RACALMUTO SOTTO FEDERICO II DI SVEVIA
Racalmuto - si ripete - sorge dopo l’epurazione saracena di Federico II di Svevia. Federico Musca, o un suo antenato, importa nel nostro Altipiano un certo numero di famiglie, non si sa da dove; con tutta probabilità trattasi di marrani sfuggiti, con repentine conversioni, alle rappresaglie della persecuzione religiosa fridericiana. Sono famiglie di coloni, o divenuti tali per necessità mimetiche. Il Musca non ne dispone come “villani”, visto che quella specie di schiavitù è tramontata, ma la loro condizione sociale ed economica è molto simile. Hanno giacigli poveri in casupole che spesso coincidono con la disponibilità offerta dagli ampi antri reperibili nel territorio a strapiombo sotto il vecchio Calvario. Ne vien fuori una suggestiva fisionomia di abitato trogloditico, per dirla alla Peri. Ma spesso era il pagliaio a sopperire alle necessità abitative; sorsero le case “copertae palearum” che qualche decina di anni dopo impressionarono l’arcidiacono du Mazel, mandato da Avignone a rastrellare tasse aggiuntive per assolvere da un incolpevole interdetto, comminato per le estranee vicende del Vespro. «Il pagliaio - scrive il Peri non ad hoc ma pertinentemente [1] - non richiedeva scavo in profondità per le fondamenta; e quando erano in pietra le basi erano in grossi pezzi sovrapposti “a secco”, senza ricorso a materiale coesivo. La costruzione si alzava, quindi, con paglia e fogliame impastato con fanghiglia. Costituito abitualmente da un vano non ampio, che accoglieva la famiglia e le bestie collaboratrici e compagne, il pagliaio bastava a offrire riparo dalle intemperie e dava una pur limitata protezione dal freddo e dai raggi del sole. Gli hospitia magna e le mansiones fabbricate “a pietre e calce” (ad lapides et calces), anche nelle città erano e sarebbero rimasti per tempo oggetto di ammirazione nella loro rarità. Non si pretendeva dalle abitazioni durata secolare. E, del corso del tempo e dei tempi dell’esistenza, avevano nozione diversa dalla nostra quegli uomini che l’esposizione ai rigori, la fatica prolungata e l’assoluta mancanza di prevenzioni e di rimedi alle malattie, più precocemente offriva alla falce inclemente della morte. Corpi che la povertà escludeva anche dal rito pietoso della conservazione nella tomba insieme a qualcosa di caro e al viatico verso l’esistenza che non dovrebbe avere fine. Ritornavano, con rapidità, in polvere la debole carne e le fragili abitazioni di quelle generazioni.»
Il prisco insediamento - se ben comprendiamo i suggerimenti che i successivi riveli sembrano fornirci - avvenne in quella contrada che dopo ebbe a chiamarsi di Santa Margheritella, da sotto il Carmine all’antro di Pannella incluso, dalla Madonna della Rocca sino alle Bottighelle dell’attuale corso Garibaldi, tra S. Pasquale e la Piazzetta. Poi, le abitazioni si estesero negli altri tre quartieri: San Giuliano, Fontana e Monte.
I racalmutesi tengono molto alla tradizione che vuole la chiesa di Santa Maria come la più antica, risalente addirittura al 1108: una chiesa - si dice - voluta dai Malconvenant, che si indicano come i primi baroni del casale. Non è facile farli ricredere. La ‘notizia’ ha per di più una fonte scritta: quella dell’abate Pirri. Gli storici locali la danno per certa, ed anche i restauratori della chiesa, negli anni ottanta del secolo scorso, parlano di facciata “normanna”.
Il Pirri, palesemente, collega la notizia ad un paio di diplomi che si custodiscono tuttora negli archivi capitolari della Cattedrale di Agrigento. L’archivio fu oggetto di studio a cavallo tra il XIX ed il XX secolo per la nota questione delle decime della mensa vescovile agrigentina. Fu un feroce alterco fra giuristi incaricati di difendere le ragioni dei grossi agrari della provincia, riluttanti a riconoscere le antiche tassazioni ecclesiastiche, e giuristi, canonici e storici di parte cattolica, tutti alle prese con la dimostrazione che trattavasi di tasse dominicali e quindi di gravami ancora validi.
Nel 1960, il vescovo Peruzzo - ormai, nella quiete voluta dal concordato del 1929 e nella sudditanza alle autorità ecclesiastiche propinata dal consolidato regime democristiano - incaricava il grande paleografo Mons. Paolo Collura di uno studio obiettivo e serio dei tanti vecchi diplomi. La pubblicazione che ne è seguita è pietra miliare per ricerche del genere.[2] Noi siamo andati a cercare quelli che riguarderebbero la chiesa di Santa Maria di Racalmuto ed abbiamo scoperto che non possono attribuirsi al nostro paese. Vi sono, sì, due diplomi del 1108 e vi si parla dei Malconvenant e della fondazione di una chiesa dedicata a S. Margherita, ma è evidente che la località nulla ha a che fare con la nostra Racalmuto .
Si riferisce evidentemente ad alcuni di codesti diplomi, il Pirri nel fornire notizie su Santa Margherita di Racalmuto, come d'altronde nota lo stesso Collura ([3]). Ma come si può ben vedere, sia per le precisazioni del Collura sia per l'ubicazione dei fondi sia per i toponimi, si tratta di Santa Margherita Belice (o presso i suoi dintorni) e Racalmuto va senz'altro escluso. ([4]) E’, poi, certo che Racalmuto non appare mai in modo incontrovertibile nel carte capitolari di Agrigento che vanno dalla conquista normanna al 1282. Non è chiaro se ciò sia dovuto ad un tardo affermarsi del toponimo arabo del nostro paese o ad una sua indipendenza fiscale nei confronti della curia agrigentina. Noi, come detto dianzi, propendiamo per la tesi della tarda fondazione del paese di Racalmuto, qualche decennio prima del diploma del 1271 su cui ci siamo soffermati sopra.
Caducata l'attendibilità della fonte documentale del Pirri, si sbriciola la narrazione del nostro Tinebra-Martorana sull'argomento. Il Capitolo II ed il III [5] che contengono notizie sulla "signoria dei Malconvenant" e su "Santa Margherita Vergine" che corrisponderebbe "alla nostra Santa Maria di Gesù" sono destituiti di fondamento storico. Il Tinebra-Martorana mostra solo un'indiretta conoscenza dell'abate netino. Egli si avvale dell'opera di «Padre Bonaventura Caruselli da Lucca, La Vergine del Monte a Racalmuto» e del «Lessico Topografico siculo di Amico - Tomo 2°, pag.393-4». L'Amico è esplicito nel dichiarare la fonte delle sue notizie sui Malconvenant e su Santa Margherita Vergine: è il Pirri della Not. Agrig. [6] Il Pirri fu sicuramente indotto in errore dai suoi corrispondenti del Capitolo agrigentino. Nasce così il falso storico di una chiesa racalmutese intestata a S. Maria di Gesù, risalente al XII secolo.
L'avallo di Leonardo Sciascia al lavoro del Tinebra Martorana [7] ha ormai canonizzato tutte quelle 'pretese' notizie storiche su Racalmuto e non sarà facile a chicchessia rettificarle o raddrizzarle. Malconvenant e chiesetta vetusta di Santa Margherita-Santa Maria sono falsificazioni storiche cui i racalmutesi non vorrano rinunciare, tant’è che, ancora nel 1986, il padre gesuita Girolamo M. Morreale rimartelleva quel tasto narrando:[8] «frutto della rinascita normanna fu per Racalmuto il riordinamento del culto. Il conte Ruggero conferì l'investitura di signore delle terre di Racalmuto a Roberto Malcovenant che dopo venti anni dalla liberazione vi fece sorgere la prima chiesa sotto il titolo di S. Margherita vergine e martire, vicino l'attuale cimitero, dotandola di fondi agricoli che convertì in prebenda canonicale. Rocco Pirro colloca l'erezione della chiesa nell'anno 1108 e precisa che avvenne con licenza del Vescovo di Agrigento, Guarino (+1108)» ([9]).
Sorprende che un prete colto e di vastissima erudizione come mons. Domenico De Gregorio persista nell’errore storico di attribuire la chiesa di S. Margheritella del 1108 a Racalmuto elevandola addirittura a “matrice antica” [10] E per di più, a pag. 122 finge di dover cedere all’autorità del Pirri: così «Roberto di Malcovenant , signore del fondo chiamato Rayalbuto [alias Racalmuto n.d.r.] … [consente ad ] un suo parente di nome Gilberto [di consacrare] se stesso e i suoi beni alla chiesa [di S. Margheritella in Racalmuto] che, con i mezzi approntati da Roberto e da altri, era riuscito a completare.» Avevamo cercato di mettere sull’avviso mons. De Gregorio, sommessamente ed in tutta umiltà, ma inutilmente: il falso storico era troppo ghiotto per abbandonarlo al suo destino. Peraltro, da secoli la chiesa agrigentina combatte con le pubbliche autorità nella rivindica di un beneficio canonicale sulle nostre terre e scorre nelle vene del colto monsignore, canonico agrigentino, sangue irriducibilmente clericale.[11]
Il mendacio storico è proprio duro a morire, se anche un colto ed avveduto gesuita vi incappa or non sono più di una ventina di anni fa, ed un monsignore ancor più colto crede davvero sostenibili le ragioni curiali di un secolare raggiro in un libro edito appena un quinquennio addietro.
Quanto a falsità storiche, ancor più salienti sono quelle che confezionate dal Tinebra Martorana, furono ribollite da Eugenio Napoleone Messana: sono le incredibili avventure della Racalmuto nel crogiolo della rivolta del Vespro. Vuole il Tinebra Martorana [12] che nella lotta tra Manfredi di Svevia e Carlo d’Angiò si accodò ai baroni filofrancesi «Giovanni Barresi, signore di Racalmuto. Il quale raccolta quanta gente potè dai suoi vasti vassallaggi di Racalmuto, Petraperzia, Naso, Capo d’Orlando e Montemauro, volse le armi contro il seno della sua stessa patria.» Scoppiata la rivolta del 1282, «Giovanni Barresi, che palesemente aveva seguito la fortuna dei francesi, e durante il loro dominio era stato in auge, ebbe la peggio allorché vennero fra noi gli Aragonesi. Premio meritato, fu spogliato dei suoi domini, che passarono al reale patrimonio. Così la baronia di Racalmuto appartenne per qualche tempo al regio Fisco e poi fu concessa alla famiglia Chiaramonte.»
Le truffe storiche: S. Margheritella, i Malconvevant, i Barresi, gli Abbrignano. Pertinace protervia di preti, gesuiti, gerosolomitani e monsignori.
Il Fazello non mostra interesse alcuno verso quelli che dovettero apparirgli incolti e violenti nobilotti di campagna: i Del Carretto, appunto. Il colto storico è basilare nella storia di Racalmuto per avere ispirato due tradizioni che reggono imperterrite tuttora: la prima accredita Federico II Chiaramonte (+ 1313) padrone e barone del feudo, ove avrebbe fatto costruire l'attuale castello ("Lu Cannuni"), e ciò è congettura forse accettabile; la seconda tradizione è quella della signoria dei Barresi. Qui il Fazello è del tutto incolpevole. Si pensi che l'intera faccenda poggia - responsabili Vito Amico [13] ed il Villabianca, quello della Sicilia Nobile [14] - su un'evidente distorsione di un passo dell'opera storica del Fazello. [15] Questi, parlando dei Barresi, aveva scritto [16]: Matteo Barresi succede ad Abbo, che aveva ricevuto da re Ruggero l'investitura di Pietraperzia, Naso, Capo d'Orlando, Castania e molti altri "oppidula" (piccoli centri). Chissà perché tra quegli oppidula doveva includersi proprio Racalmuto. Così congetturarono i cennati eruditi del Settecento, non sappiamo su che basi, e così si racconta tuttora dagli storici locali che hanno in tal modo il destro per appioppare a Racalmuto le vicende avventurose di quella famiglia.
Non è questa la sede per digressioni erudite: tuttavia ci pare di avere fornito elementi sufficienti per comprovare la validità dei nostri convincimenti in ordine alla nessuna attinenza dei domini feudali dei Malconvenant e dei Barresi con Racalmuto, a ridosso del Vespro. Resta da vedere se possa parlarsi della signoria degli Abrignano.
Il solito Tinebra Martorana (pag. 56 op. cit.) ci propina questa successione:
«Alla morte del conte Ruggiero Normanno, sia perché questa famiglia [cioè i Malconvenant] si fosse estinta, sia perché fosse caduta la fortuna dei Malconvenant, noi vediamo essi perdere domini ed uffici. Ciò che è indubitato è che il figlio del conte conquistatore, il gran re Ruggiero, concesse la baronia di Racalmuto alla nobilissima famiglia degli Abrignano [Minutolo: Cronaca dei Re]. E da questa passò ai Barresi. Degli Abrignano però non è sicura notizia e di certo, se essi governarono Racalmuto, fu per breve tempo, perché molti cronisti non ne fanno alcun cenno.» E tanto è davvero un modo curioso di far storia: ciò che viene asserito come “indubitato”, diviene subitaneamente - con contraddizione che non dovrebbe essere consentita - “non sicura notizia”. E dire che Sciascia continuò a definire quella del Martorana “una buona storia del paese”. [17] Eugenio Napoleone Messana (op. cit. p. 49) non ha dubbi che «nella cronaca dei re di Minutolo leggiamo che il re Ruggero II concesse la baronia di Racalmuto ai nobili Albrignano o Alvignano prima e ad Abbo Barresi dopo. Della concessione agli Abrignano ne fa menzione solo il Minutolo, altri la omettono e riportano solo la concessione ad Abbo Barresi.» Evidentemente, né Tinebra Martorana, né Eugenio Napoleone Messana avevano letto il Minutolo, diversamente non sarebbero caduti nell’abbaglio. Forse avevano letto soltanto Vito Amico che nella versione del Di Marzo specifica: «Minutolo Memor. Prior. Messan. Lib. 8 attesta essersi [Racalmuto] appartenuto alla famiglia di Abrignano, dato poscia a’ Barresi.» Una certa eco vi è anche nel Villabianca: « e la tenne [Racalmuto] pur anche la Famiglia ABGRIGNANO, se diam fede a MINUTOLO - Mem. Prior. lib. 8, f. 273.» Francamente ci dispiace che nell’equivoco cadde anche il compianto padre Salvo - nostro stimato amico. [18] Egli sintetizza: «La famiglia Albrignano - Decaduta la famiglia Malconvenant, Ruggero II concesse la Baronia di Racalmuto agli Albrignano o Alvignano nel 1130. Tale concessione è un po’ dubbia nelle storia o, se vi fu, ebbe a durare pochissimo. Certo è che nel 1134 la Baronia di Racalmuto era già nelle mani dei Barresi.» Un evidente sunto, con quella aggiunta della data che vorrebbe essere una precisazione e diviene invece una colpevole topica.
Il Minutolo fu un frate gerosolimitano di Messina che nel 1699 scrisse le memoria del suo “gran priorato” [19] : raccolse le dichiarazioni dei vari suoi confratelli sulle loro ascendenze nobili. Essere nobili era indispensabile se si voleva essere ammessi fra quei frati cavalieri. Fra D. Alberto Fardella di Trapani nell’anno 1633 asserisce - in buona fede o fraudolentemente, non sappiamo - che un suo antenato era: «Hernrico Abrignano dei Signori di Recalmuto, nobile di Trapani, e Regio Giustiziero, e Capitano» nell’anno 1395. La falsità era talmente evidente da non doversi dare alcun credito al mendace frate, ma il Minutolo non se ne accorge ed incappa in una smentita a se stesso, quando trascrive l’albero genealogico dell’altro confrate, il nobile “Fra D. Alfonzo del Carretto, di Giorgenti, 1617”, il quale, in coincidenza della pretesa signoria di Racalmuto da parte di Enrico Abrignano nell’anno 1395, colloca , correttamente, al posto dell’Abrignano, il proprio antenato, il celebre barone Matteo del Carretto. Ma già un altro dei due monaci della famiglia Fardella (fra D. Martino Fardella di Trapani 1629) si era limitato a dichiarare quell’identico antenato come semplice nobile di Trapani («Enrico Abrignano Nobile di Trapani»).
Gli Abrignano con Racalmuto, dunque, non c’entrano affatto: forse una qualche parente di Matteo Del Carretto andò sposa al “mercante” Enrico Abrignano, attorno al 1391.
Quanto ai Barresi, è arduo ritenere che costoro davvero abbiano avuto il dominio di Racalmuto, in tempi antecedenti al Vespro, anche se il padre Aprile, scrivendo in epoca moderna, era propenso alla tesi affermativa. Si disse che Abbo Barresi I o Senior ebbe concesse dopo il 1130 dal re Ruggero il Normanno vari feudi, Naso, Ucria ed altri Castelli. Da Abbo a Matteo; da Matteo a Giovanni, la successione in quei domini feudali.
Il San Martino Spucches resta sconcertato dalla contraddittorietà delle notizie fornite dal Villabianca. Si limita allora a questa secca elencazione: «Il Villabianca, nella Sic. Nobile, dice che Ruggero re concesse Racalmuto ad Abbo Barresi (Sic. Nob., vol. 4°, f. 200). Lo stesso autore dice altrove che l’Imperatore Federico II concesse, dopo il 1222, Racalmuto ad Abbo Barresi che sarebbe stato figlio di Giovanni (di Matteo di Abbo seniore). A quest’ultimo successe il figlio Matteo: al quale successe Abbo ed a quest’ultimo il figlio Giovanni. Questi visse sotto Re Giacomo di Aragona e seguì il suo partito. Re Federico, fratello di Giacomo divenuto Re di Sicilia, dichiarò esso Giovanni fellone e gli confiscò i beni. Da questo momento comincia una storia certa e noi cominciamo da questo momento ad elencare i Baroni di Racalmuto con numero progressivo.» [20]
Ma, così facendo, l’esimio araldista, allunga la teoria delle successioni, ricominciando il ciclo, per cui da Giovanni si passerebbe ad Abbo II iunior che avrebbe avuto dall’imperatore Federico II Racalmuto nel 1222 (per noi, a quell’epoca, ancora da fondare); da Abbo II a Matteo II e da questi ad Abbo III, cui sarebbe subentrato Giovanni Barresi che è personaggio storico distintosi nelle vicende del 1299, di sicuro signore di Pietraperzia, Naso e Capo d’Orlando.
Scettici sulle signorie pre-Vespro dei Barresi, non possiamo escludere che, con la restaurazione feudale di re Pietro, Giovanni Barresi possa essersi impossessato di Racalmuto, stante la latitanza di Federico Musca, cui invero sarebbe spettata la titolarità della baronia racalmutese. Con il passaggio tra le fila di re Giacomo d’Aragona - quando questi dichiarò guerra al proprio fratello, Federico III, che era stato proclamato re di Sicilia nella ben nota crisi di fine secolo XIII – poté essersi pur verificata la perdita da parte di Giovanni Barresi del recente feudo di Racalmuto alla stregua di quegli altri suoi possedimenti siciliani, finiti sotto confisca.
L’Amari, nella sua guerra del Vespro siciliano, accenna ad un diploma del 28 dicembre 1300 (1299) tredicesima indizione, anno 15° di Carlo II d’Angiò, ove Racalmuto e Caccamo vengono concessi a Pietro di Monte Aguto. [21] Ovviamente si trattò di promesse dell’angioino che non ebbero seguito alcuno. Ma quella promessa sa di sonora smentita della tesi che vorrebbe feudatario di Racalmuto Giovanni Barresi: questi, ora, milita accanto all’angioino, sia pure sotto la bandiera di Giacomo d’Aragona; non è credibile che Carlo II d’Angiò arrivasse al punto di confiscare il feudo ad un amico per prometterlo ad un altro amico. Credibile, invece, che nella cancelleria di Napoli figurasse ancora la concessione a Pietro Negrello di Belmonte e che si pensasse di girare ora il feudo al milite alleato Pietro di Monte Aguto.
[1] ) Illuminato Peri - Uomini, città, e campagne in Sicilia, dall’XI al XII secolo - Bari 1978, pag. 12.
[2] ) Paolo Collura: le più antiche carte dell’Archivio Capitolare di Agrigento -Agrigento 1961
[3]) Come ebbi a scriverti a pag. 5 e seguenti del mio precedente malloppo si tratta del seguente passo della Notitia contenuta a pag. 697 della Sicilia Sacra del Pirri: «XIV. Warinus, sive Guarinus eiusdem coenobii monacus ... in episcopatu Agrigenti, Dragoni successit an. sal. 1105. uti ipsemet memoriae prodidit in quondam privilegio. Anno incarnationis dominicae 1108 praesulatus mei anno IV. Rogerii junioris consulatus, forte comitatus, anno III. Robertus Malconvenant cum Giliberto consanguineo suo milite perfecis in praedio suo sub honore S. Virginis Margaritae templum, illudque multis auxit praediis. ac Gilibertus clericali tonsura decoratus illa bona in praebendam Canonicatus Ecclesiae Agrigentinae dedit, dummodo tres libras incensi anno quolibet 15. augusti in festo S. Mariae persolveret. De hoc Roberto Malconvenant domino praedii, quod nunc est oppidum Rayalbuti [sottolineatura nostra, n.d.r.], atque eius filio Guillelmo Malconvenant Magistro Justiciario Magn. R. C. ....
[4]) Gli altri due accenni del Collura alla nostra chiesa di S. Margherita sono: a) Documento n. 27 [pag. 63-65] e b) Libellus (c 16 A [rectius c.17 a], n.d.r.]), pag. 304.
Il Documento sub a) non ci è di molto aiuto per la nostra ricostruzione: esso si limita ad includere in uno scarno elenco [pag. 65] la "Ecclesia Sancte Margarite virginis, incensi libras. III". Per il Collura non vi sarebbero dubbi: si tratta per lui del beneficio dei nostri due documenti nn. 8 e 9 sopra riportati [cfr. nota n. 2 di pag. 65 del Collura]. L'elenco si intitola CENSUUM INDICULUS e viene datato prima del 1177. Quell'accenno all'onere delle tre libbre d'incenso sembra dargli ragione.
Molto più complesso è il discorso sul documento sub b). Il riferimento è al «Libellus de successione pontificum agrigenti et institutione prebendarum et aliarum Ecclesiarum dyocesis, sicut ex relatione cognovimus precedentium seniorum et ipsi inspeximus in eodem statu». Il Collura data questo la stesura di questo Libellus nel "1250 o comunque, giacché il documento più recente (n. 74) è del 1252, non più tardi del 1260" [pag. XXII]. Il passo che ci interessa è il seguente: «Sancta Margarita [e qui il Collura annota: "S. Margherita Belice (cfr. docc. nn. 8-9), n.d.r.] beneficium cuius est terra sua et burgenses in spiritualibus et temporalibus cum platea et mercedibus». Al riguardo non son proprio certo che il Collura abbia ragione. Il precedente passo recita: «Quatuordecim debet habere Ecclesia Agrigentina et non amplius. Subsequencia fuerunt beneficia: ..» e segue l'elenco dei benefici tra i quali quello citato di Santa Margherita. Non si può quindi escludere che prima del 1250 vi sia stata una generale ristrutturazione di tutti i benefici canonicali della curia Agrigentina (prima infatti di parla di una prebenda «insituta de camera pro auctoritate legis») e in quel frangente si attribuì ad un canonicato (che sappiamo dal Pirri essere stato nel XVII secolo il XVIII°) il beneficio di Racalmuto, denominato più o meno appropriatamente di Santa Margherita nel ricordo o falsando il vetusto beneficio del Malcovenant, che peraltro si riferiva a S. Margherita Belice. Un'astuzia curiale non è poi tanto impensabile ed inconsueta.
[5] ) Nicolò Tinebra-Martorana - Racalmuto, memorie e tradizioni - Racalmuto 1982, pagg. 55-57.
[6] ) Cfr. l'Appendice al volume del Tinebra-Martorana, pag. 199.
[7] ) Addirittura elogiativo asserendo il grande scrittore che «il libro, per i racalmutesi, per me racalmutese, va bene così com'è: col gusto e il sentimento degli anni in cui fu scritto e degli anni che aveva l'autore, con l'aura romantica e un tantino melodrammatica che vi trascorre» (op. cit. pag. 9).
[8] ) P. Girolamo M. Morreale, S.J - Maria SS. Del Monte di Racalmuto - Racalmuto 1986, pag. 23.
[9]) In effetti si ignora l'anno della morte del Vescovo Guarino o Warino che addirittura potrebbe essere avvenuta attorno al 1128 (Cfr. Collura P. , Le più antiche carte..., op. cit. pag. XII)
[10] ) né valga l’astuzia della nota per un esonero di responsabilità, fatta cadere tutta sull’autorevolezza (?) del nostro Tinebra Martorana- Cfr. Mons. Domenico De Gregorio, La chiesa agrigentina – notizie storiche vol. I – p. 115 - Agrigento 1996
[11] ) Cfr, ad esempio: GALLO AVV. ANDREA CODICE ECCLESIATICO SICOLO - PALERMO DALLA STAMPERIA CARINI - 1851 - Continuazione del libro II e LIBRO III ove a pag. 196 col. 2a, in un capitolo «Sulla collazione delle Dignità e canonicati della Cattedrale di Girgenti - La Giunta de' Presidenti e Consultore - Consulta de' 25 ottobre 1759 Grande Achivio di Palermo» si rivoca la questione racalmutese in questi termini: «Ha esposto inoltre il Vescovo, che il re Martino ebbe dalla Santa Sede un privilegio di poter conferire qualunque beneficio del Regno, ancorchè non fosse stato di Real Patronato, come si dice nella nota della provisione del Canonicato di Santa Maria ossia Santa Margarita di Ragalmuto (b ), e come fa menzione lo stesso Re Martino nella sua Real Lettera del 1408 rapportata dal Pirri (Pirri Notit. Eccl. Catan. ad ann. 1408 f. 546). Privilegio per altro che lo stesso Martino confessa che non fu già perpetuo, come dice la postilla nel libro delle dignità ecclesiastiche, ma durante solamente lo scisma, che allora affligea la Chiesa (d) )».
[12] ) N. Tinebra Martorana, Racalmuto, op. cit. pag. 60 e segg.
[13]) Vito Maria Amico Statella - Lexicon Topographicum Siculum - Tomi secundi pars altera, Panormi 1757-60 - voll. 6. [Biblioteca Nazionale V.E. Roma pos. 1.24.C. 19/24] In proposito, il passo in latino di pag. 115 è il seguente: « ... Barresiis subinde datum [Racalmuto, cioè]; Joannes subinde eiusdem familiae ad Andegavensium partes deficiens, secum opida sibi subdita traxit, Petrapretiam, Nasum, Rahalmutum et alia.» Gioacchino Di Marzo ne fece questa traduzione: « .... dato poscia a' Barresi; poichè Giovanni della medesima famiglia essendosi ribellato in pro delle parti angioine, seco trasse i soggetti paesi Pietraperzia, Naso, Racalmuto ed altri.»
[14]) F. M. Emanueli e Gaetani - Della Sicilia Nobile - parte IV - Forni Editore [copia anastatica dell'edizione Palermo 1759 - Parte II, libro IV, pag. 199 e segg. Invero, l'A. sembra voglia far ricadere la colpa al padre Aprile. Noi, a dire il vero, non abbiamo avuto modo di consultare l'opera di questo storico siciliano che scrisse nel 1725. Disponiamo solo di una bibliografia del Bresc ovè è così segnato: Francesco Aprile, Della cronologia universale della Sicilia, Palerme, 1725, XXIV-808 p. [centré sur Caltagirone]. Vedi Henri Bresc: Un monde méditerranéen - économie et société en Sicile - 1300-1450 - Palermo 1986, pag. 48. Ad altri studiosi quindi il compito ed il gusto di correggerci ed eventualmente integrarci.
[15]) Anche se non l'artefice primo della fantasiosa baronia racalmutese dei Barrese, il Villabianca è responsabile degli abbagli storici degli ereduti di Racalmuto - a cominciare dal padre Bonaventura Caruselli da Lucca [Sicula], non proprio indigeno, dunque, ma pur sempre autore principe del racconto della 'venuta' della Madonna del Monte. Questi a pag. 2 del suo libretto Maria Vergine del Monte in Racalmuto, Palermo 1856, testualmente annota: «L'ultimo di questa dinastia fu Giovanni Barrese, il quale al riferire del padre Aprile (Cron. Sic. cap. 1 f. 164) [corsivo ns.] si rese indegno del dono, oscurando col più turpe tradimento la fede siciliana. Nella guerra tra Carlo d'Angiò Conte di Provenza e Manfredi lo Svevo Re legittimo del regno di Sicilia e Napoli fu il primo che vilmente desertò le bandiere del suo Re, e passò al partito Angioino acquistandosi il nefando nome di traditore della patria e del suo Re, una marca indelebile di eterna infamia, e la perdita totale di tutti i beni, giusto e ben dovuto premio dei traditori. Ma l'infamia a chi tocca: il vespere Siciliano manifestò al mondo il valore dei figli di Sicilia, e la lor fedeltà ai legittimi Sovrani.» La frase che abbiamo riportato in corsivo svela la totale sudditanza del p. Caruselli dal Villabianca (a parte la diversa pagina: 164 al posto di 144, evidentemente un mero errore). Ecco infatti cosa aveva scritto il celebre autore della Sicilia Nobile a pag. 199 e ss. - parte seconda, libro IV: Racalmuto «credesi indi concessa dal Rè Ruggieri Normanno figlio del liberatore testè accennato ad ABBO BARRESE in consuso con quelle Terre, che sotto l'aggettivo di pleraque oppida per conto di esso Barrese numera FALZELLO nella sua Stor. di Sic. dec. 2. lib. 9. cap. 9 f. 184 avvegnachè sullo spirare del secolo decimoterzo stava ella in potere di Giovanni BARRESE, il quale al riferire del Padre APRILE Cron. Sic. f. 144 c. 1 [corsivo nostro] fu il primo tra i Baroni del nostro Regno, che nelle guerre fatte dall'armi dei Collegati Angioini in quest'Isola passasse al loro partito col suo vassallaggio consistente nelle Terre di PIETRAPERZIA, NASO, RAGALMUTO, CAPO D'ORLANDO, E MONTEMAURO, terra oggi disfatta, situata in quel monte, che si alza fra la Città di Piazza e 'l MAZZARINO presso il fiume Braeme. Sicchè dichiarato fellone esso Giovanni, cadde Tal Baronia nelle mani del Reg. Fisco.» (Vedasi: F.M. EMANUELI e GAETANI - Della Sicilia Nobile - parte IV - Forni Editore [Copia anastatica dell'edizione Palermo 1759] - RAGALMUTO - [pag. 199 e ss. Parte II Libro IV).
Il padre Caruselli sicuramente non consultò il p. Aprile, come noi del resto. Ma fu abbaglio suo personale quello di credere che Giovanni Barrese sia stato privato delle sue terre per aver tradito Manfredi a favore di Carlo d'Angiò, grosso modo tra il giugno del 1265 ed il febbraio del 1266. Le turbolenze di Giovanni BARRESE avvennero invece nella contesa tra i due fratelli Federico III e Giacomo II d'Aragona e cioè tra il 1298 ed il 1302, circa vent'anni dopo il Vespro siciliano: Illuminato Peri (vedasi La Sicilia dopo il Vespro - uomini, città e campagne 1282/1376 - Laterza Bari 1982, pag. 39) data la dissidenza di quel nobile attorno al 1299 (ed era solo signore di Pietraperzia, Naso e Capo d'Orlando, come da pag. 39 e nota 44). Il padre Caruselli non era ovviamente ferrato nella storia medievale della Sicilia, e l'intrigo degli eventi lo giustifica. Ma quell'accenno ai Vespri Siciliani ebbe grande fortuna. Il Tinebra Martorana, con la sua «aura romantica e un tantino melodrammatica», per dirla alla Sciascia, vi si buttò a capofitto vergando il capitolo IV su Racalmuto e la famiglia Barrese (pag. 58 ed. 1982). Eugenio Napoleone Messana diviene incontenibile - da pag. 54 a pag. 58 - nella sua storia su Racalmuto (ed. 1969). Purtroppo anche il valido padre Calogero Salvo cade nella trappola, in ispecie a pag. 25 del suo Ecco tua Madre - Racalmuto 1994. Non si lascia ingannare, invece, da quell'ambiguo parlare di un passaggio "ad Andegavensium partes" dell'Amico l'avv. Francesco San Martino De Spucches: Egli bene inquadra la congiuntura storica: «Questi [Giovanni Barrese] - scrive a pag. 181 del quadro 783, op. cit. - visse sotto Re Giacomo d'Aragona e seguì il suo partito. Re Federico, fratello di Giacomo, divenuto Re di Sicilia, dichiarò esso Giovanni fellone e gli confiscò i beni. Da questo momento comincia una storia certa e noi cominciamo da questo momento ad elencare i baroni di Racalmuto con numero progressivo...»
[16]) F. TOMAE FAZELLI SICULI OR. PRAEDICATORUM - DE REBUS SICULIS DECADE DUAE, NUNC PRIMUM IN LUCEM EDITAE - HIS ACCESSIT TOTIUS OPERIS INDEX LOCUPLETISSIMUS - Panormi ex postrema Fazelli authoris recognitione. Typis excudebant, Ioannes Mattheus Mayda, et Franciscus Carrara, in Guzecta via, quae ducis ad Praetorium, sub Leonis insigni, anno domini M.D.LX. mense iunio. [Biblioteca Nazionale - manoscritti e libri rari - 10.7.E.5] Barrese (origine e genealogia) pag. 592 - De rebus .. posterioris decadis liber nonus - cap. Nonum
Hic genus suum ad Abbum Barresium, cuius pater ex proceribus, qui cum Rogerio Normanno ad propulsandos Sarracenos in Siciliam venerunt, unus fuit, ut Rogerij Regis diplomate constat, hoc ordine refert. Ex Abbo, qui Petrapretiam, Nasum, Caput Orlandi, Castaniam, et pleraque alia oppidula à Rogerio Rege adeptus est, Matthaeus.
[17] ) Leonardo Sciascia - Morte dell’Inquisitore - Bari 1967, pag. 181.
[18] ) Sac. Calogero Salvo - Ecco tua Madre - Racalmuto 1994 - pag. 24.
[19] ) MEMORIE DEL GRAN PRIORATO DI MESSINA - RACCOLTE DA FRA DON ANDREA MINUTOLO dei baroni del Casale di Callari, e feudi di Boccarrato - Cavaliero Gerosolimitano 1699 - dedicate all'illustrissimo Eccellentissimo Signo mio Padrone Colendissimo il Signor Fra D. Giovanni Di Giovanni de Principi di Tre Castagni ; Gran Priore di Messina, e già di Barletta, Capitan Generale della Squadra Gerosolimitana, e Condottiero di quella di N.S. Innocenzo xij nel 1692-1693. In Messina - Nella stamperia camerale di Vincenzo d'Amico 1699 - Con licenza de' Superiori.
[20]) Avv. Francesco San Martino de Spucches - La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia, dalla loro origine ai nostri giorni (1925) - vol. VI, Palermo 1929, pag. 181 e segg.
[21] ) Michele Amari - La guerra del Vespro siciliano, vol. i - Milano 1886, pag. 386.
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