Incautamente
MALGRADOTUTTO pubblica questo pamphlet del Casarrubea qua e là ostile e
diffamatorio avverso il nostro grande compaesano Ettore Messana.
Le
accuse sono in fondo quelle classiche del Li Causi storicamente destituite di
ogni fondamento. Feroce lotta politica comunista dell'epoca.
Per
tre anni abbiamo cercato carte e documenti, abbiamo colloquiato con lo stesso
Casarrubbea.
Non
abbiamo dubbi: si tratta di tre grosse fandonie calunniatrici avverso un
intemerato Messana.
Trani
smentisce pe rtabulas che il Messana possa essere stato il Bava Beccaris nel
1919 a Riesi;
l'ARCHVIO
CENTRAE DI STATO polverizza la rabbia vindice di Tito di voler fare
di Messana un criminale di guerra; Senise in un suo libro di memorie del
1946 elogia il Messana addirittura in quei tempi avversato dal Fascismo
in quanto "non ne aveva l'animo";
processi,
documenti, l'archivio NARA .la corrispondenza del Messana con il suo
Ministero smentiscono ogni sospetto che sia stato "il capo del
banditismo politico siciliano". Anzi! Anche lo stesso Casarrubea abbandona
, proprio in Malgrado Tutto, questa sua vecchia tesi anche perché
bastonato in un processo che tanto l'avvilì sino forse a portarlo alla morte
prematura (cosa che avviene quando si abbassano le difese immunitarie per
depressioni forti).
Pubblichiamo
qui l'intero post accusatorio del Casarrubea per smantellarlo punto per
punto ad onta di Malgrado Tutto che lo aveva fatto proprio suggellandolo
magari con l'impari difesa del Bellavia.
______________________
occorre conoscere il passato per dare risposte al futuro
La Resistenza
antifascista in Slovenia e l’ispettore Messana
(Questa parte è illustrata grazie alla scrupolosa ricerca condotta
dalla storica Claudia Cernigoi, direttrice della rivista “La Nuova Alabarda.”
Si tratta di immagini tratte da una vasta collezione fotografica sui crimini
fascisti dell’Italia in Slovenia)
III
L’ombra
lunga del fascismo
La
Sicilia, diceva Goethe, è un luogo da dove puoi capire meglio il mondo. E aveva
ragione, ma non per motivi campanilistici, visto che l’illustre letterato era
tedesco, quanto perché, a ben guardare la storia e gli uomini che l’hanno
animata, dalla capitale siciliana partono e si concludono molte vicende umane e
politiche che hanno segnato i caratteri del nostro tempo. Sono stati, talvolta,
eventi apparentemente minuti, letti con una visione localistica, e che pertanto
non ci hanno consentito di vedere più ingrandite le cose. Per capire, trarre
una lezione. La Sicilia è legata, ad esempio, alla Slovenia da molti fatti su
cui è doveroso riflettere. Legami che scopri se ti metti a fare il Marlowe
della situazione, su una pista precisa, come un segugio. Basta un nome: Ettore
Messana, siciliano di Racalmuto, classe 1888, di professione ufficiale di
polizia. Nel 1919 lo troviamo impelagato nella strage di Riesi. Tiene “a
battesimo”, a modo suo, le lotte contadine. Venti morti. Poi si specializza nel
ventennio nero, grazie all’appoggio che gli forniscono uomini dell’apparato
come Ciro Verdiani e Giuseppe Gueli, che di polizia e di spionaggio se ne
intendono più dello stesso ministro fascista Buffarini Guidi. Nell’aprile del
1941 la sua carriera è a una svolta. Le truppe italo-tedesche invadono il Regno
di Jugoslavia e l’Italia si annette gran parte della Slovenia. Messana diventa
questore di Lubiana tra l’aprile del 1941 e il maggio 1942, per poi svolgere la
stessa carica a Trieste, dove fu destinato con telegramma di Carmine Senise a
decorrere dal primo giugno 1942.
Doveva
assumere la temporanea reggenza della locale questura, ma vi rimase fino al 14
giugno 1943, quando fu nominato ispettore generale di Ps e posto a disposizione
del Ministero dell’Interno. In un anno dovette combinarne di cotte e di crude
fino al punto da suscitare le reazioni degli stessi poliziotti che mal lo
tolleravano. La direzione generale di Ps era stata lapidaria e aveva comunicato
alla questura di Trieste la decisione, già ai primi di giugno:
398111/333- Questore
Messana Ettore cessa col quattordici corrente dalla direzione codesta Questura
rimanendo at disposizione Ministero. Telegrafate partenza.[1]
Ma
si dovette pervenire a quella decisione attraverso un lungo tempo di
sopportazione e dopo vari tentativi degli stessi apparati fascisti del luogo di
destinarlo ad altra sede. E di fatti si era registrato un tentativo di trasferire
il Messana a Bologna, poi temporaneamente sospeso e prorogato al 5 maggio.[2]
Il
suo arrivo in questa città, scriveva Feliciano Ricciardelli, della Divisione
criminale investigativa della Polizia della Venezia Giulia, “produsse sia
nell’ambiente cittadino che in quello del personale, serie apprensioni in
quanto il Messana era preceduto da pessima fama per le sue malefatte quale
questore di Lubiana. Si vociferava, infatti – continuava l’ispettore – che in
quella città aveva infierito contro i perseguitati politici permettendo di
usare dei mezzi brutali ed inumani nei confronti di essi per indurli a fare
delle rivelazioni circa l’attività politica da loro svolta”.
Ma
ecco cosa scriveva ancora il Ricciardelli:
“Fra le insistenti voci
che allora circolavano vi era anche quella che egli ordinava arresti di persone
facoltose, contro cui venivano mossi addebiti infondati al solo scopo di
conseguire profitti personali. Difatti si diceva che tali detenuti venivano poi
avvicinati in carcere da un poliziotto sloveno, compare del Messana, che
promettevaloro la liberazione mediante il pagamento di ingenti importi di
denaro.
Inoltre gli si faceva
carico che a Lubiana si era dedicato al commercio in pellami, da cui aveva
ricavato lauti profitti.
Durante la sua
permanenza a Trieste, per la creazione in questa città del famigerato e
tristemente noto ispettorato speciale di polizia diretto dal comm. Giuseppe
Gueli, amico del Messana, costui non riuscì ad affettuare operazionidi polizia
politica degne di particolare rilievo.
Ma anche qui come a
Lubiana, egli si volle distinguere per la mancanza assoluta di ogni senso di
umanità e di giustizia che dimostrò chiaramente nella trattazione di pratiche
relative a perseguitati politici, responsabili di attività antifascista molto
limitata. In proposito, si ritiene opportuno segnalare un episodio che dimostra
la sua malvagità d’animo:
In una notte del gennaio
1943 senza alcun addebito specifico ed all’insaputa dello stesso Ufficio
Politico della Questura, ordinò l’arresto di oltre venti ebrei fra cui si
ricordano i nomi dei fratelli Kostoris Marco e Leone, Romano Davide, Israele
Felice e l’avvocato Volli Ugo che vennero proposti al Ministero per
l’internamento, perché ritenuti politicamente pericolosi. E che il Messana
avesse agito per pura malvagità e, probabilmente, per cercare di accattivarsi
la benevolenza della locale federazione fascista, con la quale non
intercorrevano cordiali rapporti, lo dimostra il fatto che lo stesso Ministero
respinse la proposta. Ordinando la scarcerazione dei predetti che furono
rilasciati dopo oltre un mese di carcere (per più dettagliati particolari e per
conoscere tutti i nomi degli arrestati, esaminare i precedenti al Ministero,
poiché gli atti dell’Ufficio Politico della locale Questura, furono asportati o
distrutti dalle truppe jugoslave di occupazione della città ai primi di maggio
u. s.)
Risulta in modo
indubbio che il Messana, quale componente la locale commissione provinciale per
i provvedimenti di polizia, infierì in modo particolare contro i denunziati.
Difatti egli, anche per colpe di lieve entità per quanto riguardava i
denunziati per il confino chiedeva sempre il massimo della pena. Tale
comportamento veniva aspramente criticato dagli altri componenti la commissione
e finanche dal Prefetto fascista Tullio Tamburini, presidente della commissione
stessa.[3]
Destituito
Mussolini, nonostante avesse eletto domicilio a Trieste, se ne allontanò ben
presto facendo perdere di fatto le sue tracce. Alla data del 2 novembre era
ancora irreperibile e in tale veste fu dichiarato dimissionario d’ufficio”. [4]
*
Il
questore non è uno qualsiasi. Il suo nome compare in un elenco di 35 ricercati
per crimini di guerra. Aveva scatenato una lotta feroce contro gli sloveni, una
crociata che portò lo Stato fascista ad una decisione abominevole: la creazione
di decine di campi di concentramento per sloveni, sparsi tra l’Italia, e la
Dalmazia. Su questi campi di internamento si è scritto poco, ma sappiamo
dell’esistenza di campi a Monigo, Renicci, Arbe, Lanciano, Chieti, Tollo,
Notaresco, in provincia di Teramo, e di altri in provincia di Novara, o in
quella di Matera (Pisticci).[5] Vi trovarono la morte migliaia di
civili, uomini, donne e bambini, stroncati dalla fame e dalle malattie. Solo a
Gonars di morti se ne contarono 500 in un anno. Vi furono internati molti
comunisti. Il folle obiettivo di Mussolini era snazionalizzare gli sloveni e
renderli “civili” e italiani. Nel “sacro” nome di duemila anni di civiltà
romana. Pulizia etnica allo stato puro. Vi lavorarono alacremente il generale
Mario Roatta, che arrivò a concepire la deportazione dell’intera popolazione
slovena; il comandante dell’XI Corpo d’Armata Mario Robotti, i generali Gastone
Gambara e Umberto Fabbri e parecchi altri che come Messana o Verdiani, piuttosto
che essere processati per crimini di guerra contro le popolazioni civili,
attraversarono indenni la transizione dal fascismo alla Repubblica democratica,
ottenendo spesso in premio avanzamenti di carriera. Si erano macchiati di
delitti infami che avrebbero dovuto essere additati alle nuove generazioni come
un monito per il loro futuro, e invece i fatti di cui si erano resi colpevoli
sono stati rimossi dalla memoria collettiva degli italiani. Ma eccidi, come
quelli compiuti dall’imperialismo fascista in Libia, Etiopia, Albania,
Slovenia, Croazia, Grecia, Dalmazia, Spagna e Montenegro pesano sulla nostra
coscienza come una delle pagine più tristi e vergognose della storia del
Novecento. Tanto – si sa – ci si adagia sul falso mito degli “Italiani brava gente”,
col cuore in mano, tra canti, spaghetti e mandolini. Come in un brutto film in
bianco e nero degli anni Cinquanta.
Come
vedremo, a tracciare un profilo del Messana è la Commissione delle Nazioni
Unite per i crimini di guerra, su indicazione del governo jugoslavo. Era il
1945 quando questo signore, sul quale pendevano gravi atti di accusa
minuziosamente documentati, anziché essere incarcerato dal secondo governo di
Ivanoe Bonomi (che aveva Alcide De Gasperi agli Esteri e lo stesso presidente
del Consiglio agli Interni) fu promosso ispettore generale di pubblica
sicurezza in Sicilia. Diventò il referente principale della banda Giuliano e di
Salvatore Ferreri, inteso Fra’ Diavolo. Due giovanotti che non erano montanari
che “tenevano passo” nel palermitano, come ci hanno voluto fare credere
rotocalchi e cinegiornali di cinquant’anni fa. Provenivano dritti dritti
dall’eversione nera di Salò, i cui simboli erano le teste di morto e il gladio
romano.
Il
1947 fu l’anno che chiuse la carriera di questo poliziotto potente e oscuro,
iniziata nel biennio rosso. Nel 1945 pensava alla pensione e a qualche
pellegrinaggio al suo santo protettore che l’aveva transitato incolume alla
nuova Repubblica democratica. Ma dall’alto arrivarono altri segnali. Qualcuno
gli ordinò di restare in carriera, ora che il nuovo pericolo si chiamava
“comunismo”. Operò in un momento delicato, in quegli anni turbolenti di lotte
contadine e di speranze di pace. In apparenza era il banditismo il nemico da
battere. Ma, guarda caso, i fuorilegge dell’isola vissero il loro periodo
migliore e il movimento democratico finì nella polvere. E ci furono due stragi
terribili, il battesimo di fuoco della neonata Repubblica: Portella della
Ginestra e gli assalti alle Camere del Lavoro. Tornavano in auge i criminali
metodi attuati durante la guerra, quando a Trieste la banda Collotti infieriva
contro comunisti e dissidenti sotto l’occulta regia delle autorità
nazifasciste. Uno squadrone della morte al servizio dello Stato. Un comunista
come Li Causi non ebbe peli sulla lingua e accusò Messana di essere proprio lui
il “capo del banditismo politico” nell’isola. E forse alla banda triestina
pensava anche il capomafia di Monreale don Calcedonio Miceli, quando al
processo di Viterbo, interrogato dal presidente del tribunale su Giuliano, ebbe
a dire che il “re di Montelepre” era il capo di un “plotone di polizia”. Per
nostra fortuna, non era solo un boss ad avere una simile opinione. Tant’è che
in un rapporto segreto del Servizio Informazioni e Sicurezza (Sis), scritto
nell’immediato dopoguerra, leggiamo: “Alla questura di Lubiana si eseguivano
torture. Il ten. Scappafora dirigeva le operazioni di tortura, mentre il
questore Messana esortava personalmente gli aguzzini ad infierire contro le
vittime. […] Messana era considerato uno dei maggiori carnefici.” E, a
proposito dell’assassinio del grande dirigente sindacale di Sciacca, Accursio
Miraglia (4 gennaio 1947), in un lungo rapporto della questura di Agrigento si
evidenziano, nel dettaglio, le gravi lacune nella conduzione delle indagini:
“Non si ebbe intuito felice – scrive il funzionario – nelle indagini dirette a
far luce sul delitto, essendo state queste iniziate e proseguite con leggerezza
e superficialità ed in direzione prefissata”.[6]
IV
Sulle
tracce di un criminale di guerra
Devi
prendere il taxi, se ci vai in aereo, perché la distanza di Ljubljana dal suo
aeroporto è di parecchi chilometri. In compenso ne trai qualche vantaggio che,
se non ti sei distratto, il volo potrebbe averti anticipato attraverso l’oblò.
Da
Roma all’Adriatico vedi scorrere sotto di te la penisola e in mezz’ora rivedi
di nuovo il mare e poi le isole della Dalmazia. A quel punto devi già essertene
reso conto. Quando l’aereo si abbassa immergendosi nelle nebbie alte sopra i
boschi, prima di atterrare, già senti di penetrare in un mondo nuovo. Lo
avverti dalla freschezza del paesaggio, dall’assenza di inquinamento, dalle
case frammentate nelle campagne, dalla scarsa densità demografica. La Slovenia
conta un paio di milioni di abitanti; è meno grande della Sicilia e la sua
capitale è una città di neanche trecentomila anime, con una storia piuttosto
recente rispetto a quella che hanno molti comuni italiani che affondano
talvolta le loro radici in memorie millenarie. Apprezzi subito la dimensione
umana degli aggregati urbani, dei villaggi di campagna, delle case sparute che
vivono di bosco e di legna. Misuri il vantaggio della vivibilità anche quando
eviti l’inerzia dell’attesa davanti alla fermata di un bus che parte ogni due
ore.
Il
taxista ti conduce all’albergo e se questo non ti piace o non ha posti, ti
accompagna da un’altra parte, lasciandoti poi capire che non ha un gran da fare
con i turisti che scarseggiano, anche se la stagione è, come si dice, alta.
All’hotel
Pri Mraku, tre stelle, ma pulito e con qualche pretesa di antica tradizione nel
settore, l’addetto alla reception è disposto a trattare sul costo della camera.
Una disponibilità ragionevole che apprezzi soprattutto se a Lubiana ci vai non
da turista ma per sapere qualcosa degli italiani, anche se adesso qui, quasi
nessuno parla l’italiano e molti negozi fanno persino difficoltà a ricevere
euro piuttosto che “tolariev”. Non essendo, dunque, un vacanziere, ma un
ricercatore sulla pista di qualcosa che sembrava essersi definitivamente
smarrito una sessantina d’anni fa, avrei preferito la pensione Emonec, a
quattro passi dall’Archivio Nazionale della Repubblica slovena, che a Lubiana è
ubicato a piazza dei Congressi. Un Archivio dove non si conoscono, come in
Italia, le chiusure d’agosto, e dove puoi restare dalle otto del mattino alle
quattordici. Il personale è gentile. Vi lavora uno staff di donne all’altezza
del compito: amano il loro mestiere, sono motivate, e si avverte l’attaccamento
che hanno alla loro storia, la spinta civile e culturale che le induce a non
volere smarrire le atroci sofferenze che gli Sloveni, come i fiumani, i croati,
i serbi e altre minoranze etniche e linguistiche, furono costrette a subire, al
tempo dell’occupazione fascista e tedesca del loro Paese, e, in particolare,
tra il 1941 e il 1943. Vi lavorò, fino ad alcuni anni fa, Tone Ferenc, al quale
si deve una sistematica e accurata raccolta di documenti intitolata La legge inflessibile di Roma. Vi lavorano ora la storica
Nevenka Troha, i coniugi Gombac e una signora il cui padre tra il ’39 e il ’43,
prestò servizio militare in Sicilia. Ma qui hanno fatto le loro ricerche sui
crimini del fascismo Alessandra Kersevan e Claudia Cernigoi, nell’incuria più
assoluta dell’intellighentia e del mondo accademico
italiano.
Anche
l’hotel Pri Mraku è in una posizione, per me, favorevole. Girato l’angolo sono
in via Vegova. La percorro a piedi in pochi minuti, superato il Petit Café di piazza della Rivoluzione francese, sempre
pieno di giovani. Così sono subito al Park Zvezda, a piazza dei Congressi dove,
oltre all’Archivio, si affacciano i bellissimi edifici dell’Università (1902) e
dell’Academia Philharmonicorum (1701) nonchè vari palazzi ottocenteschi. Il
rispetto per la città lo noti dall’assenza di cemento nel centro storico.
Nessun edificio ne è deturpato e avverti subito la vivibilità della città:
nelle piste ciclabili, nei numerosi giovani che vi fanno ricorso, nell’uso che
diversi ragazzi e ragazze fanno di pattini a rotelle, nella cura del verde,
ecc. Questo contatto immediato con le strade, le mura, i giardini e le piazze è
il regno della resistenza di una città non ancora del tutto contaminata dal
modello occidentale dello sviluppo distorto, sempre più in agguato. Lo noti
dalla presenza delle macchine, dei supermercati, delle boutique di moda,
dall’eccessiva pubblicità televisiva, dall’invasione di prodotti ormai
globalizzati, dalle fungaie dei grandi alberghi costruiti negli ultimi quindici
anni nelle vicinanze del polmone verde di Lubiana che è il Parco Tivoli. Ma per
me Lubiana non è oggetto di interesse sotto questo profilo, ma perché è una
tappa obbligata delle mie peregrinazioni nella storia oscura delle stragi e dei
fatti che hanno caratterizzato gli ultimi sessant’anni della nostra Repubblica
democratica. Convinto come sono sempre stato che non puoi conoscere il presente
e chi sei se non conosci il passato e quelli che ti hanno preceduto e che
magari attraversarono un tempo, la tua stessa strada o quella dei tuoi
antenati, ostruendone talvolta il cammino. Perciò mi sento in questa bella
città una sorta di Marlowe sulle tracce di persone, di nomi, di facce concrete,
oltre che di fatti realmente accaduti.
Ettore
Messana, uno dei più pericolosi persecutori di “comunisti” e di sloveni, che la
storia d’Italia abbia mai conosciuto operò, infatti, a Lubiana tra l’aprile del
1941 e il 15 maggio 1942, come questore. Per quanto non fosse l’inventore dei
campi di concentramento fatti costruire a tutta furia dopo la primavera del
1941, tuttavia appoggiò e fornì il suo supporto operativo, al progetto di
sterminio. Era questa, forse, una via breve per baipassare i tribunali ordinari
o di guerra, e rientrare nelle meno dipendenti regole di alcuni grandi gerarchi
del regime. Perciò penso che rispetto a quello che hanno patito, gli Sloveni
siano un popolo paziente e tollerante.
Una
figura da incubo quella di Messana. E non so se abbia una qualche connessione
con questa il sogno che ebbi a fare la prima notte del mio arrivo all’hotel Pri
Mraku. Sognai un mio conoscente che aveva una casa in costruzione e me la
faceva visitare. L’edificio sembrava un vecchio rustico con una cucina a legna
di quelle che usano i pastori nelle loro abitazioni di fortuna, durante la
transumanza; vecchie pentole di rame dove non so cosa si stesse cuocendo. A
parte, in un angolo della spelonca, sostava un’altra grossa pentola di rame.
L’uomo rimuoveva con le mani gli strati superiori della materia di cui era
riempita, che sembrava terra, e, come a volermi fare un dono o una piacevole,
per lui, sorpresa, cercava più in profondità qualcosa che avrebbe voluto farmi
assaggiare. Aveva già rimosso uno strato gelatinoso che un vecchio che gli
stava accanto tentava di maneggiare per farne non so bene quale uso, quando,
agganciata da un mestolo, saltava fuori una mano. Come nello splendido,
grottesco angelo sterminatore di Bunuel. Ero
sconvolto e mi ero messo a fuggire inseguito dal vecchio che, bontà sua, voleva
farmi quel prezioso omaggio a tutti i costi. Mi svegliai di soprassalto con la
sensazione che in quel posto dove mi trovavo fosse stato ucciso qualcuno, anche
se nulla ancora sapevo, attraverso i documenti che solo dall’indomani avrei
cominciato a leggere, che molti partigiani comunisti sloveni, perdurante
l’attività di questore del Messana, erano stati uccisi in modo atroce, dopo
essere stati arrestati, perseguitati, torturati. Per questo sento questa città
a me vicina. Mi assomiglia nella storia personale, ma non rappresenta questo
passato come io non voglio rappresentare le tragedie della mia infanzia. Ma
Lubiana ed io abbiamo in comune questo personaggio oscuro, a capo delle forze
dell’ordine prima in una città da lui saccheggiata col silenzio dei benpensanti
del regime, e dopo in una terra, la Sicilia, che da allora doveva intraprendere
un lungo cammino di sangue.
Lubiana
è una città martire, come la Sicilia, Piana degli Albanesi e San Giuseppe Jato,
Partinico e tutti gli altri comuni dove la virulenza del fascismo che non
voleva morire, fece stragi dei lavoratori in festa. E come questi paesi molto
lontani dalla Slovenia, anche Lubiana è oggi una cittadella piena di vita, con
una grande capacità di sorridere e di accogliere. Molti sono i palazzi barocchi
o liberty che si possono vedere attraversando il vecchio nucleo della città.
Passando per Wolfova ulica si può vedere la statua dell’amore non corrisposto
del poeta France Preseren, Julia Primic, scolpita da Tone Demsar, e quindi vagare
per negozi, piazze e mercati, pizzerie, trattorie e pub (gostilna) che
riempiono le due sponde del fiume Ljubljanica Hrbarjevo Nabrezje e Cankarjevo
Nabrezje, ai piedi dell’imponente e sovrastante castello.
E’
una città molto antica. Le sue prime tracce risalgono ai Romani e al Medioevo,
ma tutte le sue bellezze sanno di nuovo e di storia attuale: il parco Tivoli,
la Galleria Nazionale, prima eretta come Casa del Popolo (1896), il Teatro
Nazionale, il recente Cankariev dom, centro della cultura e della vita
congressuale della città, i palazzi di Miklosiceva cesta, la via intitolata al
linguista sloveno Fran Miklosic. Così, passeggiando per Lubiana e vedendone le
strade, la gente e i palazzi, ascoltando il suono della lingua dei suoi
abitanti, mi rendo conto di quanto sia stata assurda la pretesa dei fascisti di
togliere il diritto di esistere e persino di usare la propria lingua, i propri
nomi a individui e popoli che avevano avuto una storia secolare e di come
l’anima nera che lo distinse abbia cercato di fermare la stessa ragione e il
corso inesorabile della storia.
Inesorabile
perché anche i morti possono tornare a vivere e con loro i fatti che furono
all’origine di tante tragedie. Lubiana ha un Archivio Nazionale specializzato
nella storia degli anni a cavallo della seconda guerra mondiale. Contiene una
sezione speciale costituita dai fondi Kraljeva Kuestura Ljubljana, Carabinieri
Reali, Alto Commissariato. I Carabinieri furono un’organizzazione militare e
politico-spionistica al servizio del regime, specialmente negli anni della
Resistenza jugoslava che più da vicino ci interessano (1941-1943). Così
sappiamo di numerosi attentati contro la Milizia confinaria, alla quale erano
state assegnate le “camicie nere”, e i militari italiani che procedevano a
sistematici rastrellamenti di villaggi e popolazioni slave; di attentati a
linee e stazioni ferroviarie, come le linee Lubiana-Postumia, sul ponte del
Lubljanika (settembre-dicembre 1941), la linea ferroviaria Skoblica-Smaric (28
luglio 1941), nonché della fitta rete di propaganda antifascista e degli
arresti conseguenti (28 dicembre 1941). Per l’aggressione al ponte sul fiume
Lubljanika furono arrestati e consegnati al Tribunale militare di guerra della
Seconda Armata, 48 detenuti, tra i quali Francesco Krasovec, Marian ed Herbert
Lichtenberg, Antonio Giuseppe Kovacic. Degli arrestati 28 furono condannati a
morte, tra i quali Antonio e Giuseppe Troha; 12 furono condannati
all’ergastolo; 4 a trent’anni; 6 ebbero pene fino a dieci anni e 19 furono
assolti. Per tale esemplare azione Mussolini propose che Messana, il questore
di Lubiana, e Raffaele Lombardi, maggiore dei CC.RR., avessero conferita la
Commenda dell’ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro e il cavalierato dello stesso
Ordine.[7]
Con
la destinazione di Messana a capo della questura di Lubiana, l’attenzione verso
i cospiratori antifascisti si fa sistematica e minuziosa. Vengono presi di mira
soprattutto gli ex arruolati nelle milizie rosse spagnole, i comunisti
precedentemente schedati che si trovavano a fare i militari presso i vari
battaglioni di stanza in Slovenia, i confinati politici, e quanti, come Mary
Baltic svolgevano attività in favore degli sloveni già colpiti da provvedimenti
delle autorità di occupazione.[8] Informazioni su contatti con
elementi serbi e “sovversivi sbandati” nella zona di Verconico si registravano
alla fine di agosto ’41. Qui erano presenti ufficiali dell’esercito jugoslavo
soliti riunirsi presso una trattoria del Duomo in via Gradisca. Nonostante il
frenetico controllo poliziesco la notte del 14 luglio ’41 ottanta “comunisti”
prigionieri a Kerestine, pochi chilometri a est di Samobor, evasero e, dopo
essersi impossessati di armi e munizioni, si diressero verso Zumberck-Planina. [9]
L’accanimento
del regime contro gli sloveni, identificati tout court con i “comunisti”, è
dimostrato dalla presenza di veri e propri squadroni della morte che avevano il
compito, al di fuori delle vie ordinarie imposte dallo stato di occupazione
militare, di eliminare i capi o gli elementi ritenuti pericolosi del fronte di
Resistenza. Ma accadeva qualcosa di peggio. La Commissione per i crimini di
guerra, istituita nel 1945, sulla base di documenti analizzati e testimonianze
raccolte, ha calcolato che nei 29 mesi di occupazione italo-tedesca della
Slovenia, nella sola parte italiana, i fascisti fucilarono come ostaggi 1500
civili; 2500 persero la vita nelle operazioni di rastrellamento, 810 civili
morirono sotto tortura, e oltre cento vennero bruciati o massacrati; 7000
furono le donne, i vecchi e i bambini morti di stenti e di fame nei campi di
concentramento italiani e quasi un migliaio di partigiani bruciati o passati
per le armi. Se ci si prendesse la briga di andare a consultare quei documenti
a Lubiana, anche attraverso un preliminare esame a campione dei materiali si
scoprirebbero fatti inauditi. Si verrebbe a sapere, ad esempio, che alle ore
14,30 del 4 dicembre 1941, in via Vodnikova Lubiana, lo studente ventitreenne
di Kranj, Francesco Emmar, residente in via Gledaliska 12, veniva ucciso con
due colpi di pistola alla testa sparatigli da uno sconosciuto in bicicletta.[10] I casi sono
innumerevoli ed è proprio difficile che si trattasse di una intensificazione
dei fenomeni di criminalità comune nel periodo della gestione del Messana e
dell’Alto Commissario Emilio Grazioli. Lo dimostrano parecchi episodi di
persone uccise per strada, come, ad esempio, l’operaio comunista di Novo Mesto,
Giuseppe Kocevar, 21 anni, colpito da quattro colpi di moschetto a Grosupllje,
perché non si sarebbe fermato all’intimazione dell’alt della guardia di
Finanza, Lino Spadaro.[11] Novo Mesto era
un centro di propaganda molto attivo per la presenza non solo dei partigiani
dell’Osvobodilna Fronta (OF), ma anche dei profughi provenienti dal territorio
occupato dai tedeschi. L’attività organizzativa clandestina era indirizzata
soprattutto al reclutamento di studenti e giovani operai. Tanto che il commissario
locale di Ps scriveva a Messana: “ Ho l’impressione di trovarmi dentro un
fabbricato in cui si sente odor di bruciato, ma dove per il momento non si
riesce ad identificare il focolaio dell’incendio”.[12]Ma saranno i
bollettini dell’XI Corpo d’Armata a riferire dettagliatamente dell’attività dei
partigiani jugoslavi nelle varie zone. Esse erano sottoposte alle competenze
delle divisioni Granatieri di Sardegna, Isonzo, Macerata, Cacciatori delle Alpi
e Guardie di frontiera. Ma Messana, col suo apparato di poliziotti e
carabinieri, non era da meno. Furono centinaia i partigiani aderenti all’OF
denunciati al Tribunale militare di guerra presso la seconda Armata di Lubiana.
Sbrigativi appaiono anche i soldati del primo battaglione Gaf che perlustrano
l’abitato di Hrastje (Lubiana). Il militare Giovanni Bresciani, non tollerando
che uno sconosciuto gridasse: “Viva la Russia”, gli spara uccidendolo, senza
tanti problemi.[13] Poteva, al
contrario, capitare che un sottufficiale della Regia marina, come Francesco
Sossi di 28 anni, perdesse la testa per la slovena Maria Pirkovic di Velike
Lasce (Lubiana), benestante, ma “di idee comuniste e avverse all’Italia”, e
che, pertanto, i suoi superiori fossero messi di fronte alla necessità di
“prendere opportuni provvedimenti”. Tom Joze, calzolaio di 30 anni, fu ucciso
con due colpi di pistola nella frazione di Tancagora di Lubiana da uno
sconosciuto. Sul cadavere l’assassino lasciò un cartello eloquente; “Morte alle
spie, al fascismo, libertà al popolo”. Qualcuno sospettò che quella spiegazione
servisse, invece, a nascondere che si era eliminato un partigiano e per giunta
lo si era voluto fare passare per spia. Antonio Melec, 21 anni di Pograje
(Venezia Giulia) fu ucciso a Lubiana il 28 dicembre 1941 e il suo cadavere fu
trovato nei pressi del cimitero di Grovlje. Presentava cinque colpi di arma da
fuoco: quattro alla schiena e una alla nuca.[14] Il numero
rilevante delle persone suicidatesi o uccise perché ufficialmente in fuga o
perché non si sarebbero fermate all’intimazione dell’alt, nasconde, in realtà
un piano diabolico che costituì l’espediente di cui dovettero servirsi i
fascisti italiani nella ex Jugoslavia occupata, per giustificare l’eliminazione
di ogni focolaio di resistenza. Ebbe a occuparsene la Commissione delle Nazioni
Unite per i crimini di guerra, che deferì Messana, il commissario di Ps. N.
Pellegrino e il dott. Macis al tribunale per i crimini compiuti da detti
soggetti durante l’occupazione italiana della Slovenia. A denunciarli fu per
primo il Comitato centrale del Partito comunista sloveno con un proprio appello
ciclostilato, datato 28 aprile 1941. Si esecravano il crollo della Slovenia
sotto il dominio dell’imperialismo italiano e tedesco, gli arbitrari arresti in
massa dei civili, le torture e i licenziamenti dai posti di lavoro. Si
chiamavano, quindi, i partiti e gli Sloveni all’unità nazionale e alla lotta
comune di liberazione.[15]
Questi
delitti, come quelli compiuti dal regime fascista in Libia, Etiopia, Albania,
Croazia, Grecia, Dalmazia, sono stati fino ad oggi poco indagati se non
addirittura rimossi dalla memoria collettiva degli italiani. Pesano sulla
nostra coscienza, come una delle pagine più tristi e vergognose della storia
del Novecento. Ma tanto – si sa – ci si adagia sul falso mito degli “Italiani
brava gente”, col cuore in mano, tra canti, spaghetti e mandolini. Come in un
brutto documentario in bianco e nero degli anni Trenta.
All’Archivio
di Stato della Slovenia esistono due importanti documenti della Commissione
delle Nazioni Unite per i crimini di guerra, in cui, anche sulla base della
documentazione raccolta, si descrivono le atrocità di cui furono responsabili i
fascisti nella conduzione delle persecuzioni contro la popolazione dei
territori occupati:
Nel
primo, scritto in lingua slovena, leggiamo:
Messana Ettore
Nato il 2 aprile 1888
a Racalmuto (Agrigento), fu questore della Questura di Lubiana dal giugno 1941
fino al 15 maggio 1942. Poi fu questore a Trieste. Nel periodo in cui fu
questore a Lubiana, si verificarono arresti giornalieri degli aderenti e dei
simpatizzanti del Fronte di Liberazione (Osvobodilna Fronta: OF). Si sparava
agli Sloveni senza motivo e la causa delle morti si attribuiva alle loro fughe.
Di questo operato della questura il Messana parla nei suoi rapporti quotidiani
all’Alto Commissario Grazioli. Il documento del 31 dicembre 1941 non è
reperibile nella copia originale. L’originale è presso la Commissione per i
crimini di guerra a Belgrado. La Commissione per l’individuazione dei crimini
di guerra ha raccolto numerose testimonianze di reclusi che vennero arrestati
dai questurini sotto il comando del Messana, a Lubiana. Anche questo materiale
è presso la suddetta Commissione a Belgrado.
Qualora si dovesse
accertare qualcuna di queste testimonianze, soprattutto nelle modalità
dell’interrogatorio, o durante la gestione del recluso da parte della polizia
italiana, comunicatecelo.
Ettore Messana è
responsabile della fucilazione dei primi ostaggi nel periodo che va dal 1
maggio 1942 (quando vennero fucilati Siper e Gasperlin) fino alla sua partenza
da Lubiana.
Accludiamo due
documenti presi dall’Archivio della questura di Lubiana, che parlano della
responsabilità della questura nella fucilazione di ostaggi. Gli appunti
originali sui due documenti sono del vicequestore Ferrante.
Gli internamenti
vennero guidati dalle autorità militari ed il Messana in queste azioni ebbe
soltanto funzioni di supporto e subalterne.
I documenti allegati
sono presi da un incartamento che operativamente non fu mai usato. Escono dalle
carte della questura e dell’Alto Commissariato e per questo vi invitiamo a
restituirli.[16]
Nel
secondo, scritto il lingua inglese, da parte della Commissione delle Nazioni
Unite, e che ha per oggetto: “Accuse jugoslave contro i criminali di guerra
italiani”,[17] leggiamo:
Riassunto dei fatti:
Sotto il mandato
dell’Alto Commissario Emilio Grazioli, gli elementi civili dell’esercito
italiano di occupazione hanno commesso innumerevoli crimini. Sono stati
responsabili dell’ampia organizzazione di spie e poliziotti con l’obiettivo di
introdurre il fascismo in Slovenia. Per raggiungere tale scopo, sono stati
utilizzati tutti i mezzi possibili e chiunque cercasse di opporsi, soffriva i
terribili metodi impiegati dai “2000 anni di cultura” degli italiani. Invece di
occuparsi della sicurezza e dell’ordine della vita civile, essi hanno fatto
l’opposto. Gli uomini venivano torturati con gli antichi metodi
dell’inquisizione medievale; le ragazze venivano violentate senza tener conto
della loro età; migliaia di cittadini innocenti e pacifici venivano internati e
deportati. Uomini e donne venivano uccisi in massa senza capi di imputazione o
processo. L’obiettivo consisteva nel trasformare gli Sloveni in “buoni”
fascisti o sterminarli.
Trasmesso dalla
Commissione di Stato jugoslava:
dott. R.Z., 14 luglio
1945
Il
documento così prosegue:
Particolari di un
presunto crimine
In data 21 ottobre
1941 Ettore Messana diede ordine (vedi documento 06633 – Regia Questura di
Lubiana) di arrestare tutti gli abitanti dei villaggi e della città della
Slovenia che non fossero abitanti permanenti di quei luoghi. Inoltre ordinò
l’arresto di tutti coloro che fossero minimamente sospettati di essere
collegati ai partigiani. Diede istruzioni ai suoi subordinati di confiscare
denaro e valori e di minacciare ed arrestare la popolazione. Come si può vedere
dai documenti originali del Tribunale militare di guerra, sezione di Lubiana,
n. 634/42, accuse false vennero mosse da Pellegrino, commissario di polizia
presso la questura di Lubiana, contro Anton e Vide Tomsic, Josipina Macek,
Mialo Marino, Kolman Hodoscek, Josip Hodoscek e Martin Simacina. Come risultato
Anton Tomsic fu passato per le armi il 21 maggio 1942, mentre gli altri vennero
condannati al carcere a vita. Le false accuse di Pellegrino furono la causa
della morte di un uomo innocente alla quale contribuì il giudice Macis con le
sue procedure illegali. Di fatto, Macis è il responsabile di tutti i crimini
commessi a Lubiana tramite “la legge italiana”. Documenti sequestrati mostrano
come venivano gestiti i casi e come della gente innocente pagava con la vita.
Per la Corte, era sufficiente che un poliziotto dichiarasse di avere un
documento segreto per provare che l’accusato era colpevole. La persona accusata
veniva condannata a morte senza che si chiedesse di esibire il documento in
questione.
Basti un solo esempio:
16 persone sono state arrestate da un poliziotto senza che vi fosse alcuna
prova di colpevolezza contro di loro. Alla fine si fece avanti un tedesco che
voleva vendicare un suo lontano parente ucciso dai partigiani. Costui dichiarò
il falso e tutte le 16 persone vennero fucilate. Macis era il responsabile.
La prova di questa
accusa proviene dai documenti originali italiani della “Divisione Isonzo” e
sono reperibili presso gli Archivi della Commissione di Stato Jugoslava.
U.T.
A
ben guardare, Messana fu l’organizzatore principale della guerra dichiarata
contro i “banditi” e, forse, l’inventore stesso del concetto di banditismo
legato alla lotta partigiana. Per un motivo semplice: che questa in Italia si
manifesta dopo l’8 settembre, mentre egli l’aveva già sperimentata un biennio
prima. Il che dovette dargli ulteriori idee al tempo della sua presenza nella
Sicilia del secondo dopoguerra, quando la cosiddetta banda Giuliano rimase per
sette lunghi anni imprendibile.
Conflitti
a fuoco tra i ribelli sloveni e i carabinieri si svolsero la notte del 22
ottobre 1941 a Ribnica, Monte Log (24 ottobre), Loz (19 ottobre), Osredek (28
ottobre), Begunie di Bezuliak (20 ottobre), nei boschi di Loski Potok (Lubiana,
23 ottobre), nei pressi della galleria tra Smanie e Skoflice (25 ottobre). La
resistenza fu opera, soprattutto di studenti jugoslavi e fu contrastata da
continui rastrellamenti da parte dei carabinieri delle varie compagnie, tutte
del XIV battaglione dei CC.RR. ‘Milano’. Altri scontri si ebbero a Corice e
Griblie di Cernomeli (28 ottobre). Il 4 novembre 1941 fu arrestato Josef
Mihelcic, capo di una banda che si era scontrata con i reparti del 24°
Fanteria. Non sempre si conosceva la destinazione degli arrestati, anzi era
meglio che non se ne parlasse proprio: “L’Arma del luogo [Cocevie] non conosce
dove gli arrestati furono diretti, né si ritiene il caso di richiederselo
direttamente al maggiore comandante l’anzidetto presidio, per ragioni di
opportunità”. [18]
Il
29 novembre, dopo il rastrellamento di Korinj vennero catturati Antonio
Zupancic, 21 anni e Ivan Campbel. Durante un’analoga operazione dell’Arma
compiuta una settimana prima fu ucciso Milan Licen di Mehinje, 21 anni, della
“banda” di Adolfo Mihlo. Il 4 novembre era stato arrestato Josef Mihelcic, capo
di una banda che si era scontrata con i reparti del 24° Fanteria. Gli arresti
avvenivano spesso per le soffiate di alcuni confidenti prezzolati, come
scriveva il maggiore cei carabinieri di Lubiana: “Desidero rafforzare il
concetto della necessità di procurarsi dei bravi confidenti che possano fornire
indicazioni precise sulla costituzione, forza, armamento e dislocazione delle
bande datesi alla macchia”.[19] Il 10 dicembre
una banda di sessanta uomini entrò in conflitto con la polizia tedesca, e tre
giorni dopo trecento comunisti si diressero verso il vecchio confine italiano
nei pressi di Montenero. Il confine italo-tedesco passava sopra Gorie Opale ed
era continuamente interessato dalle bande di partigiani che operavano nella
Slovenia tedesca tra il confine e la rotabile Skofie Leka. A questo proposito
c’è da dire che l’occupazione del territorio sloveno da parte dei tedeschi
spingeva molti abitanti delle zone occupate a spostarsi in territorio italiano,
per cui diventava una zona calda la fascia di demarcazione tra Brezovo-Petrzie
e Presti Javor.
Il
4 febbraio 1942 furono denunciati per partecipazione a banda armata Federico
Kobilica, nativo di Vienna, Alfredo Klopic di Lubiana e Antonio Bogsa di Velike
Iasce.
Il
31 ottobre Messana preannunciò al Comando della Divisione militare “Granatieri
di Sardegna” di Lubiana che era in corso un concentramento di “bande armate”
nella zona di Novo Mesto (dove il comandante la compagnia dei CC. era Carmine
Fera) e Vrhpolje. A seguito della segnalazione, il 3 novembre, i carabinieri
assaltarono i “ribelli” uccidendone diciotto nei boschi di Gornje Laze, in
territorio di Cermosnice.[20] A loro volta
Francesco Delfino, colonnello comandante CC. della seconda Armata, segnalò
un’accentuazione di “bande comuniste” nel nuovo territorio annesso della
provincia di Fiume, e il capitano Spatafora fornì un elenco di venticinque
partigiani segnalando i militanti in formazioni militari, tutti operai appena
ventenni, e quelli non militanti o favoreggiatori. Tutti comunque deferiti
all’autorità giudiziaria. La sera del 17 novembre cinquanta comunisti
penetravano a Karlovac, uccidevano due ustascia e alcuni carabinieri e quindi
si dileguavano. Il numero dei partecipanti a questa azione sembra esagerato,
perché, di solito le “bande” erano costituite da pochi elementi. Ad esempio,
quella comandata da Adolfo Evas di Lubiana, era composta da tredici elementi,
per lo più artigiani e qualche studente.
A
dare manforte alle operazioni di pulizia etnica intervenne il Comando federale
dei Centri di assistenza di Lubiana, emanazione del PNF. Il 28 maggio 1941
segnalò la presenza di un gruppo pericoloso per le forze di occupazione: Glavko
Zaccaria, vicepresidente del Comitato di Azione di Oriuna e partecipante, nel
1926, all’attentato di Prestane, antimonarchico e antifascista; l’ing. Kreinz,
comandante delle “squadre terroristiche antiitaliane” e del triestino Mario
Pozar, “propagandista bolscevico” in contatto con “simpatizzanti comunisti” di
Ribnica e abituale frequentatore dei caffé Metropoli e Mikliel di Lubiana.
L’autunno invece fu segnato dalla proposta di confino di polizia per Giuseppe
Mazovec di Dev Maria Polje, 37 anni, dirigente comunista, Giovanni Babsek di
Borovnica, Alberto del Medico, Boris Grgurevic e Vladimir Klajnsek, colpevole,
quest’ultimo di detenere il libro “comunista” “Slovenski Iorocevalez”. Gli
ordini di mandati di cattura, gli arresti e le traduzioni in carceri di
comunisti o presunti tali furono innumerevoli, come anche gli ordini di fermare
gli ebrei. Un bando di espulsione dal territorio croato li aveva colpiti già in
precedenza. Pertanto giornalmente giungevano a Lubiana dalla Croazia numerosi
ebrei fuggiaschi che andavano ad unirsi a quanti non volevano soggiacere alle
persecuzioni naziste. Ma gli italiani non si comportarono diversamente dai loro
amici tedeschi. Bastava portare qualche distintivo sospetto, come quello
dell’Associazione jugoslava Sokol, o semplicemente dimostrare “sentimenti
antiiitaliani” per essere ipso facto arrestati. [21]In parecchi
casi si procedette alla fucilazione di ostaggi. Perciò, che fossero uomini o
donne, tutti quelli che entravano nel mirino del questore, non avrebbero certo
avuto vita facile. Sorte che toccò anche a Zdenka Armic, 33 anni, moglie di
Boris Kidric, uno dei dirigenti del movimento insurrezionale sloveno, e a Maria
Slander, 30 anni, “pericolosa comunista”. [22] Praticamente,
fino a quando non fu sostituito dal suo collega D. Ravelli, le disposizioni
persecutorie di Messana furono sempre più accentuate, e si conclusero,
nell’aprile-maggio 1942 con una serie di lunghe liste di arrestati, che il
questore aggiornava costantemente, redigendo appositi elenchi ogni quindici
giorni. Bastò che fosse trasferito a Trieste perché il numero degli arrestati
scendesse. Così si contano ad aprile 180 arresti; a maggio 164; ma a giugno
sono 124, a luglio 15, ad agosto 21. Risalgono di nuovo a ottobre, a 127.
Evidentemente in estate le repressioni poliziesche cedevano il passo alle
vacanze dei carnefici. Ma non c’è dubbio alcuno, però, che durante la gestione
di Messana le persecuzioni avessero raggiunto caratteri di particolare violenza
e sistematicità. Tanto che si riscontrano parecchie lamentele, di autorità
slovene e di privati cittadini contro gli arbìtri del questore. Si può per
questo avanzare l’ipotesi che il suo trasferimento a Trieste fosse dovuto a una
situazione ormai divenuta insostenibile e che la sua nomina a ispettore di Ps
per la Sicilia, fosse legata alla convinzione di un reale pericolo di successo
delle forze comuniste e socialiste in lotta per le riforme. Un’azione di forza,
insomma, sul governo, per determinare i futuri orientamenti del dicastero degli
Interni. E’ altrettanto plausibile l’ipotesi che quando Messana viene nominato
in Sicilia, si porti con sé un certo numero di fedeli che aveva avuto modo di
sperimentare tra Lubiana e Trieste. Tra costoro, il tenente colonnello dei
CC.RR. Luigi Geronazzo, già alle sue dipendenze al tempo dell’occupazione della
Slovenia. Che si tratti di un caso di omonimia col Geronazzo di cui parla
Girolamo Li Causi, in un discorso tenuto al Parlamento nazionale contro
Messana, nel 1949, è difficile pensare. Il parlamentare non ci fornisce il
nome, ma l’Arma dei Carabinieri, nel proprio sito web, nel riportare le varie
decorazioni di cui fu insignito l’ufficiale, ci conferma il nome di Luigi,
classe 1897. Quindi, in caso di omonimia, ci troveremmo paradossalmente di
fronte a due tenenti colonnelli appartenenti alla stessa Arma e vissuti alle
dipendenze di Messana in due periodi diversi: il primo è il soggetto che
incontriamo durante l’occupazione italo-tedesca della Jugoslavia; il secondo,
quello di cui parlò Li Causi quando ebbe a dire: “…soldato valoroso fino
all’ingenuità, credeva che i banditi si affrontassero allo stesso modo con cui
si affrontano i soldati”. E spiegava meglio: “Non so se il ministro Scelba sa
che furono individuate le persone che favorirono l’uccisione del Geronazzo e
che vennero arrestate; era un’intera famiglia il cui capo divenne confidente
dell’Ispettorato di pubblica sicurezza”.[23] Allora c’è da
chiedersi: – di quali segreti era depositario questo ufficiale? E perché i suoi
traditori sono di fatto legati come confidenti a Messana?
A
trovare una risposta potrebbe esserci di aiuto la motivazione della sua
decorazione con medaglia d’argento al valore militare, concessagli dopo la sua
morte, avvenuta in circostanze non meglio chiarite, la notte del 29 dicembre
1947:
“Al comando di un battaglione Carabinieri impegnato
duramente per più mesi contro una banda armata tristemente famosa per
l’efferatezza dei gravi delitti compiuti, sempre primo nelle azioni più
rischiose, dedicava tutto se stesso alla lotta, conseguendo proficui risultati
e contribuendo a disorientare i fuorilegge. Di notte, mentre rincasava nella
sede del comando, fatto segno, per rappresaglia, a scarica di arma da fuoco da
malfattori in agguato, reagiva coraggiosamente, sebbene ferito mortalmente,
facendo fùoco con la propria pistola. Montelepre (PA) – Partinico (PA) – Carini
(PA) – Alcamo (TP) – Piana dei Greci (PA), agosto/novembre 1947“.[24]
A
confermare l’identità del Geronazzo che troviamo impegnato, nel 1941-’42, a
combattere ben altre “bande” sul fronte orientale, con Messana e Ciro Verdiani,
allora ispettore generale di Pubblica sicurezza per l’oriente italiano in
Croazia[25], si possono,
poi, richiamare i numerosi riconoscimenti acquisiti da questo graduato nella
sua carriera: nel periodo immediatamente successivo
all’occupazione di Harar, nel 1936, e per le azioni condotte nell’Africa
settentrionale, tra il luglio 1940 e il febbraio 1941. Insomma era un militare
deciso e combattivo, tanto che, al momento della sua nomina a questore di
Lubiana, Messana pensò di portarselo con sé in Slovenia. Quando poi fu
dirottato in Sicilia il militare seguì il suo superiore. Senonché non poteva
fare di testa sua, e proprio la banda Giuliano, l’unica tenuta in vita delle
trentacinque che gli Alleati avevano trovato nell’isola dopo il loro sbarco del
1943, non andava combattuta sul serio e, anzi, era un’organizzazione
intoccabile. Se non ci fosse stata si sarebbe dovuto inventarne una uguale. Ma
questo Geronazzo forse non lo sapeva.
La sua morte potrebbe essere un anello di una
lunga catena di morti ammazzati eliminati in ragione del loro ufficio. Tanto
per non cambiare anche questa volta si tratta di due ufficiali posti sulla
strada dell’assassinio del dirigente sindacale di Sciacca, Accursio Miraglia.
Lo dovevano eliminare il primo gennaio del 1947 per inaugurare l’anno di
piombo, quello di Portella. Ma i suoi assassini preferirono non perdere
l’occasione del tradizionale banchetto di capodanno nelle loro case riscaldate
dai camini, e rinviarono di qualche giorno, il tempo per digerire l’abbuffata.
Come sempre anche questa volta l’ispettore Messana è come il corvo nero che si
aggira attorno a quest’altro cadavere. Un’accusa di superficialità nelle
indagini gliela rivolge l’ispettore generale di PS Fausto Salvatore la cui
relazione al capo della polizia viene inoltrata dal direttore Capo della
Divisione del Sis alla Divisione AGR di Roma. Nella relazione si legge “ non si
ebbe intuito felice nelle indagini dirette a far luce sul delitto, essendo
state queste iniziate e proseguite con leggerezza e superficialità ed in
direzione prefissata”. Vi si lamenta inoltre il fatto che l’arresto – ordinato
dal dottor Zingone e dal capitano Carta – di Curreri, Rossi e Di Stefano, il
primo come esecutore del delitto, l’altro come mandante e il terzo come
complice, fu eseguito da due carabinieri con “tattica sbagliata”, e che gli
stessi arresti furono “ intempestivi” a causa “di prove insufficienti a carico
dei mandanti”. Così proseguiva rammaricato l’ispettore Salvatore:
Purtroppo nessun accertamento, dico nessuno, risulta eseguito o appena
iniziato da parte dell’ Ispettorato del Messana o dalla questura di Agrigento
in tutto questo vasto settore. Nel fascicolo “Miraglia” dell’Ispettorato non vi
sono che una decina di verbali d’interrogatorio degli arrestati, di coloro che
accompagnavano il Miraglia e di qualche altra persona, tutti di irrilevante
valore. Nel fascicolo della questura di Agrigento vi è ancora meno: qualche
copia dei suddetti verbali e null’altro. In ambedue nemmeno un cenno biografico
del morto e –purtroppo- delle sue complete generalità.
E’ canone fondamentale di polizia giudiziaria studiar bene ed a fondo
la vittima di un delitto,conoscerne la vita, le attività, le amicizie, le
relazioni d’affari, ecc.ecc.
Nulla, assolutamente nulla di tutto questo è stato fatto per il
Miraglia, sia dall’Ispettorato che dalla questura. E sì che il Miraglia ha
avuto una vita movimentata: giovane disoccupato, poi studente, poi impiegato a
Milano, poi anarchico in cerca di espatrio, poi mancato fascista, poi fervente
comunista, poi dirigente politico e sindacale ed uomo d’affari e commerciante
di cereali, di ferramenta, e di pesce salato e quasi sicuro e vittorioso
candidato alle prossime elezioni politiche. Un’attività dunque intensa, e
multiforme, studiando la quale potrebbe trovarsi il filo conduttore del delitto”.
E concludeva: “Si può dire che per la scoperta del delitto in esame bisogna
ricominciare da capo ed eseguire con metodo, con pazienza e con costanza tutte
quelle indagini che – ove non fossero state del tutto omesse- avrebbero potuto
dare utili risultati”.[26]
L’ispettore quindi disponeva che le indagini
fossero riprese ex novo da parte della questura “con la più volenterosa
collaborazione dell’Arma” e che il dott. Zingone, titolare dell’Ufficio di
Sciacca dedicasse “la propria attività quasi esclusivamente alle indagini” su
Miraglia con l’aiuto del vicecommissario Tandoy. Il Salvatore, in sostanza,
nell’asserire, ai fini delle indagini, la centralità della biografia del
sindacalista saccense, sembrava scagionare la pista, allora sostenuta dalla
sinistra, di un delitto consumato dagli agrari (“il proprietario terriero è in
realtà il meno danneggiato dalla legge per la lottizzazione dei latifondi
perché questa oltre a lasciare integro e illeso il diritto di proprietà
garantisce il canone di affitto”) e orientava nella direzione della
responsabilità di coloro che erano stati danneggiati dall’azione del dirigente:
proprietari di terreni ceduti alla Cooperativa, fittavoli, mezzadri, pastori.
Si trattava in realtà di un indirizzo fantasioso e depistante, ma nascondeva in
realtà l’insufficienza delle piste fino a quel momento concepite. Infatti non
fu mai avanzata l’ipotesi del delitto terroristico e sia gli inquirenti, sia
anche la sinistra rimasero prigionieri dello schema economicistico, che ormai
dalla strage di Alia (21 settembre 1946) contro i dirigenti della Federterra
aveva assunto i caratteri dell’eversione.
[1] Prefettura di Trieste, Nota del prefetto Tullio
Tamburini alla questura di Trieste e p. c. alla Ragioneria della regia
prefettura di Trieste, con oggetto. Gr.Uff.
Dott. Ettore Messana questore, 7 giugno 1943 XXI, gab. 018/2286. Il
telegramma di Senise riportato dal prefetto Tullio Tamburini al questore di
Trieste, 30 maggio 1942, XX, gab. 062/6454
[2] Cfr. ibidem, il prefetto Tullio
Tamburini al questore di Trieste, fonogramma a mano, 28 aprile 1943, XXI, gab.
016/1724; e nota dello stesso prefetto del 16 aprile 43, gab. 018/1468 –2
[3] Prefettura di Trieste, Polizia
della Venezia Giulia, Divisione criminale investigatica, Atti di gabinetto, b.
18, nota dell’ispettore capo Feliciano Ricciarelli al prefetto di Trieste, 6
ottobre 1945, prot. 481
[4] Prefettura di Trieste, Atti di
gabinetto, b. 18, nota del prefetto Bruno Coceani alla Direzione generale di Ps
del Ministero dell’Interno, 24 maggio 1944, gab. 018/1895
[5] Cfr. Archivio della Repubblica
Slovena, Lubiana, Kraljeva Kuestura, AS 1796, 1941-1943, f. 1/II,2 31 agosto
1942 riguardante l’arresto di Antonio Tomsic; Rapporto del prefetto di Chieti
al Ministro dell’Interno e all’Alto Commissario di Lubiana, riguardante
l’internamento a Tollo di Miran Pozenel, div. Di Ps., prot. 05879, 12 giugno
1942; Ministero dell’Interno, direzione generale di Ps all’Alto commissario di
Lubiana, Emilio Grazioli, per l’internamento di Giovanni Gradisek, prot.
447/05167 del 25 maggio 1942; Ministero dell’Interno all’Alto commissario di
Lubiana, prot. 448/306997, 19 maggio 1942, per l’internamento di Rodolfo Fink a
Pisticci; il prefetto di Padova Vittorelli alla R.questura di Chieti e all’Alto
commissario di Lubiana, 22 giugno 1942.
[6] Cfr. Archivio Centrale dello
Stato, Sis, b. 36, fasc HP27/Agrigento, class.: segreto.
Titolo: Sciacca
(Agrigento), assassinio del rag. Miraglia, segretario di quella Camera del
Lavoro, 18 marzo 1947
[7] Cfr. Repubblica Slovena, Lubljana,
Archivio Nazionale, CC.RR. , vol. 155/I, nn. 8-9-10, n. 13; lettera del
maggiore Raffaele Lombardi al Comando del gruppo CC.RR. di Lubiana, 19 gennaio
1942; il capo della polizia Carmine Senise all’Alto Commissario per la
provincia di Lubiana, 6 aprile 1942; per l’attentato alla linea ferroviaria
Skoblica- Smaric, il fasc. 16; per gli arresti per attività antiitaliane, fasc.
18.
[8] Cfr. ivi, Comando raggruppamento
camicie nere d’assalto; il luogotenente comandante Renzo Mantenga alla sezione
Celere CC.RR. di Lubiana, fasc. 154/II, n. 5, 1° novembre 1942.
[9] Cfr., ivi., CC.RR., b. 154, II,
1941, il questore Messana al comando gruppo CC. di Lubiana, 14 luglio 1941, e
nota del luogotenente comandante Renzo Mantenga, Comando raggruppamento Camicie
nere d’assalto alla sezione Celere CC.RR. di Lubiana, 1 nov. ’42.
[10] Cfr. ivi, Nota del capitano dei
CC.RR. Salvatore Spatafora all’Alto Commissario e alla Regia Questura di
Lubiana, prot. 75/299, 4 dicembre 1941; fasc. 42.
[12] Cfr. ivi, Kraljeva Kuestura, 1796,
VI, R. Ufficio di Ps di confine di Novo Mesto, gab. 0239, 12 gennaio 1942; e
ibidem, prot. I n.0952 del 31 gennaio 1942. Un importante documento della
resistenza jugoslava, anche se parzialmente mutilo, è reperibile allo stesso
fondo, 1796, n° 1, f. 1/II.
[13] Cfr. Ivi, Comando gruppo CC.RR. di
Lubiana, fasc. 14, Battaglione CC.RR. “Milano, Tenenza Lubiana Esterna, il
tenente Mario Guarino all’Alto Commissario di Lubiana, 9 dicembre 1941; fasc.
43.
[14] Cfr. ivi, segnalazione del
capitano Salvatore Spatafora all’Alto Commissariato di Lubiana, 28 dicembre
1941; fasc. 47, per il caso di Tomc Joze al fasc. 45.
[16] Archivio di Stato di Lubiana,
1931, segnato RSNZ, SRS, Questura, 2022-3/ n. 59. Si tratta di un documento
microfilmato, intestato a Ettore Messana e recante il n. 168013. La traduzione
è stata effettuata dal prof. Boris Gombac, residente a Lubiana.
[17] Cfr. Archivio di Stato di Lubiana,
AS, 1551, Zbirka Copij, Skatla 98, 1502-1505. Caso n. R/IT/75- Nomi degli
accusati: 1) Ettore Messana, questore a Lubiana (Fasc. 263); 2) N. Pellegrino,
commissario di PS a Lubiana (Fasc. 266); 3) dott. Macis, tenente colonnello,
procuratore del Re, tribunale militare di guerra a Lubiana (Fasc. 267). Data e
luogo del presunto crimine: durante l’occupazione italiana della Slovenia.
Numero e descrizione del crimine nella lista dei crimini di guerra: I)
Assassinio e massacri- uso sistematico del terrorismo; III) Tortura di civili;
V) Violenza carnale; VII) Deportazione di civili; VIII) Internamento di civili
in condizioni inumane; XII) Tentativo di denazionalizzare gli abitanti del
territorio occupato- Violazione degli articoli 4, 5, 45, 46, regolamentazione
dell’Aia, 1907, e dell’art. 13, Atti jugoslavi per le Corti Militari, 1944.
[18]Cfr. Repubblica slovena, Archivio
nazionale di Lubiana, AS 1781, f. 154/I, CC.RR, 1941, il capitano della
Compagnia di Cocevie, Pasquale Luciano al Comando dei CC. di Lubiana, n.
113/77-1, prot. Div. .III, 6 novembre 1941.
[19] Cfr. ivi, il maggiore comandante
del gruppo CC di Lubiana a tutte le compagnie dipendenti, n. 64/1, prot.
Segreto, 12 ottobre 1941.
[20] Cfr. ivi, il Comandante la
Tenenza, Augusto Fabri al Comando CC.RR. di Lubiana, 4 novembre 1941.
[21] Cfr. ivi, CC.RR., b. 155/III, e b.
156/I, il maggiore maresciallo Leonardo Capozzi alla regia questura, Lubiana,
22 settembre 1941; nota del tenente comandante CC di Longatico Filippo Falco alla R. Questura di Lubiana, 8 ottobre 1941.
[22] Cfr. ivi, CC.RR., b. 157, I (tutto
il fondo CC.RR. porta il numero 1781 e comprende le buste fino a 185); sulla
fucilazione di ostaggi, tra gli altri, il comandante la Compagnia del Gruppo
CCRR di Lubiana all’Alto Commissario di Lubiana, b. 157, I, riservata del 25
maggio 1942; cfr. inoltre ivi, Kraljeva
Kuestura Ljubljana, 1941-1943, 1796, corrispondenza di
luglio-agosto 1941., n° 2, f.1, 1941; n°2, f.II/2; circolare di Messana al
Comando CC di Lubiana interna, 17 marzo 1942.
[23] Cfr. Discorso di Girolamo Li Causi
al Senato della repubblica, 23 giugno 1949, in Commissione parlamentare di
inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, Atti relativi alla strage di
Portella della Ginestra, parte prima, p. 90.
[25] Cfr. Archivio nazionale della
Repubblica slovena, , AS 1796, Kraljeva Kuestura Ljubljana, 1941-’43, f. 1/I,
documento a firma Verdiani del 29 maggio 1942.
[26] ACS, Ministero dell’Interno, Sis,
Relazione
dell’Ispettore generale di Ps Fausto Salvatore al Capo della Polizia, Roma, 18
marzo 1947, inviata dal direttore capo divisione del Sis il 29 ottobre 1947,
div,. Sis, sez II, prot. 224/62345, b. 36, f. HP27 (titolo: ‘Agrigento’),
oggetto: Assassinio
del rag. Miraglia, segretario Camera del Lavoro di Sciacca
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