venerdì 5 luglio 2013

L'arciprete Casuccio ne Le Parrocchie di Ragalpetra di Leonardo Sciascia

L'arciprete Giovanni Casuccio non fu molto antipatico a Leonardo Sciascia. Lo scrittore intimamente anticlericale finisce col vedere quasi in positivo questo prete alto di statura magari per il gusto di stare in contrapposizione alla locale comunità ecclesiale che nutriva ripulsa verso codesto pastore di anime.
E cos' il primo prete con cui ci si imbatte leggendo le Parrocchie di Regalpetra è proprio lui. Tradizionale festa quella del Monte a Racalmuto, nel Santuario posto in alto vi si accede con una scalinata erta e piena di scalini sia pure a larga spianata. I muli con le provvisioni (un tempo quasi in esclusiva, ma ora soppiantati da fieri cavalli bardati) vi salgono veloci sospinti da grida e qualche frustata dai padroni. Un tempo, fino a qualche anno prima della pubblicazione delle Parrocchie, le bestie entravano per il gran portone, il tempo per depositare i sacchi di frumento delle "prummisioni" e quindi l'uscita per la porta fanza. Ma a metà degli anni '50 vi fu un divieto episcopale per l'entrata in chiesa degli animali. Apriti cielo, quasi una rivolta popolare. Vi si aggancia Sciascia per raccontare che " alla comunicazione del divieto furore di rivolta agitò i regalpetresi. Incerti, .... gli offerenti non sapevano che fare; ma gli spettatori sciolsero ogni dubbio - niente muli in chiesa, niente frumento." Noi invero la storiella la sappiamo un po' diversa. La minaccia vi fu ma venne subito concordato un compromesso: il frumento venne lasciato sul portone e i muli poterono ritornare indietro girando l'angolo della chiesa.
Sciascia mette sale su quella pustola e soggiunge: "manco a dirlo, la colpa del divieto fu attribuita all'arciprete ... perché il popolo ritiene che a far dispetto al paese, in materia di fede o di politica l'arciprete ci gongola". Anche qui dissentiamo: a me dissero che il divieto episcopale l'aveva sollecitato il nuovo rettore del Monte, l'arcigno padre Farrauto che comunque riscuoteva profondo rispetto presso i fedeli, specie al Carmelo ove era stato parroco. E fu proprio per questo che il popolo racalmutese, edotto delle ragioni del provvedimento, e per la stima riscossa da padre Farrauto, subito si conformò al decreto episcopale e lasciò solo borbottare i soliti tradizionalisti, tanto ciarlieri quanto negletti.
Sapido comunque Sciascia che così continua nel dileggio-difesa dell'arciprete Casuccio: "qualunque cosa crederebbero i regalpetresi  dell'arciprete, che tiene un harem o che mangia a bagnasale i lattanti, qualunque atroce cosa." Ma anche qui qualche piccola distorsione della realtà dei fatti. Certo l'arciprete Casuccio, pur così austero, quasi sosia di Pio XII, amato non era. E quanto a cose di sesso, a Racalmuto per ogni prete c'è un'aureola denigratrice. Ironici i più colti dicono che le donne sono attirate dalle tonache in cerca dell'uccel di Dio. L'arciprete Casuccio era un  bell'uomo e certo un tiaso di orsoline e qualche matrona d'alto bordo lo adoravano. Ma noi sappiamo, il tutto nei rigorosi limiti di quel che si chiama amore platonico. Forse nella primissima gioventù, l'arciprete Casuccio qualche peccato di prolifica lussuria ebbe a commetterlo. Così affermava un mio cugino contadinotto, che puntigliosamente annotava nel libro non scritto delle sue memorie illegittimi figli di preti nostrani.  Non gli abbiamo mai creduto.
Dicevamo che a Sciascia, Casuccio in un certo qual senso andava a genio; ecco un passo rivelatore: " e l'arciprete sa di portare cappa di martirio; ha avuto la vigna stroncata, i buoi rubati, lettere minatorie gli arrivano ed insulti; come i santi vengono raffigurati con gli elementi del martirio, l'arciprete di Regalpetra può entrare in una pala d'altare con in mano una lettera anonima."
Sciascia  ha penna fina, lascia il pettegolezzo e passa ad acute note rievocative: " l'arciprete di Regalpetra, cameriere segreto di Sua Santità e dunque monsignore, è un uomo piccolo e scuro [invero, il contrario: alto, persino di tratto aristocratico] le mani sempre congiunte a groppo sul petto, la testa alta come di chi si alza sulla punta dei piedi per guardare al di là delle cose che gli stanno davanti; buon suonatore di organo [non l'abbiamo mai visto strimpellare sull'harmonium che invece suonava la fedelissima donna Marietta] e buon parlatore [noiosissimo quanto incomprensibilmente lungo]; non ipocrita come lo giudicano, ché tutto quello che in lui si trova di sgradevole appunto nasce dalla sua incapacità di mistificazione.
Qualche volta ci incontriamo, e io metto a dura prova la pazienza di monsignore facendo cadere il discorso sulla Spagna, dove loro stanno benissimo, e su Peròn; monsignore si rifà parlandomi di Dio e consigliandomi edificanti letture, forse per la salvezza della mia anima prega, il pensiero che più appassionatamente pregherebbe se ci fosse modo di farmi arrostire su un bel fuoco di legna secca, mi dà un senso di sicurezza di tranquillità; con uno di questi preti nuovi comincio a sentirmi inquieto".

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