Scrissi e pubblicai su ARTICOLO21 una sommessa preghiera al direttore di
Repubblica perché dedicasse una qualche sua attenzione al caso singolo di un
vero ergastolano ostativo, su Alfredo Sole rinchiuso nel carcere di Opera ove
persino un magistrato sotto accusa per reati che oggi si ascrivono alla mafia
tentò un serio suicidio.
Alfredo Sole dicevo al direttore di Repubblica è oggi
“filosofo e scrittore raffinatissimo” che viene ancora bollato come
OSTATIVO trattato inumanamente per
“l’assurdità di questo gravame penitenziario che peraltro gli è stato
inflitto dopo ben 9 anni di regime c.d. 41bis e che dura da 12 anni.”
A sensibilizzare l’opinione pubblica è stato ARTICOLO 21 pubblicando un mirabile scritto di codesto
ergastolano ostativo. Sull’onda del conseguente interesse pubblico, proprio su
Repubblica codesto medievale istituto carcerario fu oggetto di stigmatizzazione
da parte dello scienziato Umberto Veronesi e di esplicazioni preoccupanti da
parte di Adriano Sofri.
Ma dopo, il nulla. Chiedevo: “Gentilissimo signor Direttore, non è che
Lei possa fare qualcosa di più per meglio sensibilizzare l’opinione pubblica
sulla vicenda di un ravvedutissimo Alfredo Sole, ora colto studioso di
filosofia greca e sapidissimo autore di spunti letterari di cui qualcuno ha
avuto l’ambito onore di venire ospitato nel libro di successo di Gaetano
Savatteri, i ragazzi di Regalpetra? “
Certo se si andava a spulciare nel citato libro qualcuno mi avrebbe
rimbeccato citando questi passaggi delle pagine 261 e 252:
“Un uomo dentro una cella ha tempo per pensare. Troppo tempo. Nelle
spalle anni di solitudine, davanti la prospettiva di due ergastoli, una
detenzione che solo la morte potrà concludere. Alfredo Sole è in galera dal
primo settembre 1991. E’ stato processato e condannato per l’omicidio di
Alfonso Alfano Burruano, il paciere con la coppola storta: processato e
condannato per la strage della sera del 23 luglio 1991, guidava l’auto dei killer. Due
ergastoli, due condanne a vita. Non uscirà mai di galera, l’aggravante dell’associazione
mafiosa lo sottrae ai benefici concessi ai carcerati, semilibertà permessi
sconti.
Sepolto per anni in una cella singola, ventidue ore al giorno da solo
tra quattro mura, Alfredo Sole ormai cosa tra le cose, avrebbe detto Michel
Foucault: un numero di matricola, un fascicolo, un ergastolano. Una voce
spenta: lui stesso aveva deciso così, non parlando ai processi, negando ogni
addebito. Era stiddaro Alfredo Sole: le code chiatte avevano ammazzato suo fratello
Alfonso, quando Alfredo era già in carcere uccisero suo zio Giuseppe, suo padre
Salvatore. Cosa Nostra fece tabula rasa dei Sole, ne annientò la semenza. Voci
spente e sconfitte”.
Il libro ebbe successo enorme: da parrocchia di regalpetra, a paese di
sciascia, addirittura a paese della ragione (per imperio cavalleresco il cui
dittatore disse poi di averlo detto per celia), Racalmuto è diventato così
quello dei “Ragazzi di Regalpetra”. E i baby delinquentelli assursero persino
ad essere detti e creduti “capimafia” astutissimi e naturalmente sanguinosissimi.
Un obeso giovinastro si dichiara responsabile di una cinquantina di esecuzioni
mafiose, una media da capogiro. E’ reo confesso, è collaboratore di giustizia:
mi dicono che i lauti mensili per la sua libertà in incognito gravano tutti sul
disastrato bilancio del mio paese Racalmuto appunto. E già: una ministra in
gonnella crede a siffatta vulgata giornalistica e chiude Comune e affossa le
libere elezioni.
Se la libertà di stampa avalla e conforta tutto questo, se ormai è prona
alla voglia di liberare Sallusti, mi dichiaro anticostituzionale, sono contro
l’articolo 21 (in minuscolo). Alle fandonie prima riportate, la mia consunta
laurea in giurisprudenza mi si rivolta dentro, vomitevolmente. Dimostrare? Non
posso in questa sede per questioni di spazio.
Chi avesse voglia di saperne di più consulti Informacarcere : Le lettere di Alfredo Sole.
Mi sono interessato ad Alfredo Sole, specificatamente, solo da un anno.
Prima lo infilzavo anonimamente in pagine di un mio libercolo che nessuno
legge: Racalmuto nei millenni. Iniziai irritato per il misticismo esoterico del
novello arciprete (termine improprio ormai, mi si dice, ma io vi sono legato)
che non si cura di una sua pecorella
finita sulla croce al posto del Buon Ladrone. Ne è nata una conversazione
epistolare che ho appena citata su Le
lettere di Alfredo Sole.
Nacque una sfida se potevo mandargli o meno una cassata siciliana genuina
confezionata dal piccolo ilare Capitano o no: con l’aiuto di ARTCOLO 21 ho
vinto io la scommessa.
Quanto all’autore del libro, ho cercato di farmi pubblicare questa
contrapposizione, senza riuscirvi:
IL
CASO SOLE E L'ERGASTOLO "OSTATIVO"
O io in quasi quarant'anni di vita ispettiva contro banche e
finanziarie, speculatori e orditori di cambi a termine, talora intento a seguire
le alchimie fiscali di Berlusconi (magistrale il dividend washing), talaltra a
deliziarmi all'AIMA nel sorridere nei confronti dei miei paesani che erano
capaci di raccogliere frumento come il nostro territorio fosse dieci venti
volte più esteso e che sapevano far figliare trenta quaranta volte l'anno le
loro striminzite caprette, oppure di appurare che fine facevano certi crediti
cinematografici concessi dagli adepti del satrapo Cacciafesta, o che so io?
mettiamo anche non alieno dal contestare alla mia banca d'Italia che se aveva
davvero voglia di credere desueta (il mio censore meneghino, mi consente il
termine?) la norma fascista della legge bancaria che imponeva il discarico
sulle banche inquisite delle spese di vigilanza, io sapevo leggere nell'intricatissimo
bilancio BI a quanto ascendevano siffatte spese non traslate, farne la base per
un accertamento fiscale e contestarne l'evasione per 250 miliardi di vecchie
lire che il disorientato Ciampi fu costretto ad ammortizzare con uno concordato
che all'epoca fece davvero scandalo, dicevo o io ho visto sempre lucciole per
lanterne o il prode Tano (nel suo libro "I RAGAZZI DI REGALPETRA",
pagg. 261-276) obnubila uomini e cose, latebre psicanalizzabili, senso
criminale di efferati fatti di sangue,
episodica rilevanza, denominazioni alla moda, scaturigini di perversi DNA,
evanescenze confessorie, redenzioni culturali, svolte esistenziali, ribellismi
carcerari, apologhi su rapaci notturni liberi, repressioni di giovanili furori
omicidi, tristezze sul ciglio del baratro dell'autosoppressioni, sconvolgimenti
di quella cosa lì che sta dentro di noi come il cielo sta sopra di noi,
barbarismi di funzionarietti divenuti per la pagnotta psicologi carcerari,
assenze decisionali di giudichesse che nei comodi scranni di quell'albo palazzo
di giustizia milanese si piegano alle istanze di carcerieri che vedono in Sole
uno cui difetta il concetto che loro hanno di "resipiscenza" per
protrarre sine die una deleteria "ostatività" congetturata dal siculo
Alfano su suggerimento, pare, di un ex pdista (sic!) agrigentino, giudice
traslato a Roma. Ma tutto ciò non basta dirlo: occorre dimostrarlo. Prometto
che tenterò. Del resto quand'ero in banca d'Italia riuscivo a redigere
brillantissimi ed apprezzatissimi rapporti ispettivi su misteriosi intrecci
bancari criminali che non avevo per
nulla capiti; insomma spiegavo bene agli altri quello che per me risultava inaccessibile.
Calogero Taverna
Ma chi è ora davvero Alfredo Sole? Mi limito qui a svelare la sua ultima
lettera:
Carissimo
Lillo,
cercherò di rispondere in un'unica lettera per evitare di “spezzettare”
il mio pensiero. Non credo che ti abbiano accreditato a torto come un
combattente contro l'ergastolo. Dici che a te interessa di più il “modus
punendi et espiandi” anziché la durata. Noi per questo lottiamo. Quella
“durata” che non ha senso se non per placare la sete di vendetta. Se si
abolisce l'ergastolo nasce la necessità del “modus punendi” perchè che siano 20
o 30 anni di carcere, alla fine il detenuto lo devi mettere fuori e devi per
forza poterlo restituire alla società migliore di quando è entrato. Col fine
pena mai, tutto questo non avrebbe senso. Infatti, non ha senso cercare di
migliorare il detenuto quando non avrà mai la possibilità di dimostrare il suo
cambiamento. Questo mi porta alla tua “scocciatura” per non essere riuscito a
comprendere appieno il senso del mio pensiero sulla collaborazione. Devo fare
una premessa in modo che il mio pensiero venga percepito come pensiero non
pratico. Cioè, io anche se volessi collaborare per neutralizzare
quell'ostativo, non potrei neanche farlo, il motivo è che sanno già tutto di me
e di nuovo (che è poi quello che gli interessa) non avrei nulla da dire,
neanche contro di quelli cosiddetti nemici. Di conseguenza nessun: “L'infame va
punito e se un pentimento proficuo può giovare a chi dentro l'ordinamento
parastatale si è macchiato di condotta antidoverosa secondo quei codici
d'onore, il pentimento collaborativo non è ammissibile, costi quel che costi”.
Sono d'accordo con te. È allucinante. Se solo mi accorgessi che il mio pensiero
altro non è che questo tipo di mentalità mafiosa, smetterei perfino di pensare.
Sì, mio carissimo Lillo, hai capito male. Ma è meglio dire che non ho espresso
il mio pensiero in modo comprensibile. Io ho odiato e continuo a odiare la
mentalità mafiosa, non è forse questo odiare la mentalità mafiosa che mi ha
portato a combatterla? Certo, comportandomi a mia volta da mafioso! È come
quando qualcuno cerca di degradare la filosofia perchè inutile e non si accorge
che per farlo deve per forza filosofare. Dirai: “ma alla fine, qual'era il tuo
pensiero?”. Adesso non saprei più come esprimerlo. Cadrei in un circolo vizioso
di parole che mi porterebbero solo a ripetermi. Posso solo dire una cosa, se
cambiare significa non fare più del male ad altri, che se lo meritino oppure
no, beh, allora io sono cambiato. Qualunque cosa questo possa significare
logicamente, tranne che essere mafioso!!
per quanto riguarda la “tiratina d'orecchie”, ci potrebbe stare. Sì, da autodidatta non ho mai subito correzioni in rosso e blu, cosa necessaria per una buona formazione, ma ho lo stesso imparato a riconoscere gli errori e quei segni rossi e blu li metto da solo. Non ti mando nessun accidente né un momento di rabbia a causa di provocazione. Anzi, colgo sempre di buon occhio le critiche e provocazioni perchè so che possono solo migliorarmi. Visto che siamo in tema di provocazioni, il tuo Luckacs dice che i greci conoscevano solo risposte e niente domande. Siamo migliori noi oggi che conosciamo tutte le domande e nessuna risposta? Devo rimangiarmi tutto e... mangiarmi tutto visto che ho appena ricevuto i dolci! Non saprei come chiamarli, ma sono delle prelibatezze con impasto di frutta candita. Fai i miei complimenti a Capitano e un grazie a te per il pensiero. Tutto quel mio pensiero che non potessero entrare... Sarà cambiato qualcosa e io neanche lo sapevo?
Vorrei fare qualche commento sullo scambio di lettere tra Nicolò; Giuseppe, Beppe e te, ma non lo faccio, ci stanno pensando loro a “tirarti dentro” la lotta contro l'ergastolo.
Il mio nulla osta per tutta la corrispondenza?
Certo che puoi pubblicare le lettere nel tuo libro, neanche io amo le censure ma mi affido a te su cosa ritieni utile da pubblicare e cosa, invece, debba rimanere “privato”.
Adesso ho da fare. Devo rimpinzarmi di dolcetti...
Un abbraccio Alfredo
e sulla conoscenza
delle cose della Magna Grecia? Mi limito a questi piccoli stralci:
Carissimo Alfredo
giunto a pag. 43 del romanzo di Tanu "Gli Uomini che non si voltano" mi
trovo nel bel mezzo di una piccolo-borghese scuola liceale e debbo sorbirmi la
spiegazione che il prof. Ristoro dà dell'Antigone di Sofocle.
"La tragedia nasce quando c'è conflitto tra libertà e necessità", esordisce il prof. Ristoro. Il tutto si conclude a pag. 44 piuttosto banalmente con il professore irritato che pontifica: "La vostra compagna ha fatto diventare la storia di Antigone una telenovela: Eumene si ammazza per amore. Insomma un dramma passionale. No, picciotti miei, non è una storia di amore: è una storia di potere!"
Mi sarebbe piaciuto che Tanu mi avesse spiegato con quali sfumature angoscianti si è sempre vissuta codesta "tragedia" del conflitto tra la libertà del singolo (valore insito in quello che in gergo si chiama diritto naturale) e la superfetazione talora persino irrazionale della legalità che il potere distilla nel c.d. diritto positivo, nella legge insomma. A tal proposito ho pensato a te, al tuo caso, al tuo essere nato in un ordinamento a detta di sommi costituzionalisti (ricordiamoci che Vittorio Emanuele Orlando si proclamava "mafioso") ed essere poi transitato in un altro ordinamento (tanto colto, sofisticatamente colto) quello che fonda le sue radici nella filosofia greca, in Aristotele, in Platone, etc,). Francamente l'Antigone di Sofocle poco scandaglia in codesto ormai modernissimo conflitto tra legge e morale, tra legge e natura, tra legge e umanizzazione della pena, tra legge e ordinamenti carcerari, tra legge e convinzioni religiose, tra legge e regole di una società tribale, tra legge e sacrosante vendette come da obblighi biblici del dente per dente. Non mi dilungo. Qui capirai perché Eschilo e Sofocle, oltre al diletto estetico, nulla mi dicono; quanto ad Euripide già lo sento più vicino se nelle Baccanti fa strillare il re - il potente di questo mondo - un'invettiva contro il semidio Bacco che scende dai cieli per avere livori e invidiuzze con gli umani. Con paterno affetto Calogero Taverna
"La tragedia nasce quando c'è conflitto tra libertà e necessità", esordisce il prof. Ristoro. Il tutto si conclude a pag. 44 piuttosto banalmente con il professore irritato che pontifica: "La vostra compagna ha fatto diventare la storia di Antigone una telenovela: Eumene si ammazza per amore. Insomma un dramma passionale. No, picciotti miei, non è una storia di amore: è una storia di potere!"
Mi sarebbe piaciuto che Tanu mi avesse spiegato con quali sfumature angoscianti si è sempre vissuta codesta "tragedia" del conflitto tra la libertà del singolo (valore insito in quello che in gergo si chiama diritto naturale) e la superfetazione talora persino irrazionale della legalità che il potere distilla nel c.d. diritto positivo, nella legge insomma. A tal proposito ho pensato a te, al tuo caso, al tuo essere nato in un ordinamento a detta di sommi costituzionalisti (ricordiamoci che Vittorio Emanuele Orlando si proclamava "mafioso") ed essere poi transitato in un altro ordinamento (tanto colto, sofisticatamente colto) quello che fonda le sue radici nella filosofia greca, in Aristotele, in Platone, etc,). Francamente l'Antigone di Sofocle poco scandaglia in codesto ormai modernissimo conflitto tra legge e morale, tra legge e natura, tra legge e umanizzazione della pena, tra legge e ordinamenti carcerari, tra legge e convinzioni religiose, tra legge e regole di una società tribale, tra legge e sacrosante vendette come da obblighi biblici del dente per dente. Non mi dilungo. Qui capirai perché Eschilo e Sofocle, oltre al diletto estetico, nulla mi dicono; quanto ad Euripide già lo sento più vicino se nelle Baccanti fa strillare il re - il potente di questo mondo - un'invettiva contro il semidio Bacco che scende dai cieli per avere livori e invidiuzze con gli umani. Con paterno affetto Calogero Taverna
La risposta
Non conosco il
libro di Tanu: “Gli uomini che non si voltano”. Quando gli scriverò gli dirò di
spedirmene una copia. Mi hai incuriosito, adesso voglio leggerlo. Per adesso
non ho nulla da "sbertucciare" visto che non conosco il contenuto del libro. Ma
nella spiegazione che il prof. Ristoro dà dell'Antigone, nella parte dove dice
che “La tragedia nasce quando c'è conflitto tra libertà e necessità”, potrei
non essere d'accordo. Questa tragedia di Sofocle nasce dalla “parola”, a citare
il prof. Cacciari direi “la parola che uccide”. “La tragedia nasce quando due
figure si affrontano con l'arma più tremenda, la parola, e scoprano
reciprocamente di essere destinalmente impotenti all'ascolto, lì scoppia il
conflitto incompassibile” (sempre il prof. Cacciari nell'introduzione alla
tragedia di Sofocle). In effetti questa tragedia è parola che si fa atto,
azione, a partire dal Coro. Mi fermo qui. Non posso commentare un libro che non
conosco anche se potrei commentare l'Antigone.
Ciao un abbraccio Alfredo
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