Si vede che il buon Berlusconi è alla frutta quanto a trovate
acchiappavoti. Proprio ai condoni fiscali si doveva aggrappare?
In un condono fiscale “immobiliare” mi piacque affondare le
mie non comuni astuzie ispettive. Primi anni Ottanta. Me ne stavo quasi
tranquillo al SECIT dopo la giubilazione che il signor Ciampi mi elargì per una
mia birbantella ispezione (commissionata da Occhiuto) alla Cassa di Risparmi
della sua (di Ciampi) Livorno.
Il professor Tremonti ed altri docenti della scuola del prof.
Falsitta – mi pare di Pavia – l’avevano ben congegnata una remissione di
peccati nell’arte di farsi case all’estero. All’epoca era reato. Illecita esportazione
di capitali. Saint Moritz diciamo che era divenuta molto italiana. Sia pure
esterovestita.
Dovrei fare qui un trattato di diritto tributario di varia
natura. Lasciamo perdere.
Si pensò ad una piccola furbata: Dite all’UIC quello che
possedete all’estero, pagate un obolo e tuttu
bbuonu e biniditto.
Il reato fiscale lo potevano perdonare. E gli altri reati? E
quelli gravissimi delle falsificazioni di bilancio? E le omesse dichiarazioni in tema di obblighi tributari sugli immobili effettivamente
pagati all’estero, ragion per cui vi era l’esonero in Italia per il divieto della doppia tassazione?
Doppia tassazione, no, ma a condizione
che se ne facesse regolare denuncia in una finca della dichiarazione dei
redditi. Il Capitale era una cosa, il reddito un’altra. Quisquilie insomma che
però se ignorate spingono soloni racalmutesi a cianciare di imposte sul
patrimonio, insomma di TARES che diviene da tariffa IMPOSTA PATRIMONIALE. Oh!
come mi piacerebbe far pagare su quegli immobili qualcosa di serio anche in
Italia, del tipo della patrimoniale. Non ci sarebbe bisogno di tassare la prima
casa. I signori, anche quelli comici, si guardano bene dal mostrarsi
conoscitori di materia tanto intricata.
Il sottoscritto che certe cosarelle suppone di conoscerle,
chiese all’UIC l’elenco su base informatica di tutte quelle partite di ravveduti
immobiliari esterovestiti, fece incroci con le dichiarazioni e certe poste in fondo
ai modelli dell’epoca, diramò fior di liste selettive. Gli Uffici credo che
fecero finta di non capire. Nel frattempo me ne ero andato da viale dell’Aeronautica.
I miei successori avevano poi altro da fare. Invero avevo sbirciato divertentissime
partite: agnelli belanti nel gioco con la marrella , altissimi che si
ringrinzivano. Ed altre piacevolezze del genere.
Ma i miei successori una cosa fecero: si misero in testa che
i dividend washing (non so l’inglese
e scrivo come mi pare) delle spettacolari rappresentazioni del più grande
chiavatore d’Italia non erano ammessi. Dalla sera alla mattina, una legge
tagliò la testa al toro: divennero ope legis
lecitissimi, finanza creativa insomma. Un professorone divenuto quello che è
divenuto, le sue parcelle se le faceva pagare estero contro estero: sosteneva
che nessuna stabile organizzazione affiorava e quindi ….. e quindi che si voleva? Ministro un ferreo
uomo di legge oggi lassù nei cieli di un colle romano. Si traccheggiò. L’On.
Garavini da me imbeccato fa partire una interrogazione di fuoco. Imbarazzo.
Risposta evasiva alla fine. Riparte un contrattacco inchiodante: se voglio so
impostare accuse mozzafiato. Beh! Credo che ancora la risposta a quella
interrogazione deve essere data. Oltretutto l’avrebbe dovuta dare l’imputato.
Altro che conflitto di interessi!
Signori che mi leggete: non è che in Italia manca l‘Accusato alla
Repubblica, come pontificava nelle verrine un certo Cicerone; manca un
tribunale alla Repubblica, ora come allora. Basta prendersela con i mafiosi di
una trentina d’anni fa e l’onore è salvo.
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