Ho visto, ho puntato il mio più aguzzo
sguardo ispettivo - deformazione professionale - non capii capii
apprezzai: plaudo. Beppe Cino torna grande, aspro, ineffabile, crudo,
onirico. Il titolo era fallace. Storpiare il nome sacro di Mozart
disorienta, ma è paravento ironico di un timido irriducibile. Queste
foto ora sono rivelatrici. La fanciulla ha volto insolito,
fuorviante. Non è bella ma avvenente per inestricabile riesumazione
di sogni repressi, demoniaci, evanescenti. Dotata di sfingici
richiami lussuriosi ha apparente castità contrapposta alle sepolte
assurdità esistenziali del suo pigmalione: sogni tenebrosi, incubi,
fracassi dell'anima, occidua cantilena del venir meno, del non essere
più, del sentir prossimo l'ultimo esodo. Certe foto di kafkiani
ambienti di un palazzo spallato. chiuso al traffico, di una
crestomazia finita male in quel di Racalmuto, mi hanno colpito, e a
modo mio anche illuminato. Certe altre di codesta assurda giovane
donna appoggiata ad un muro di una scalinata per muli con sacchi
granari da portare in chiesa sacrilegamente ha evidenti segni
emblematici, allusivi, allucinati. Beppe Cino, consumato
intellettuale ormai globalizzato - non riesce più a scrivere se
non in estranee lingue - non girerà più il film di una Racalmuto
imbellettata tra estinte parrocchie di Regalpetra e neppure si
cimenterà in cronache paesane alla Ben Morreale. Lui ha tagliato
quelle radici - se mai le ha avute - nelle lande di uomini sale e
zolfo ed anche caciummo. Ci sorprenderà, ci abbacinerà. Ed io - che
non gli sono certo affine - plaudirò e onorerò questo figlio di una
Terra dalle eterne contraddizioni, eretica e bigotta, reazionaria e
libertaria, drogata ed astemia.
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