Contra Omnia Racalmuto
...per mestiere spiego bene agli
altri quello che per me non comprendo.
Profilo
mercoledì 26
dicembre 2012
In memoria del defunto vecchio circolo, torno qui
a riportare miei stantii appunti. Qualcuno si accorgerà che molta roba è
rimuginata. Chi ha già letto, salti; chi non aveva letto può trovarvi qualche
interesse. Il CIRCOLO UNIONE che troverete in questo lunghisimo post non è poi
quello di Sciasia (né lo Sciascia di Le Parrocchie di Regalpetra, né quello di
FUOCO SUL MARE di ADELPHI): per tanti versi è postumo; per tal'altri ne è il
controcanto. Noi non siamo idolatri, anzi ci piace l'iconoclastia. Sia chiaro:
nulla a che fare con questo odierno che non so cosa celebri credo con cotta ed
aspersori, dovendosi tanto esorcizzare. Il massonico circolo di Racalmuto oggi
è monsignorile accolta di evanescenti sacralità parrocchiali. Tocca ad un
cattolico clericale NON CREDENTE come me rievocare i sacri DEMONI del compasso
e della cazzola dell'ottocentesca Racalmuto dei gran massoni alla
Savatteri,alla Tulumello, alla Matrona, alla Farrauto. Tocca pure a e lodare e
ossequiare gli avi alla don Turidduzzu Picone che pii nepotini sembrano
ignorare. Se è per questo anche i figli. Parce sepultis?
Curva dei prezzi all'ingrosso dello Zolfo nel 1860
|
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Luglio, 31
|
6,60
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al quintale
|
Agosto, 13
|
3,25
|
al quintale
|
Agosto, 31
|
3,05
|
al quintale
|
In
un mese vi era stata dunque una diminuzione del 15,3%: oscillazione da mandare
in frantumi tutti i calcoli di convenienza. Certo, si stava in villeggiature; a
fare la “campagnata”. Le sale del casino erano vuote per commenti salaci o per
recriminazioni. Ed il 13 settembre scenderà ancora: ducati 3 al quintale. Una
ripresa a fine anno: ducati 3,20 ed un’impennata il 15 gennaio 1861: 3,50
ducati al quintale. Poi una discesa catastrofica: 2,60 l’8 marzo 1861; 2,55 il
5 aprile 1861. Una falcidia del 29,17% in meno di un anno.
Eccone
la terribile curva:
C’era
di che maledire Garibaldi, Crispi, Vittorio Emanuele II, i Savoia ed in loco i
Messana ed i Savatteri: bel regalo aveno confezionati per i ‘poveri’
galantuomini racalmutesi. Chissà le ire al casino; intuibili le diatribe delle
serali ‘conversazioni’. Ci hanno rovinato! Io l’avevo detto! Come poi nel 1948
o 1949 il Ferdinando Trupia dell’epoca avrà incendiata la sala di
conversazione; solo che al posto dei contributi unificati cera il crollo del
prezzo dello zolfo o le tante tasse che il nuovo regime spandeva a piene mani.
«Verso le diciannove - parafrasiamo Sciascia [1][3] - c’è sempre qualcuno che
dà fuoco alla miccia dei contributi unificati, don Ferdinando si accende come
una di quelle macchine che in bellezza concludono i fuochi d’artificio, tutto
razzi, girandole cascatelle e spaccate di bestemmie imprecazioni e
apprezzamenti di natura sessuale ai funzionari e ai governanti diretti; tiene
però a dichiarare, tra tanta furia, che lui paga quanto deve pagare,
personalmente non ha subìto soperchierie, con lui tutti camminano su una lama.»
Già
le tasse! Il nuovo governo ora era inflessibile e ficcante nell’esigere
l’imposta fondiaria: Cresceva anche il dazio sui consumi: ma quello i civili lo
consideravano un male altrui, incombente sulla ‘plebaglia’. La sola sovrimposta
sui terreni passò nell’agrigentino da 0,79 lire per ettaro cui era arrivata nel
1866 a ben L. 1,87 nel 1879, un aumento di ben 136,70%. Davvero la pressione
fiscale diventava soffocante. Ci penso poi il comune a fare spese pazze (i
Matrona avevano una maniacale voglia di sperperare in faraoniche opere
pubbliche) e queste ripiobavano sotto forma di imposte comunali dominicali sui
nostri galantuomini. Erano letteralmente diventanti furibondi. Serafino Messana
- fratello dell’irrequieto Biagio - è incontenibile! Diventato farmacista,
resta solo formalmente il rivoluzionario (cartaceo) del ’48. Si diletta di
lettere: scrive inventando neologismi improbabili, vocabolario greco alla mano.
La povera storia si lega alla natura nientemeno che in “apocastasi”; [2][4] “emanatismo” e “mistogogi”
, sono termini per Messana di comune accezione; e “gli antichi credenti usavano
la Xerofagia a nona”; e
“metaformasondone il il pensiero dal vero all’immaginario, dall’idea
all’ideale, andonne in sivibilio la severa logica per la confusion dei sistemi,
degenerando in goffa stravaganza che ne diè pure la spinta la caduta
dell’Impero d’Occidente” [3][5]: accipicchia! Peccato che
Rascel non era ancora nato. E così via con lemmi quali: Camauro; imberciare [pag.
9]; antinomia di cinici tartuffi [pag.
10]; essere da sezzo; sanguinaria
apoftegma [pag. 11]; Diffalte [pag.
20]; taglia mummica ad ogni menoma lor
pia azione [pag. 22]. Le 24 paginette dello sproloquio di Serafino Messana
un raccontino tutto paesano ce l’hanno e noi lo riportiamo, pari pari:
«Il
signor M..... ascrittosi all’Opera Pia
del Suffragio previo lo sborso di ducati sei (scotto stabilito per cadauno;
mentre adesso è aumentata la cifra come pure quella delle messe a norma del
caro delle derrate) ne volea in Racalmuto la celebrazione, che gli si negò pria
con ambagi, poscia con dirgli che per godere di tanto profitto in vita
bisognasse erogar di nuovo altrettanta somma. Virtù evangelica!!!; e per
l’ipocrisia involava un guardiano i votivi ciondoli della signora M... dal
simulacro di S. Maria di Gesù col pretesto di farne tersa pulitura; gli eredi
di G....C... ebber sottratta la roba valutata tremila ducati, ed incamerata dal
Convento del Carmine; mentre rimasero tapini gli eredi nel più orrido trivio
per le mene del prete N....»
Quante
volte l’avrà sciorinata questa querelle al casino di conversazione? Se con
quella leziosità linguistica, tra lo sberleffo degli annoiati consoci.
Nel
1873 il solito Serafino si fa pubblicare un libello su «il brigantaggio in
Sicilia, ossia i delitti impuniti.» Ora la rabbia contro il fiscalismo di stato
non ha più remore: Le nostre aspirazioni sono dirette - esplode a pag. 57 - ad
alleggerire le riscosse dei tributi, e tòrre quelli che più scottano per essere
inventati da mera baratteria, acciocchè i contribuenti non siano straziati e
costretti per scadenza di pagamento.» Ed nella chiusa finale, in termini meno
lambiccati, lo sfogo intimo e più vero: «Impertanto siimi indulgente nel
compatire la lealtà delle mie idee significate in questa lettera abbandonata e
ripresa più volte in questo mese e per le odierne occupazioni della famiglia e
del Fisco...» Fisco, terrore di don Serafino Messana e di don Ferdinando Trupia
che i locali sanno chi essere stato veramente: un diretto discendente del
grafomane Serafino ottocentesco.
Nel
1874 Serafino Messana non aveva remore religiose - miscredente com’era - e si
accaparrò un ettaro di terra in contrada Troiana requisito al disciolto
convento di santa Chiara, offrendo 1.400 lire al posto del prezzo base di L.
941. Subì ipso facto la scomunica: lui non se ne dolse. Del resto era in
compagnia dell’arciprete Tirone che si servi di una prestanome, la sorella
Teresa, per annettersi con poche lire tutti questi beni:
1. anno 1868 - provenienza:
Conv. S. Francesco d’Assisi; terre, alberi frutteto; contr. Motati (? forse
Malati); Ha. 1 - prezzo base L. 812; prezzo aggiudicazione L. 832.
2. anno 1868 - provenienza:
Convento Carmine; pagliera; via Carmine; prezzo base L. 453; prezzo
aggiudicazione L. 655.
3. anno 1868 - provenienza:
Convento Carmine; terraneo; via Carmine; prezzo base L. 508; prezzo
aggiudicazione L. 280.
4. anno 1868 - provenienza:
Convento S. M. di Gesù; 1 stanza; via Matrice; prezzo base L. 571; prezzo
aggiudicazione L. 686.
5. anno 1868 - provenienza:
Convento S. M. di Gesù; 1 stanza; via Matrice; prezzo base L. 560; prezzo
aggiudicazione L. 555.»
Serafino
Messana potè pure sogghignare sull’interdetto, ma un suo discendente ebbe
isterie mistiche: «O pio, figlio di padre Pio, che ogni giorno ti prendi la
lavatura della comunione», lo insolentiva pubblicamente l’avv. Carmelo
Burruano, al tempo del Cavallo Alato, tra lo sghignazzo del popolino plaudente.
Salaci
mormorazioni al casino di compagnia nell’Ottocento; salaci mormorazioni al
circolo Unione in quell’infocato maggio del 1950.
* * *
Nel
Giornale Officiale del 6 settembre 1860 i radi soci, che continuavano a
frequentare il circolo nel mese più adatto alla villeggiatura nelle campagne
circostanti, potevano leggere «Data in Palermo il 26 agosto 1860. - In nome di
S.M. Vittorio Emanuele Re d’Italia, il Prodittarore decreta: Art. 1: sono
destituiti i giudici circondariali. A Racalmuto: [destituito] Giacomo Sanfilippo
» Il provvedimento reca la firma di De Pretis. Il 13 settembre viene promulgata
la legge provinciale e comunale: Racalmuto è il XIV comune del circondario di
Girgenti e vanta una popolazione di 9.426 abitanti. E’ chiamato ad eleggere un
consigliere provinciale.
Il
successivo martedì 19 settembre viene pubblicato “l’indirizzo del consiglio
civico e del municipio al Generale Dittatore”: Racalmuto figura in mano di
Gaetano Savatteri, presidente; Felice Cavallaro e Giuseppe Savatteri.
L’indirizzo è datato 18 agosto 1860. E.N. Messana fa ampie digressioni sulla
sindacatura del Savatteri a cavallo del 1860. Non abbiamo elementi per
contraddirlo (ma neppure per essere concordi). Forse Gaetano Savatteri non si
dimise mai dal settembre 1859, quando ebbe a succedere a Giuseppe Tulumello
Grillo.
Il
25 ottobre si celebra il plebiscito: Racalmuto risulta naturalmente sabaudo
all’unanimità: 1931 elettori iscritti; 1924 votanti; 1924 sì; nessun no;
nessuna scheda nulla. Vi sarà stato al circolo qualcuno che come Ciccio Tumeo
si lamentava di avere votato no e di vedere poi la sua scheda “cacata” con un
sì?
28
ottobre 1860 - Art. 1: Sono nominati i giudici di Mandamento - In Racalmuto: il
signor Benedetto Diliberti. - Palermo 26 ottobre 1860. Il prodittatore: Mordini.
6
novembre - Racalmuto, il signor Salvatore Bellomo, cancelliere di Mandamento.
Statistica
Racalmuto
Maggio
1860 Giugno 1860
* compagni d’arme n.° 48 40
militi a cavallo
* guardie di polizia “ 22 5
guardie di sicurezza
* Rondieri “ 4
* sopranumeri “ 38
[4][1] ) Mons. Domenico de
Gregorio - Mons. Lo Jacono, Agrigento 1966, pag. 20.
[5][2] ) E.N. Messana, Racalmuto
op. cit. pag. 204.
o
o
Lillo SferrazzaPapa
Condivido pienamente. Anche se si tratta di un ergastolano cresciuto a
cinquanta metri da casa mia.Le leggi dello Stato vanno rispettate soprattutto
dallo Stato. L'uomo anche se ergastolano deve avere diritto alla sua dignità e
il carcere così come sancito dalla costituzione deve servire alla rieducazione
del condannato.
o
Lillo Taverna
Carissimo Lillo, porti il cognome di un grande gesuita amico mio (ti potrei
esibire le lettere che mi mandava) e credo che non sia solo un caso di
omonimia. Comunque, mi va di dirti che mi ero occupato del caso Sole (non
sapevo veramente che così si chiamasse) in un mio testo di storia locale e fui
molto duro. In un 10 maggio, mio compleanno, mio nipote mi regala il libro di
Tanu. Mi impressiono. Navigo e trovo il suo splendido, solare, umanissimo,
colto blog INFORMACARCERE ALFREDO SOLE posta diretta. Scopro un mondo che va
molto al di là della oleografia di Tanu. Scrivo un post in Regalpetra libera.
Mi ispiro ad un celebre film di pasolini: il buon ladrone che dice al Cristo
morente, invece che lassù non mi potresti regalare un po' di paradiso quaggiù.
Me la prendo con gli arcipreti di nuovo conio che di petas per le loro
pecorelle in ergastolo ostativo ne pratcano pochino per non dire nulla. Inzio
un'intensa corrispondenza con chi si dice avere ucciso persino il marito di una
prima cugina di mio padre (una terribilissima FANCI). Smuovo con ARTICOLO 21
mezzo mondo. Ora vi è pure un senatore ex democristiano e uno scrittore vetusto
di gialli che si sono finalmente commossi. Bene, benissimo. L'unica mia
preoccupazioe è che la questione del computer senza pennetta è una scemenza.
Vinceranno la battaglia, ma dopo Direttore e Secondini di OPERA restano e le
vendette sul malcapitato Alfredo non potranno più essere oggetto di tenerezze
pre-elettorali. Speriamo bene. Quanto alle tue remore, sono infondate. Qui in
discussione c'è un 4bis in gergo OSTATIVO. Alfredo non può essere ormai
ostativo di un bel nulla. Sono passati ventidue anni di carcere
ultraduro.L'antimafia (quella su cui giustamente sogghignava Sciascia) sa tutto
quello che Sole può ancora sapere. Alfredo non sa più nulla di quell'altro (ed
è quasi infinito) che l'antimafia (sempre quella di Sciascia) SA. Prendersela con
un erudito ormai solo di filosofia greca (ne sa più di me e del tuo omonimo
grandissimo gesuita) diventa davvero atto canagliesco di questo Stato oggi mica
tanto etico.
FRA QUALCHE
GIORNO COMPIO IL MIO 45° COMPLEANNO QUALE SOCIO DI UN CIRCOLO CHE NON AMO PIU'
pubblicata da Lillo Taverna il giorno
Martedì 25 dicembre 2012 alle ore 23.34 ·
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Guardo con acuta nostalgia, con
scoramento anche, il mio libretto 166° Genetliaco [del] Circolo Unione e a pag.
54 mi ritrovo: il 1° gennaio 1967 facevo finalmente parte del Circolo Unione.
Avevo doppiato lo scoglio arcigno ed inflessibile dell'avv. Pillitteri. Avevo
avuto le palline bianche più che sufficienti. Tanti - migliori di me - non
l'avevano avute nel passato; neppure chi ora si crede il santone intoccabile di
un sodaliziao ex nobiliare, divenuto con un colpo di mano statutario tutt'altra
cosa con signorini né nobili né ignobili che sembrano più intenti a cantar
messa e portarvi mistici preti che mantenere la grintosa aria laica (per non
dire massonica) di questa mirabile congrega elitaria della Racalmuto
ottocentesca ed anche novecentesca e persino della prima decade di anni di
questo nuovo millennio.
Mi accoglievano allora presidenti del calibro del p.a. Nicolò BARTOLOTTA; deputati come il rag. Luigi Cutaia, l'ins. Guglielmo Bellavia, l'ins. Felice Caratozzolo, il longevo dottore Salvatore Restivo Pantalone, l'ins. Gaetano Mattina, l'ins. Alfonso Farrauto: meno il padre dell'ex sindaco, tutti di là e da tempo. Sbircio tra quelli che mi precedevano e trovo una istituzione come il dottore Ettore Vinci, il mio simpantico e sfortunato amico il geometra Alfonso Delfino, l'austero prof. Domenico Romano, e quindi, amici da sempre, Nicu Piazza, 'Ngilino Morreale, Nnazziu Pillitteri e chi ancora ci serba trepido affetto come ma cuscinu Totinu Scimè e il mio vicinu di casa là a la Funtana, il dottore Jachinu Trumeddu (per non dire Catallo). Seguono i miei coevi SESSASETTINI e siamo diciannove (o meglio eravamo: vivi meno della metà. Chi ricordare?: l'avv. Garlisi e l'avvocato Buscarino. Ma tanti pur viventi non bazzicano più le sale del circolo dei galantuomini: non è più per i loro gusti.
Io avevo deciso, quest'anno, di tagliare la corda. Che ci sto più a fare in un sodalazio paraclericale, in mano a rampanti che vogliono affermarsi in nome di uno Sciascia che poi non amava tanto quel circolo come sta a dimostrare qualche carta che tenuta segreta, post mortem la famiglia ha ritenuto di dare ad Adelphi per un impropabile FUOCO sul MARE (attendo l'apprezzabile opinione del prof. Di Grado). Ne ho scritto, ma è come parlare a sordi: ho credo chiarito che il frate (veramente semplice chierico) DIEGO LA MATINA nato a Racalmuto nel marzo del 1621 era ancora vivo e vegeto nella pasqua del 1666; non poteva quindi esere stato bruciato nel 1658. Come se dicessi castronerie. Mi si fa pure l'affronto di salmodiare nelle sale del circolo che sovvenziono da quaranticinque anni non so quali prefiche commemorative. Non si degneranno neppure di almeno scomunicarmi per non scomodarsi. Vi sono interessi teatrali di chissà chi e tanto basta.
Per rabbia ho deciso di non dimettermi: pagherò ancora una volta il canone annuale come non stanziale e forse mi deciderò di pagare il mio avvocato di fiducia per seguire le orme del Farmacista Calogero Argento, fu Michelangelo, abitante in via Rapisardi 35 di Racalmuto. Era il 4 gennaio 1945. Lo si voleva massone e liberale e forse lo era ma non voleva appartenere alla DEMOCRAZIA DEL LAVORO dell'altro galantuomo il sig. Amedeo MESSANA. Così come io - clericale cattolico ma non credente - non voglio finire sotto l'egida di nuovi sagritanelli dell'era di padre Ciucia.
Mi accoglievano allora presidenti del calibro del p.a. Nicolò BARTOLOTTA; deputati come il rag. Luigi Cutaia, l'ins. Guglielmo Bellavia, l'ins. Felice Caratozzolo, il longevo dottore Salvatore Restivo Pantalone, l'ins. Gaetano Mattina, l'ins. Alfonso Farrauto: meno il padre dell'ex sindaco, tutti di là e da tempo. Sbircio tra quelli che mi precedevano e trovo una istituzione come il dottore Ettore Vinci, il mio simpantico e sfortunato amico il geometra Alfonso Delfino, l'austero prof. Domenico Romano, e quindi, amici da sempre, Nicu Piazza, 'Ngilino Morreale, Nnazziu Pillitteri e chi ancora ci serba trepido affetto come ma cuscinu Totinu Scimè e il mio vicinu di casa là a la Funtana, il dottore Jachinu Trumeddu (per non dire Catallo). Seguono i miei coevi SESSASETTINI e siamo diciannove (o meglio eravamo: vivi meno della metà. Chi ricordare?: l'avv. Garlisi e l'avvocato Buscarino. Ma tanti pur viventi non bazzicano più le sale del circolo dei galantuomini: non è più per i loro gusti.
Io avevo deciso, quest'anno, di tagliare la corda. Che ci sto più a fare in un sodalazio paraclericale, in mano a rampanti che vogliono affermarsi in nome di uno Sciascia che poi non amava tanto quel circolo come sta a dimostrare qualche carta che tenuta segreta, post mortem la famiglia ha ritenuto di dare ad Adelphi per un impropabile FUOCO sul MARE (attendo l'apprezzabile opinione del prof. Di Grado). Ne ho scritto, ma è come parlare a sordi: ho credo chiarito che il frate (veramente semplice chierico) DIEGO LA MATINA nato a Racalmuto nel marzo del 1621 era ancora vivo e vegeto nella pasqua del 1666; non poteva quindi esere stato bruciato nel 1658. Come se dicessi castronerie. Mi si fa pure l'affronto di salmodiare nelle sale del circolo che sovvenziono da quaranticinque anni non so quali prefiche commemorative. Non si degneranno neppure di almeno scomunicarmi per non scomodarsi. Vi sono interessi teatrali di chissà chi e tanto basta.
Per rabbia ho deciso di non dimettermi: pagherò ancora una volta il canone annuale come non stanziale e forse mi deciderò di pagare il mio avvocato di fiducia per seguire le orme del Farmacista Calogero Argento, fu Michelangelo, abitante in via Rapisardi 35 di Racalmuto. Era il 4 gennaio 1945. Lo si voleva massone e liberale e forse lo era ma non voleva appartenere alla DEMOCRAZIA DEL LAVORO dell'altro galantuomo il sig. Amedeo MESSANA. Così come io - clericale cattolico ma non credente - non voglio finire sotto l'egida di nuovi sagritanelli dell'era di padre Ciucia.
Signor Presidente, signori soci di
maggioranza, signori piccoli azionisti e soprattutto signori soci che si
riconoscono in Finmedit,
Quest’incontro si carica di
drammatici accenti e non è consentito ad alcuno divagare: se ci dovessero
difettare il reciproco rispetto, la saggezza e l’oculata pazienza, andremmo
incontro a nefaste conseguenze, pregiudizievoli per tutti.
Siamo qui assemblati
soggetti portatori dei più disparati interessi; abbiamo tante ragioni per
confliggere reciprocamente: avremo la forza di trovare i punti di confluenza,
anziché scatenarci in contese esasperate?
Un socio di minoranza è già
partito a testa bassa per tutto contestare: ragioni ne ha da vendere. Vogliamo
provare ad intenderci? Il socio di maggioranza, con il suo 58% o giù di lì, ha
solo voglia di delibare quanto deciso altrove? In questo caso, a noi soci di
minoranza non resta altro che scandire qui il nostro dissenso e tentare in
altre sedi la salvaguardia delle nostre residue interessenze.
Lo premettiamo subito:
dovremmo parlare per ore ed ore solo per abbozzare la pregnanza dei nostri
interessi di soci di minoranza lesi e compressi in anni ed anni di
sopraffazioni, provenienti dalle più diverse sedi anche tutorie. Non ci verrà
consentito. Ci venga consentita almeno una pausa di riflessione per un’intesa
là dove questa è possibile.
Il presente raduno
scaturisce dai risultati ispettivi della Banca d’Italia del 1999 che neppure ci
vengono indicati. Per il Consiglio di Amministrazione, basterebbe questo
ultracriptico ragguaglio: occorre «una rettifica … in via prudenziale [di L.
145mld, o forse di L. 175,8 mld o forse per una cifra ancora maggiore sino a
spiegare “una perdita di periodo di L. 220,4 mld”] a seguito degli esiti della
visita ispettiva della Banca d’Italia recentemente rassegnati».
Ai soci di minoranza non
s’intende far sapere altro. E’ ciò sufficiente per decidere o per opporsi?
Si chiede piena fiducia nel
C.d’A che si limita ad una generica assicurazione sul fatto che le indicazioni
ispettive «saranno oggetto di puntuale disamina anche alla luce dell’evoluzione
più recente».
Capirà bene il socio di
maggioranza che siffatta fiducia i piccoli azionisti non possono accordarla.
Capirà bene il socio di maggioranza che già nella stessa costituzione di questa
presidenza – il rispetto per le persone è fuori discussione – i sospetti di
interessi in conflitto varcano abbondantemente la soglia degli indizi gravi,
precisi e concordanti. E sono sospetti che dilagano per ogni dove: dalle stesse
formulazioni del presente ordine del giorno alle decorse deliberazioni
assembleari, a partire da quelle del 1994.
C.d’A – indiscussa
espressione del socio di maggioranza – collegio sindacale, il socio di
maggioranza medesimo non reputano di rischiare troppo sotto il profilo del
conflitto d’interessi? Non reputano di sospendere questi lavori per un
contemperamento delle confliggenti posizioni, specie nei confronti dei soci che
fanno riferimento a FINMEDIT?
Per quel che ne sappiamo extra moenia i rilievi ispettivi vanno
soppesati con rispetto verso la Banca d’Italia ma senza timori riverenziali per
ciò che concerne la loro attendibilità, che ci pare spesso claudicante e
soprattutto in contrasto con l’operato della medesima Banca d’Italia, sia
quella che perfezionò le acri risultanze dell’ispezione Scattone, sia quella
che sino alla reiterazione del controllo di Vigilanza del 1999 aveva assistito
con favore la gestione Banca di Roma.
Conosciamo il valore
dell’ispettore Barbagallo e non siamo tra quelli che pensano che il valente
funzionario – a quanto pare parente o affine del dott. Noto – possa essersi
fatto impressionare dalla voglia della Banca di Roma di incorporare nientemeno
che il quasi millenario Banco di Sicilia. Resta singolare che le ultime
risultanze ispettive finiscono per apparire un pamphlet contro lo stesso Istituto di appartenenza dell’ispettore.
Gli attuali esponenti della
Mediterranea hanno fatto approntare una difesa dei consiglieri e sindaci
incappati in censure ispettive (credo che ai soci di minoranza occorra far
sapere chi paga queste difese così come necessita ragguagliare sul costo delle
complesse procedure a tutela degli esponenti aziendali sotto accusa a seguito
della precorsa ispezione Banca d’Italia): trattasi di difesa effimera, di
sostanziale ammissione di colpa, di postulazione di una generica attenuante per
avere operato in modo tale che alla fine: «la complessa situazione della Banca,
ove riferita alle risultanze della precedente ispezione della fine del 1994, è
risultata in continuo miglioramento.» Ci si limita, così, a dolersi flebilmente
del fatto che «il negativo giudizio formulato in sede ispettiva non abbia
considerato l’impegno del consiglio …. e i positivi miglioramenti in relazione
alla situazione della Banca così come definita nella precedente ispezione.» (A
noi qui poca importa la sbavatura giuridica di quella difesa avverso le
sanzioni amministrative bancarie, che scaturisce tutta dalla sottovalutazione
delle lettere contestative del locale direttore della Banca d’Italia).
A noi soci di minoranza
interessa invece organare una controdeduzione pregevole specie sotto il profilo
fattuale per tamponare le conseguenze della visita ispettiva, che, così come
traspare, porta dritto dritto ai provvedimenti dell’art. 80 del TULB (si
ribadisce: art. 80 e non ad esempio art. 70 o art. 76). Cari soci, se
bastassero gli anatemi dell’amico Marcantonio per scongiurare siffatti
pericoli, non ci mancherebbe la voce per sacramentare, ma la mia precorsa esperienza
nel settore mi rende oltremodo preoccupato e preoccupati dovrebbero essere i
politici per le conseguenze economiche del territorio, i sindacati per i
riverberi sull’occupazione, il socio di maggioranza per i riflessi sul suo
bilancio (a quanto ascende ora il valore della partecipazione “Mediterranea”?),
il C.d’A ed il collegio sindacale per dover rispondere in sedi non commendevoli
su distorsioni contabili ed altro, i soci di minoranza plaudenti nel passato
alla Banca di Roma (con compensi di natura professionali?) e noi soci che ci
rifacciamo a Finmedit che vedremmo polverizzare quel che ancora – sia pur poco
– rimane dei nostri capitali di rischio.
Non è questo un motivo per
unirci?
Su tale base ed a tale fine
si potrebbe collaborare per una contrapposizione difensiva avverso la Banca
d’Italia. Tanti di noi hanno professionalità pregresse che potrebbero essere di
grande aiuto. L’offriamo al C.d’A. che dovrebbe subito accettare: siamo sulla
stessa barca.
Se questa proposta dovesse
essere accolta, si renderebbe necessario interrompere l’assemblea e
riconvocarla per deliberare sui risultati che una siffatta commissione mista di
cointeressati riterrebbe utile sottoporre all’approvazione dell’intero
sodalizio bancario.
Diversamente, i soci di
minoranza dovrebbero respingere l’intero o.di g. che viene proposto e
predisporre gli strumenti tecnico-giuridici per una difesa giudiziaria, il cui
filo conduttore non può non essere il conflitto di interessi con il socio di
maggioranza – spesso socio tiranno – e con quanti vi si sono accodati o vi si
accodano.
Il
conflitto parte da lontano e a dire il vero con una intrusione della Banca
d’Italia, a dir poco, irrituale. Fu infatti il locale direttore della Banca
d’Italia a rappresentare nel 1994 i desiderata
dell’Organo Centrale tendente ad imbarcare la banca del sud nell’alveo del mega
gruppo facente capo alla Banca di Roma. L’autorevole suggerimento trovò spazio
in una sede impropria quale è la lettera ufficiale di contestazione delle
risultanze ispettive (nota n. 4626 del 16 settembre 1994): vi si legge,
infatti. «... la Banca di Roma dovrebbe acquisire una quota del 30% del
capitale di codesta Banca [Mediterranea] [..]: in tal modo, codesto ente
entrerebbe a far parte del gruppo creditizio Cassa di Risparmio di Roma. Al
riguardo, si è qui dell’avviso che l’accordo debba essere considerato alla luce
dei risultati della verifica ispettiva. In particolare, l’apporto patrimoniale
dovrà essere quantificato tenendo presente la necessità di fronteggiare il
deterioramento dell’attivo e di ripristinare l’equilibrio reddituale [..]:
l’intesa dovrà consentire i più ampi poteri di gestione al partner prescelto,
nel cui gruppo creditizio andrà ricompresa l’azienda ...» (v. pag. 5).
E potremmo citare altre
fonti che ormai sono di pubblico dominio per i vari processi anche penali in
corso.
Lanciato lo strale contro
B.I., poco possiamo raccogliere da tali lagnanze. La Banca d’Italia per
giurisprudenza consolidata è “organo irresponsabile” (vedasi sentenza
Ambrosiano, Cassazione a sezioni unite del 29marzo 1989 n. 1531) e le pur acri
polemiche della dottrina a nulla hanno approdato. Se F. Vella ha scritto: «in
altri termini si tratta di evitare soltanto che all’illusione del legislatore
totale si sostituisca l’illusione dell’amministrazione tuttofare», la
discrezionalità della Banca Centrale resta ancora assoluta, ora come allora.
Ma l’usbergo B.I. non
dissolve le responsabilità Bancoroma.
Nel 1993 figuravano tra le
azioni proprie L. 18.413/m. comprate per la maggior parte a L. 15/mila. Con
accordi del marzo 1994 la Banca di Roma s’impegnava ad acquistare n. 1.568.816
azioni in portafoglio della Mediterranea a L. 15.000 ed a sottoscrivere
integralmente un aumento del capitale per giungere ad una quota del 30% al
prezzo di emissione non inferiore a L. 15.000. Era un accordo condizionato, ma
nella sostanza non poteva essere modificato se non per eventi allora
imprevedibili. L’atto provvidenziale fu la drastica ispezione Scattone che
abbondando in previsioni di perdite su opinabili sofferenze consentì la
riduzione del prezzo da L. 15.000 per azione a L. 8.000 per azione. La Banca di
Roma senza doversi sbracciare più di tanto potè rinegoziare l’iniziale acquisto
delle azioni della Mediterranea nel proprio portafoglio da L. 15.000 ad azione
a L. 8.000; sottoscrivere sempre a L. 8.000 per azione l’aumento del capitale
sociale del novembre 1994 ed a tale prezzo potè aggiudicarsi quello successivo
del 1995.
I dati tecnici qui non
interessano: resta però evidente che la Banca di Roma potè acquisire l’attuale
58% o giù di lì del capitale sociale della Mediterranea adducendo soltanto 339/miliardi
circa al posto di L. 636/miliardi circa con una differenza di L. 297/miliardi
circa, (miliardo in più, miliardo in meno: noi non abbiamo per ora i dati
precisi). Dobbiamo aggiungere che la cosa, pur indagata, non ha sinora sortito
effetto alcuno presso la magistratura. Il supporto giuridico sembra essere una
perizia di un auditor bancario, di cui la Banca di Roma è socia, che a dire il
vero si è limitato a fare un poco convinto riferimento alle risultanze
ispettive precedenti. Ma particolare di grosso valore, la Banca di Roma non ha
ritenuto, dopo, attendibili le ricostruzioni ispettive e per anni le sofferenze
sono state molto al di sotto rispetto a quelle ispettive. Del pari le
valutazioni delle perdite inerenti.
Se mi
si chiede se in atto i soci possano ancora sperare in un recupero risarcitorio,
non so rispondere. Mi pare che tutte le precedenti delibere assembleari al
riguardo dovrebbero essere invalide per manifesto conflitto di interesse. Oggi,
in questa chiamata al giudizio finale, il socio di maggioranza dovrebbe per lo
meno allontanarsi ed il C. di A. con il collegio sindacale non avrebbe titolo a
fare proposte di acquiescenza ai nuovi risultati ispettivi per la palese
confliggenza d’interessi. Una delibera in ordine delle responsabilità
patrimoniali dovrebbe avvenire senza l’interferenza di soci coinvolti o di
amministratori consenzienti.
La mia
proposta è comunque quella di attivare l’art. 2392 c.c. e di richiedere il
“provvedimento motivato” alla Banca d’Italia ai sensi dell’art. 70 c. 7 del
TULB, non mancandosi – in caso di mancato raggiungimento del quorum previsto –
di procedere egualmente ad una nostra segnalazione motivata.
Alla
Banca d’Italia deve inoltre essere fatto presente che vi sono ragioni di
assoluta urgenza perché proceda alla “gestione provvisoria” ex art. 76 del
T.U.L.B.
E ciò
non tanto per quello che prima abbiamo abbozzato, pur mancando di dati di
dettaglio, ma soprattutto per i seguenti indici di anomalia nella gestione
bancaria.
a) la
Banca non ci segnala che il nostro sistema informativo è risultato “obsoleto”;
che inadeguato è apparso l’apparato contabile e segnaletico; che carenti si
sono rivelati i sistemi di controllo interno. Ebbene ciò nonostante che dal
1994 ad oggi il carico del conto economico per competenze a professionisti
esterni abbia avuto il seguente ingente sviluppo: 1994 L. 5.432.795.176; 1995
L. 3.447.530.240; 1996 L. 4.914.115.300; 1997 L. L. 6.413.846.934; 1998 L. 7.049.931.185 e già
nella prima metà di quest’anno l’esborso è asceso a L. 5.671.059.916.
b) Se
siamo bene informati, alla Banca d’Italia non piace neppure il nostro Servizio
Ispettorato - ma per esperienza diretta noi dobbiamo qui esternare il nostro
plauso ai valenti dirigenti della Mediterranea che vi hanno operato e che
ancora vi operano – e tanto rende inaccettabile l’enorme dispersione di mezzi
propri nel pagare ingenti somme alla Capogruppo per prestito di “personale”.
Leggendo gli scarni dati di bilancio abbiamo che nel quinquennio sono stati
sborsati questi emolumenti a dirigenti estranei distaccati dalla Banca di Roma:
1995 L. 1.434.486.272; 1996 L. 3.049.758.246; 1997 L. 2.281.669.399; 1998 L.
2.531.803.065 e nella prima metà del 1999 L. 1.400.830.290. In totale dunque L.
10.699,5 milioni di nessuna utilità, di gratuito aggravio dei vari conti
economici, già pesantemente incisi dall’enorme costo del personale proprio –
invero di altissimo livello, se bene utilizzato – e con incidenze sulle
responsabilità degli amministratori, dei sindaci, nonché con insorgenze
conflittuali di interessi nell’ambito delle assemblee sociali per la presenza
determinante del socio tiranno beneficiario indiretto di codesti indebiti o
dispersivi gravami economici.
c) Per il
nuovo ispettore della Banca d’Italia gli ingenti accantonamenti per
ammortamento in conto delle varie sofferenze ed incagli che hanno devastato i
precorsi esercizi sono insufficienti e necessiterebbero – a dire degli stessi
amministratori – “rettifiche di valore su crediti in sofferenza e ad incagli
pari a L. 175,8 mld.” e cioè L.30,8 mld. per “rettifiche di valore analitiche”
e L. 143 mld. a titolo di svalutazione “forfetaria”. Non venendo ragguagliati
in nulla, noi soci di minoranza contestiamo siffatta impostazione di bilancio.
Innanzitutto, occorre conoscere il trend delle sofferenze dalla precedente
ispezione alla presente: occorrono i famosi allegati di supporto agli stringati
rilievi. Necessita stabilire se la gestione delle precorse sofferenze è stata
adeguata e proficua; se il socio di maggioranza ha favorito i suoi grandi
clienti esposti anche in Mediterranea; se via sia stato uno storno di posizioni
incagliate da Roma a Potenza ed altre peculiarità operative che passano anche attraverso
compravendite di azioni preferenziali della Mediterranea da parte della Banca
di Roma a pregiudizievole sistemazione di taluni grandi debitori della
Mediterranea. Questi e tanti altri aspetti su cui ci si riserva di intervenire
nelle competenti sedi rendono particolarmente grave il contesto delle
responsabilità amministrative di amministratori e sindaci ed inquinano le
precedenti delibere assembleari che hanno inteso suggellare, col solo assenso
dell’interessato socio tiranno, un indirizzo gestionale che ora la Banca
d’Italia torna a stigmatizzare pesantemente.
d) Per la
Banca d’Italia, prodottasi in uno scrutinio del merito di credito nella sua
veste di terzietà, diffuse sarebbero le manchevolezze che vengono giudicate
incoerenti con l’ipotizzata espansione del comparto. L’iniziale intento di
convogliare a Potenza da Roma risorse tecnico-menageriali rivenienti da una
impresa bancaria di alto standing appare del tutto frustrato. La Banca d’Italia
non può pertanto lasciare la Mediterranea in mano a chi ha tradito la sua
fiducia: le resta l’ufficio ex art. 76 TULB cui deve procedere con urgenza
perché vanno profilandosi manovre pregiudizievolmente dilatorie come è la
proposta degli amministratori, che, pur fustigati dai rilievi ispettivi,
vorrebbero un “rinvio al prossimo esercizio dell’adozione degli opportuni
provvedimenti di cui all’art. 2446 c.c.” e ovviamente fidandosi della
benevolenza del socio tiranno – per suo verso interessato a tale conflittuale
slittamento di provvedimenti che sarebbero inceppanti della veridicità e
fedeltà del suo proprio bilancio - sperano in una decisione volta a
soprassedere «in questa sede, alla riduzione del capitale a copertura delle
perdite al 30/06/99».
e) Sempre
ad avviso dei nuovi ispettori B.I. gli incagli ufficiali hanno per lo più
caratteristica di sofferenza. Si intuisce, dunque, un deterioramento
dell’assistenza creditizia. Le sofferenze residuano in L. 600/miliardi a
seguito di “rettifiche di valore” per L. 595,6 miliardi (la nostra banca ha
crediti in sofferenza per L. 1.196 miliardi che gli amministratori di diretta
emanazione del socio tiranno lasciano marcire da anni tra le pieghe
dell’attivo). Sono destinate, per intuizione ispettiva, a crescere
ulteriormente. La Banca d’Italia non è tenuta ai provvedimenti di rigore, ma un
inquietante interrogativo la dovrebbe attanagliare, specie se lascia l’azienda
bancaria sotto la sua vigilanza, in mano di amministratori e di un socio di
maggioranza a dir poco distratti. Aggiungasi che patologico va giudicato il
comparto degli interessi di mora: trattasi di L. 373.293.701.894 svalutate per
L. 320.953.587.573, il che la dice lunga sulla indolenza degli amministratori
nel recupero almeno parziale degli interessi moratori. Ed il rilievo n. 15 è
molto significativo al riguardo. S’impone quindi l’interrogativo circa
l’atteggiamento della B.I. che al momento si limita a contestare cose tanto
gravi senza assumere le iniziative che, se non la forma, l’essenza della
vigilanza prudenziale imporrebbe senza indugio.
f) Rade
sarebbero – sempre per la Banca d’Italia - le autonome e tempestive azioni
esecutive volte al recupero dei crediti. Da ciò dovrebbe scaturire un’immediata
e tempestiva iniziativa nel senso scandito dall’art. 76 T.U.L.B.
g) Quanto
delicato sia il rilievo sulla scarsa correttezza contrattuale e sulla rilassata
prevenzione dell’utilizzo dei circuiti bancari a fini criminosi è di palmare
evidenza. Un rilievo del genere rivolto ad uomini per vari versi legati ad uno
dei massimi enti bancari nazionali lascia solo esterrefatti. Ma basta una
semplice tirata di orecchie?
h) Per
Barbagallo sarebbe solo insufficiente l’attenzione che viene prestata
all’osservanza della normativa antiusura. Per quel che ci è capitato di vedere,
gli episodi di tracimazione dai “tassi-soglia” sarebbero tutt’altro che
episodici e di modesta misura.
i) Censurabili
in termini di maggior rigore ci sembrano i casi di devianza dai canoni
dell’antiriciclaggio (rilievo 16);
j) Esulando dalle contestazioni B.I., abbiamo da lamentare
l’assoluta inidoneità delle note illustrative della nota contabile al 30/6/99 e
dell’o.d.g che ci viene proposto. Il rendiconto che ci viene chiesto di approvare ha un taglio
decisamente incomprensibile: nulla si spiega, nulla si dice a chiarimento di
tavole e tavole di aridi numeri, men che meno ci vien fatto sapere perché
all’improvviso si riesumano fatti e vicende di almeno un quinquennio prima e -
divenuto il socio egemone padrone assoluto del consiglio di amministrazione,
dopo il defenestramento o le dimissioni forzate dei pur remissivi esponenti
della minoranza - si è inferto un colpo esiziale alle residue valenze
patrimoniali dei soci minoritari. Abbiamo detto sopra come secondo noi la Banca
di Roma sia divenuta all’improvviso padrona assoluta della Mediterranea senza
conferire - o quasi - alcun apporto per consolidate plusvalenze della
precedente azienda bancaria. Dopo il bilancio 1997 - che a mio avviso va
invalidato per nullità sempre eccepibile – è stato azzerato il “fondo
soprapprezzo azioni” che noi soci di minoranza e noi soli abbiamo costituito,
con solo nostri sudati - ed ora dispersi - capitali freschi; non furono
rispettati i divieti per conflitto d’interessi e fu rimessa alla volontà
dittatoriale del socio egemone la decisione dissolvitrice del patrimonio altrui,
senza contemplare gli ostacoli anche giuridici che vi si contrapponevano. Tre o
quattro cifre sintetizzano la devastazione bancaria che con questo rendiconto
semestrale - frutto solo dell’inventiva dei rappresentanti del socio egemone -
ci si propone addirittura di “approvare”, come se non si trattasse di manovre
volte solo a nostro danno, a danno cioè dei soli ed indifesi soci potentini, e
cioè di quei maldestri soci vistisi ridotti a soci di minoranza quando un tempo
erano i proprietari assoluti della Banca, per non parlare dei soci di
Pescopagano che per destinazione del padre di famiglia vantavano
imprescrittibili ed incedibili diritti di prelazione su una non trasformabile
banca popolare. E tutte queste nostre ragioni sono state nel tempo vanificate
per interferenze anche autorevoli.
k) Con
alcune cifre buttate lì, nel rendiconto semestrale, che sconvolgono ogni logica
di economia d’azienda si vuole, con decisione del solo socio di maggioranza,
vanificare i patrimoni dei soci minoritari; ciò, mentre - per converso – si
lascia integra la partecipazione del socio dominante che potrà alienare ogni
cosa senza nulla perdere.
l) Abbiamo
subito conflitti d’interesse a non finire; siamo stati iugulati con decisioni
lesive dei nostri interessi di soci privati di voto effettivo per il prevalere
del socio tiranno, interessato a ben altro; nessuno può negare che v’erano nel
passato fondati sospetti di condotte ricadenti negli articoli del 2446 codice
civile, 2447 c.c. e 2448, sub 4), pronuba anche una legge bancaria priva di
difese per i soci di minoranza, espoliatrice dei diritti ex art. 2409 c.c.; di
una legge bancaria che per ottenere dalla Banca d’Italia un motivato giudizio –
prevedibilmente negativo per i soci di minoranza – vuole il voto assembleare del
ventesimo del capitale sociale. Ma se vi sono
notitiae criminis la Banca d’Italia non è tenuta a fare rapporto
all’autorità giudiziaria, senza indugio? E così ancora una volta dovremmo
subire l’arcigno silenzio sugli eventi che avrebbero improvvisamente determinato
il crollo della nostra banca, dato che il C.d.A. – che al socio di maggioranza,
statene certi, tutto ha già detto – reputa prudente non fornire adeguati
chiarimenti sia in sede di relazione generale sia in sede di doverosa
esplicazione di sibilline poste contabili.
m) Si
pensi ad un fatto devastante: senza eventi imprevisti ed imprevedibili, senza
ragioni inopinatamente sopraggiunte, senza deterioramenti repentini
dell’ordinario operato bancario (del tipo di colossali malversazioni da parte
di dipendenti infedeli), la Banca Mediterranea, che nel 1998 il suo modesto
ruolo di azienda creditizia era riuscita a svolgerlo per merito esclusivo della
pur numerosa e subalterna compagine impiegatizia, precipita da un risultato
passabile ad una catastrofica perdita di periodo (che vuol dire?)
n) La
disavventura è tanto inconsueta, tanto spaventevole, tanto abissale che avrebbe
dovuto spingere i responsabili - alla fine tutti portavoce del solo socio
dominante - a quintali di giustificazioni e di chiarimenti e di ragguagli e di
informazioni tecniche e di spiegazioni giuridiche, e di lezioni di tecnica
bancaria, e di altro ed altro ed altro ancora. Ed invece nulla, o pressoché
nulla - visto che quello che si dice, cripticamente, innocentemente, sa di
scarica barile. Il nostro patrimonio crolla d’improvviso e si porta a quota
155/miliardi (ed i tecnici sanno per di più che la riserva per azioni non va
conteggiata); in parole povere le nostre azioni che credevamo valere ancora
sulle 8.000 mila lire, non valgono neppure il valore nominale di L. 5.000, ma
solo, salvo ulteriori devastazioni, L. 2.050 (che in prospettiva potrebbero
equivalere a 4 azioni del Banco di Roma all’identico valore nominale e
francamente con questi chiari di luna potrebbe anche convenirci. Basta che ce
l’assicurino sin d’ora).
o) Ci pare di riascoltare
vecchie giustificazioni che si abbarbicavano ai cosiddetti “fenomeni di
deterioramento della qualità del credito” (vedasi bilancio 1997). Ma ora i
“romani” debbono spiegarsi meglio: vengono dalla “sapienza” e sono sapienti. Si
deteriora qualcosa che una volta era buona. Si deteriora qualcosa perché
malconservata. Si deteriora qualcosa perché non si sa gestirla. Si deteriora
qualcosa perché, per mille inconfessabili motivi, la si vuol deteriorare,
perdere. Si deve essere più chiari. Qui è in gioco la sopravvivenza della
banca, almeno la sopravvivenza delle partecipazioni minoritarie. Al socio
egemone può fare comodo rimpinzare di riserve, se non occulte, di sicuro
potenziali questa nostra banca; lasciare un residuo barlume di consistenza
patrimoniale che giustifichi la partecipazione al valore di L. 6-7.000 nel
bilancio bancario del socio dominante; vendere a terzi quell’interessenza -
magari esteri e meglio ancora se esterovestiti e meglio ancora se con capitali
facili - a prezzi di affezione; creare le premesse per un successivo
azzeramento del capitale sociale per l’estromissione dei soci dominati e ciò in
vista di una ricostituzione del capitale sociale cui non potranno accedere i
soci dominati per inidoneità finanziarie; facile così la locupletazione degli
ipotetici speculatori esteri (cui gratuitamente accederanno le riverse
potenziali per i sovrabbondanti ammortamenti delle sofferenze). Dovete chiarire
e rasserenare i soci di minoranza, informarli e soprattutto astenervi dalle
improvvide politiche di occultamento di utili con massicce e ingiustificate
rastremazioni dei crediti.
p) “Fuge rumores” dicevano i maestri del capitalismo italiano.
D’accordo: ma qui non è questione di rumori; qui è l’annuncio di una morte,
della morte di una banca. Se non il lamento delle prefiche - e nessuno di noi
lo gradirebbe - almeno una confessione liberatrice sarebbe doverosa. Da cinque
anni abbiamo le tanto conclamate sinergie con il grande polo della Banca di
Roma; caterve di funzionari, dirigenti in prequiescenza, profluvio di
corrispondenza ammonitrice; pareri “pro veritate” - ma a dire il vero, la
verità della casa madre - ultra remunerati; amministratori venuti da lontano;
provvedimenti odiosi; dimissionamenti ex abrupto di dirigenti tradizionali, e
tant’altro: beh! tutto questo non solo non ha impedito la catastrofe ma l’ha
registrata, a dir poco, tardivamente. E per di più - e qui siamo
nell’inaccettabile - la si viene qui a raccontare per sommi capi, cripticamente,
senza ragguagli, misteriosamente, ultimativamente e con il non nascosto intento
di ottenerne la tranchant
approvazione del socio egemone, noncuranti di ogni remora per conflitto
d’interesse.
q) Un tempo ci venne detto che
la débacle si era verificata: «a seguito del totale deterioramento della
situazione economico-finanziaria di alcuni clienti e grandi gruppi che ha
comportato, in particolare per nuovi fatti negativi riscontratisi nella seconda
metà del 1997, oltre al passaggio dei relativi rapporti da incagli a
sofferenza, un aumento delle previsioni di irrecuperabilità,[per cui] sono
necessitate rettifiche nette su crediti e svalutazioni per perdite definitive
per circa 275 miliardi.» (v. p. 2 bilancio 1997) . O si mentì allora o si mente
adesso. In ogni caso numerose sono state le inesatte segnalazioni all’Organo di
Vigilanza. L’organo tutorio fu in quiescenza allora, non mi pare che possa
continuare ad esserlo. Non può quindi lasciare la banca in mano di chi qualche
problema con l’art. 134 T.U.L.B. dovrebbe averlo. Si vocifera - a dire il vero
qualcuno mostra le fotocopie delle missive - che non è da ora che l’ex
Amministratore Delegato pietisse udienza epistolare presso quelli di Roma per
il passaggio a sofferenza di posizioni a lui sgradite; si vocifera che Roma
abbiano fatto finta di non ricevere neppure quelle missive, almeno sino ad una
certa data? Si vuol rispondere in questa sede? Si vuol chiarire se almeno la
consapevolezza di quel deterioramento del credito c’era già a date pregresse?
Vetustamente? Se no, si vogliono fornire le precisazioni? Sono state almeno
fatte le debite segnalazioni all’Organo di Vigilanza? I moduli di rito (Mod.
135 Vig. di un tempo o quelli attuali di Matrice) sono stati corretti, ad ogni
cadenza? Non v’è pericolo di essere incorsi nelle censure dell’art. 134 della
legge bancaria? O si pensa davvero che la normativa di Vigilanza valga solo per
gli zotici amministratori del Sud ma non riguardi gli Unti del Signore? Davvero
agli “amici sarà dato; ai nemici sarà tolto”, per esprimerci evangelicamente?
r) Possiamo
rigirare quante volte vogliamo la scarna paginetta di questa nota del C.d.A.
(quella dei sindaci è ancor più risibile): nulla sapremo sullo stato degli
impieghi (qualche cifra buttata qua e là). Ne sapevano di più quelli della
FIBA-CISL che ironicamente si andavano domandando “Ma c’è qualcuno a cui
interessano 1.200 miliardi?”. Prosa e sintassi a parte, quel che in quel
foglietto si dice pubblicamente - e i responsabili di questa banca lo hanno
lasciato dire impunemente - credo che interessi a questo consesso. Ma
soprattutto credo che i nostri amministratori dovevano in sede di bilancio
contestare, puntualizzare e precisare le accuse dei cislini. Davvero l’Ufficio
Recupero Crediti si è tramutato in “discarica
di rifiuti a cielo aperto”? Non siamo in vena di compassione per chi ha
voglia di fare sapere all’esterno - ma lo stipendio lo riscuote all’interno -
che viene spremuto “uno sparuto numero di
addetti alla gestione, sempre più oberato di carichi di lavoro che hanno
condotto alcuni di loro ad un vero e proprio stress psico-fisico, in un locale
sempre più simile ad un cantiere edile, per non usare altro genere di paragone.”
Ma siamo più interessati alla faccenda dell’amministratore delegato; anche a
noi, in sintonia, “sorge spontanea
un’altra domanda: se l’amministratore delegato ha avvertito l’indifferibile
necessità di effettuare le così dette pulizie, riversando a sofferenza
centinaia e centinaia di miliardi si da creare una vera e propria discarica
delle sofferenze, che hanno raggiunto la ragguardevole cifra di 1.200 mld., al
netto di molti altri miliardi girati a perdite, cioè a babbo morto, ha,
al pari, avvertito l’esigenza di dotarsi di uno strategico piano dei rifiuti?”
Dove dobbiamo cercare risposta a questa ed altre domande consimili? Dal
sindacato della CISL? Non abbiamo diritto ad averle qui quelle risposte? Anzi,
non dovevano esserci già? Vorranno gli amministratori ripensarci, ritirare il
bilancio e corredarlo di tali doverose risposte? Ci vorranno dire che c’entra
Mastronardi con le sofferenze, visto che la CISL lo rimprovera di non avere
affrontato “in maniera seria e concreta .. la questione delle sofferenze”? La
CISL si permette di accusare la banca - ma questa non risponde alla CISL ed
omette anche in questa sede di dare la dovuta informazione - con questi
pungenti appunti: «I problemi, quasi
tutti insoluti, sono letteralmente esplosi, rendendosi di più difficile
soluzione; l’eccessiva burocratizzazione e legalizzazione ha pressoché
ingessato il settore rendendolo sempre più simile ad un’aula di tribunale e
sempre meno un ufficio bancario dinamico, moderno, pragmatico, orientato a
recuperare i propri quattrini senza diventare strumento per bieche affermazioni
personali di madame e messeri di turno.» Ci punge vaghezza di sapere chi
sono codeste “madame” e codesti “messeri” a turno nelle “bieche affermazioni
personali”. Ma forse è già partita qualche denuncia. Almeno, si ha intenzione
di segnalarcela? La FIBA-CISL asserisce che “il nostro amministratore e i suoi detti consulenti ... sono,
diversamente dai sindacalisti, pagati, pardon, stra-pagati!” A noi soci di
minoranza si vuol almeno dare qualche ragguaglio su tali strapagamenti? In
bilancio qualche cifra spunta - ovattata, però, confusa in un mare di dati:
qualche cenno l’abbiamo fornito noi sopra. Tanti soldi spesi per portare la
redditività bancaria abissalmente sotto zero ed il patrimonio da 600 e rotti
miliardi ad un opinabile importo di 155 miliardi. Ma le cifre dicono poco: non
sappiamo quanto abbia preso l’amministratore delegato e quanto sia finito ai
numerosi membri degli organi aziendali. Abbiamo già detto delle decine di
miliardi erogati a “professionisti esterni”: a chi, a quale titolo, perché?
Mistero. Ci piacerebbe tra l’altro sapere se corrisponde al vero che si sia
ritenuto necessario consultare un legale esterno della Banca di Roma per sapere
come comportarsi nell’acquisto delle proprie azioni; se è poi vero che costui
si sia limitato a sintetizzare quello che aveva già scritto in un vecchio suo
lavoro pubblicato e stravenduto; che abbia dato consigli così vaghi che gli
esponenti aziendali si sono sentiti riassicurati sul loro vezzo di comprare da
beneaccetti, fingendo persin di credere a cervellotiche motivazioni, e di
negare l’acquisto a chi gradito o perlomeno compaesano (pugliese) non era; che
per somma beffa, quel vacuo parere sia costata una tombola alla banca. Sono
questi solo pettegolezzi di borgata? Vorranno i nostri progettisti del
bilancio, chiarire, rasserenare, fugare gli equivoci? Oppure reputano la
faccenda, coperta dal .. segreto bancario? Le Autorità di Vigilanza non sono
davvero interessate alla questione? La provenienza di quei consulenti può avere
un peso?
s) Per
inciso, la petulante domanda della FIBA-CISL è del 23 marzo 1998, in tempo per
consentire ai nostri amministratori - se davvero ne avevano voglia - di fornire
in questa sede tutte le spiegazioni possibili, il ragguaglio su tutte le difese
percorribili. Il silenzio è, per converso, eloquente. Sorprende davvero quello
che viene lasciato cadere, quasi inavvertitamente, a pag. 2 del bilancio 1997:
“Perdite definitive per 275 miliardi” vengono segnalate come se ci si
ragguagliasse su una gita scolastica. Che cosa sono le perdite definitive per “rettifiche nette su
crediti”? Perché definitive? Si tratta di valori numerari certi? Se sì, ci
vogliono venire spiegati? A pagare siamo noi, soci di minoranza. Si consultino
tutti i testi di economia aziendale e di tecnica bancaria e non si riuscirà a
comprendere la portata gnoseologica di una definitività in momenti valutativi
dei crediti: la ragioneria ci dirà che siamo in presenza di “perdite temute”,
di eventualità, dunque. Ed allora? La informazione ha senso se si vuol dire che
la banca, in vena di munificenza, si sia messa ad assecondare clientela di
favore con formali rinunce delle proprie ragioni creditorie. Magari, basandosi
su un incidente di percorso di qualche maldestro ex direttore generale che non
si è avveduto che la garanzia doveva essere novennale anziché annuale. E basta
tanto per considerare “perdita definitiva” qualche grazioso omaggio, magari di
una cinquantina di miliardi, “per necessitata rettifica netta su crediti e
svalutazioni”? Vogliono, lor signori, informarci, o rasserenarci? Abbiamo
diritto alle indispensabili informazioni? Ove si trovano nei bilanci che avete
progettato e fatto approvare dal cointeressato socio tiranno?
t) Ma
ritorniamo ai 688,1 miliardi di “perdite ammortate” per temuta irrecuperabilità
di partite in sofferenza. Non crediamo che si tratti di creditorie perdenti
alla data del 24 marzo 1998 o a quella del 16 settembre 1999 (data di consegna
del rapporto, visto che pare i signori amministratori si siano rifiutati di
firmare in ante-prima i famosi allegati di vigilanza ispettiva). Sicuramente,
si tratta di incagli risalenti alla notte dei tempi. A quando? Si è posta
attenzione al fatto che l’importo della perdita era tale da sovrastare il
capitale sociale? Non vi erano altre perdite? Non è colpa nostra se non è
facile capire cosa gli amministratori abbiano voluto dire con la ridda di cifre
dei vari bilanci relative alle perdite “temute”. Le quali perdite - qualsiasi
alchimia contabile si tenti, a qualsiasi scuola di pensiero si aderisca - per
lo meno hanno, da anni, determinato quel paralizzante buco patrimoniale di cui
all’art. 2446 codice civile. Perché allora non si è proceduto alla convocazione
dell’assemblea “senza indugio” in tempi non sospetti? Noi siamo tentati di
sospettare che un conto è per il socio egemone svilire l’esposizione creditizia
della concorrente banca dominata, un conto è svilire formalmente il capitale
sociale della banca dominata, pena la necessità di ammortare la propria
partecipazione - e Dio solo sa se la Banca di Roma può permettersi svalutazioni
siffatte - e la doverosità degli apporti di capitali freschi propri nella
stessa banca dominata. Ma palmare è il conflitto d’interessi che ne scaturisce.
C’è da domandarsi allora se si è operato con accortezza, se si è deliberato nel
passato con le debite astensioni. Se non si vuol rispondere in questa sede,
prima o poi ed in ben altre assise si sarà costretti a farlo.
u) Per
non venire tacciati di fare un discorso “senza costrutto”, siamo costretti ad
essere puntuali sino alla pignoleria. Una pregiudiziale deve essere però subito
evidente. Mentre a noi soci di minoranza non è dato di sapere nulla sulla
nostra banca, fuori di qui, nelle sedi sindacali - lo abbiamo visto - in quelle
politiche, presso il Consiglio di Basilicata, e presso la stampa (l’orgia di
questi giorni ci ha infestati tutti), carte, rapporti ispettivi, consulenze
giudiziarie, interrogatori, documentazione riservata ecc. circolano come
romanzetti d’appendice. Noi abbiamo avuto la fotocopia dell’interrogazione di
Pietro Simonetti del 23 marzo 1998. L’iniziativa politica è stata resa di
pubblica ragione con il corredo degli atti riguardanti la nostra banca. Quel
che i nostri amministratori ci tengono segreto, lì è dato in pasto del
pubblico. Quanto andremo dicendo si avvale di quei documenti. Ma trattandosi di
nominativi, di imprenditori, di gente che ha diritto alla riservatezza, ci
guarderemo bene dal divulgare - da parte nostra - le generalità di siffatta
clientela bancaria.
*
* *
A noi interessa avere risposta in
ordine ai fatti che stravolgono la gestione della nostra azienda: i nomi a chi
interessano. Ci serviremo quindi di riferimenti indiretti a tutela della
riservatezza di tali soggetti.
Il
Simonetti, nell’invitare il Consiglio Regionale di Potenza a costituirsi parte
civile nel noto processo che coinvolge solo taluni degli ex amministratori
della nostra banca, allega i rapporti di due ispezioni della Banca d’Italia. Là
abbiamo una messe di notizie sullo stato degli impieghi della nostra banca.
Emerge così che «l’esame del rischio
creditizio in essere al 31.12.1993 poneva in evidenza:
a) posizioni in sofferenza
ed incagliate per un ammontare rispettivamente pari a L. 847,1 miliardi e L.
465,3 miliardi, sulle quali si prevedevano perdite complessivamente pari a L.
508,6 miliardi;
b) incrementi rispetto alle
segnalazioni all’Organo di Vigilanza per L. 619,9 miliardi sulle sofferenze,
per L. 166,7 miliardi sulle posizioni incagliate e per L. 406 miliardi sulle
previsioni di perdita (cfr. allegati nn. 3/a e 3/b).» (Cfr. rilievo n.° 43 pag.
29).
La
divulgazione delle notizie - come si vede - è grave. Sono stati adottati
provvedimenti da parte degli organi a presidio della nostra banca? Rispondono
al vero carte, notizie e dati propalati? Se sì, non possiamo non chiedere come
mai dalle pure esagerate valutazioni ispettive, in base alle quali sofferenze
ed incagli assommavano a fine 1993 rispettivamente a L. 847,1 miliardi ed a L.
465,3 miliardi, passano ora, nella nota che ci si chiede di approvare senza
adeguate informazioni, a cifre quasi raddoppiate. Gli ispettori sono stati
ritenuti eccessivamente fiscali: gli stessi esponenti della Banca di Roma per
anni non ne hanno condiviso i dissolventi apprezzamenti. Che cosa è successo?
All’improvviso c’è stata la folgorazione come Saul sulla via di Damasco? E non
si ritiene di ragguagliarci? Quali le responsabilità dei nuovi amministratori?
Quali i fatti nuovi che hanno imposto decisioni tanto devastanti? Nulla di
nulla nella relazione che abbiamo sotto mano. Le superfetazioni si limitano a
quei pochi accenni che abbiamo già richiamato. Ma un grave dubbio ci assale:
non è che si è portato a sofferenza l’impiego vivo dell’ispettore del 1993 e
per converso si continua a tacere sullo stato di decozione di tanti altri e
veri crediti in sofferenza o in incaglio, sol perché magari amici del padrone?
E qui dobbiamo essere schietti sino alla ferocia.
Tralasciamo
ogni riferimento alla martoriata posizione Casillo (solo ci piacerebbe sapere
se i perduti 158 miliardi di cui leggiamo sulla stampa siano conteggiati nel
subtotale di L. 1.434,2 miliardi di pag. 20 del bilancio 1997 oppure no: ed al
contempo vorremmo sapere dall’ispettorato interno – nessuno può sottovalutare
l’acume irriducibile di Maffucci, neppure Barbagallo - se i noti libretti per
quasi 4 miliardi, prima rivendicati da un celebre personaggio e poi fini nelle
mani omonime di un ultraperdente nostro vecchio affidato, a scare bene non
erano riserve occulte in collaterale dei debiti Casillo). Ma ci vogliono lor
signori spiegare quale decorso hanno avuto i rapporti Parmalat, Mediofin, Pafi
che stando alle notizie di stampa avrebbero contratto “prestiti che sarebbero
stati utilizzati per l’acquisto di azioni, per un controvalore di 50 miliardi,
dello stesso istituto di credito”. Quei prestiti che fine hanno fatto? Sono
finiti tra le sofferenze? Tra gli incagli? O sono stati recuperati? Come?
Quando? Con intervento di chi? Se la Banca di Roma - direttamente o
indirettamente - si è data da fare per acquisire interessenze al capitale
sociale della nostra banca per compensare quei prestiti, sono state rispettate
le norme - dure e paralizzanti - che in questi ultimissimi anni sono state
emanate a difesa della borsa?
Occorre
scendere ancor più in dettaglio. Abbiamo diritto di sapere che fine hanno fatto
i rapporti creditizi su cui si soffermavano gli ispettori della Banca d’Italia
nei seguenti rilievi:
- quelli che nel rilievo
sub 1) ultimo capoverso gli ispettori definiscono “crediti, anch’essi di
rilevante ammontare e oltre tutto riguardanti nominativi legati alla banca da
vincoli partecipativi”, di cui stigmatizzano la “crescita delle esposizioni in
misura non proporzionata alle effettive potenzialità economico patrimoniali dei
singoli affidati, con refluenze sulle stesse possibilità di recupero delle
creditorie e ciò pure in presenza di reiterate iniziative di sostegno e di
ristrutturazione ...”. Siffatte temute refluenze vi sono state? Quali
provvedimenti ha adottato la nostra banca? E’ stata equanime? Ha avuto
indulgenze per alcuni e discriminatori accanimenti verso altri? Si pensi che i
nominativi qui sotto tiro dagli ispettori della Banca d’Italia godevano allora
di crediti per complessive L. 377.339 milioni su cui gli ispettori prevedevano
perdite per L. 73.992 milioni. Quelle perdite si sono poi verificate? Quando
sono state rilevate? Quando sono finite a carico del conto economico? Quali
cautele sono state adottate?
In particolare, quale è stato l’atteggiamento verso i 20
rapporti del gruppo di pag. 2 dell’allegato 3b, esposto per L. 133.978 milioni
con perdite previste dagli ispettori per L. 73.992 milioni? Si sono avute
indulgenze per affinità politiche? Il socio egemone è stato indifferente o ha
suggerito blandizie? Quanto poi al gruppo di cui a pag. 4 del menzionato
allegato (primo affidato cod. 7275...) le previsioni di perdite degli ispettori
(L. 27,9 miliardi su L. 50,7 miliardi di esposizione) si sono verificate? Vi
sono intese in corso? Di che tipo? Si sono ammesse interferenze in Consiglio
per presenze obiettivamente conflittuali?
In ordine all’incandescente rapporto di cui a pag. 9 (Codice
primo affidato: 5283...), esposizione per L. 141,3 miliardi; previsioni
ispettive di perdite solo L. 1,4 miliardi, davvero le perdite si sono rivelate
così esigue? Il comportamento degli esponenti aziendali è stato congruo? Vi
sono state ingerenze per soluzioni patteggiate? Vi è stato un qualche interesse
del socio egemone?
Il gruppo di cui a pag. 11 (cod. 7594 primo affidato) -
esposizione L. 6,3 miliardi con perdita prevista integrale - è stato
congruamente gestito? Si è ritenuto di privilegiarlo con discriminanti acquisti
di proprie azioni?
Quanto al gruppo di cui a pag. 12 (cod. primo affidato 5092...)
- esposto per L. 38,4 miliardi; previsione di perdita zero - attesa la natura
di incagli secondo gli ispettori , sono state esplicate le procedure di
recupero dell’ingente creditoria con solerzia ed efficacia? Se sì, quali e con
quale risultato?
Il gruppo di cui a pag. 11 (cod. primo affidato 3552...) -
esposizione L. 6,7 miliardi; perdita prevista: integrale - ha poi generato
quell’esito tanto catastrofico? Per quali azioni della banca? Con quali
refluenze sul conto economico della nostra banca?
In definitiva, come mai nella relazione del bilancio non v’è
alcun accenno a fatti sì gravi, pregiudizievoli dello stato patrimoniale, con
quelle che gli ispettori chiamano refluenze economiche? Se all’improvviso, e
solo quest’anno, quelle posizioni, in tutto o in parte sono finite a
sofferenze, perché si è atteso tanto? In ogni caso, ogni reticenza in proposito
non è suscettibile di censura sotto il profilo della chiarezza, della verità e
correttezza della situazione patrimoniale e finanziaria? Sussulti
nell’imputazione di ammortamenti, si è sicuri che non rappresentino indebito
scompiglio del risultato economico dell’esercizio? Non si pensa che
l’eccezionalità dell’impostazione di bilancio di quest’anno merita tutte quelle
informazioni aggiuntive previste ed imposte dall’art. 2423? Dove sono, visto
che noi non riusciamo assolutamente a coglierle in quelle asfittiche, anonime,
dispersive e sedicenti note integrative?
b) - Si domanda quale evoluzione hanno avuto gli affidamenti
stigmatizzati dagli ispettori nel rilievo sub 19). Vi si dice che trattavasi di
“società ... ampiamente finanziate dalla banca con crediti che in sede
ispettiva sono stati classificati tra le sofferenze con previsioni di perdita”.
Ricordiamo che l’esposizione (cod. primo affidato: 4029.. cfr. pag. 3 allegato
3b) ammontava a complessive L. 9,7 miliardi con perdite previste per L. 6,3
miliardi. Non ha proprio nulla da dire il consiglio ai soci in sede di
approvazione del proposto bilancio?
c) - Le note critiche del rilievo sub 12) hanno consigliato un
qualche comportamento responsabile da parte degli attuali amministratori o si è
lasciato il tutto com’era senza preoccuparsi di attivare una qualche azione per
il recupero delle ragioni creditorie della nostra banca?
d) - Analoga domanda è da porre per il rilievo sub 13).
e) - L’esposizione narrata e stigmatizzata nel rilievo sub 14)
avrebbe dovuto essere oggetto di particolare attenzione da parte degli
amministratori; si sono costoro prodotti in qualche iniziativa?
f) - Nel rilievo sub 15) si accenna ad “un affidamento in conto
corrente di L. 6 miliardi” a favore di una società di appartenenza di un
consigliere, con un illegittimo debordo notevole. Al di là dell’assoluzione
chiesta - ed ottenuta - dal PM, la banca si è premurata di estromettere un
cliente cosiffatto? Quel rapporto sussiste ancora? E’ regolare?
g) - Non hanno gli amministratori nulla da dirci sui rapporti
creditizi censurati nel rilievo sub 16)?
h) - Nel rilievo sub 19) emergono inquietanti accenni a strani
rapporti d’affari con industriali del Nord, che ricchissimi per i fatti loro,
alla Mediterranea hanno fatto ricorsi per “buffi” di cui vorremmo sapere
l’esito. A scanso di equivoci, a noi preme sapere se i finanziamenti al gruppo
di cui a pag. 10 dell’allegato 3b (primo affidato cod. 7166 ...) ammontanti
allora a complessive L. 16,8 miliardi, siano poi sortiti dalla situazione di
incaglio (giusta valutazione ispettiva) o siano deteriorati. In particolare
come i signori industriali del Nord si sono comportati con la nostra banca?
Hanno assolto i debiti interessi? In misura equa? O mantenendo scandalose
condizioni di favore (leggere per credere le note dei consulenti del PM,
attualmente in libera circolazione come abbiamo sopra detto)? Ma anche alla
capofila erano stati accordati 30 miliardi che pare siano sfuggiti
all’attenzione degli ispettori. Nel solito libello dei consulenti - che
Simonetti acclude alla sua interrogazione - si legge a pag. 89: «Complessivamente i fidi accordati erano pari
a L. 30.000 mln. (10.000 mln. c/c; 10.000 mln portafoglio sbf 10.000 mln
anticipi import) e non erano assistiti da alcuna garanzia. I finanziamenti in
parola venivano deliberati in data 13.7.93. [...] Per quanto riguarda il tasso
da applicare alla facilitazione è da rilevare che .. si faceva riferimento al
“Prime rate ABI” [...] Dalla comunicazione dei tassi inviata il 10.9.93 ... si
evinceva l’applicazione dell’unico tasso dare dell’11,625%; venivano quindi
esclusi i maggiori oneri connessi al secondo tasso dare e alla commissione di
massimo scoperto.» E subito dopo - in relazione alla collegata, peraltro di
risibili rispondenze patrimoniali - si annotava (pag. 90): « ... il
finanziamento accordato non era assistito da alcuna garanzia.» A pag. 103 e
segg. I consulenti si allargano in considerazioni che invero non hanno trovato
nessuno ascolto nel PM e non val la pena qui di farvi in alcun modo ricorso. Ma
è opportuno invece che gli amministratori ci ragguaglino su tali criticabili
rapporti creditizi, sulla loro eventuale sistemazione, sul raddrizzamento delle
clausole contrattuali relative alla remunerazione. Non vorremmo che il
potentissimo gruppo - in particolare consuetudine fiduciaria con il socio
dominante - sia riuscito a mantenere una posizione di favore creditizio a tutto
danno della nostra banca. Gli amministratori hanno l’obbligo di fugare almeno
gli effetti alone che la divulgazione degli atti istruttori vanno nefastamente
producendo, con ulteriori appesantimenti della fragile operatività della nostra
banca. Il lasciar correre sarebbe insipienza imperdonabile: un consiglio di
amministrazione meno subalterno a soci extraterritoriali sicuramente non
permetterebbe campagne di stampa cosiffatte. Per converso l’eccessiva reticenza
verso i soci sarebbe di beffa oltre che di danno.
i) - Estrapoliamo dal rilievo n.° 20 l’accenno alla posizione
perdente di cui a pag. 5 dell’allegato 3b (cod. primo affidato 2336...).
Abbiamo qui un’esposizione di L. 15,1 miliardi su cui gli ispettori prevedevano
una perdita pressoché totale per L. 11,4. Occorrono le debite informazioni, del
tipo di quelle che abbiamo sopra puntualizzato.
j) - Ci riferiamo alla parte del rilievo 22 - punto b) - per
sapere che fine ha fatto la posizione (cod. primo affidato 2500...) ammontante
allora a L. 7 miliardi circa con previsioni ispettive di perdita per L. 6,9
miliardi.
k) - Quanto al rilievo sub 35) non si possono ulteriormente
tacere gli sviluppi dei rapporti creditizi relativi alla “posizione che,
nonostante l’apparente sistemazione effettuata attraverso la cessione di
effetti a carico di altro nominativo ..., classificato anch’esso in sede
ispettiva tra le sofferenze con previsione di perdita, presentava ancora nel
mese di maggio 1994 una residua rilevante debitoria”; e relativi anche alla
“società largamente e ripetutamente sovvenuta con nuove erogazioni, nonostante
l’andamento dei relativi conti presentasse da tempo marcati sintomi di anomalia
(sconfinamenti sui conti correnti notevolmente eccedenti i fidi accordati e
rate impagate di finanziamenti in valuta per cifre rilevanti).
l) - Del pari vanno forniti dati, ragguagli e chiarimenti in
ordine alle posizioni censurate dagli ispettori nel rilievo n.° 36 lettera a);
lettera c); lettera d); così come deve essere fatto per il rilievo n.° 37,
lettera a); lettera d), nonché per il rilievo n.° 38, per il rilievo n.° 39,
per il rilievo n.° 40, per il rilievo n.° 41 e per il rilievo n.° 42.
m) - In sintesi il già citato rilievo n.° 43 doveva essere di
guida ad una nota integrativa ai sensi dell’art. 2423 c.c. Mancando - come
manca questa - il bilancio è improponibile e se si insiste a farlo approvare
utilizzando magari la forza preponderante del socio egemone resterà di tutta
evidenza la volontà indomabile di imporre decisioni esiziali per la
sopravvivenza della banca, come sono quelle degli ammortamenti improvvisi
dissolventi ogni redditualità bancaria per perdite note da tempo e che da tempo
avrebbero dovuto essere portate a conoscenza senza indugio in assemblee
straordinarie dei soci ai sensi della inderogabile normativa civilistica.
* * *
Non va poi dimenticato che già nel 1990 (dal 17.9.1990 al
1.2.1991) la nostra banca era stata assoggettata ad un’altra ispezione della
Banca d’Italia. Anche allora erano emerse sofferenze ed incagli non rilevati
prontamente e non segnalati alla stessa Banca d’Italia. I nostri attuali
amministratori hanno tratto ammaestramento da quei rilievi o hanno continuato a
sovvenire taluni clienti di dubbia rispondenza patrimoniale? Nell’empito
repressivo dei precedenti esercizi, hanno riesaminato tutte quelle posizioni
censurate dai precedenti ispettori? ne hanno tratto le debite conseguenze? O
hanno reputato che sono svincolati da regole di indiscriminata obiettività, per
cui possono sciogliere o legare secondo che loro più aggrada? Si esaminino gli
allegati n.° 3; 3/1; 4/1 e ci vengano fornite le informazioni del caso o meglio
le giustificazioni per tardivi ammortamenti - se vi sono - o per inadempienze
nelle segnalazioni di Vigilanza - se vi sono. Se tutto dovesse essere regolare
- e noi ce lo auguriamo, ci si dia la liberatrice assicurazione formale. Quel
che per ora sappiamo che, come detto, vi sono stati “noti - e noi li ignoriamo
del tutto, diversamente, a quanto pare, da quel che conosce la stampa -
fenomeni di deterioramento della qualità del credito” (vedi pag. 1 Relazione
Bilancio). Ma se il bilancio chiude con 220 miliardi di perdita per quei
fenomeni, questi fenomeni bisogna bene spiegarli, pena l’occultamento delle
reali condizioni della società amministrata.
* * *
Non sappiamo se si fosse trattato di una frase di cortesia o
peggio: a pag. 2 del bilancio 1997, invece di ragguagliarci sul tonfo che si è
voluto far fare alla nostra banca , gli amministratori avevano voglia di
volerci far credere che tutto il male avutosi ora passerà perché «L’attività operativa permane, comunque
improntata a precise politiche di rilancio aziendale, di miglioramento della
struttura dell’attivo in un’ottica di riqualificazione degli impieghi e di
contenimento di costi realizzando al riguardo sensibili risparmi anche grazie
all’attivazione di concrete e possibili sinergie con la Capogruppo Banca di
Roma.» Restiamo stupefatti: di grazia ci si dica almeno ora quali sono
state queste ”concrete sinergie” con la Capogruppo Banca di Roma? Forse quelle
che ci vengono con il dirottamento verso i nostri lidi di funzionari in
prequiescenza per remunerazioni da capogiro come le inspiegate poste di
bilancio qua e là lasciano intendere? Quelle poste di bilancio che abbiamo già
richiamate ci vogliono venire spiegate in relazione a tali conclamate sinergie?
O la reticenze è sinonimo di confessione?
Abbiamo avuto fra le mani un “verbale di riunione” del 12
febbraio 1998 di un gruppo di soci di minoranza da cui noi dissentiamo. Là, ad
un certo punto, in termini volutamente equivoci si afferma: «Lo stato d’animo ... è stato purtroppo
alimentato da una serie di delusioni quali:
La mancanza di un vero progetto di rilancio della Banca
Mediterranea, che non fosse enunciazione di principio e che si traducesse in un
concreto piano industriale;
Lo scarso riscontro nei fatti delle ripetute affermazioni del
socio di maggioranza di essere nell’imminenza di porre a disposizione della
Banca Mediterranea il proprio know-how, in particolare con la distribuzione di
nuovi e più articolati strumenti finanziari;
Una politica del credito molto restrittiva, che alla scarsezza
dei volumi ha aggiunto la lentezza dei tempi decisionali, traducendosi sia
nella cattiva gestione d’alcuni clienti affidati, che con maggiore elasticità
potevano essere accompagnati nella loro ripresa, sia nell’allontanamento dalla
Banca mediterranea di altri che, in considerazione del loro equilibrio
gestionale, possono con maggiore facilità attingere credito ad altre banche, il
cui iter deliberativo è più rapido.
il sintomatico rifiuto di poter garantire le posizioni affidate
con le partecipazioni azionarie nella stessa Banca Mediterranea; ciò non tanto
per motivo di merito, ben comprendendosi che una diversa scelta avrebbe esposto
l’azienda al rischio di una diluizione del proprio patrimonio, legalmente
inammissibile, quanto per ragione di forma: troppe volte gli stessi dirigenti
della Banca Mediterranea, anche quelli espressione dell’azionista di
maggioranza, hanno dato all’interlocutore l’impressione di considerare tali
azioni come di poco valore.»
Non v’è chi non veda come sotto gentili espressioni si nasconda
un’aspra stroncatura dell’attuale gestione. Non sappiamo - o se lo sappiamo,
non siamo in grado di provarlo - che fine abbia fatto e che intenti abbia
perseguito siffatta querelle. Noi qui
la proponiamo ufficialmente per avere le giustificazioni da parte degli attuali
proponenti del bilancio, visto che vi sono appunti che ne mettono in dubbio
l’oculatezza delle scelte di bilancio. Ma ciò che più ci preme è quest’altro
passo: «.. la difficoltà per il socio di
maggioranza di tradurre in concreto un piano di sviluppo di una partecipata
nelle more di delicate scelte d’assetto e di proprio piano industriale.» E
tanto si accende di luce sinistra se si ha ricordo di ciò che viene insinuato
in esordio di discorso e cioè allorché - intenda chi ha orecchie per intendere
- ci si proclama increduli su alcune voci, arrivando ad affermare - per negare
- che «è parere degli intervenuti, per
esempio, che non siano vere le insistenti voci di una gestione poco trasparente
del portafoglio titoli della Banca Mediterranea, secondo le quali esso sarebbe
gestito avendo a mente più l’interesse dell’azionista di maggioranza che quello
della compagine sociale nel suo complesso.» Quei soci maliziosetti - dopo
avere buttato il sasso nello stagno - vorrebbero farci credere che a loro
avviso «tali voci non appaiono degne
d’attendibilità alla luce d’elementi sia morali sia logici.» Gli elementi
morali e logici in faccende di portafoglio sono obiettivamente inafferrabili.
Siamo andati a vedere tutto quello che in bilancio vien detto in proposito.
Nulla. Speriamo che dietro questa nostra sollecitazione venga sbaragliato il
campo dalle cortine fumogene di quegli avveduti soci di minoranza. Ci si dica
in particolare che mai e poi mai sono stati venduti titoli per decine di
miliardi alla casa madre ad alto rendimento, per poi far ricorso a titoli a
basso rendimento. Ci si dica in particolare che mai operazioni della specie
siano state decise unilateralmente - o se in compagnia, in compagnia di chi -
da qualche autorevole membro del consiglio di amministrazione, ignaro o con
disprezzo dell’evidente conflitto d’interesse cui si andava ad incocciare. Ci
si dica se davvero perdite non siano venute alla nostra banca da operazioni con
la banca padrona, specie con arzigogolate operazioni di swap o giù di lì,
finite con l’accentuazione anziché con l’affievolimento del coefficiente di
rischio. Poste di bilancio che facciano sospettare operazioni del genere ce ne
sono tante: uno straccio di spiegazione non si trova manco a pagarlo a peso
d’oro. Qui però non è in gioco l’abilità strategica nella gestione del
portafoglio titoli del nostro amministratore delegato, qui è in discussione un
bilancio su cui le insipienze e le digressioni conflittuali, magari per
giustificare con la casa madre gli elevati emolumenti, si scaricano sulla
Mediterranea con violenza sovvertitrice della redditualità. C’è in questa sede
chi ancora va alla ricerca di tarde vendette contro antichi nemici forse
d’alcova. Noi - e speriamo tanti altri soci piccoli come noi - andiamo alla
ricerca solo di ancore di salvezza per la nostra gloriosa e maltrattata - anche
dalle autorità tutorie - banca Mediterranea. Gli amministratori hanno ancora
tempo per dare le opportune testimonianze in modo da costringere le autorità
tutorie ad interessarsi alla nostra banca con maggiore sapienza di quanta
sinora dimostrata.
Il terremoto che è avvento nel comparto titoli emerge da queste
aride poste. I soci ben poco possono capirci.
Voce 50: obbligazioni e
altri titoli di debito: anno 1997 L. 360,8 miliardi; anno 1996: L. 246,9; miliardi;
variazione + 113,8 miliardi; in percentuale + 46,1%,
voce
|
1993
|
1994
|
1995
|
1996
|
1997
|
1998
|
30/06/99
|
voce 20 titoli tesoro
|
572,3
|
802,5
|
1297,473
|
1622,309
|
1334,512
|
1322,739
|
978,069
|
E che è successo? Proprio negli anni (1996-1997) in cui i titoli
di stato sono stati dimezzati nel loro rendimento, la nostra banca invece di
operare alternativamente si butta o butta tutto sui titoli? Si spiega allora il
tracollo della redditività. E ciò per colpa di chi? Dell’amministratore
delegato? Si vuol venire qui a spiegare, a giustificare? In bilancio non
troviamo neppure una nota in proposito.
Voce 130: altre attività: al 30/6/1999 L. 106, 486
mld (a fine anno, non prevedibile); anno 1998 L. 263,590; anno 1997 L. 208,9
miliardi; anno 1996 L. 184,1 miliardi. Trattandosi di voce per sua natura
residuale andava delucidata con pagine e pagine di note illustrative, ma niente
di tutto questo. Dobbiamo accontentarci di una tabella Beh! Lì apprendiamo che
quelle attività sono composte da partite viaggianti (ma il bilancio non
dovrebbe avere partite viaggianti: le provvisorie appostazioni contabili devono
essere tutte recepite nei conti di pertinenza, altrimenti si forniscono
informazioni inesatte e scorrette. Che ci sta in quel viaggiare di partite?
Perdite? Regalie? Emolumenti occulti? Leggere per capire i rilievi degli
ispettori della Banca d’Italia in circolo per Potenza come un romanzetto
d’avventure.
Sappiamo poi che vi sono 22,1 partite ancora in corso di lavorazione: una piccola banca che resta
ascosa; un mistero per tutti anche per chi redige il progetto di bilancio. E
completa il guazzabuglio la singolare:
partite definitive ma non imputabili ad altre voci. Noi chiediamo che cosa
sono. Abbiamo diritto a sapere.
E potremmo continuare. La resipiscenza degli amministratori
potrebbe impedirci l’ingrato ma inevitabile fardello di dibattere queste
questioni in altre sedi.
* * *
Un punto dolente - dolentissimo - è la voce 120: Azioni o quote proprie (valore nominale Lit. 4.193.325)
: al 30/6/1999 L. 5.921.061.000. Ci saremmo aspettati un profluvio di parole
(giustificatrici); invece niente. Un incremento di acquisti azionari propri nel
bel mentre si verificava un crollo verticale della redditività e delle valenze
patrimoniali è davvero una rimarchevole contraddizione. Ci dispiace per quei
soci adunatisi il 12 febbraio del 1998: qui la banca sembra agire in senso
diametralmente opposto ai loro flebili lamenti. (Ricordate quel passaggio sull’
«impressione di considerare tali azioni come di poco valore”?) Non credo che
lor signori reputino esaustive degli obblighi di legge quello che dicono nella
nota. Là - scolasticamente - si ripete la lezioncina dei testi elementari di
diritto commerciale: «Le azioni proprie sono iscritte in bilancio al costo.
Alle stesse si applica la disciplina prevista dall’art. 2357 e seguenti C.C.» E
vorrei vedere che si dicesse il contrario? Il ragguaglio è del tutto
tautologico. Si dirà che basta ed avanza la tabella di pag. 46. E no, cari
signori. Leggetevi la pag. 60 della consulenza Sandulli-Scorza che Simonetti ha
divulgato. Ad ogni buon conto la leggiamo noi per voi. «Alla luce delle considerazioni che precedono, vanno lette, dunque,
tutte le indicazioni che gli amministratori hanno ritenuto di dover fornire nel
bilancio relativo ... e vanno anche apprezzate le omissioni delle relazioni
sulla questione in ordine ai motivi degli acquisti di azioni proprie da ... ,
informazioni dovute in base alle nuove norme in materia di bilanci
bancari. Ed infatti, l’art. 3 del decreto legsl. 87 del 27 gennaio 1992 prevede
che nella relazione sulla gestione siano indicate “il numero delle azioni o
quote proprie sia delle azioni o quote dell’impresa controllante detenute in
portafoglio, di quelle acquistate e di quelle alienate nel corso
dell’esercizio, le corrispondenti quote di capitale sottoscritto, i motivi
degli acquisti e delle alienazioni ed i corrispettivi.»
Non fraintendiamo, dove sono tutti siffatti elementi? Nella
tavola di pag. 46 riusciamo a sapere che nello scorcio di esercizio vi sono
stati acquisti per n.° 15.500 azioni proprie, ma rispetto al precedente giugno
del 1998 risulta un incremento per L. 2411653/m). Quello che è grave che
ancora una volta gli amministratori non pare che abbiano voglia di essere
trasparenti in sede di bilancio in ordine a) alle corrispondenti quote di
capitale sottoscritto; b) e soprattutto in tema di “motivi degli acquisti e
delle vendite”. Almeno in questa sede ci si vuol dire quali motivi sussistono
in ordine ai seguenti acquisti:
data operazione data delibera n.° azioni
2/1/97
|
9/12/96
|
4.000
|
3/1/97
|
9/12/96
|
72.000
|
21/2/97
|
9/12/96
|
3.000
|
5/3/97
|
25/2/97
|
14.290
|
27/3/97
|
20/3/97
|
8.000
|
8/4/97
|
20/3/97
|
1.404
|
29/4/97
|
28/4/97
|
43.142
|
20/5/97
|
21/4/97
|
9.000
|
21/5/97
|
21/4/97
|
8.760
|
7/7/97
|
30/6/97
|
1.000
|
15/7/97
|
30/6/97
|
6.000
|
17/7/97
|
30/6/97
|
4.000
|
28/7/97
|
30/6/97
|
10.000
|
28/7/97
|
21/4/97
|
1.000
|
1/8/97
|
30/6/97
|
5.000
|
5/9/97
|
30/6/97
|
19.500
|
9/9/97
|
30/6/97
|
2.000
|
17/10/97
|
21/4/97
|
3.750
|
Totale
|
215.846
|
Quali le ragioni per preferire codesti acquisti (e quelli
successivi) a danno di altri soci esclusi? Si deve escludere la semplice
discriminazione? Non si diano risposte affrettate, perché chi parla è in grado
di fare le debite smentite.
Ma diamo uno sguardo alle attuali giacenze relative a precorsi
esercizi. Nel 1995 abbiamo avuto n.° 847.455 azioni acquistate per essere
cedute tutte quante, unitamente ad altre n.° 812.545 in portafoglio, alla Banca
padrona di Roma all’identico prezzo d’acquisto - o forse al ridotto valore
bilancio - di L. 8.000, senza alcuna commissione o provvigione per
l’intermediazione prestata dalla nostra banca. Anche allora non vi era
conflitto d’interesse? Si reputa di non dovere dare neppure ora una qualsiasi
spiegazione?
Sarebbe interessante conoscere i motivi degli acquisti del
23/6/95 (delibera del 9/5/95) per complessivo numero 249.290 per l’ammontare di
L. 1.994.320.000. Perché furono taciuti i motivi? Non furono anche allora
praticate discriminazioni? Del pari ci vogliono almeno ora dire loro signori
che cosa li spinse a fare gli acquisti del 10/7/1995 (delibera del 9/5/95) e
quelli del 13/7/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 18/7/1995 (delibera del
9/5/95) e quelli del 18/7/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 24/7/95
(delibera del 9/5/95) e quelli del 24/7/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del
13/9/95 (delibera del 9/5/95) e quelli per n.° 102.000 azioni del 14/9/1995
(delibera del 9/5/1995) e quelli del 27/9/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del
23/10/95 (delibera del 9/5/95) e quelli del 24/10/95 (delibera del 9/5/95).
Passando al 1996 sarebbe ora di spiegare l’ordine dei motivi che
hanno spinto all’acquisto di n.° 207.330 azioni, soffermandosi in particolare
su queste operazioni: data 18/7/96 (delibera 13/6/96; data 17/10/96 (delibera
12/9/96) e soprattutto sull’acquisto di n.° 120.000 (per un importo di Lire 960
milioni) del 31/12/1996 (delibera del 9/12/96) mentre ad altro socio si negava
la compensazione per cifre di gran lunga inferiori. Si è forse mai detto
qualcosa in proposito? L’art. 3 n.2 lettera b) del decreto legsl. 87 del 27
gennaio 1992 forse è stato abrogato ad insaputa dei consulenti del PM? Noi non
l’abbiamo letto nell’elenco delle norme abrogate di cui all’art. 161 del D.LV.
1° settembre 1993, n.° 385. O forse si reputa che le leggi valevano per i
vecchi signorotti potentini ma non possono avere valore tranchant per gli
uomini dei grandi potentati bancari romani?
* * *
Anche per stanchezza, tagliamo a questo punto, con riserva
comunque per ogni altro aspetto censurabile che per caso dovesse essere
sfuggito. Gli ultimi nostri rilievi critici riguardano la proposta di
ripianamento delle perdite del 1997. Lor signori hanno voluto svuotare la posta
del passivo: fondo sovrapprezzo azioni pari a lire 101.385.862.156.- Quale
disponibilità ne avevano e quale legittimazione ne ha soprattutto il socio
dominante. Rammentiamo a noi stessi che quel fondo è stato costituito ancor
prima dell’avvento della Banca di Roma. Al 31.12.1993 il fondo era di Lire
106.185.458.756. Con l’avvento dei signori di Roma, il fondo come si vede si è contratto.
Nel 1996 una rastremazione per lire 3.956.269.000 è passata sotto il naso
dell’assemblea dei soci. Ma se così è stato una volta fatto non significa che
si possa sempre fare. Ora l’assemblea deve essere vigile. Il socio dominante
non ha contribuito alla costituzione del fondo: sono risparmi sudati dei
vecchi, malconci soci ad averlo costituito. E’ obbligo morale e giuridico
mantenerlo sino all’estremo. Il socio dominante non può quindi disporne; non
può dilapidarlo. Il meno che si deve esigere che nell’eventuale votazione al
riguardo esso doverosamente si astenga e lasci integra ai soci di minoranza la
responsabilità della decisione. I soci di minoranza dovrebbero essere un
tantinello avveduti da capire che non è questione formale e rigettare la proposta
dei signori amministratori. Il bilancio ritornerebbe indietro per le rettifiche
di competenza. Se i soci di minoranza non sono avveduti, pazienza. Almeno: chi
è causa del proprio male pianga se stesso. Va da sé che qualora il socio
dominante faccia qui orecchio da mercante e con il peso della sua maggioranza
assoluta approvi egualmente l’improponibile, vedremo in competente sede chi ha
ragione. Noi almeno abbiamo posto il problema e l’uomo avvisato dovrebbe essere
mezzo salvato.
Altro aspetto inquietante di quel bilancio è stato quello di
avere voluto utilizzare l’avanzo di fusione. Si chiesero lor signori chiesti
che cosa fosse quell’avanzo di fusione? Non sanno forse che è mero residuo
contabile del compattamento delle poste di bilancio di due società fusesi? Non
sono tanto addentro alle segrete cose fiscali per cui la posta contabile è
neutra fino a che non se ne faccia un effettivo utilizzo? Abbiamo proprio
voglia di andare a pagare un mare di imposte solo per disattenzione? Magari, si
penserà che nulla si debba al fisco e si procederà come se niente fosse. Il
futuro accertamento - si sa che il SECIT ha un conto aperto con tali faccende
di fusione - ricadrebbe sulle spalle già martoriate dei poveri soci di
minoranza. (Noi temiamo che il socio dominante stia per spogliarsi di questa
ingombrante partecipazione, ad onta dell’asserito carattere di partecipazione strategica, asserzione
sinora utile per esigenze di quieto vivere sindacale).
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[1][3] ) Leonardo Sciascia,
Parrocchie, ... op. cit. pag. 60. Anche se il libro fu pubblicato nel 1956, è
ben noto come l’abbozzo del Circolo della Concordia, si ha nel 1949 quando
Sciascia pubblica nel primo numero di Galleria Paese con figure. (Cfr. Galleria 1949, I pag. 21-24.
[2][4] ) Dottore S. Messana -
Origine e decadenza della sovranità della società temporale del Papa - Bologna
1863 - pag. 6.
[3][5] ) ibidem, pag. 7
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