandito dall’art. 76 T.U.L.B.
g)
Quanto delicato sia
il rilievo sulla scarsa correttezza contrattuale e sulla rilassata prevenzione
dell’utilizzo dei circuiti bancari a fini criminosi è di palmare evidenza. Un
rilievo del genere rivolto ad uomini per vari versi legati ad uno dei massimi
enti bancari nazionali lascia solo esterrefatti. Ma basta una semplice tirata
di orecchie?
h)
Per Barbagallo
sarebbe solo insufficiente l’attenzione che viene prestata all’osservanza della
normativa antiusura. Per quel che ci è capitato di vedere, gli episodi di
tracimazione dai “tassi-soglia” sarebbero tutt’altro che episodici e di modesta
misura.
i)
Censurabili in
termini di maggior rigore ci sembrano i casi di devianza dai canoni
dell’antiriciclaggio (rilievo 16);
j)
Esulando dalle contestazioni
B.I., abbiamo da lamentare l’assoluta inidoneità delle note illustrative della
nota contabile al 30/6/99 e dell’o.d.g che ci viene proposto. Il
rendiconto che ci viene chiesto di approvare ha un taglio decisamente
incomprensibile: nulla si spiega, nulla si dice a chiarimento di tavole e
tavole di aridi numeri, men che meno ci vien fatto sapere perché all’improvviso
si riesumano fatti e vicende di almeno un quinquennio prima e - divenuto il
socio egemone padrone assoluto del consiglio di amministrazione, dopo il
defenestramento o le dimissioni forzate dei pur remissivi esponenti della
minoranza - si è inferto un colpo esiziale alle residue valenze patrimoniali
dei soci minoritari. Abbiamo detto sopra come secondo noi la Banca di Roma sia
divenuta all’improvviso padrona assoluta della Mediterranea senza conferire - o
quasi - alcun apporto per consolidate plusvalenze della precedente azienda
bancaria. Dopo il bilancio 1997 - che a
mio avviso va invalidato per nullità sempre eccepibile – è stato azzerato il
“fondo soprapprezzo azioni” che noi soci di minoranza e noi soli abbiamo
costituito, con solo nostri sudati - ed ora dispersi - capitali freschi; non
furono rispettati i divieti per conflitto d’interessi e fu rimessa alla volontà
dittatoriale del socio egemone la decisione dissolvitrice del patrimonio
altrui, senza contemplare gli ostacoli anche giuridici che vi si
contrapponevano. Tre o quattro cifre sintetizzano la devastazione bancaria che
con questo rendiconto semestrale -
frutto solo dell’inventiva dei rappresentanti del socio egemone - ci si propone
addirittura di “approvare”, come se non si trattasse di manovre volte solo a
nostro danno, a danno cioè dei soli ed indifesi soci potentini, e cioè di quei
maldestri soci vistisi ridotti a soci di minoranza quando un tempo erano i
proprietari assoluti della Banca, per non parlare dei soci di Pescopagano che
per destinazione del padre di famiglia vantavano imprescrittibili ed incedibili
diritti di prelazione su una non trasformabile banca popolare. E tutte queste
nostre ragioni sono state nel tempo vanificate per interferenze anche
autorevoli.
k)
Con alcune
cifre buttate lì, nel rendiconto semestrale, che sconvolgono ogni logica di
economia d’azienda si vuole, con decisione del solo socio di maggioranza,
vanificare i patrimoni dei soci minoritari;
ciò, mentre - per converso – si
lascia integra la partecipazione del socio dominante che potrà alienare ogni
cosa senza nulla perdere.
l)
Abbiamo subito conflitti d’interesse a non finire;
siamo stati iugulati con decisioni lesive dei nostri interessi di soci privati
di voto effettivo per il prevalere del socio tiranno, interessato a ben altro;
nessuno può negare che v’erano nel passato fondati sospetti di condotte
ricadenti negli articoli del 2446 codice civile, 2447 c.c. e 2448, sub 4),
pronuba anche una legge bancaria priva di difese per i soci di minoranza,
espoliatrice dei diritti ex art. 2409 c.c.; di una legge bancaria che per
ottenere dalla Banca d’Italia un motivato giudizio – prevedibilmente negativo
per i soci di minoranza – vuole il voto assembleare del ventesimo del capitale
sociale. Ma se vi sono notitiae criminis
la Banca d’Italia non è tenuta a fare rapporto all’autorità giudiziaria, senza
indugio? E così ancora una volta dovremmo subire l’arcigno silenzio sugli
eventi che avrebbero improvvisamente determinato il crollo della nostra banca,
dato che il C.d.A. – che al socio di maggioranza, statene certi, tutto
ha già detto – reputa prudente non fornire adeguati chiarimenti sia in sede di
relazione generale sia in sede di doverosa esplicazione di sibilline poste
contabili.
m)
Si pensi ad un
fatto devastante: senza eventi imprevisti ed imprevedibili, senza ragioni inopinatamente
sopraggiunte, senza deterioramenti repentini dell’ordinario operato bancario
(del tipo di colossali malversazioni da parte di dipendenti infedeli), la Banca
Mediterranea, che nel 1998 il suo
modesto ruolo di azienda creditizia era riuscita a svolgerlo per merito
esclusivo della pur numerosa e subalterna compagine impiegatizia, precipita da
un risultato passabile ad una
catastrofica perdita di periodo (che vuol dire?)
n)
La disavventura è tanto inconsueta, tanto
spaventevole, tanto abissale che avrebbe dovuto spingere i responsabili - alla
fine tutti portavoce del solo socio dominante - a quintali di giustificazioni e
di chiarimenti e di ragguagli e di informazioni tecniche e di spiegazioni
giuridiche, e di lezioni di tecnica bancaria, e di altro ed altro ed altro
ancora. Ed invece nulla, o pressoché nulla - visto che quello che si dice,
cripticamente, innocentemente, sa di scarica barile. Il nostro patrimonio
crolla d’improvviso e si porta a quota 155/miliardi (ed i tecnici sanno per di
più che la riserva per azioni non va conteggiata); in parole povere le nostre
azioni che credevamo valere ancora sulle 8.000 mila lire, non valgono neppure
il valore nominale di L. 5.000, ma solo, salvo ulteriori devastazioni, L. 2.050
(che in prospettiva potrebbero equivalere a 4 azioni del Banco di Roma
all’identico valore nominale e francamente con questi chiari di luna potrebbe
anche convenirci. Basta che ce l’assicurino sin d’ora).
o)
Ci pare di riascoltare vecchie giustificazioni che si
abbarbicavano ai cosiddetti “fenomeni di
deterioramento della qualità del credito” (vedasi bilancio 1997). Ma ora i
“romani” debbono spiegarsi meglio: vengono dalla “sapienza” e sono sapienti. Si
deteriora qualcosa che una volta era buona. Si deteriora qualcosa perché
malconservata. Si deteriora qualcosa perché non si sa gestirla. Si deteriora
qualcosa perché, per mille inconfessabili motivi, la si vuol deteriorare,
perdere. Si deve essere più chiari. Qui è in gioco la sopravvivenza della
banca, almeno la sopravvivenza delle partecipazioni minoritarie. Al socio
egemone può fare comodo rimpinzare di riserve, se non occulte, di sicuro
potenziali questa nostra banca; lasciare un residuo barlume di consistenza
patrimoniale che giustifichi la partecipazione al valore di L. 6-7.000 nel bilancio bancario del socio dominante;
vendere a terzi quell’interessenza - magari esteri e meglio ancora se
esterovestiti e meglio ancora se con capitali facili - a prezzi di affezione;
creare le premesse per un successivo azzeramento del capitale sociale per
l’estromissione dei soci dominati e ciò in vista di una ricostituzione del
capitale sociale cui non potranno accedere i soci dominati per inidoneità
finanziarie; facile così la locupletazione degli ipotetici speculatori esteri
(cui gratuitamente accederanno le riverse potenziali per i sovrabbondanti
ammortamenti delle sofferenze). Dovete chiarire e rasserenare i soci di
minoranza, informarli e soprattutto astenervi dalle improvvide politiche di
occultamento di utili con massicce e ingiustificate rastremazioni dei crediti.
p)
“Fuge rumores” dicevano i maestri del capitalismo italiano.
D’accordo: ma qui non è questione di rumori; qui è l’annuncio di una morte,
della morte di una banca. Se non il lamento delle prefiche - e nessuno di noi
lo gradirebbe - almeno una confessione liberatrice sarebbe doverosa. Da cinque
anni abbiamo le tanto conclamate sinergie con il grande polo della Banca di
Roma; caterve di funzionari, dirigenti in prequiescenza, profluvio di
corrispondenza ammonitrice; pareri “pro veritate” - ma a dire il vero, la
verità della casa madre - ultra remunerati; amministratori venuti da lontano;
provvedimenti odiosi; dimissionamenti ex abrupto di dirigenti tradizionali, e
tant’altro: beh! tutto questo non solo non ha impedito la catastrofe ma l’ha
registrata, a dir poco, tardivamente. E per di più - e qui siamo
nell’inaccettabile - la si viene qui a raccontare per sommi capi,
cripticamente, senza ragguagli, misteriosamente, ultimativamente e con il non
nascosto intento di ottenerne la tranchant
approvazione del socio egemone, noncuranti di ogni remora per conflitto
d’interesse.
q)
Un tempo ci
venne detto che la débacle si era
verificata: «a seguito del totale deterioramento della situazione
economico-finanziaria di alcuni clienti e grandi gruppi che ha comportato, in
particolare per nuovi fatti negativi riscontratisi nella seconda metà del 1997,
oltre al passaggio dei relativi rapporti da incagli a sofferenza, un aumento
delle previsioni di irrecuperabilità,[per cui] sono necessitate rettifiche nette
su crediti e svalutazioni per perdite definitive per circa 275 miliardi.» (v.
p. 2 bilancio 1997) . O si mentì allora
o si mente adesso. In ogni caso numerose sono state le inesatte segnalazioni
all’Organo di Vigilanza. L’organo
tutorio fu in quiescenza allora, non mi
pare che possa continuare ad esserlo. Non può quindi lasciare la banca in mano
di chi qualche problema con l’art. 134 T.U.L.B. dovrebbe averlo. Si vocifera -
a dire il vero qualcuno mostra le fotocopie delle missive - che non è da ora che
l’ex Amministratore Delegato pietisse udienza epistolare presso quelli di Roma
per il passaggio a sofferenza di posizioni a lui sgradite; si vocifera che Roma
abbiano fatto finta di non ricevere neppure quelle missive, almeno sino ad una
certa data? Si vuol rispondere in questa
sede? Si vuol chiarire se almeno la consapevolezza di quel deterioramento del
credito c’era già a date pregresse? Vetustamente? Se no, si vogliono fornire le
precisazioni? Sono state almeno fatte le debite segnalazioni all’Organo di
Vigilanza? I moduli di rito (Mod. 135 Vig. di un tempo o quelli attuali di
Matrice) sono stati corretti, ad ogni cadenza? Non v’è pericolo di essere
incorsi nelle censure dell’art. 134 della legge bancaria? O si pensa davvero
che la normativa di Vigilanza valga solo per gli zotici amministratori del Sud
ma non riguardi gli Unti del Signore? Davvero agli “amici sarà dato; ai nemici
sarà tolto”, per esprimerci evangelicamente?
r)
Possiamo
rigirare quante volte vogliamo la scarna paginetta di questa nota del C.d.A.
(quella dei sindaci è ancor più risibile): nulla sapremo sullo stato degli
impieghi (qualche cifra buttata qua e là). Ne sapevano di più quelli della
FIBA-CISL che ironicamente si andavano
domandando “Ma c’è qualcuno a cui interessano 1.200 miliardi?”. Prosa e
sintassi a parte, quel che in quel foglietto si dice pubblicamente - e i
responsabili di questa banca lo hanno lasciato dire impunemente - credo che
interessi a questo consesso. Ma soprattutto credo che i nostri amministratori
dovevano in sede di bilancio contestare, puntualizzare e precisare le accuse
dei cislini. Davvero l’Ufficio Recupero Crediti si è tramutato in “discarica di rifiuti a cielo aperto”? Non siamo in vena di compassione per chi ha
voglia di fare sapere all’esterno - ma lo stipendio lo riscuote all’interno -
che viene spremuto “uno sparuto numero di
addetti alla gestione, sempre più oberato di carichi di lavoro che hanno
condotto alcuni di loro ad un vero e proprio stress psico-fisico, in un locale
sempre più simile ad un cantiere edile, per non usare altro genere di paragone.”
Ma siamo più interessati alla faccenda dell’amministratore delegato; anche a
noi, in sintonia, “sorge spontanea
un’altra domanda: se l’amministratore delegato ha avvertito l’indifferibile
necessità di effettuare le così dette pulizie, riversando a sofferenza
centinaia e centinaia di miliardi si da creare una vera e propria discarica
delle sofferenze, che hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 1.200 mld., al
netto di molti altri miliardi girati a perdite, cioè a babbo morto, ha,
al pari, avvertito l’esigenza di dotarsi di uno strategico piano dei rifiuti?”
Dove dobbiamo cercare risposta a questa ed altre domande consimili? Dal
sindacato della CISL? Non abbiamo diritto ad averle qui quelle risposte? Anzi,
non dovevano esserci già? Vorranno gli amministratori ripensarci, ritirare il
bilancio e corredarlo di tali doverose risposte? Ci vorranno dire che c’entra
Mastronardi con le sofferenze, visto che la CISL lo rimprovera di non avere
affrontato “in maniera seria e concreta .. la questione delle sofferenze”? La
CISL si permette di accusare la banca - ma questa non risponde alla CISL ed
omette anche in questa sede di dare la dovuta informazione - con questi
pungenti appunti: «I problemi, quasi
tutti insoluti, sono letteralmente esplosi, rendendosi di più difficile
soluzione; l’eccessiva burocratizzazione e legalizzazione ha pressoché ingessato il settore rendendolo
sempre più simile ad un’aula di tribunale e sempre meno un ufficio bancario
dinamico, moderno, pragmatico, orientato a recuperare i propri quattrini senza
diventare strumento per bieche affermazioni personali di madame e messeri di
turno.» Ci punge vaghezza di sapere chi sono codeste “madame” e codesti
“messeri” a turno nelle “bieche affermazioni personali”. Ma forse è già partita
qualche denuncia. Almeno, si ha intenzione di segnalarcela? La FIBA-CISL
asserisce che “il nostro amministratore e
i suoi detti consulenti ... sono, diversamente dai sindacalisti, pagati,
pardon, stra-pagati!” A noi soci di minoranza si vuol almeno dare qualche
ragguaglio su tali strapagamenti? In bilancio qualche cifra spunta - ovattata,
però, confusa in un mare di dati: qualche cenno l’abbiamo fornito noi sopra.
Tanti soldi spesi per portare la redditività bancaria abissalmente sotto zero
ed il patrimonio da 600 e rotti miliardi ad un opinabile importo di 155
miliardi. Ma le cifre dicono poco: non sappiamo quanto abbia preso
l’amministratore delegato e quanto sia finito ai numerosi membri degli organi
aziendali. Abbiamo già detto delle decine di miliardi erogati a “professionisti
esterni”: a chi, a quale titolo, perché? Mistero. Ci piacerebbe tra l’altro
sapere se corrisponde al vero che si sia ritenuto necessario consultare un
legale esterno della Banca di Roma per sapere come comportarsi nell’acquisto
delle proprie azioni; se è poi vero che
costui si sia limitato a sintetizzare quello che aveva già scritto in un
vecchio suo lavoro pubblicato e stravenduto; che abbia dato consigli così vaghi
che gli esponenti aziendali si sono sentiti riassicurati sul loro vezzo di
comprare da beneaccetti, fingendo persin di credere a cervellotiche
motivazioni, e di negare l’acquisto a chi gradito o perlomeno compaesano
(pugliese) non era; che per somma beffa, quel vacuo parere sia costata una
tombola alla banca. Sono questi solo pettegolezzi di borgata? Vorranno i nostri
progettisti del bilancio, chiarire, rasserenare, fugare gli equivoci? Oppure
reputano la faccenda, coperta dal .. segreto bancario? Le Autorità di Vigilanza
non sono davvero interessate alla questione? La provenienza di quei consulenti
può avere un peso?
s)
Per inciso, la
petulante domanda della FIBA-CISL è del 23 marzo 1998, in tempo per consentire
ai nostri amministratori - se davvero ne avevano voglia - di fornire in questa
sede tutte le spiegazioni possibili, il ragguaglio su tutte le difese
percorribili. Il silenzio è, per converso, eloquente. Sorprende davvero quello
che viene lasciato cadere, quasi inavvertitamente, a pag. 2 del bilancio 1997:
“Perdite definitive per 275 miliardi” vengono segnalate come se ci si
ragguagliasse su una gita scolastica. Che cosa sono le perdite definitive per “rettifiche nette su
crediti”? Perché definitive? Si tratta di valori numerari certi? Se sì, ci
vogliono venire spiegati? A pagare siamo noi, soci di minoranza. Si consultino
tutti i testi di economia aziendale e di tecnica bancaria e non si riuscirà a
comprendere la portata gnoseologica di una definitività in momenti valutativi
dei crediti: la ragioneria ci dirà che siamo in presenza di “perdite temute”,
di eventualità, dunque. Ed allora? La informazione ha senso se si vuol dire che
la banca, in vena di munificenza, si sia messa ad assecondare clientela di
favore con formali rinunce delle proprie ragioni creditorie. Magari, basandosi
su un incidente di percorso di qualche maldestro ex direttore generale che non
si è avveduto che la garanzia doveva essere novennale anziché annuale. E basta
tanto per considerare “perdita definitiva” qualche grazioso omaggio, magari di
una cinquantina di miliardi, “per necessitata rettifica netta su crediti e
svalutazioni”? Vogliono, lor signori, informarci, o rasserenarci? Abbiamo
diritto alle indispensabili informazioni? Ove si trovano nei bilanci che avete
progettato e fatto approvare dal cointeressato socio tiranno?
t)
Ma ritorniamo ai 688,1 miliardi di “perdite ammortate”
per temuta irrecuperabilità di partite in sofferenza. Non crediamo che si
tratti di creditorie perdenti alla data del 24 marzo 1998 o a quella del 16
settembre 1999 (data di consegna del rapporto, visto che pare i signori
amministratori si siano rifiutati di firmare in ante-prima i famosi allegati di
vigilanza ispettiva). Sicuramente, si tratta di incagli risalenti alla notte
dei tempi. A quando? Si è posta attenzione al fatto che l’importo della perdita
era tale da sovrastare il capitale
sociale? Non vi erano altre perdite? Non è colpa nostra se non è facile capire
cosa gli amministratori abbiano voluto dire con la ridda di cifre dei vari
bilanci relative alle perdite “temute”. Le quali perdite - qualsiasi alchimia
contabile si tenti, a qualsiasi scuola di pensiero si aderisca - per lo meno
hanno, da anni, determinato quel paralizzante buco patrimoniale di cui all’art.
2446 codice civile. Perché allora non si è proceduto alla convocazione dell’assemblea
“senza indugio” in tempi non sospetti?
Noi siamo tentati di sospettare che un conto è per il socio egemone
svilire l’esposizione creditizia della concorrente banca dominata, un conto è
svilire formalmente il capitale sociale della banca dominata, pena la necessità
di ammortare la propria partecipazione - e Dio solo sa se la Banca di Roma può
permettersi svalutazioni siffatte - e la doverosità degli apporti di capitali
freschi propri nella stessa banca dominata. Ma palmare è il conflitto d’interessi che ne scaturisce. C’è
da domandarsi allora se si è operato con accortezza, se si è deliberato nel
passato con le debite astensioni. Se non si vuol rispondere in questa sede,
prima o poi ed in ben altre assise si
sarà costretti a farlo.
u)
Per non venire
tacciati di fare un discorso “senza costrutto”, siamo costretti ad essere
puntuali sino alla pignoleria. Una pregiudiziale deve essere però subito
evidente. Mentre a noi soci di minoranza non è dato di sapere nulla sulla
nostra banca, fuori di qui, nelle sedi sindacali - lo abbiamo visto - in quelle
politiche, presso il Consiglio di Basilicata, e presso la stampa (l’orgia di
questi giorni ci ha infestati tutti), carte, rapporti ispettivi, consulenze
giudiziarie, interrogatori, documentazione riservata ecc. circolano come
romanzetti d’appendice. Noi abbiamo avuto la fotocopia dell’interrogazione di
Pietro Simonetti del 23 marzo 1998. L’iniziativa politica è stata resa di
pubblica ragione con il corredo degli atti riguardanti la nostra banca. Quel
che i nostri amministratori ci tengono segreto, lì è dato in pasto del
pubblico. Quanto andremo dicendo si avvale di quei documenti. Ma trattandosi di
nominativi, di imprenditori, di gente che ha diritto alla riservatezza, ci
guarderemo bene dal divulgare - da parte nostra - le generalità di siffatta clientela bancaria.
* * *
A noi
interessa avere risposta in ordine ai fatti che stravolgono la gestione della
nostra azienda: i nomi a chi interessano. Ci serviremo quindi di riferimenti
indiretti a tutela della riservatezza di tali soggetti.
Il Simonetti, nell’invitare il Consiglio Regionale di
Potenza a costituirsi parte civile nel noto processo che coinvolge solo taluni
degli ex amministratori della nostra banca, allega i rapporti di due ispezioni
della Banca d’Italia. Là abbiamo una messe di notizie sullo stato degli
impieghi della nostra banca. Emerge così che «l’esame del rischio creditizio in essere al 31.12.1993 poneva in
evidenza:
a)
posizioni in sofferenza ed incagliate per un ammontare rispettivamente pari a
L. 847,1 miliardi e L. 465,3 miliardi, sulle quali si prevedevano perdite
complessivamente pari a L. 508,6 miliardi;
b)
incrementi rispetto alle segnalazioni all’Organo di Vigilanza per L. 619,9
miliardi sulle sofferenze, per L. 166,7 miliardi sulle posizioni incagliate e
per L. 406 miliardi sulle previsioni di perdita (cfr. allegati nn. 3/a e 3/b).»
(Cfr. rilievo n.° 43 pag. 29).
La divulgazione
delle notizie - come si vede - è grave.
Sono stati adottati provvedimenti da parte degli organi a presidio della nostra
banca? Rispondono al vero carte, notizie e dati propalati? Se sì, non possiamo
non chiedere come mai dalle pure esagerate valutazioni ispettive, in base alle
quali sofferenze ed incagli assommavano a fine 1993 rispettivamente a L. 847,1
miliardi ed a L. 465,3 miliardi, passano ora, nella nota che ci si chiede di
approvare senza adeguate informazioni, a cifre quasi raddoppiate. Gli ispettori
sono stati ritenuti eccessivamente fiscali: gli stessi esponenti della Banca di
Roma per anni non ne hanno condiviso i dissolventi apprezzamenti. Che cosa è
successo? All’improvviso c’è stata la folgorazione come Saul sulla via di
Damasco? E non si ritiene di ragguagliarci? Quali le responsabilità dei nuovi
amministratori? Quali i fatti nuovi che hanno imposto decisioni tanto
devastanti? Nulla di nulla nella relazione che abbiamo sotto mano. Le
superfetazioni si limitano a quei pochi accenni che abbiamo già
richiamato. Ma un grave dubbio ci
assale: non è che si è portato a sofferenza l’impiego vivo dell’ispettore del
1993 e per converso si continua a tacere sullo stato di decozione di tanti
altri e veri crediti in sofferenza o in incaglio, sol perché magari amici del
padrone? E qui dobbiamo essere schietti sino alla ferocia.
Tralasciamo ogni riferimento alla martoriata posizione
Casillo (solo ci piacerebbe sapere se i perduti 158 miliardi di cui leggiamo
sulla stampa siano conteggiati nel subtotale di L. 1.434,2 miliardi di pag. 20
del bilancio 1997 oppure no: ed al contempo vorremmo sapere dall’ispettorato
interno – nessuno può sottovalutare l’acume irriducibile di Maffucci, neppure
Barbagallo - se i noti libretti per
quasi 4 miliardi, prima rivendicati da un celebre personaggio e poi fini nelle
mani omonime di un ultraperdente nostro vecchio affidato, a scare bene non
erano riserve occulte in collaterale dei debiti Casillo). Ma ci vogliono lor
signori spiegare quale decorso hanno avuto i rapporti Parmalat, Mediofin, Pafi
che stando alle notizie di stampa avrebbero contratto “prestiti che sarebbero
stati utilizzati per l’acquisto di azioni, per un controvalore di 50 miliardi,
dello stesso istituto di credito”. Quei prestiti che fine hanno fatto? Sono
finiti tra le sofferenze? Tra gli incagli? O sono stati recuperati? Come?
Quando? Con intervento di chi? Se la Banca di Roma - direttamente o
indirettamente - si è data da fare per acquisire interessenze al capitale
sociale della nostra banca per compensare quei prestiti, sono state rispettate
le norme - dure e paralizzanti - che in questi ultimissimi anni sono state
emanate a difesa della borsa?
Occorre scendere ancor più in dettaglio. Abbiamo diritto di
sapere che fine hanno fatto i rapporti creditizi su cui si soffermavano gli
ispettori della Banca d’Italia nei seguenti rilievi:
- quelli che
nel rilievo sub 1) ultimo capoverso gli ispettori definiscono “crediti,
anch’essi di rilevante ammontare e oltre tutto riguardanti nominativi legati
alla banca da vincoli partecipativi”, di cui stigmatizzano la “crescita delle
esposizioni in misura non proporzionata alle effettive potenzialità economico
patrimoniali dei singoli affidati, con refluenze sulle stesse possibilità di
recupero delle creditorie e ciò pure in presenza di reiterate iniziative di
sostegno e di ristrutturazione ...”. Siffatte temute refluenze vi sono state?
Quali provvedimenti ha adottato la nostra banca? E’ stata equanime? Ha avuto
indulgenze per alcuni e discriminatori accanimenti verso altri? Si pensi che i
nominativi qui sotto tiro dagli ispettori della Banca d’Italia godevano allora
di crediti per complessive L. 377.339 milioni su cui gli ispettori prevedevano
perdite per L. 73.992 milioni. Quelle perdite si sono poi verificate? Quando
sono state rilevate? Quando sono finite a carico del conto economico? Quali
cautele sono state adottate?
In particolare, quale è stato
l’atteggiamento verso i 20 rapporti del gruppo di pag. 2 dell’allegato 3b,
esposto per L. 133.978 milioni con perdite previste dagli ispettori per L.
73.992 milioni? Si sono avute indulgenze per affinità politiche? Il socio egemone
è stato indifferente o ha suggerito blandizie? Quanto poi al gruppo di cui a
pag. 4 del menzionato allegato (primo affidato cod. 7275...) le previsioni di
perdite degli ispettori (L. 27,9 miliardi su L. 50,7 miliardi di esposizione)
si sono verificate? Vi sono intese in corso? Di che tipo? Si sono ammesse
interferenze in Consiglio per presenze obiettivamente conflittuali?
In ordine all’incandescente
rapporto di cui a pag. 9 (Codice primo affidato: 5283...), esposizione per L.
141,3 miliardi; previsioni ispettive di perdite solo L. 1,4 miliardi, davvero
le perdite si sono rivelate così esigue? Il comportamento degli esponenti
aziendali è stato congruo? Vi sono state ingerenze per soluzioni patteggiate?
Vi è stato un qualche interesse del socio egemone?
Il gruppo di cui a pag. 11 (cod.
7594 primo affidato) - esposizione L. 6,3 miliardi con perdita prevista
integrale - è stato congruamente gestito? Si è ritenuto di privilegiarlo con
discriminanti acquisti di proprie azioni?
Quanto al gruppo di cui a pag. 12
(cod. primo affidato 5092...) - esposto per L. 38,4 miliardi; previsione di
perdita zero - attesa la natura di incagli secondo gli ispettori , sono state
esplicate le procedure di recupero dell’ingente creditoria con solerzia ed
efficacia? Se sì, quali e con quale risultato?
Il gruppo di cui a pag. 11 (cod.
primo affidato 3552...) - esposizione L. 6,7 miliardi; perdita prevista:
integrale - ha poi generato quell’esito tanto catastrofico? Per quali azioni
della banca? Con quali refluenze sul conto economico della nostra banca?
In definitiva, come mai nella
relazione del bilancio non v’è alcun accenno a fatti sì gravi, pregiudizievoli
dello stato patrimoniale, con quelle che gli ispettori chiamano refluenze
economiche? Se all’improvviso, e solo quest’anno, quelle posizioni, in tutto o
in parte sono finite a sofferenze, perché si è atteso tanto? In ogni caso, ogni
reticenza in proposito non è suscettibile di censura sotto il profilo della
chiarezza, della verità e correttezza della situazione patrimoniale e
finanziaria? Sussulti nell’imputazione di ammortamenti, si è sicuri che non
rappresentino indebito scompiglio del risultato economico dell’esercizio? Non
si pensa che l’eccezionalità dell’impostazione di bilancio di quest’anno merita
tutte quelle informazioni aggiuntive previste ed imposte dall’art. 2423? Dove
sono, visto che noi non riusciamo assolutamente a coglierle in quelle
asfittiche, anonime, dispersive e sedicenti note integrative?
b) - Si
domanda quale evoluzione hanno avuto gli affidamenti stigmatizzati dagli
ispettori nel rilievo sub 19). Vi si dice che trattavasi di “società ...
ampiamente finanziate dalla banca con crediti che in sede ispettiva sono stati
classificati tra le sofferenze con previsioni di perdita”. Ricordiamo che
l’esposizione (cod. primo affidato: 4029.. cfr. pag. 3 allegato 3b) ammontava a
complessive L. 9,7 miliardi con perdite
previste per L. 6,3 miliardi. Non ha proprio nulla da dire il consiglio ai soci
in sede di approvazione del proposto bilancio?
c) - Le note
critiche del rilievo sub 12) hanno consigliato un qualche comportamento
responsabile da parte degli attuali amministratori o si è lasciato il tutto
com’era senza preoccuparsi di attivare una qualche azione per il recupero delle
ragioni creditorie della nostra banca?
d) - Analoga
domanda è da porre per il rilievo sub 13).
e) -
L’esposizione narrata e stigmatizzata nel rilievo sub 14) avrebbe dovuto essere
oggetto di particolare attenzione da parte degli amministratori; si sono
costoro prodotti in qualche iniziativa?
f) - Nel rilievo
sub 15) si accenna ad “un affidamento in conto corrente di L. 6 miliardi” a
favore di una società di appartenenza di un consigliere, con un illegittimo
debordo notevole. Al di là dell’assoluzione chiesta - ed ottenuta - dal PM, la banca si è premurata
di estromettere un cliente cosiffatto? Quel rapporto sussiste ancora? E’
regolare?
g) - Non hanno
gli amministratori nulla da dirci sui rapporti creditizi censurati nel rilievo
sub 16)?
h) - Nel
rilievo sub 19) emergono inquietanti accenni a strani rapporti d’affari con
industriali del Nord, che ricchissimi per i fatti loro, alla Mediterranea hanno
fatto ricorsi per “buffi” di cui vorremmo sapere l’esito. A scanso di equivoci,
a noi preme sapere se i finanziamenti al gruppo di cui a pag. 10 dell’allegato
3b (primo affidato cod. 7166 ...) ammontanti allora a complessive L. 16,8
miliardi, siano poi sortiti dalla situazione di incaglio (giusta valutazione
ispettiva) o siano deteriorati. In particolare come i signori industriali del
Nord si sono comportati con la nostra banca? Hanno assolto i debiti interessi?
In misura equa? O mantenendo scandalose condizioni di favore (leggere per
credere le note dei consulenti del PM, attualmente in libera circolazione come
abbiamo sopra detto)? Ma anche alla
capofila erano stati accordati 30 miliardi che pare siano sfuggiti
all’attenzione degli ispettori. Nel solito libello dei consulenti - che
Simonetti acclude alla sua interrogazione - si legge a pag. 89: «Complessivamente i fidi accordati erano pari
a L. 30.000 mln. (10.000 mln. c/c; 10.000 mln portafoglio sbf 10.000 mln
anticipi import) e non erano assistiti da alcuna garanzia. I finanziamenti in
parola venivano deliberati in data 13.7.93. [...] Per quanto riguarda il tasso
da applicare alla facilitazione è da rilevare che .. si faceva riferimento al
“Prime rate ABI” [...] Dalla comunicazione dei tassi inviata il 10.9.93 ... si
evinceva l’applicazione dell’unico tasso dare dell’11,625%; venivano quindi
esclusi i maggiori oneri connessi al secondo tasso dare e alla commissione di
massimo scoperto.» E subito dopo - in relazione alla collegata, peraltro di
risibili rispondenze patrimoniali - si annotava (pag. 90): « ... il
finanziamento accordato non era assistito da alcuna garanzia.» A pag. 103 e
segg. I consulenti si allargano in considerazioni che invero non hanno trovato
nessuno ascolto nel PM e non val la pena qui di farvi in alcun modo ricorso. Ma
è opportuno invece che gli amministratori ci ragguaglino su tali criticabili
rapporti creditizi, sulla loro eventuale sistemazione, sul raddrizzamento delle
clausole contrattuali relative alla remunerazione. Non vorremmo che il
potentissimo gruppo - in particolare consuetudine fiduciaria con il socio
dominante - sia riuscito a mantenere una posizione di favore creditizio a tutto
danno della nostra banca. Gli amministratori hanno l’obbligo di fugare almeno
gli effetti alone che la divulgazione degli atti istruttori vanno nefastamente
producendo, con ulteriori appesantimenti della fragile operatività della nostra
banca. Il lasciar correre sarebbe insipienza imperdonabile: un consiglio di
amministrazione meno subalterno a soci extraterritoriali sicuramente non
permetterebbe campagne di stampa cosiffatte. Per converso l’eccessiva reticenza
verso i soci sarebbe di beffa oltre che di danno.
i) -
Estrapoliamo dal rilievo n.° 20 l’accenno alla posizione perdente di cui a pag.
5 dell’allegato 3b (cod. primo affidato 2336...). Abbiamo qui un’esposizione di
L. 15,1 miliardi su cui gli ispettori prevedevano una perdita pressoché totale
per L. 11,4. Occorrono le debite
informazioni, del tipo di quelle che abbiamo sopra puntualizzato.
j) - Ci
riferiamo alla parte del rilievo 22 - punto b) - per sapere che fine ha fatto
la posizione (cod. primo affidato 2500...) ammontante allora a L. 7 miliardi
circa con previsioni ispettive di perdita per L. 6,9 miliardi.
k) - Quanto al rilievo sub 35) non si possono
ulteriormente tacere gli sviluppi dei rapporti creditizi relativi alla
“posizione che, nonostante l’apparente sistemazione effettuata attraverso la
cessione di effetti a carico di altro nominativo ..., classificato anch’esso in
sede ispettiva tra le sofferenze con previsione di perdita, presentava ancora
nel mese di maggio 1994 una residua rilevante debitoria”; e relativi anche alla
“società largamente e ripetutamente sovvenuta con nuove erogazioni, nonostante
l’andamento dei relativi conti presentasse da tempo marcati sintomi di anomalia
(sconfinamenti sui conti correnti notevolmente eccedenti i fidi accordati e
rate impagate di finanziamenti in valuta per cifre rilevanti).
l) - Del pari
vanno forniti dati, ragguagli e chiarimenti in ordine alle posizioni censurate
dagli ispettori nel rilievo n.° 36 lettera a); lettera c); lettera d); così
come deve essere fatto per il rilievo n.° 37, lettera a); lettera d), nonché
per il rilievo n.° 38, per il rilievo n.° 39, per il rilievo n.° 40, per il
rilievo n.° 41 e per il rilievo n.° 42.
m) - In sintesi il già citato rilievo n.° 43
doveva essere di guida ad una nota integrativa ai sensi dell’art. 2423 c.c.
Mancando - come manca questa - il bilancio è improponibile e se si insiste a
farlo approvare utilizzando magari la forza preponderante del socio egemone
resterà di tutta evidenza la volontà indomabile di imporre decisioni esiziali
per la sopravvivenza della banca, come sono quelle degli ammortamenti
improvvisi dissolventi ogni redditualità bancaria per perdite note da tempo e
che da tempo avrebbero dovuto essere portate a conoscenza senza indugio in
assemblee straordinarie dei soci ai sensi della inderogabile normativa civilistica.
* * *
Non va poi dimenticato che già nel
1990 (dal 17.9.1990 al 1.2.1991) la
nostra banca era stata assoggettata ad un’altra ispezione della Banca d’Italia.
Anche allora erano emerse sofferenze ed incagli non rilevati prontamente e non
segnalati alla stessa Banca d’Italia. I nostri attuali amministratori hanno
tratto ammaestramento da quei rilievi o hanno continuato a sovvenire taluni
clienti di dubbia rispondenza patrimoniale? Nell’empito repressivo dei
precedenti esercizi, hanno riesaminato tutte quelle posizioni censurate dai
precedenti ispettori? ne hanno tratto le debite conseguenze? O hanno reputato
che sono svincolati da regole di indiscriminata obiettività, per cui possono
sciogliere o legare secondo che loro più aggrada? Si esaminino gli allegati n.°
3; 3/1; 4/1 e ci vengano fornite le informazioni del caso o meglio le
giustificazioni per tardivi ammortamenti - se vi sono - o per inadempienze
nelle segnalazioni di Vigilanza - se vi sono. Se tutto dovesse essere regolare
- e noi ce lo auguriamo, ci si dia la liberatrice assicurazione formale. Quel
che per ora sappiamo che, come detto, vi sono stati “noti - e noi li ignoriamo
del tutto, diversamente, a quanto pare, da quel che conosce la stampa -
fenomeni di deterioramento della qualità del credito” (vedi pag. 1 Relazione
Bilancio). Ma se il bilancio chiude con 220 miliardi di perdita per quei
fenomeni, questi fenomeni bisogna bene spiegarli, pena l’occultamento delle
reali condizioni della società amministrata.
* * *
Non sappiamo se si fosse trattato
di una frase di cortesia o peggio: a pag. 2 del bilancio 1997, invece di
ragguagliarci sul tonfo che si è voluto far fare alla nostra banca , gli
amministratori avevano voglia di volerci
far credere che tutto il male avutosi ora passerà perché «L’attività operativa permane, comunque improntata a precise politiche
di rilancio aziendale, di miglioramento della struttura dell’attivo in
un’ottica di riqualificazione degli impieghi e di contenimento di costi
realizzando al riguardo sensibili risparmi anche grazie all’attivazione di
concrete e possibili sinergie con la Capogruppo Banca di Roma.» Restiamo
stupefatti: di grazia ci si dica almeno ora quali sono state queste ”concrete
sinergie” con la Capogruppo Banca di Roma? Forse quelle che ci vengono con il
dirottamento verso i nostri lidi di funzionari in prequiescenza per
remunerazioni da capogiro come le inspiegate poste di bilancio qua e là
lasciano intendere? Quelle poste di bilancio che abbiamo già richiamate ci
vogliono venire spiegate in relazione a tali conclamate sinergie? O la
reticenze è sinonimo di confessione?
Abbiamo avuto fra le mani un
“verbale di riunione” del 12 febbraio 1998 di un gruppo di soci di minoranza da
cui noi dissentiamo. Là, ad un certo punto, in termini volutamente equivoci si
afferma: «Lo stato d’animo ... è stato
purtroppo alimentato da una serie di delusioni quali:
La mancanza di un vero progetto di rilancio
della Banca Mediterranea, che non fosse enunciazione di principio e che si
traducesse in un concreto piano industriale;
Lo scarso riscontro nei fatti delle ripetute
affermazioni del socio di maggioranza di essere nell’imminenza di porre a
disposizione della Banca Mediterranea il proprio know-how, in particolare con
la distribuzione di nuovi e più articolati strumenti finanziari;
Una politica del credito molto restrittiva,
che alla scarsezza dei volumi ha aggiunto la lentezza dei tempi decisionali,
traducendosi sia nella cattiva gestione d’alcuni clienti affidati, che con
maggiore elasticità potevano essere accompagnati nella loro ripresa, sia
nell’allontanamento dalla Banca mediterranea di altri che, in considerazione
del loro equilibrio gestionale, possono con maggiore facilità attingere credito
ad altre banche, il cui iter deliberativo è più rapido.
il sintomatico rifiuto di poter garantire le
posizioni affidate con le partecipazioni azionarie nella stessa Banca
Mediterranea; ciò non tanto per motivo di merito, ben comprendendosi che una
diversa scelta avrebbe esposto l’azienda al rischio di una diluizione del
proprio patrimonio, legalmente inammissibile, quanto per ragione di forma:
troppe volte gli stessi dirigenti della Banca Mediterranea, anche quelli
espressione dell’azionista di maggioranza, hanno dato all’interlocutore
l’impressione di considerare tali azioni come di poco valore.»
Non v’è chi non veda come sotto
gentili espressioni si nasconda un’aspra stroncatura dell’attuale gestione. Non
sappiamo - o se lo sappiamo, non siamo in grado di provarlo - che fine abbia
fatto e che intenti abbia perseguito siffatta querelle. Noi qui la proponiamo ufficialmente per avere le
giustificazioni da parte degli attuali proponenti del bilancio, visto che vi
sono appunti che ne mettono in dubbio l’oculatezza delle scelte di bilancio. Ma
ciò che più ci preme è quest’altro passo: «.. la difficoltà per il socio di maggioranza di tradurre in concreto un
piano di sviluppo di una partecipata nelle more di delicate scelte d’assetto e
di proprio piano industriale.» E tanto si accende di luce sinistra se si ha
ricordo di ciò che viene insinuato in esordio di discorso e cioè allorché -
intenda chi ha orecchie per intendere - ci si proclama increduli su alcune
voci, arrivando ad affermare - per negare - che
«è parere degli intervenuti, per
esempio, che non siano vere le insistenti voci di una gestione poco trasparente
del portafoglio titoli della Banca Mediterranea, secondo le quali esso sarebbe
gestito avendo a mente più l’interesse dell’azionista di maggioranza che quello
della compagine sociale nel suo complesso.» Quei soci maliziosetti - dopo
avere buttato il sasso nello stagno - vorrebbero farci credere che a loro
avviso «tali voci non appaiono degne
d’attendibilità alla luce d’elementi sia morali sia logici.» Gli elementi morali e logici in faccende di
portafoglio sono obiettivamente inafferrabili. Siamo andati a vedere tutto
quello che in bilancio vien detto in proposito. Nulla. Speriamo che dietro
questa nostra sollecitazione venga sbaragliato il campo dalle cortine fumogene
di quegli avveduti soci di minoranza. Ci si dica in particolare che mai e poi
mai sono stati venduti titoli per decine di miliardi alla casa madre ad alto
rendimento, per poi far ricorso a titoli a basso rendimento. Ci si dica in
particolare che mai operazioni della specie siano state decise unilateralmente
- o se in compagnia, in compagnia di chi - da qualche autorevole membro del
consiglio di amministrazione, ignaro o con disprezzo dell’evidente conflitto
d’interesse cui si andava ad incocciare. Ci si dica se davvero perdite non
siano venute alla nostra banca da operazioni con la banca padrona, specie con
arzigogolate operazioni di swap o giù di lì, finite con l’accentuazione anziché
con l’affievolimento del coefficiente di rischio. Poste di bilancio che
facciano sospettare operazioni del genere ce ne sono tante: uno straccio di
spiegazione non si trova manco a pagarlo a peso d’oro. Qui però non è in gioco
l’abilità strategica nella gestione del portafoglio titoli del nostro
amministratore delegato, qui è in discussione un bilancio su cui le insipienze
e le digressioni conflittuali, magari per giustificare con la casa madre gli
elevati emolumenti, si scaricano sulla Mediterranea con violenza sovvertitrice
della redditualità. C’è in questa sede chi ancora va alla ricerca di tarde
vendette contro antichi nemici forse d’alcova. Noi - e speriamo tanti altri
soci piccoli come noi - andiamo alla ricerca solo di ancore di salvezza per la
nostra gloriosa e maltrattata - anche dalle autorità tutorie - banca
Mediterranea. Gli amministratori hanno
ancora tempo per dare le opportune testimonianze in modo da costringere le
autorità tutorie ad interessarsi alla nostra banca con maggiore sapienza di
quanta sinora dimostrata.
Il terremoto che è avvento nel
comparto titoli emerge da queste aride poste. I soci ben poco possono capirci.
Voce 50:
obbligazioni e altri titoli di debito: anno 1997 L. 360,8
miliardi; anno 1996: L. 246,9; miliardi;
variazione + 113,8 miliardi; in percentuale + 46,1%,
voce
|
1993
|
1994
|
1995
|
1996
|
1997
|
1998
|
30/06/99
|
voce 20 titoli tesoro
|
572,3
|
802,5
|
1297,473
|
1622,309
|
1334,512
|
1322,739
|
978,069
|
E che è successo? Proprio negli
anni (1996-1997) in cui i titoli di stato sono stati dimezzati nel loro
rendimento, la nostra banca invece di operare alternativamente si butta o butta
tutto sui titoli? Si spiega allora il tracollo della redditività. E ciò per
colpa di chi? Dell’amministratore delegato? Si vuol venire qui a spiegare, a
giustificare? In bilancio non troviamo neppure una nota in proposito.
Voce 130:
altre attività: al 30/6/1999 L. 106, 486 mld (a fine anno, non
prevedibile); anno 1998 L. 263,590; anno
1997 L. 208,9 miliardi; anno 1996 L. 184,1 miliardi. Trattandosi di voce per
sua natura residuale andava delucidata con pagine e pagine di note
illustrative, ma niente di tutto questo. Dobbiamo accontentarci di una tabella Beh!
Lì apprendiamo che quelle attività sono composte da partite viaggianti (ma il
bilancio non dovrebbe avere partite viaggianti: le provvisorie appostazioni
contabili devono essere tutte recepite nei conti di pertinenza, altrimenti si
forniscono informazioni inesatte e scorrette. Che ci sta in quel viaggiare di
partite? Perdite? Regalie? Emolumenti occulti? Leggere per capire i rilievi
degli ispettori della Banca d’Italia in circolo per Potenza come un romanzetto
d’avventure.
Sappiamo poi che vi sono 22,1 partite ancora in corso di lavorazione: una piccola banca che resta
ascosa; un mistero per tutti anche per chi redige il progetto di bilancio. E
completa il guazzabuglio la singolare:
partite definitive ma non imputabili ad altre voci. Noi chiediamo che cosa
sono. Abbiamo diritto a sapere.
E potremmo continuare. La
resipiscenza degli amministratori potrebbe impedirci l’ingrato ma inevitabile
fardello di dibattere queste questioni in altre sedi.
* * *
Un punto dolente - dolentissimo - è
la voce 120: Azioni o quote proprie
(valore nominale Lit. 4.193.325) : al 30/6/1999 L. 5.921.061.000. Ci
saremmo aspettati un profluvio di parole (giustificatrici); invece niente. Un incremento
di acquisti azionari propri nel bel mentre si verificava un crollo verticale
della redditività e delle valenze patrimoniali è davvero una rimarchevole
contraddizione. Ci dispiace per quei soci adunatisi il 12 febbraio del 1998:
qui la banca sembra agire in senso diametralmente opposto ai loro flebili
lamenti. (Ricordate quel passaggio sull’ «impressione di considerare tali
azioni come di poco valore”?) Non credo
che lor signori reputino esaustive degli obblighi di legge quello che dicono nella
nota. Là - scolasticamente - si ripete la lezioncina dei testi elementari di
diritto commerciale: «Le azioni proprie sono iscritte in bilancio al costo.
Alle stesse si applica la disciplina prevista dall’art. 2357 e seguenti C.C.» E vorrei vedere che si dicesse il contrario?
Il ragguaglio è del tutto tautologico. Si dirà che basta ed avanza la tabella
di pag. 46. E no, cari signori. Leggetevi la pag. 60 della consulenza
Sandulli-Scorza che Simonetti ha divulgato. Ad ogni buon conto la leggiamo noi
per voi. «Alla luce delle considerazioni
che precedono, vanno lette, dunque, tutte le indicazioni che gli amministratori
hanno ritenuto di dover fornire nel bilancio relativo ... e vanno anche
apprezzate le omissioni delle relazioni sulla questione in ordine ai motivi
degli acquisti di azioni proprie da ... , informazioni dovute in base alle nuove norme in materia di
bilanci bancari. Ed infatti, l’art. 3 del decreto legsl. 87 del 27 gennaio 1992
prevede che nella relazione sulla gestione siano indicate “il numero delle
azioni o quote proprie sia delle azioni o quote dell’impresa controllante
detenute in portafoglio, di quelle acquistate e di quelle alienate nel corso
dell’esercizio, le corrispondenti quote di capitale sottoscritto, i motivi
degli acquisti e delle alienazioni ed i corrispettivi.»
Non fraintendiamo, dove sono tutti
siffatti elementi? Nella tavola di pag. 46 riusciamo a sapere che nello scorcio
di esercizio vi sono stati acquisti per n.° 15.500 azioni proprie, ma rispetto
al precedente giugno del 1998 risulta un incremento per L. 2411653/m). Quello che è grave che ancora una volta gli
amministratori non pare che abbiano voglia di essere trasparenti in sede di
bilancio in ordine a) alle corrispondenti quote di capitale sottoscritto; b) e
soprattutto in tema di “motivi degli acquisti e delle vendite”. Almeno in
questa sede ci si vuol dire quali motivi sussistono in ordine ai seguenti
acquisti:
data operazione data delibera n.° azioni
2/1/97
|
9/12/96
|
4.000
|
3/1/97
|
9/12/96
|
72.000
|
21/2/97
|
9/12/96
|
3.000
|
5/3/97
|
25/2/97
|
14.290
|
27/3/97
|
20/3/97
|
8.000
|
8/4/97
|
20/3/97
|
1.404
|
29/4/97
|
28/4/97
|
43.142
|
20/5/97
|
21/4/97
|
9.000
|
21/5/97
|
21/4/97
|
8.760
|
7/7/97
|
30/6/97
|
1.000
|
15/7/97
|
30/6/97
|
6.000
|
17/7/97
|
30/6/97
|
4.000
|
28/7/97
|
30/6/97
|
10.000
|
28/7/97
|
21/4/97
|
1.000
|
1/8/97
|
30/6/97
|
5.000
|
5/9/97
|
30/6/97
|
19.500
|
9/9/97
|
30/6/97
|
2.000
|
17/10/97
|
21/4/97
|
3.750
|
Totale
|
215.846
|
Quali le ragioni per preferire
codesti acquisti (e quelli successivi) a danno di altri soci esclusi? Si deve
escludere la semplice discriminazione? Non si diano risposte affrettate, perché
chi parla è in grado di fare le debite smentite.
Ma diamo uno sguardo alle attuali
giacenze relative a precorsi esercizi. Nel 1995 abbiamo avuto n.° 847.455
azioni acquistate per essere cedute tutte quante, unitamente ad altre n.°
812.545 in portafoglio, alla Banca padrona di Roma all’identico prezzo
d’acquisto - o forse al ridotto valore
bilancio - di L. 8.000, senza alcuna commissione o provvigione per
l’intermediazione prestata dalla nostra banca. Anche allora non vi era
conflitto d’interesse? Si reputa di non dovere dare neppure ora una qualsiasi
spiegazione?
Sarebbe interessante conoscere i
motivi degli acquisti del 23/6/95 (delibera del 9/5/95) per complessivo numero
249.290 per l’ammontare di L. 1.994.320.000. Perché furono taciuti i motivi?
Non furono anche allora praticate discriminazioni? Del pari ci vogliono almeno
ora dire loro signori che cosa li spinse a fare gli acquisti del 10/7/1995
(delibera del 9/5/95) e quelli del 13/7/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del
18/7/1995 (delibera del 9/5/95) e quelli del 18/7/95 (delibera del 9/5/95) e
quelli del 24/7/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 24/7/95 (delibera del
9/5/95) e quelli del 13/9/95 (delibera del 9/5/95) e quelli per n.° 102.000
azioni del 14/9/1995 (delibera del 9/5/1995) e quelli del 27/9/95 (delibera del
9/5/95) e quelli del 23/10/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 24/10/95
(delibera del 9/5/95).
Passando al 1996 sarebbe ora di
spiegare l’ordine dei motivi che hanno spinto all’acquisto di n.° 207.330
azioni, soffermandosi in particolare su queste operazioni: data 18/7/96
(delibera 13/6/96; data 17/10/96 (delibera 12/9/96) e soprattutto sull’acquisto
di n.° 120.000 (per un importo di Lire 960 milioni) del 31/12/1996 (delibera
del 9/12/96) mentre ad altro socio si negava la compensazione per cifre di gran
lunga inferiori. Si è forse mai detto qualcosa in proposito? L’art. 3 n.2
lettera b) del decreto legsl. 87 del 27 gennaio 1992 forse è stato abrogato ad
insaputa dei consulenti del PM? Noi non l’abbiamo letto nell’elenco delle norme
abrogate di cui all’art. 161 del D.LV. 1° settembre 1993, n.° 385. O forse si
reputa che le leggi valevano per i vecchi signorotti potentini ma non possono
avere valore tranchant per gli uomini dei grandi potentati bancari romani?
* * *
Anche per stanchezza, tagliamo a
questo punto, con riserva comunque per ogni altro aspetto censurabile che per
caso dovesse essere sfuggito. Gli ultimi nostri rilievi critici riguardano la
proposta di ripianamento delle perdite del 1997. Lor signori hanno voluto
svuotare la posta del passivo: fondo sovrapprezzo azioni pari a lire 101.385.862.156.-
Quale disponibilità ne avevano e quale legittimazione ne ha soprattutto il
socio dominante. Rammentiamo a noi
stessi che quel fondo è stato costituito ancor prima dell’avvento della Banca
di Roma. Al 31.12.1993 il fondo era di Lire 106.185.458.756. Con l’avvento dei
signori di Roma, il fondo come si vede si è contratto. Nel 1996 una
rastremazione per lire 3.956.269.000 è passata sotto il naso dell’assemblea dei
soci. Ma se così è stato una volta fatto non significa che si possa sempre
fare. Ora l’assemblea deve essere vigile. Il socio dominante non ha contribuito
alla costituzione del fondo: sono risparmi sudati dei vecchi, malconci soci ad
averlo costituito. E’ obbligo morale e giuridico mantenerlo sino all’estremo.
Il socio dominante non può quindi disporne; non può dilapidarlo. Il meno che si
deve esigere che nell’eventuale votazione al riguardo esso doverosamente si
astenga e lasci integra ai soci di minoranza la responsabilità della decisione.
I soci di minoranza dovrebbero essere un tantinello avveduti da capire che non
è questione formale e rigettare la proposta dei signori amministratori. Il
bilancio ritornerebbe indietro per le rettifiche di competenza. Se i soci di
minoranza non sono avveduti, pazienza. Almeno: chi è causa del proprio male
pianga se stesso. Va da sé che qualora il socio dominante faccia qui orecchio
da mercante e con il peso della sua maggioranza assoluta approvi egualmente
l’improponibile, vedremo in competente sede chi ha ragione. Noi almeno abbiamo
posto il problema e l’uomo avvisato dovrebbe essere mezzo salvato.
Altro
aspetto inquietante di quel bilancio è stato quello di avere voluto utilizzare
l’avanzo di fusione. Si chiesero lor signori chiesti che cosa fosse
quell’avanzo di fusione? Non sanno forse che è mero residuo contabile del
compattamento delle poste di bilancio di due società fusesi? Non sono tanto
addentro alle segrete cose fiscali per cui la posta contabile è neutra fino a
che non se ne faccia un effettivo utilizzo? Abbiamo proprio voglia di andare a
pagare un mare di imposte solo per disattenzione? Magari, si penserà che nulla
si debba al fisco e si procederà come se niente fosse. Il futuro accertamento -
si sa che il SECIT ha un conto aperto con tali faccende di fusione - ricadrebbe
sulle spalle già martoriate dei poveri soci di minoranza. (Noi temiamo che il
socio dominante stia per spogliarsi di questa ingombrante partecipazione, ad
onta dell’asserito carattere di
partecipazione strategica, asserzione sinora utile per esigenze di quieto
vivere sindacale).
1 commento:
Una lunga requisitoria di vent'anni fa. Che ci azzecca? E' cosa per gli addetti ai lavori (le satrapie bancarie, cioè). Ed è cosa che la recente incauta intervista GERONZI ha reso di inquietante e drammatca attualità. Sono considerazioni, punzecchiature, insinuazioni, intoppi per misteri callidi. Ne fu fatta istanza di chiarezza alla CONSOB del tempo. Nessuna risposta esplicativa. Solo uno scarno cenno di avvenuta ricezione con la pecisazione che siffatta pubblica Autorità non fornisce chiarimenti a "privati". Ma alle competenti autorità inquirenti, quei chiarimenti sono stati dati? Anche qui, il silenzio si addice ad ... ELETTRA.
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