CONTRORELAZIONE DI STIMA DEL RAPPORTO DI CONCAMBIO TRA LE
AZIONI DI BANCA MEDITERRANEA E DI BANCA DI ROMA A SUPPORTO DELLE DETERMINAZIONI
DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE DI BANCA MEDITERRANEA.
Dott. Calogero Taverna,
ex ispettore di vigilanza bancaria della
Banca d’Italia ed ex ispettore del SECIT, Ministero delle Finanze. – Socio di
minoranza della Banca Mediterranea.
Dott. Giuseppe Taverna,
dottore in giurisprudenza.
St. Un. Cinzia Leone,
laureanda in
giurisprudenza.
Due o tre puntualizzazioni a mo’ di
premessa.
Si dà per letta
la congerie di documentazione messa a disposizione dei soci di minoranza della
Banca Mediterranea in ordine a:
1)
al progetto di fusione per incorporazione della Banca
Mediterranea SpA nella Banca di Roma Spa;
2)
al bilancio di esercizio 1999 della medesima Banca
Mediterranea.
Nella prodromica
assemblea del 9 novembre 1999, l’istanza di chi scrive a coinvolgere – anche in
posizione oltremodo subalterna – i vari comitati di soci nella impostazione
delle stime e delle controdeduzioni ai rilievi della Banca d’Italia della
precedente primavera è stata totalmente disattesa.
Non è stata accettata l’offerta di
«…collaborare per una contrapposizione difensiva avverso la Banca d’Italia.»
Non si è dato
peso al fatto che «se questa proposta dovesse essere accolta, si renderebbe
necessario interrompere l’assemblea e riconvocarla per deliberare sui risultati
che una siffatta commissione mista di cointeressati riterrebbe utile sottoporre
all’approvazione dell’intero sodalizio bancario.»
Men che meno si
è dato spazio ai soci di minoranza intenzionati a «respingere l’intero o.di g.
che viene proposto e predisporre gli strumenti tecnico-giuridici per una difesa
giudiziaria, il cui filo conduttore non può non essere il conflitto di
interessi con il socio di maggioranza – spesso socio tiranno – e con quanti vi
si sono accodati o vi si accodano.»
Ed ecco come si contava in quell’intervento
requisitorio:
Il conflitto
parte da lontano e a dire il vero con una intrusione della Banca d’Italia, per
lo meno, irrituale. Fu infatti il locale direttore della Banca d’Italia a
rappresentare nel 1994 i desiderata dell’Organo Centrale tendente ad imbarcare
la banca del sud nell’alveo del mega gruppo facente capo alla Banca di Roma.
L’autorevole suggerimento trovò spazio in una sede impropria quale è la lettera
ufficiale di contestazione delle risultanze ispettive (nota n. 4626 del 16
settembre 1994): vi si legge, infatti. «... la Banca di Roma dovrebbe acquisire
una quota del 30% del capitale di codesta Banca [Mediterranea] [..]: in tal
modo, codesto ente entrerebbe a far parte del gruppo creditizio Cassa di
Risparmio di Roma. Al riguardo, si è qui dell’avviso che l’accordo debba essere
considerato alla luce dei risultati della verifica ispettiva. In particolare,
l’apporto patrimoniale dovrà essere quantificato tenendo presente la necessità
di fronteggiare il deterioramento dell’attivo e di ripristinare l’equilibrio
reddituale [..]: l’intesa dovrà consentire i più ampi poteri di gestione al
partner prescelto, nel cui gruppo creditizio andrà ricompresa l’azienda ...»
(v. pag. 5).
E potremmo citare altre fonti che
ormai sono di pubblico dominio per i vari processi anche penali in corso.
Ma l’usbergo B.I. non dissolve le
responsabilità Bancoroma.
Nel 1993 figuravano
tra le azioni proprie L. 18.413/m. comprate per la maggior parte a L. 15/mila.
Con accordi del marzo 1994 la Banca di Roma s’impegnava ad acquistare n.
1.568.816 azioni in portafoglio della Mediterranea a L. 15.000 ed a
sottoscrivere integralmente un aumento del capitale per giungere ad una quota
del 30% al prezzo di emissione non inferiore a L. 15.000. Era un accordo
condizionato, ma nella sostanza non poteva essere modificato se non per eventi
allora imprevedibili. L’atto provvidenziale fu la drastica ispezione Scattone
che abbondando in previsioni di perdite su opinabili sofferenze consentì la
riduzione del prezzo da L. 15.000 per azione a L. 8.000 per azione. La Banca di
Roma senza doversi sbracciare più di tanto potè rinegoziare l’iniziale acquisto
delle azioni della Mediterranea nel proprio portafoglio da L. 15.000 ad azione
a L. 8.000; sottoscrivere sempre a L. 8.000 per azione l’aumento del capitale
sociale del novembre 1994 ed a tale prezzo potè aggiudicarsi quello successivo del 1995.
I dati tecnici qui non interessano:
resta però evidente che la Banca di Roma potè acquisire l’attuale 58% o giù di
lì del capitale sociale della Mediterranea adducendo soltanto 339/miliardi circa al posto di L.
636/miliardi circa con una differenza di L. 297/miliardi circa, (miliardo in più, miliardo in meno:
noi non abbiamo per ora i dati precisi). Dobbiamo aggiungere che la cosa, pur
indagata, non ha sinora sortito effetto alcuno presso la magistratura. Il
supporto giuridico sembra essere una perizia di un auditor bancario, di cui la
Banca di Roma è socia, che a dire il vero si è limitato a fare un poco convinto riferimento alle
risultanze ispettive precedenti. Ma particolare di grosso valore, la Banca di
Roma non ha ritenuto, dopo, attendibili le ricostruzioni ispettive e per anni
le sofferenze sono state molto al di sotto rispetto a quelle ispettive. Del
pari le valutazioni delle perdite inerenti.
Oggi, in questa chiamata al giudizio finale, il socio di
maggioranza dovrebbe per lo meno allontanarsi ed il C. di A. con il collegio
sindacale non avrebbe titolo a fare proposte di acquiescenza ai nuovi risultati
ispettivi per la palese confliggenza d’interessi. Una delibera in ordine delle
responsabilità patrimoniali dovrebbe avvenire senza l’interferenza di soci
coinvolti o di amministratori consenzienti.
Non si mancava di scendere
nel dettagli in ordine ai seguenti
indici di anomalia nella gestione bancaria.
a)
la Banca non ci segnala che il nostro
sistema informativo è risultato “obsoleto”; che inadeguato è apparso l’apparato
contabile e segnaletico; che carenti si
sono rivelati i sistemi di controllo interno. Ebbene ciò nonostante che
dal 1994 ad oggi il carico del conto economico per competenze a professionisti
esterni abbia avuto il seguente ingente sviluppo: 1994 L. 5.432.795.176; 1995
L. 3.447.530.240; 1996 L. 4.914.115.300; 1997 L. L. 6.413.846.934; 1998
L. 7.049.931.185 e già nella prima metà di quest’anno l’esborso è asceso a L.
5.671.059.916.
b)
Se siamo bene informati, alla Banca
d’Italia non piace neppure il nostro Servizio Ispettorato - ma per esperienza
diretta noi dobbiamo qui esternare il nostro plauso ai valenti dirigenti della
Mediterranea che vi hanno operato e che ancora vi operano – e tanto rende
inaccettabile l’enorme dispersione di mezzi propri nel pagare ingenti somme
alla Capogruppo per prestito di “personale”. Leggendo gli scarni dati di
bilancio abbiamo che nel quinquennio sono stati sborsati questi emolumenti a
dirigenti estranei distaccati dalla Banca di Roma: 1995 L. 1.434.486.272; 1996
L. 3.049.758.246; 1997 L. 2.281.669.399; 1998 L. 2.531.803.065 e nella prima
metà del 1999 L. 1.400.830.290. In totale dunque L. 10.699,5 milioni di nessuna
utilità, di gratuito aggravio dei vari conti economici, già pesantemente incisi
dall’enorme costo del personale proprio – invero di altissimo livello, se bene
utilizzato – e con incidenze sulle responsabilità degli amministratori, dei
sindaci, nonché con insorgenze conflittuali di interessi nell’ambito delle
assemblee sociali per la presenza determinante del socio tiranno beneficiario
indiretto di codesti indebiti o dispersivi gravami economici.
c)
Per il nuovo ispettore della Banca
d’Italia gli ingenti accantonamenti per ammortamento in conto delle varie
sofferenze ed incagli che hanno devastato i precorsi esercizi sono
insufficienti e necessiterebbero – a dire degli stessi amministratori –
“rettifiche di valore su crediti in sofferenza e ad incagli pari a L. 175,8
mld.” e cioè L.30,8 mld. per “rettifiche di valore analitiche” e L. 143 mld. a
titolo di svalutazione “forfetaria”. Non venendo ragguagliati in nulla, noi
soci di minoranza contestiamo siffatta impostazione di bilancio. Innanzitutto, occorre conoscere il trend
delle sofferenze dalla precedente ispezione alla presente: occorrono i famosi
allegati di supporto agli stringati rilievi. Necessita stabilire se la gestione
delle precorse sofferenze è stata adeguata e proficua; se il socio di
maggioranza ha favorito i suoi grandi clienti esposti anche in
Mediterranea; se via sia stato uno
storno di posizioni incagliate da Roma a Potenza ed altre peculiarità operative
che passano anche attraverso compravendite di azioni preferenziali della
Mediterranea da parte della Banca di Roma a pregiudizievole sistemazione di
taluni grandi debitori della Mediterranea. Questi e tanti altri aspetti su cui
ci si riserva di intervenire nelle competenti sedi rendono particolarmente
grave il contesto delle responsabilità amministrative di amministratori e
sindaci ed inquinano le precedenti delibere assembleari che hanno inteso
suggellare, col solo assenso dell’interessato socio tiranno, un indirizzo
gestionale che ora la Banca d’Italia torna a stigmatizzare pesantemente.
d)
Per la Banca d’Italia, prodottasi in
uno scrutinio del merito di credito nella sua veste di terzietà, diffuse
sarebbero le manchevolezze che vengono giudicate incoerenti con l’ipotizzata
espansione del comparto. L’iniziale intento di convogliare a Potenza da Roma
risorse tecnico-menageriali rivenienti da una impresa bancaria di alto standing
appare del tutto frustrato. La Banca d’Italia non può pertanto lasciare la
Mediterranea in mano a chi ha tradito la sua fiducia: le resta l’ufficio ex
art. 76 TULB cui deve procedere con urgenza perché vanno profilandosi manovre
pregiudizievolmente dilatorie come è la proposta degli amministratori, che, pur
fustigati dai rilievi ispettivi, vorrebbero un “rinvio al prossimo esercizio
dell’adozione degli opportuni provvedimenti di cui all’art. 2446 c.c.” e
ovviamente fidandosi della benevolenza del socio tiranno – per suo verso
interessato a tale conflittuale slittamento di provvedimenti che sarebbero
inceppanti della veridicità e fedeltà del suo proprio bilancio - sperano in una decisione volta a soprassedere
«in questa sede, alla riduzione del capitale a copertura delle perdite al 30/06/99».
e)
Sempre ad avviso dei nuovi ispettori
B.I. gli incagli ufficiali hanno per lo più caratteristica di sofferenza. Si
intuisce, dunque, un deterioramento dell’assistenza creditizia. Le sofferenze
residuano in L. 600/miliardi a seguito di “rettifiche di valore” per L. 595,6
miliardi (la nostra banca ha crediti in sofferenza per L. 1.196 miliardi che gli amministratori di diretta emanazione
del socio tiranno lasciano marcire da anni tra le pieghe dell’attivo). Sono destinate,
per intuizione ispettiva, a crescere ulteriormente. La Banca d’Italia non è
tenuta ai provvedimenti di rigore, ma un inquietante interrogativo la dovrebbe
attanagliare, specie se lascia l’azienda bancaria sotto la sua vigilanza, in
mano di amministratori e di un socio di maggioranza a dir poco distratti.
Aggiungasi che patologico va giudicato il comparto degli interessi di mora:
trattasi di L. 373.293.701.894 svalutate per L. 320.953.587.573, il che la dice
lunga sulla indolenza degli amministratori nel recupero almeno parziale degli interessi
moratori. Ed il rilievo n. 15 è molto significativo al riguardo. S’impone
quindi l’interrogativo circa l’atteggiamento della B.I. che al momento si
limita a contestare cose tanto gravi senza assumere le iniziative che, se non
la forma, l’essenza della vigilanza
prudenziale imporrebbe senza indugio.
f)
Rade sarebbero – sempre per la Banca
d’Italia - le autonome e tempestive azioni esecutive volte al recupero dei
crediti. Da ciò dovrebbe scaturire un’immediata e tempestiva iniziativa nel
senso scandito dall’art. 76 T.U.L.B.
g)
Quanto delicato sia il rilievo sulla
scarsa correttezza contrattuale e sulla rilassata prevenzione dell’utilizzo dei
circuiti bancari a fini criminosi è di palmare evidenza. Un rilievo del genere
rivolto ad uomini per vari versi legati ad uno dei massimi enti bancari
nazionali lascia solo esterrefatti. Ma basta una semplice tirata di orecchie?
h)
Per Barbagallo sarebbe solo
insufficiente l’attenzione che viene prestata all’osservanza della normativa
antiusura. Per quel che ci è capitato di vedere, gli episodi di tracimazione
dai “tassi-soglia” sarebbero tutt’altro che episodici e di modesta misura.
i)
Censurabili in termini di maggior
rigore ci sembrano i casi di devianza dai canoni dell’antiriciclaggio (rilievo
16);
j) Esulando
dalle contestazioni B.I., abbiamo da lamentare l’assoluta inidoneità delle note
illustrative della nota contabile al 30/6/99 e dell’o.d.g che ci viene
proposto. Il rendiconto che ci viene chiesto di approvare ha un taglio
decisamente incomprensibile: nulla si spiega, nulla si dice a chiarimento di
tavole e tavole di aridi numeri, men che meno ci vien fatto sapere perché
all’improvviso si riesumano fatti e vicende di almeno un quinquennio prima e -
divenuto il socio egemone padrone assoluto del consiglio di amministrazione,
dopo il defenestramento o le dimissioni forzate dei pur remissivi esponenti
della minoranza - si è inferto un colpo esiziale alle residue valenze
patrimoniali dei soci minoritari. Abbiamo detto sopra come secondo noi la Banca
di Roma sia divenuta all’improvviso padrona assoluta della Mediterranea senza
conferire - o quasi - alcun apporto per consolidate plusvalenze della
precedente azienda bancaria. Dopo il bilancio 1997 - che a mio avviso va invalidato per nullità
sempre eccepibile – è stato azzerato il “fondo soprapprezzo azioni” che noi
soci di minoranza e noi soli abbiamo costituito, con solo nostri sudati - ed
ora dispersi - capitali freschi; non furono rispettati i divieti per conflitto
d’interessi e fu rimessa alla volontà dittatoriale del socio egemone la
decisione dissolvitrice del patrimonio altrui, senza contemplare gli ostacoli
anche giuridici che vi si contrapponevano. Tre o quattro cifre sintetizzano la
devastazione bancaria che con questo rendiconto semestrale - frutto solo dell’inventiva dei
rappresentanti del socio egemone - ci si propone addirittura di “approvare”,
come se non si trattasse di manovre volte solo a nostro danno, a danno cioè dei
soli ed indifesi soci potentini, e cioè di quei maldestri soci vistisi ridotti
a soci di minoranza quando un tempo erano i proprietari assoluti della Banca,
per non parlare dei soci di Pescopagano che per destinazione del padre di
famiglia vantavano imprescrittibili ed incedibili diritti di prelazione su una
non trasformabile banca popolare. E tutte queste nostre ragioni sono state nel
tempo vanificate per interferenze anche autorevoli.
k) Con
alcune cifre buttate lì, nel rendiconto semestrale, che sconvolgono ogni logica
di economia d’azienda si vuole, con decisione del solo socio di maggioranza,
vanificare i patrimoni dei soci minoritari;
ciò, mentre - per converso – si
lascia integra la partecipazione del socio dominante che potrà alienare ogni
cosa senza nulla perdere.
l) Abbiamo subito conflitti d’interesse a non
finire; siamo stati iugulati con decisioni lesive dei nostri interessi di soci
privati di voto effettivo per il prevalere del socio tiranno, interessato a ben
altro; nessuno può negare che v’erano nel passato fondati sospetti di condotte
ricadenti negli articoli del 2446 codice civile, 2447 c.c. e 2448, sub 4),
pronuba anche una legge bancaria priva di difese per i soci di minoranza,
espoliatrice dei diritti ex art. 2409 c.c.; di una legge bancaria che per
ottenere dalla Banca d’Italia un motivato giudizio – prevedibilmente negativo
per i soci di minoranza – vuole il voto assembleare del ventesimo del capitale
sociale. Ma se vi sono notitiae criminis la Banca d’Italia non è tenuta a fare
rapporto all’autorità giudiziaria, senza indugio? E così ancora una volta
dovremmo subire l’arcigno silenzio sugli eventi che avrebbero improvvisamente
determinato il crollo della nostra banca, dato che il C.d.A. – che
al socio di maggioranza, statene certi, tutto ha già detto – reputa
prudente non fornire adeguati chiarimenti sia in sede di relazione generale sia
in sede di doverosa esplicazione di sibilline poste contabili.
m) Si
pensi ad un fatto devastante: senza eventi imprevisti ed imprevedibili, senza
ragioni inopinatamente sopraggiunte, senza deterioramenti repentini
dell’ordinario operato bancario (del tipo di colossali malversazioni da parte
di dipendenti infedeli), la Banca Mediterranea,
che nel 1998 il suo modesto ruolo di azienda creditizia era riuscita a
svolgerlo per merito esclusivo della pur numerosa e subalterna compagine
impiegatizia, precipita da un risultato passabile ad una catastrofica perdita di periodo (che
vuol dire?)
n) La disavventura è tanto inconsueta, tanto
spaventevole, tanto abissale che avrebbe dovuto spingere i responsabili - alla
fine tutti portavoce del solo socio dominante - a quintali di giustificazioni e
di chiarimenti e di ragguagli e di informazioni tecniche e di spiegazioni
giuridiche, e di lezioni di tecnica bancaria, e di altro ed altro ed altro
ancora. Ed invece nulla, o pressoché nulla - visto che quello che si dice, cripticamente,
innocentemente, sa di scarica barile. Il nostro patrimonio crolla d’improvviso
e si porta a quota 155/miliardi (ed i tecnici sanno per di più che la riserva
per azioni non va conteggiata); in parole povere le nostre azioni che credevamo
valere ancora sulle 8.000 mila lire, non valgono neppure il valore nominale di
L. 5.000, ma solo, salvo ulteriori devastazioni, L. 2.050 (che in prospettiva
potrebbero equivalere a 4 azioni del Banco di Roma all’identico valore nominale
e francamente con questi chiari di luna potrebbe anche convenirci. Basta che ce
l’assicurino sin d’ora).
o)
Ci
pare di riascoltare vecchie giustificazioni che si abbarbicavano ai
cosiddetti “fenomeni di deterioramento
della qualità del credito” (vedasi bilancio 1997). Ma ora i “romani” debbono
spiegarsi meglio: vengono dalla “sapienza” e sono sapienti. Si deteriora
qualcosa che una volta era buona. Si deteriora qualcosa perché malconservata.
Si deteriora qualcosa perché non si sa gestirla. Si deteriora qualcosa perché,
per mille inconfessabili motivi, la si vuol deteriorare, perdere. Si deve
essere più chiari. Qui è in gioco la sopravvivenza della banca, almeno la
sopravvivenza delle partecipazioni minoritarie. Al socio egemone può fare
comodo rimpinzare di riserve, se non occulte, di sicuro potenziali questa
nostra banca; lasciare un residuo barlume di consistenza patrimoniale che
giustifichi la partecipazione al valore di L. 6-7.000 nel bilancio bancario del socio dominante;
vendere a terzi quell’interessenza - magari esteri e meglio ancora se
esterovestiti e meglio ancora se con capitali facili - a prezzi di affezione;
creare le premesse per un successivo azzeramento del capitale sociale per
l’estromissione dei soci dominati e ciò in vista di una ricostituzione del
capitale sociale cui non potranno accedere i soci dominati per inidoneità
finanziarie; facile così la locupletazione degli ipotetici speculatori esteri
(cui gratuitamente accederanno le riverse potenziali per i sovrabbondanti
ammortamenti delle sofferenze). Dovete chiarire e rasserenare i soci di
minoranza, informarli e soprattutto astenervi dalle improvvide politiche di
occultamento di utili con massicce e ingiustificate rastremazioni dei crediti.
p)
“Fuge rumores” dicevano i maestri del
capitalismo italiano. D’accordo: ma qui non è questione di rumori; qui è
l’annuncio di una morte, della morte di una banca. Se non il lamento delle
prefiche - e nessuno di noi lo gradirebbe - almeno una confessione liberatrice
sarebbe doverosa. Da cinque anni abbiamo le tanto conclamate sinergie con il
grande polo della Banca di Roma; caterve di funzionari, dirigenti in
prequiescenza, profluvio di corrispondenza ammonitrice; pareri “pro veritate” -
ma a dire il vero, la verità della casa madre - ultra remunerati;
amministratori venuti da lontano; provvedimenti odiosi; dimissionamenti ex
abrupto di dirigenti tradizionali, e tant’altro: beh! tutto questo non solo non
ha impedito la catastrofe ma l’ha registrata, a dir poco, tardivamente. E per
di più - e qui siamo nell’inaccettabile - la si viene qui a raccontare per
sommi capi, cripticamente, senza ragguagli, misteriosamente, ultimativamente e
con il non nascosto intento di ottenerne la tranchant approvazione del socio
egemone, noncuranti di ogni remora per conflitto d’interesse.
q)
Un tempo ci venne detto che la débacle si era verificata: «a seguito del totale
deterioramento della situazione economico-finanziaria di alcuni clienti e
grandi gruppi che ha comportato, in particolare per nuovi fatti negativi
riscontratisi nella seconda metà del 1997, oltre al passaggio dei relativi
rapporti da incagli a sofferenza, un aumento delle previsioni di
irrecuperabilità,[per cui] sono necessitate rettifiche nette su crediti e
svalutazioni per perdite definitive per circa 275 miliardi.» (v. p. 2 bilancio 1997) . O si mentì allora o si
mente adesso. In ogni caso numerose sono state le inesatte segnalazioni
all’Organo di Vigilanza. L’organo
tutorio fu in quiescenza allora, non mi pare
che possa continuare ad esserlo. Non può quindi lasciare la banca in mano di
chi qualche problema con l’art. 134 T.U.L.B. dovrebbe averlo. Si vocifera - a
dire il vero qualcuno mostra le fotocopie delle missive - che non è da ora che
l’ex Amministratore Delegato pietisse udienza epistolare presso quelli di Roma
per il passaggio a sofferenza di posizioni a lui sgradite; si vocifera che Roma
abbiano fatto finta di non ricevere neppure quelle missive, almeno sino ad una
certa data? Si vuol rispondere in questa
sede? Si vuol chiarire se almeno la consapevolezza di quel deterioramento del
credito c’era già a date pregresse? Vetustamente? Se no, si vogliono fornire le
precisazioni? Sono state almeno fatte le debite segnalazioni all’Organo di
Vigilanza? I moduli di rito (Mod. 135 Vig. di un tempo o quelli attuali di
Matrice) sono stati corretti, ad ogni cadenza? Non v’è pericolo di essere
incorsi nelle censure dell’art. 134 della legge bancaria? O si pensa davvero
che la normativa di Vigilanza valga solo per gli zotici amministratori del Sud
ma non riguardi gli Unti del Signore? Davvero agli “amici sarà dato; ai nemici
sarà tolto”, per esprimerci evangelicamente?
r) Possiamo rigirare quante volte vogliamo la
scarna paginetta di questa nota del C.d.A. (quella dei sindaci è ancor più
risibile): nulla sapremo sullo stato degli impieghi (qualche cifra buttata qua
e là). Ne sapevano di più quelli della FIBA-CISL che ironicamente si andavano domandando “Ma
c’è qualcuno a cui interessano 1.200 miliardi?”. Prosa e sintassi a parte, quel
che in quel foglietto si dice pubblicamente - e i responsabili di questa banca
lo hanno lasciato dire impunemente - credo che interessi a questo consesso. Ma
soprattutto credo che i nostri amministratori dovevano in sede di bilancio
contestare, puntualizzare e precisare le accuse dei cislini. Davvero l’Ufficio
Recupero Crediti si è tramutato in “discarica di rifiuti a cielo aperto”? Non siamo in vena di compassione per chi ha
voglia di fare sapere all’esterno - ma lo stipendio lo riscuote all’interno -
che viene spremuto “uno sparuto numero di addetti alla gestione, sempre più
oberato di carichi di lavoro che hanno condotto alcuni di loro ad un vero e
proprio stress psico-fisico, in un locale sempre più simile ad un cantiere
edile, per non usare altro genere di paragone.” Ma siamo più interessati alla
faccenda dell’amministratore delegato; anche a noi, in sintonia, “sorge
spontanea un’altra domanda: se l’amministratore delegato ha avvertito
l’indifferibile necessità di effettuare le così dette pulizie,
riversando a sofferenza centinaia e centinaia di miliardi si da creare una vera
e propria discarica delle sofferenze, che hanno raggiunto la
ragguardevole cifra di 1.200 mld., al netto di molti altri miliardi girati a
perdite, cioè a babbo morto, ha, al pari, avvertito l’esigenza di
dotarsi di uno strategico piano dei rifiuti?” Dove dobbiamo cercare risposta a
questa ed altre domande consimili? Dal sindacato della CISL? Non abbiamo
diritto ad averle qui quelle risposte? Anzi, non dovevano esserci già? Vorranno
gli amministratori ripensarci, ritirare il bilancio e corredarlo di tali
doverose risposte? Ci vorranno dire che c’entra Mastronardi con le sofferenze,
visto che la CISL lo rimprovera di non avere affrontato “in maniera seria e
concreta .. la questione delle sofferenze”? La CISL si permette di accusare la
banca - ma questa non risponde alla CISL ed omette anche in questa sede di dare
la dovuta informazione - con questi pungenti appunti: «I problemi, quasi tutti
insoluti, sono letteralmente esplosi, rendendosi di più difficile soluzione;
l’eccessiva burocratizzazione e legalizzazione
ha pressoché ingessato il settore rendendolo sempre più simile ad
un’aula di tribunale e sempre meno un ufficio bancario dinamico, moderno,
pragmatico, orientato a recuperare i propri quattrini senza diventare strumento
per bieche affermazioni personali di madame e messeri di turno.» Ci punge
vaghezza di sapere chi sono codeste “madame” e codesti “messeri” a turno nelle
“bieche affermazioni personali”. Ma forse è già partita qualche denuncia.
Almeno, si ha intenzione di segnalarcela? La FIBA-CISL asserisce che “il nostro
amministratore e i suoi detti consulenti ... sono, diversamente dai
sindacalisti, pagati, pardon, stra-pagati!” A noi soci di minoranza si vuol
almeno dare qualche ragguaglio su tali strapagamenti? In bilancio qualche cifra
spunta - ovattata, però, confusa in un mare di dati: qualche cenno l’abbiamo
fornito noi sopra. Tanti soldi spesi per portare la redditività bancaria
abissalmente sotto zero ed il patrimonio da 600 e rotti miliardi ad un
opinabile importo di 155 miliardi. Ma le cifre dicono poco: non sappiamo quanto
abbia preso l’amministratore delegato e quanto sia finito ai numerosi membri
degli organi aziendali. Abbiamo già detto delle decine di miliardi erogati a
“professionisti esterni”: a chi, a quale titolo, perché? Mistero. Ci piacerebbe
tra l’altro sapere se corrisponde al vero che si sia ritenuto necessario
consultare un legale esterno della Banca di Roma per sapere come comportarsi
nell’acquisto delle proprie azioni; se è
poi vero che costui si sia limitato a sintetizzare quello che aveva già scritto
in un vecchio suo lavoro pubblicato e stravenduto; che abbia dato consigli così
vaghi che gli esponenti aziendali si sono sentiti riassicurati sul loro vezzo
di comprare da beneaccetti, fingendo persin di credere a cervellotiche
motivazioni, e di negare l’acquisto a chi gradito o perlomeno compaesano
(pugliese) non era; che per somma beffa, quel vacuo parere sia costata una
tombola alla banca. Sono questi solo pettegolezzi di borgata? Vorranno i nostri
progettisti del bilancio, chiarire, rasserenare, fugare gli equivoci? Oppure
reputano la faccenda, coperta dal .. segreto
s) bancario? Le Autorità di Vigilanza non sono
davvero interessate alla questione? La provenienza di quei consulenti può avere
un peso?
t) Per
inciso, la petulante domanda della FIBA-CISL è del 23 marzo 1998, in tempo per
consentire ai nostri amministratori - se davvero ne avevano voglia - di fornire
in questa sede tutte le spiegazioni possibili, il ragguaglio su tutte le difese
percorribili. Il silenzio è, per converso, eloquente. Sorprende davvero quello
che viene lasciato cadere, quasi inavvertitamente, a pag. 2 del bilancio 1997:
“Perdite definitive per 275 miliardi” vengono segnalate come se ci si
ragguagliasse su una gita scolastica. Che cosa sono le perdite definitive per
“rettifiche nette su crediti”? Perché definitive? Si tratta di valori numerari
certi? Se sì, ci vogliono venire spiegati? A pagare siamo noi, soci di
minoranza. Si consultino tutti i testi di economia aziendale e di tecnica
bancaria e non si riuscirà a comprendere la portata gnoseologica di una
definitività in momenti valutativi dei crediti: la ragioneria ci dirà che siamo
in presenza di “perdite temute”, di eventualità, dunque. Ed allora? La
informazione ha senso se si vuol dire che la banca, in vena di munificenza, si
sia messa ad assecondare clientela di favore con formali rinunce delle proprie
ragioni creditorie. Magari, basandosi su un incidente di percorso di qualche
maldestro ex direttore generale che non si è avveduto che la garanzia doveva
essere novennale anziché annuale. E basta tanto per considerare “perdita
definitiva” qualche grazioso omaggio, magari di una cinquantina di miliardi,
“per necessitata rettifica netta su crediti e svalutazioni”? Vogliono, lor
signori, informarci, o rasserenarci? Abbiamo diritto alle indispensabili
informazioni? Ove si trovano nei bilanci che avete progettato e fatto approvare
dal cointeressato socio tiranno?
u) Ma ritorniamo ai 688,1 miliardi di “perdite
ammortate” per temuta irrecuperabilità di partite in sofferenza. Non crediamo
che si tratti di creditorie perdenti alla data del 24 marzo 1998 o a quella del
16 settembre 1999 (data di consegna del rapporto, visto che pare i signori
amministratori si siano rifiutati di firmare in ante-prima i famosi allegati di
vigilanza ispettiva). Sicuramente, si tratta di incagli risalenti alla notte
dei tempi. A quando? Si è posta attenzione al fatto che l’importo della perdita
era tale da sovrastare il capitale
sociale? Non vi erano altre perdite? Non è colpa nostra se non è facile capire
cosa gli amministratori abbiano voluto dire con la ridda di cifre dei vari
bilanci relative alle perdite “temute”. Le quali perdite - qualsiasi alchimia
contabile si tenti, a qualsiasi scuola di pensiero si aderisca - per lo meno
hanno, da anni, determinato quel paralizzante buco patrimoniale di cui all’art.
2446 codice civile. Perché allora non si è proceduto alla convocazione
dell’assemblea “senza indugio” in tempi non sospetti? Noi siamo tentati di sospettare che un conto
è per il socio egemone svilire l’esposizione creditizia della concorrente banca
dominata, un conto è svilire formalmente il capitale sociale della banca
dominata, pena la necessità di ammortare la propria partecipazione - e Dio solo
sa se la Banca di Roma può permettersi svalutazioni siffatte - e la doverosità
degli apporti di capitali freschi propri nella stessa banca dominata. Ma
palmare è il conflitto d’interessi che
ne scaturisce. C’è da domandarsi allora se si è operato con accortezza, se si è
deliberato nel passato con le debite astensioni. Se non si vuol rispondere in
questa sede, prima o poi ed in ben altre assise
si sarà costretti a farlo.
v) Per
non venire tacciati di fare un discorso “senza costrutto”, siamo costretti ad
essere puntuali sino alla pignoleria. Una pregiudiziale deve essere però subito
evidente. Mentre a noi soci di minoranza non è dato di sapere nulla sulla
nostra banca, fuori di qui, nelle sedi sindacali - lo abbiamo visto - in quelle
politiche, presso il Consiglio di Basilicata, e presso la stampa (l’orgia di
questi giorni ci ha infestati tutti), carte, rapporti ispettivi, consulenze
giudiziarie, interrogatori, documentazione riservata ecc. circolano come
romanzetti d’appendice. Noi abbiamo avuto la fotocopia dell’interrogazione di Pietro
Simonetti del 23 marzo 1998. L’iniziativa politica è stata resa di pubblica
ragione con il corredo degli atti riguardanti la nostra banca. Quel che i
nostri amministratori ci tengono segreto, lì è dato in pasto del pubblico.
Quanto andremo dicendo si avvale di quei documenti. Ma trattandosi di
nominativi, di imprenditori, di gente che ha diritto alla riservatezza, ci
guarderemo bene dal divulgare - da parte nostra - le generalità di siffatta clientela bancaria.
* * *
A noi interessa avere risposta in ordine
ai fatti che stravolgono la gestione della nostra azienda: i nomi a chi
interessano. Ci serviremo quindi di riferimenti indiretti a tutela della
riservatezza di tali soggetti.
Il Simonetti,
nell’invitare il Consiglio Regionale di Potenza a costituirsi parte civile nel
noto processo che coinvolge solo taluni degli ex amministratori della nostra
banca, allega i rapporti di due ispezioni della Banca d’Italia. Là abbiamo una
messe di notizie sullo stato degli impieghi della nostra banca. Emerge così che
«l’esame del rischio creditizio in essere al 31.12.1993 poneva in evidenza:
a) posizioni in
sofferenza ed incagliate per un ammontare rispettivamente pari a L. 847,1
miliardi e L. 465,3 miliardi, sulle quali si prevedevano perdite complessivamente
pari a L. 508,6 miliardi;
b) incrementi
rispetto alle segnalazioni all’Organo di Vigilanza per L. 619,9 miliardi sulle
sofferenze, per L. 166,7 miliardi sulle posizioni incagliate e per L. 406
miliardi sulle previsioni di perdita (cfr. allegati nn. 3/a e 3/b).» (Cfr.
rilievo n.° 43 pag. 29).
La divulgazione delle notizie - come si
vede - è grave. Sono stati adottati
provvedimenti da parte degli organi a presidio della nostra banca? Rispondono
al vero carte, notizie e dati propalati? Se sì, non possiamo non chiedere come
mai dalle pure esagerate valutazioni ispettive, in base alle quali sofferenze
ed incagli assommavano a fine 1993 rispettivamente a L. 847,1 miliardi ed a L.
465,3 miliardi, passano ora, nella nota che ci si chiede di approvare senza
adeguate informazioni, a cifre quasi raddoppiate. Gli ispettori sono stati
ritenuti eccessivamente fiscali: gli stessi esponenti della Banca di Roma per
anni non ne hanno condiviso i dissolventi apprezzamenti. Che cosa è successo?
All’improvviso c’è stata la folgorazione come Saul sulla via di Damasco? E non
si ritiene di ragguagliarci? Quali le responsabilità dei nuovi amministratori?
Quali i fatti nuovi che hanno imposto decisioni tanto devastanti? Nulla di
nulla nella relazione che abbiamo sotto mano. Le superfetazioni si limitano a
quei pochi accenni che abbiamo già richiamato.
Ma un grave dubbio ci assale: non è che si è portato a sofferenza
l’impiego vivo dell’ispettore del 1993 e per converso si continua a tacere
sullo stato di decozione di tanti altri e veri crediti in sofferenza o in
incaglio, sol perché magari amici del padrone? E qui dobbiamo essere schietti
sino alla ferocia.
Tralasciamo ogni
riferimento alla martoriata posizione Casillo (solo ci piacerebbe sapere se i
perduti 158 miliardi di cui leggiamo sulla stampa siano conteggiati nel
subtotale di L. 1.434,2 miliardi di pag. 20 del bilancio 1997 oppure no: ed al
contempo vorremmo sapere dall’ispettorato interno – nessuno può sottovalutare
l’acume irriducibile di Maffucci, neppure Barbagallo - se i noti libretti per quasi 4 miliardi,
prima rivendicati da un celebre personaggio e poi fini nelle mani omonime di un
ultraperdente nostro vecchio affidato, a scare bene non erano riserve occulte
in collaterale dei debiti Casillo). Ma ci vogliono lor signori spiegare quale
decorso hanno avuto i rapporti Parmalat, Mediofin, Pafi che stando alle notizie
di stampa avrebbero contratto “prestiti che sarebbero stati utilizzati per
l’acquisto di azioni, per un controvalore di 50 miliardi, dello stesso istituto
di credito”. Quei prestiti che fine hanno fatto? Sono finiti tra le sofferenze?
Tra gli incagli? O sono stati recuperati? Come? Quando? Con intervento di chi?
Se la Banca di Roma - direttamente o indirettamente - si è data da fare per
acquisire interessenze al capitale sociale della nostra banca per compensare
quei prestiti, sono state rispettate le norme - dure e paralizzanti - che in
questi ultimissimi anni sono state emanate a difesa della borsa?
Occorre scendere
ancor più in dettaglio. Abbiamo diritto di sapere che fine hanno fatto i
rapporti creditizi su cui si soffermavano gli ispettori della Banca d’Italia
nei seguenti rilievi:
- quelli che nel rilievo sub 1) ultimo
capoverso gli ispettori definiscono “crediti, anch’essi di rilevante ammontare
e oltre tutto riguardanti nominativi legati alla banca da vincoli
partecipativi”, di cui stigmatizzano la “crescita delle esposizioni in misura
non proporzionata alle effettive potenzialità economico patrimoniali dei
singoli affidati, con refluenze sulle stesse possibilità di recupero delle
creditorie e ciò pure in presenza di reiterate iniziative di sostegno e di
ristrutturazione ...”. Siffatte temute refluenze vi sono state? Quali
provvedimenti ha adottato la nostra banca? E’ stata equanime? Ha avuto indulgenze
per alcuni e discriminatori accanimenti verso altri? Si pensi che i nominativi
qui sotto tiro dagli ispettori della Banca d’Italia godevano allora di crediti
per complessive L. 377.339 milioni su cui gli ispettori prevedevano perdite per
L. 73.992 milioni. Quelle perdite si sono poi verificate? Quando sono state
rilevate? Quando sono finite a carico del conto economico? Quali cautele sono
state adottate?
In
particolare, quale è stato l’atteggiamento verso i 20 rapporti del gruppo di
pag. 2 dell’allegato 3b, esposto per L. 133.978 milioni con perdite previste
dagli ispettori per L. 73.992 milioni? Si sono avute indulgenze per affinità
politiche? Il socio egemone è stato indifferente o ha suggerito blandizie?
Quanto poi al gruppo di cui a pag. 4 del menzionato allegato (primo affidato
cod. 7275...) le previsioni di perdite degli ispettori (L. 27,9 miliardi su L.
50,7 miliardi di esposizione) si sono verificate? Vi sono intese in corso? Di
che tipo? Si sono ammesse interferenze in Consiglio per presenze obiettivamente
conflittuali?
In
ordine all’incandescente rapporto di cui a pag. 9 (Codice primo affidato:
5283...), esposizione per L. 141,3 miliardi; previsioni ispettive di perdite
solo L. 1,4 miliardi, davvero le perdite si sono rivelate così esigue? Il
comportamento degli esponenti aziendali è stato congruo? Vi sono state
ingerenze per soluzioni patteggiate? Vi è stato un qualche interesse del socio
egemone?
Il
gruppo di cui a pag. 11 (cod. 7594 primo affidato) - esposizione L. 6,3
miliardi con perdita prevista integrale - è stato congruamente gestito? Si è
ritenuto di privilegiarlo con discriminanti acquisti di proprie azioni?
Quanto
al gruppo di cui a pag. 12 (cod. primo affidato 5092...) - esposto per L. 38,4
miliardi; previsione di perdita zero - attesa la natura di incagli secondo gli
ispettori , sono state esplicate le procedure di recupero dell’ingente
creditoria con solerzia ed efficacia? Se sì, quali e con quale risultato?
Il
gruppo di cui a pag. 11 (cod. primo affidato 3552...) - esposizione L. 6,7
miliardi; perdita prevista: integrale - ha poi generato quell’esito tanto
catastrofico? Per quali azioni della banca? Con quali refluenze sul conto
economico della nostra banca?
In
definitiva, come mai nella relazione del bilancio non v’è alcun accenno a fatti
sì gravi, pregiudizievoli dello stato patrimoniale, con quelle che gli
ispettori chiamano refluenze economiche? Se all’improvviso, e solo quest’anno,
quelle posizioni, in tutto o in parte sono finite a sofferenze, perché si è
atteso tanto? In ogni caso, ogni reticenza in proposito non è suscettibile di
censura sotto il profilo della chiarezza, della verità e correttezza della
situazione patrimoniale e finanziaria? Sussulti nell’imputazione di
ammortamenti, si è sicuri che non rappresentino indebito scompiglio del
risultato economico dell’esercizio? Non si pensa che l’eccezionalità
dell’impostazione di bilancio di quest’anno merita tutte quelle informazioni
aggiuntive previste ed imposte dall’art. 2423? Dove sono, visto che noi non
riusciamo assolutamente a coglierle in quelle asfittiche, anonime, dispersive e
sedicenti note integrative?
b) - Si domanda quale evoluzione hanno avuto gli affidamenti stigmatizzati
dagli ispettori nel rilievo sub 19). Vi si dice che trattavasi di “società ...
ampiamente finanziate dalla banca con crediti che in sede ispettiva sono stati
classificati tra le sofferenze con previsioni di perdita”. Ricordiamo che
l’esposizione (cod. primo affidato: 4029.. cfr. pag. 3 allegato 3b) ammontava a
complessive L. 9,7 miliardi con perdite
previste per L. 6,3 miliardi. Non ha proprio nulla da dire il consiglio ai soci
in sede di approvazione del proposto bilancio?
c) - Le note critiche del rilievo sub 12) hanno consigliato un qualche
comportamento responsabile da parte degli attuali amministratori o si è
lasciato il tutto com’era senza preoccuparsi di attivare una qualche azione per
il recupero delle ragioni creditorie della nostra banca?
d) - Analoga domanda è da porre per il rilievo sub 13).
e) - L’esposizione narrata e stigmatizzata nel rilievo sub 14) avrebbe
dovuto essere oggetto di particolare attenzione da parte degli amministratori;
si sono costoro prodotti in qualche iniziativa?
f) - Nel rilievo sub 15) si accenna ad “un
affidamento in conto corrente di L. 6 miliardi” a favore di una società di
appartenenza di un consigliere, con un illegittimo debordo notevole. Al di là
dell’assoluzione chiesta - ed ottenuta -
dal PM, la banca si è premurata di estromettere un cliente cosiffatto? Quel
rapporto sussiste ancora? E’ regolare?
g) - Non hanno gli amministratori nulla da dirci sui rapporti creditizi
censurati nel rilievo sub 16)?
h) - Nel rilievo sub 19) emergono inquietanti accenni a strani rapporti
d’affari con industriali del Nord, che ricchissimi per i fatti loro, alla
Mediterranea hanno fatto ricorsi per “buffi” di cui vorremmo sapere l’esito. A
scanso di equivoci, a noi preme sapere se i finanziamenti al gruppo di cui a
pag. 10 dell’allegato 3b (primo affidato cod. 7166 ...) ammontanti allora a
complessive L. 16,8 miliardi, siano poi sortiti dalla situazione di incaglio
(giusta valutazione ispettiva) o siano deteriorati. In particolare come i
signori industriali del Nord si sono comportati con la nostra banca? Hanno
assolto i debiti interessi? In misura equa? O mantenendo scandalose condizioni
di favore (leggere per credere le note dei consulenti del PM, attualmente in
libera circolazione come abbiamo sopra detto)? Ma anche alla capofila erano stati
accordati 30 miliardi che pare siano sfuggiti all’attenzione degli ispettori.
Nel solito libello dei consulenti - che Simonetti acclude alla sua
interrogazione - si legge a pag. 89: «Complessivamente i fidi accordati erano
pari a L. 30.000 mln. (10.000 mln. c/c; 10.000 mln portafoglio sbf 10.000 mln
anticipi import) e non erano assistiti da alcuna garanzia. I finanziamenti in
parola venivano deliberati in data 13.7.93. [...] Per quanto riguarda il tasso
da applicare alla facilitazione è da rilevare che .. si faceva riferimento al
“Prime rate ABI” [...] Dalla comunicazione dei tassi inviata il 10.9.93 ... si
evinceva l’applicazione dell’unico tasso dare dell’11,625%; venivano quindi
esclusi i maggiori oneri connessi al secondo tasso dare e alla commissione di
massimo scoperto.» E subito dopo - in relazione alla collegata, peraltro di
risibili rispondenze patrimoniali - si annotava (pag. 90): « ... il
finanziamento accordato non era assistito da alcuna garanzia.» A pag. 103 e
segg. I consulenti si allargano in considerazioni che invero non hanno trovato
nessuno ascolto nel PM e non val la pena qui di farvi in alcun modo ricorso. Ma
è opportuno invece che gli amministratori ci ragguaglino su tali criticabili
rapporti creditizi, sulla loro eventuale sistemazione, sul raddrizzamento delle
clausole contrattuali relative alla remunerazione. Non vorremmo che il
potentissimo gruppo - in particolare consuetudine fiduciaria con il socio
dominante - sia riuscito a mantenere una posizione di favore creditizio a tutto
danno della nostra banca. Gli amministratori hanno l’obbligo di fugare almeno
gli effetti alone che la divulgazione degli atti istruttori vanno nefastamente
producendo, con ulteriori appesantimenti della fragile operatività della nostra
banca. Il lasciar correre sarebbe insipienza imperdonabile: un consiglio di
amministrazione meno subalterno a soci extraterritoriali sicuramente non
permetterebbe campagne di stampa cosiffatte. Per converso l’eccessiva reticenza
verso i soci sarebbe di beffa oltre che di danno.
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