...per
mestiere spiego bene agli altri quello che per me non comprendo.
domenica 24 febbraio 2013
A
sorpresa, questo è il quadro di Guttuso che Sciascia preferisce e predilige.
«La fuga dall’Etna del 1938 e la Crocifissione del 1941 .. amiamo il
primo più del secondo», cogliamo questa sorprendente preferenza di Sciascia in Cruciverba, nel lungo articolo su
Guttuso.
Si
rimane confusi o ammaliati nella girandola di richiami colti, di associazioni
erudite e dissociazioni improvvise di uno Sciascia così diverso dalle soavi
ipotassi del suo scrivere libri sempre più contratti ma trasparenti di
concetto. Qui invece Sciascia spazia ed osa fino a qualche funambolismo non
sappiamo davvero se convinto o ardito per cogliere la sfumatura di un pensiero
che non riesce a far coagulare come vorrebbe.
E’
chiaro: si cimenta in critica che non è suo mestiere e valuta un amico, non
siamo informati se ancora nel pieno del
rapporto di consuetudinaria amistà o già smunto per la nota controversia sull’avere o non dovere avere famiglia dopo
la faccenda con Berlinguer.
Un nostro personale assillo, da qualche
tempo, quello di cercare di comprendere come Guttuso sia passato da una
estetica dell’era fascista agli scarni disegni illustrativi delle Conversazioni
in Sicilia di Vittorini alla teorica di Lukács del realismo per finire nelle
decadenze delle borghesi voluttà
Il punto cruciale per noi è l’essenzialismo del disegno dell’immediato
post-fascismo di un Guttuso che cambia. Sciascia parte dai Pensieri bizzarri sul disegno di Diderot e dal suo dir francese: «Autre chosse
est une attitude, autre chose est une action. Toute attitude est fausse et
petite; toute action est belle et vraie» E senza tradurre, contrappone la
“posa” che sarebbe fallace e insufficiente all’ “azione” che sarebbe
affascinante e verace. Modelli
dell’accademia quelli della “posa”, modelli della vita gli altri dell’ “azione”.
E quindi uno sviluppo ed un affinamento del pensiero per giungere a questa
formulazione: «la posa può essere azione o l’azione arridere alla posa solo che
il disegnatore sappia e voglia, solo che il suo punto di vista si muova da
fuori a dentro, da una situazione eccentrica
ad una centrica)». Non è soddisfatto
Sciascia e allora rincorre Ortega y Gasset (Sobre
el punto de vista en las artes, 1924) per il quale la storia dell’arte
occidentale da Giotto ai nostri giorni – secondo la lettura sciasciana – si compendia
“in un gesto unico e semplice : lo spostamento, l’evoluzione e involuzione del
punto di vista; il ritirarsi del punto di vista dall’oggetto al soggetto. Ma
non vedrà questo stadio del punto di
vista al centro dell’oggetto, o non ne terrà conto”.
Sembra
che possa giungersi a questo punto ad un aforisma, ad una sorta di definizione:
“il disegno moderno, nel suo divenire autonomo, nel suo svincolarsi dalla
pittura e nel suo – qualche volta – vincolare la pittura … muove dal centro delle cose e perciò le
rende alle cose”. E teso l’arco pare che la freccia colga il bersaglio: “un
disegno di cui ci dà esempio Guttuso”.
Sciascia
però non è del tutto convinto, Aggiunge:
“facciano ancora un passo avanti – per il disegno, per i disegni di
Guttuso – con Baudelaire “.
Arriva
il genio e tutto scombussola: Baudelaire non è banale, non può essere banale
(ad onta di quello che si dispiegherà dopo). Zampilla una “fondamentale
distinzione”: «quella tra i disegnatori esclusivi e i disegnatori coloristi.»
Non siamo tenuti a fare il compitino scolastico, il “riassunto” dei tempi della mia infanzia alle elementari. Salto, mi affascina, sconcerta e non sempre convince l’esplosione della genialità di questo Genio nato a Racalmuto, la terra secondo qualche imbecille ove potrebbe allignare solo un prete assassino “intelligente”. Sciascia è ora magistrale; ci spinge ad essere filosofi, se ne siamo capaci.
Non siamo tenuti a fare il compitino scolastico, il “riassunto” dei tempi della mia infanzia alle elementari. Salto, mi affascina, sconcerta e non sempre convince l’esplosione della genialità di questo Genio nato a Racalmuto, la terra secondo qualche imbecille ove potrebbe allignare solo un prete assassino “intelligente”. Sciascia è ora magistrale; ci spinge ad essere filosofi, se ne siamo capaci.
«I disegnatori puri si danno al colore –
esordisce di suo Sciascia – e con maggiore autonomia e libertà i coloristi si
danno al disegno. E questi disegni di
Guttuso sono appunto i disegni di un
colorista: e tanto più li riconosciamo per tali nell’assenza del colore , nel
bianco e nero. Una riconoscibilità che viene da quello che Baudelaire chiama ‘un metodo analogo alla natura’ ed è
inutile dire che la natura non è mai naturalista. E quale metodo è analogo alla
natura di quello dell’azione che viene
da dentro le cose, dal centro delle cose, dell’azione che è la cosa –
nella ‘armoniosa lotta delle masse’, nell’aria, nella luce?»
Ma
Sciascia non è appagato: reputa ciò approssimazioni, gradi di avvicinamento. A
che cosa? «le cose di Guttuso sono quanto di più vicino alla vita si possa dare
nell’arte; e il disegno è il mezzo espressivo suo in cui lo scarto tra l’arte e
la vita si riduce al minimo. »
E
non basta: sono da espungere il “come” e la sua ombra: «la vicinanza alla vita
è data dal fatto che sono come la vita, che somigliano alla vita, ma appunto
dal contrario. Non somigliano alla vita non sono come la vita: sono su un piano
che non è quello della vita, la vita.»
Calogero
Taverna
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