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gli alberi
da frutta
Gli alberi da frutta, che un tempo dovevano essere molto
diffusi, furono drasticamente ridimensionati quando i sabaudi, gli austriaci ed
i Borboni ebbero l’infelice idea di tassari in modo capitario.
La rarefazione degli alberi da frutta si coglie benissimo
nel rivelo che il convento degli agostiniani fa agli atti del notaio
Michelangelo Savatteri, il 10 maggio 1754. [1] Il
convento – ove da giovane divenne diacono
fra Diego La Matina - è ancora aperto, ad onta dei divieti papali, ed è davvero
prospero. Eppure, si guardi come sono esigue e ristrette le specie di alberi da
frutta:
«Beni stabili
rusticani
Possiede questo venerabile convento salma 1 e tumoli
8 di terre, atte a giardino secco, in questo stato, contrata S. Giuliano,
confinante con il detto venerabile convento e via pubblica di tutti i lati, che
secondo l'estimo dell'esperto di questa terra ragionati ad onze 120 per salma,
sono di valore cento ottanta onze, o. 180;
Item in dette terre vi esisteno alberi di diverse
sorti, cioè mandorle n.° 70 a tt. 6
per uno sono di valore onze 12 che secondo l'estimo dell'esperto d.o, fanno o.
12
Alberi di olive
n. 12 a tt. 6 per uno sono di valore onze quattro secondo l'estimo dell'
esperto ;
Alberi di pruni [albero che fa le susine = Prunus domestica
culta L., v. Traina] di tutta sorte n.° 200 a tt. 8 per ogn'uno secondo
l'estimo dell'esperto;
Alberi di peri n.° 15 secondo l'estimo dell'esperto
ragionati a tt. 6 per uno sono di valore onze;
Alberi di fastuche [ pistacchio = Pistacium L.) n. 8 che secondo l'estimo dell'esperto a tt.
15 per uno sono di valore onze 4;
Alberi di noci
n. 2 secondo l'estimo dell'esperto unza una per uno sono onze due;
Alberi di pomi
[pyrus malus L., probabilmente compresi gli alberi di “cutugna”, cotogno, Pyrus
cydonia L.] n.° 6 ragionati secondo l'estimo dell'esperto a tt. tre per uno
sono di valore tt. deciotto;
Alberi di granati
[melograno, Punica granatum L. Denominato dalla città spagnola, a memoria
dell’importazione araba] n.° venti secondo l'estimo dell'esperto a tt. 3 per
uno sono di valore onze due;
Alberi di fichi
n.° 15 secondo l'estimo dell'esperto a tt. 4 per uno sono di valore onze due.»
Mancano
aranci e mandarini ed anche limoni. Mancano: gelsi, sorbi, peschi, nespoli,
ciliegi ed altre specie oggi piuttosto ricorrenti nelle campagne di Racalmuto.
Notisi la prevalenza dei frutti invernali. Quanto al valore, questa la
gerarchia: noce (un’onza ad albero); pistacchio (15 tarì ad albero); pruni
(tarì 8 ad albero), nonché mandorli, ulivi e peri (tutti sollo stesso standard
di 6 tarì ad albero) e, quindi, gli alberi di fico (4 tarì ad albero), i
melograni con i pomi a soli 3 tarì ad albero. Si tace sui fichidindia che
dovevano pur esserci.
- le risorse agricole degli agostiniani di S. Giuliano.
Il documento ci pare perspicuo anche per quest’altri
rilievi agrari:
«Possiede pure detto venerabile convento, in detto stato
contrada Barona, salma una e mondelli due di terre scapoli per uso di
seminerio, confinante con Carlo Barone, e via publica, che secondo l'estimo
dell'esperto ragionati ad onze 120 salma sono di valore cento trenta cinque
onze ...... -/ 135.
Possiede più detto venerabile convento tumoli 12 di
terre occupate da n.° migliara 8 di vigne nel feudo delli Gibillini Contrata
Ferraro confinante con vigne di Santo Diana, Nicolò Curto, ed altri, e via
publica, che secondo l'estimo
Possiede pure detto venerabile convento in detto stato
mcontrada Barona salma una, e mondelli due di terre scapoli per uso di
seminerio confinante con Carlo Barone, e via publica, che secondo l'estimo
dell'esperto ragionati ad onze 120 salma sono di valore cento trenta cinque
onze ...... -/ 135
Possiede più detto venerabile convento tumoli 12 di
terre occupate da n.° migliara 8 di vigne nel feudo delli Gibillini Contrata
Ferraro confinante con vigne di Santo Diana, Nicolò Curto, ed altri, e via
publica, che secondo l'estimo dell'esperto ragionate ad onze 12 per migliaro
sono di valore onze novantasei e tarì 10 ....................-/ 125.10.
In dette vigne esiste il Palmento per commodo della vendemmia e con
altre due case di abitazione terrane e cioè una entrata, e l'altra paglialora,
e due camere di sopra, che secondo l'estimo dell'esperto di questa sono di
valore onze trenta
................................................................... -/ 30
In dette vigne vi sono n.° trenta quattro alberi di mandorle, peri,
fiche, ed olive, che secondo l'estimo dell'esperto di questa ragionati a tt. 6
per uno sono di valore onze se, e tarì venti quattro
.........................................................................................................................
-/ 6.24.
Possiede di più detto venerabile convento tumoli 8 di terre atte a seminerio
confinanti coll'istesse vigne di sopra ad onze 64. salma secondo l'estimo
dell'esperto importa trentadue onze .. -/ 32
In dette terre
vi esiste fiumara con sua acqua sorgente in n.° 100 alberi di Pioppo che
prezzati
secondo l'estimo dell'esperto a tt. 8, grana uno, sono di valore onze
quattordici e tarì 20 ..-/14.20»
Lo spaccato contadino del
mondo racalmutese settecentesco si tinge anche di questo tratto non proprio
edificante. I ricchissimi frati di San Giuliano si danno alla questua lungo le
campagne ed ottengono dai devoti villici questi tutt’altro che trascurabili
“introiti spirituali”:
«Introito Spirituale
In primis salme 10 formenti provenuti per questua ragionati a tt. 40
salma importa ...............-/ 3
E più salmi 6 orzi a tt. 24 salma provenuti per questua importa .............................................
-/ 4
E più salmi 4 fave provenute per questua ragionati a tt. 24 salma
importa .............................. -/ 3
E più salme due lenti[cchie] provenuti per questua a tt. 42 salma
importa ....……................... -/ 2
E più salma 1 ceci provenuti per questua ragionati ad -/1.26 salma
importa .................. -/1.26
E più botte sei musto ragionate a onze 1.7 botte
.................................................................-/ 6»
I frati
questuanti portano nelle stive del convento «formenti, orze, fave, lenticchie e
ceci». Il Borbone, da Napoli, insensibile a cosiffatte devozioni, tassa.
Il convento di S. Giuliano ha pure il problema della
gesione delle vigne site al Ferraro: ecco come denuncia il «Prodotto delle vigne di Gibillini»: sono
vigne «date a società, franche d'ogni spesa, un anno per l'altro, [per un
valore di] botte 4 di vino-mosto, ragionate per onze 3,3 per botte.»
Restiamo colpiti da quel pioppeto di 100 albero lungo la
“fiumara” del Ferraro. Oggi, nessuna traccia è più lì rinvenibile, né di
pioppi, né di acque fluenti. Il pioppo,
come i tanti canneti di cui parlano le fonti, erano indispensabili nelle
costruzioni edili. Due grossi volumi contabili denominati “libri della fabrica”
sono consultabili in Matrice ai fini dell’inveramento della costruzione della
nostra chiesa madre, sempre che si abbia voglia di discostarsi delle letterarie
attribuzioni di Sciascia ad un prete in alumbramiento. Nel Seicento si faceva ricorso al pioppetto
di Garamoli. Era difficoltoso ed il trasporto costava. Lo sfruttamento di
facchini era comunque possibile: bastava dar loro “salsicce e vino”. A
comprova, citiamo: «il 22 dicembre del 1658 si pagavano mastro di Napoli e suo
figlio «per havere andato in Garomoli per sbarrare li travetti et n° 3 burduna
che mancano al complimento della nave [della Matrice] ed in più per havere
fatto portare dui carichi di travetti di Garamoli.» Occorrono 20 tarì «per havere fatto venire dui burduna da
Garamoli e più per pani, salzizza e vino a vinti homini che uscirono detti
burduna dentro la fiumana e ni portaro uno a 2 dicembre alli detti Gueli et
Napoli e suo figlio per intravettare e pulire la travetta.» Le tre attuali
navate della Matrice furono dunque intravettate con legname di Garamoli nel
dicembre del 1658, quando don Santo d’Agrò – il prete alumbriato da Sciascia - era
morto da 21 anni (risulta, appunto tumulato, nella parte allora esistente della
Matrice, sotto l’altare della Maddalena il 22 luglio 1637).
I pioppi degli agostiniani del Ferraro non dovevano essere
dissimili da quelli di Garamoli, e del tutto uguali a quelli – radi – che
ancora resistono nello zubbio sotto Fra Diego. Questa è almeno la tesi dei
grandi naturalisti racalmutesi che abbiamo interpellato.
Rintracciato via E-Mail il mio compagno di liceo prof.
Giovanni Liotta, lo apostrofai nel dicembre del 1999 in questi termini:
A Garamoli, dunque, v’era nel 1658 una “fiumana” ove
impenetrabilmente prosperava un bosco di alberi ad alto fusto che
all’occorrenza venivano utilizzati per fare dei “burdana” per il tetto delle
chiese. Qui si tratta della nostra matrice (ovvio che quella di cui parla
Sciascia fatta a spese di un prete, l’Agrò, in vena di alumbriamento, non
esiste). Di che tipo erano quegli alberi? Ha ragione il dott. Salvo che li
vuole della famiglia populus alba? Si
potrebbe pensare ad una colonia di pioppi
neri (p. nigra)? O ad
altre specie di alberi ad alto fusto?
Perché sono spariti?
E prontamente – e tanto simpaticamente, quanto gentilmente
– il grande entomologo mi precisava:
Quanto alle piante che vivevano e ancora vivono ai bordi del
canale per lo smaltimento dell'acqua della sorgente, credo, come Salvo, che
debbano essere attribuite alla specie Populus
alba, (il pioppo più comune della zona).
Ma noi
continuiamo a sperare che i citati esperti racalmutesi ci forniscano risultati
di appositi studi: Racalmuto li merita.
[1] )
ARCHIVIO SI STATO PALERMO - DEPUTAZIONE DEL REGNO - INVENT. N. 5 - riveli Vol.
n. 4093 anno 1748 – ff. 250-257-
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