Lo confesso: tra me e
il dottore Salvatore Grossi – già ispettore superiore della vigilanza bancaria
della Banca d’Italia ed oggi apprezzato controllore di banche di un Nord
obbediente e consulente atto a creare intese proficue e moralizzatrici tra Vigilanza
e alcune banche vigilate – non c’è intesa alcuna.
Lui difende ed apprezza
il “sistema” così come mirabilmente spiega in uno scritto che pubblichiamo qui
sotto.
Io, non solo ho il massimo
disprezzo per il sistema, anche per ritrosia ideologica (mi è ideopaticamente
odioso) – ma ove posso cerco di stroncarlo e qualche volta per miopia dei miei
dirigenti di un tempo della Banca d’Italia, vi sono riuscito. Reo confesso,
dunque, più e con diversa peccaminosità di Geronzi.
Pubblico comunque lo
stesso - e con ingordigia – il pensiero dell’avversario (amicissimo nella vita).
Avrò modo di spiegare
dove lui sbaglia e dove io ci azzecco. Mi dimostrerà lui il contrario, accidia
meridionale permettendo, e voglie dialettiche residue oltre gli ottant’anni
alimentabili.
Dunque: lasciamo stare
la storia: non ha insegnato nulla. Caro Dini sei venuto dall’America per scoprire
la Banca Mista che i massoni del fascismo avevano debellata oltre mezzo secolo
prima. Cari Patalano, De Robbio e loro nipotini che non conosco volevate l’accortezza
operativa scopiazzando i vari algoritmi anglosassoni e celiando addirittura i
modelli macroeconomici di signorine sposate in Inghilterra. Vi proteggeva prima
Sarcinelli ( e mal gliene incorse) e dopo de Sario che da mio retroposto riuscì
a divenire persino Direttore generale della Banca d’Italia violentando il
giudizio di un certo gobbetto di piazza dei Filodrammatici di Milano alias
Cuccia. Venne Basilea, orgia di miracolati di don Antonio Fazio. Il risultato?
Lasciamo perdere.
In parole povere: Il
fascismo volle una funzione di pubblico interesse per l’intero sistema
bancario; Carli genialmente lasciò lo statuto fascista e rese tutto su in piano
di gentleman agreement (inglese,
certo: ancora tollerabile. Ricordo però il mio caro amico Conte reduce dalle
segreterie particolari bifonchiare contro Carli che troppa confidenza, anche
notturna, dava ad un certo squallido e dimesso giornalista; mi pare – diceva – si chiamasse Eugenio
Scalfari [giudizio suo non mio che il mio è opposto].
Nel palazzetto di Santo
Spirito in via Milano ci limitavano a cercare un patrimonio ancora “sano” (ci
sono arrubbamenti – chiedeva il vice direttore generale Occhiuto, che del resto
non ce ne frega niente. Guai a noi se sollevavamo una qualche questioncella di
correttezza tributaria. Le norme fiscali nn avevano diritto di esilio. Del resto
c’era il segreto bancario anche con la Gialla). Dopo Carli Baffi, quello che
pianse una sola estate, e dopo il signor Ciampi che mi risultava più angosciato
nel mese di maggio se si doveva dire “constatare” o “costatare”. A me raccomandò
un certo Lascialfare. “Ma se è reo confesso?”, mi permisi di dire. Dovetti lasciare
la Banca d’Italia anzitempo – molto anzitempo.
E Fazio? Lo vidi in una
chiesa di San Silvestro la mattina prestissimo con la dormiente giardia del
corpo : si confessò, si comunicò, pregò e si avviò per le scale a piedi verso Via Nazionale, sempre con la
guardia del corpo a piede, ovviamente.
I giudici l’hanno
condannato fra una guastedda e l’altra.
Io ho certezze: a lui l’assolvo. In effetti condannato per un Tulb inventato
dal mancato cancelliere Lamanda, oggi nostro tartassatore al Comune di Roma
otto Alemanno). Hanno privatizzato tutto anche la figura del governatore e
quindi non è più sopra le parti (come ancora scrive il mio amico Grossi) ma sotto
le parti e se si oppone ad una truffaldina opa
spagnola (invero massone) turba il mercato e lo mettono in galera. Se la prenda
con Lamanda e con la consulenza legale(invero). Mi dispiace per l’amico Sasà,
ma un patrimonio “adeguato” è puttanata. Adeguato a che? Ai numeri fasulli di
un attivo che previo sbilanciamento delle tante cifre sotto la linea deve
quadrare col passivo. Bisognerebbe leggere i numeri. In Vigilanza si sa tutto.
L’unica cosa che non si sa (perché nessuno la insegna) è la ragioneria. E le
banche, tutte le banche un solo linguaggio hanno: quello dei numeri. O li sai
leggere o se non li sai leggere dici che le cattiverie la banca d’Italia non le
sapeva (e le sapeva .. le sapeva) perché “fuori contabilità” . No, cari miei ex colleghi: non fuori contabilità, ma
artatamente fuori posto e voi non ve ne siete accorti. Meno male che i giudici
ne sanno meno di voi quanto a contabilità e inorridiscono se sentono dire che
la tal banca ha sballato la “contabilità di magazzino”. Altrimenti chissà quante
incriminazioni per omissione di rapporto!
ARTICOLI DEL DOTTOR
SALVATORE GROSSI GIA’ ISPETRTORE DELLA VIGILANZA BANCARIA DELLA BANCA D’ITALIA
ED OGGI CONSULENTE GIUSPUBBLICISTICO DEL SETTORE DEL CREDITO
L'argomento della nostra conversazione si
presterebbe ad una
trattazione ampia e tale da consentire non una esposizione quale quella che mi appresto a tenere, ma un
corso di studi specifico.
Consentitemi, perciò, di
restringere il campo di indagine a quanto di più pertinente ad un discorso fra
non addetti ai lavori che vogliano ottenere informazioni sulla disciplina che
interessa le banche nel loro complesso ed il pubblico per un mantenimento di un
settore (appunto il sistema bancario) finalizzato alla tutela dei nostri
risparmi ed ai finanziamenti delle
iniziative familiari e delle intraprese commerciali ed industriali.
Per intenderci sull'argomento
della nostra conversazione, posti i limiti appena indicati, mi sembra opportuno definire
il significato di “sistema” e
di “vigilanza”.
Poniamo mente al significato
che la nostra lingua attribuisce al termine sistema. Uno sguardo al dizionario
può soddisfare l'esigenza
postaci.
Il Devoto – Oli alla voce
sistema recita:
“connessione di elementi in
un tutto organico e funzionalmente unitario”.
Mi pare (ed è senza dubbio
una mia deformazione professionale) che i citati italianisti abbiano appunto
avuto presente il sistema bancario nel definire la parola interessata.
L'Italia ha avuto il
privilegio di annoverare da tempo fra le sue imprese commerciali l'esercizio
del credito. Nei secoli scorsi furono infatti numerose le banche che svolgevano la loro attività anche presso
stati e potentati stranieri.
Tuttavia la numerosa presenza
di tale anche qualificata compagine di intraprendenti banchieri non portò ad
una formazione che potesse essere considerata sistema.
Lo stato italiano sorto nel
1861 annoverava una moltitudine
di piccole aziende bancarie,
nate spesso per iniziativa di facoltose famiglie, sorte quali comuni attività
commerciali che non potevano dare (e non dettero) luogo ad alcun sistema coeso.
La disciplina giuridica di tali esercizi era contenuta, appunto, nell'allora
vigente codice di commercio.
Lento fu, pertanto, il
procedere verso una disciplina specifica che conducesse ad una situazione di
maggiore coesione regolamentare.
E' il caso di ricordare che,
accanto a dette minori istituzioni, espletavano la loro attività anche banche
che detenevano per concessione la facoltà di emettere moneta cartacea.
Si imponeva pertanto un
intervento che tendesse ad uniformare la disciplina di emissione, dal momento
che varia era la distribuzione di tali privilegiati istituti nelle diverse
parti della nazione appena evoluta in stato unitario.
Vi era all'epoca:
Al Nord la Banca di Genova e
la Banca di Torino che fondendosi avevano dato luogo alla Banca Nazionale del
Regno d'Italia;
Al Centro La Banca
Toscana e la Banca Toscana di credito
per le industrie ed il commercio;
Al Sud il Banco di Napoli ed
il Banco di Sicilia (entrambe enti pubblici);
Alle dette Banche si aggiunse
nel 1870 la Banca Romana.
La concessione di emettere
biglietti di banca costituiva privilegio per gli istituti autorizzati che
ebbero in tal modo opportunità di integrare i depositi, all'epoca ancora non
molto diffusi.
Detti istituti certamente
ebbero una liquidità considerevole che permise loro di finanziare l'economia,
ma provocò pure degli squilibri dovuti alla speculazione. Rammentiamo come esemplare negativo la
speculazione edilizia che segnatamente si sviluppò in Roma divenuta Capitale
del regno e quindi bisognevole di
sviluppo cittadino.
Tralasciamo le diatribe
politiche dell'epoca e le vicende giudiziarie che a queste si connettevano.
Merita invece menzione la legge bancaria del 1893
che istituì la Banca d' Italia e decisamente riformò l'emissione di carta
moneta, stabilendone un limite invalicabile e la copertura metallica di almeno
il 40%.
Gli istituti di emissione
furono soltanto tre essendosi proceduto
a fondere nella Banca d' Italia la Banca
Nazionale e le due banche toscane.
Mantennero la facoltà di
emissione le due banche meridionali.
Con la nascita della Banca d'
Italia cominciò a delinearsi in qualche modo un sistema bancario che tuttavia,
in concreto, trovò definita evidenza con la legge bancaria del 1936.
Vi furono nel lungo periodo
indicato anche altri provvedimenti legislativi volti a disciplinare le modalità
operative di talune categorie di aziende di credito e prevedere
in qualche modo un articolato controllo pubblico.
Ma sopratutto vi fu un'opera
costante della Banca d'Italia a privilegiare gli obbiettivi pubblici rispetto
all'interesse privato degli azionisti.
La Banca d'Italia, infatti,
ebbe modo di esplicare tale “vocazione
pubblica” favorendo la propria
funzione di prestatore di ultima istanza; il che portò ad interventi anche
sostanziosi per il superamento di situazioni di crisi. Da tale funzione non poteva che derivare una
effettiva centralità dell'istituto di emissione mentre cominciava a delinearsi
l' esigenza di controllo sulle aziende di
credito.
Ma, come già detto, è con la
legge bancaria del 1936 che si delineò con contorni definiti il “sistema
bancario” .
Fin dall'articolo 1 veniva dichiarato che il risparmio fra il
pubblico e l'esercizio del credito sono funzioni di interesse pubblico.
Affermazione ripresa
dall'articolo 47 della nostra Costituzione
che espressamente recita:
“ La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue
forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito”.
La legge bancaria del 1936 è
datata in un periodo particolarmente sfavorevole per l'intera economia.
Vi era stata la debacle della
borsa di New York nel 1929.
Vi era stata la crisi industriale; le maggiori
banche italiane erano oberate dalla presenza nei propri portafogli di
partecipazioni assunte.
E' da dire che la legge bancaria del 1926
aveva svolto la funzione di arginare gli squilibri avvertiti dalle aziende di
credito, ma si dimostrava impari alle situazioni che successivamente si verificarono.
E' tuttavia da rappresentare
positivamente che nel '26 fu affermata l'attribuzione della vigilanza sulle aziende di credito alla Banca d'Italia,
che rimase unico istituto di emissione.
Va soggiunto che
provvedimenti sostanziali erano stati adottati con la creazione dell'IRI,
istituto rivolto propriamente alla ricostruzione del tessuto industriale
mediante la gestione di partecipazioni statali; era sorto l' IMI che aveva il
compito di assistere finanziariamente
l'economia industriale.
Si imponeva però un sostanziale riordino
dell'esercizio del credito con l'emanazione di regole cogenti che inducessero
il mondo bancario ad una sana e prudente
gestione.
Veniamo a questo punto a definire il
significato, anche fattuale del termine “vigilanza”. Non possiamo, infatti,
ritenere la vigilanza come sinonimo di controllo; è da chiarire che la
Vigilanza contiene nel suo esplicarsi l'azione di verifica dell'adesione del comportamento alla norma,
ma assume anche la cognizione utile alla determinazione dell'adeguamento della
struttura esaminata, nel suo complesso organizzativo, regolamentare,
funzionale, alle finalità sicuramente dirette alla nominata “sana e prudente
gestione”.
Senza dubbio la legge
bancaria favoriva un atteggiamento dirigistico (e il periodo storico lo
consentiva), ma l'intento principale dell'organo di vigilanza era mantenere
stabile la condizione del sistema ed in tal modo proteggere il risparmio.
E' il caso di rammentare che la
Banca d'Italia rappresentava e rappresenta anche un centro di studi
dell'economia e che il dialogo fra gli
studiosi e gli addetti alla Vigilanza, sotto la accorta direzione del
Direttorio, ha favorito la scelta opportuna
degli indirizzi da suggerire (e
talvolta imporre) alle banche per il più
favorevole decorso della congiuntura economica.
La legge del 1936 aveva dato
forma al sistema e suddiviso perentoriamente i compiti dei componenti il
sistema stesso:
⁃
per la costituzione di nuove banche e l'apertura
di nuovi sportelli è richiesta
l'autorizzazione della Banca d'Italia;
⁃
viene differenziata la competenza fra credito
ordinario e credito speciale
⁃
inoltre:
⁃
sono confermati istituti di diritto pubblico il
Banco di Sicilia , il Banco di Napoli, la BNL,
l'Istituto bancario S. Paolo di Torino e dichiarato tale il Monte dei
Paschi di Siena.
⁃
Sono qualificate di interesse nazionale le banche di maggiore importanza aventi sedi
operative in più di trenta province.
⁃
Con tale
assetto si intendeva sottolineare il particolare interesse statuale alla
operatività delle aziende esercenti il credito.
⁃
E' da soggiungere altresì che i criteri che
hanno determinato le scelte contenute nella legge di cui ci stiamo occupando
non potevano che trasfondersi nella applicazione pratica della funzione di
vigilanza.
⁃
E, difatti, vi furono all'occorrenza
provvedimenti volti a determinare con direttive
inopponibili anche scelte che avrebbero dovuto essere imprenditoriali.
⁃
Valga solo qualche esempio particolare, ma
indicativo dell'assunto che andiamo esprimendo:
⁃
negli anni settanta, di fronte alle
oscillazioni ed alla svalutazione di
taluni titoli, si accettò che nelle situazioni contabili delle aziende di
credito non emergessero le svalutazioni degli stessi, ma bastasse evidenziare
la presenza di tali valori in appostazioni
contrapposte di debitori e creditori diversi;
⁃
furono stabiliti vincoli amministrativi nella
composizione degli investimenti in titoli, con ciò chiaramente indirizzando di
fatto i finanziamenti verso prescelti settori economici;
Dirigismo assoluto, quindi,
ma rivolto alla tutela della stabilità economica interna.
Purtroppo gli eventi talora
addirittura delittuosi non consentono di evitare squilibri e dissesti, così
come improprietà delle gestioni inducono a situazioni di precarietà o peggio in
singole aziende.
Dobbiamo però doverosamente
constatare che mai le situazioni negative delle singole aziende hanno coinvolto
gli interessi dei depositanti, grazie alla costante tenuta del sistema nel suo
complesso.
Vigilanza, dunque, nel
duplice aspetto di controllo sulla osservanza delle norme (ed a tal fine
interventi sanzionatori anche drastici), ma anche indirizzo per la migliore
gestione aziendale e per la tutela dell'utenza bancaria.
E' ordinaria, infatti, sia
nelle fase ispettiva con sopralluoghi presso le aziende vigilate, sia nel corso
dei frequenti colloqui che gli esponenti bancari intrattengono con gli uffici
della Banca d'Italia, l'analisi della struttura aziendale al fine di acquisire
informativa atta a delineare l'adeguatezza dell'apparato aziendale alle
finalità proprie.
Colloqui che sempre più si
rendono necessari stanti le direttive emanate in sede europea per la tutela
della funzione creditizia.
Vale a tal proposito far
cenno alla disciplina derivante dal Comitato di Basilea.
Il Comitato di Basilea è un
gruppo che riunisce le banche centrali dei 10 paesi più industrializzati per trattare di argomenti inerenti la
regolamentazione bancaria che nasce nel 1974. Non legifera ma emette indicazioni che sono considerate
“vincolanti” in circa 100 paesi.
Nel 1998 ha stabilito i 25
principi fondamentali della supervisione bancaria con cui si introduce il
concetto di “adeguatezza patrimoniale “, cioè di patrimonio adeguato ai rischi assunti . Si stabilisce
quindi una percentuale minima di
copertura tra patrimonio e rischio di credito.
Nel 1999 la riforma si evolve
(Basilea 2) creando un sistema più complesso per l'individuazione e la
copertura dei rischi , che dovrà gradatamente trovare applicazione attraverso grandi interventi decisionali e organizzativi fino a culminare nel 2005 – 2006 nell'entrata in funzione del
sistema di regole.
L'idea forte della nuova
risoluzione del Comitato è colpire proprio il cuore delle imprese, facendo sì
che esse debbano allineare l'adeguamento del capitale agli effettivi rischi
assunti facendo attività bancaria.
Sulla base di questa idea è
stato stabilito di definire incentivi al
fine di migliorare le capacità di misurazione e gestione del rischio, senza
dimenticare l'importanza di un sistema trasparente nei confronti del pubblico
e, quindi, anche per questa strada garantire il contenimento del rischio, dal
momento che una utenza più informata riduce i rischi di controversie; senza considerare il dovere morale di essere
trasparenti.
Da ciò la definizione di tre
pilastri:
1)
Primo pilastro:
2)
richiesta di un capitale minimo in funzione
del tipo di rischio.
3)
Secondo pilastro:
4)
supervisione.
5)
Terzo pilastro:
6)
Trasparenza informativa.
Meno sinteticamente è da
osservare che:
⁃
per gli adempimenti di cui al primo pilastro
spetta all'organo di vigilanza di ciascuno stato (per noi alla Banca d'Italia)
stabilire – in via generale e/o per singole aziende – stabilire un livello
minimo di copertura dei rischi.
⁃
Per soddisfare le direttive del secondo
pilastro la banca deve disporre di un procedimento di determinazione del
capitale, adeguato ai rischi assunti, e una strategia per il controllo includendo il monitoraggio da parte del
Consiglio di amministrazione e dell'Alta
Direzione , la misurazione adeguata e
continua nel tempo, l'informativa e la revisione dei controlli interni. Il
supervisore controllerà e valuterà la capacità di conseguimento e mantenimento dei requisiti prescritti,
adottando, se del caso provvedimenti adeguati.
⁃
Per il terzo pilastro occorre assicurare la
trasparenza nelle informazioni emesse a
favore del pubblico, disponendo di una politica della trasparenza approvata dal
Consiglio di amministrazione, nella quale venga evidenziato l'obbiettivo e la
strategia della banca riguardo alle informative da rendere pubbliche.
Ritengo evidente che le
direttive di Basilea inducono alla presenza di adeguati controlli interni alle
aziende e ne individuano principalmente nel Consiglio di amministrazione il
responsabile .
Da qui l'attenzione
dell'Organo di vigilanza appunto sulle diverse funzioni di controllo di cui le
aziende di credito devono ormai essere dotate. Del resto è funzione primaria
della vigilanza espletare la propria attività sugli organismi interni preposti alle varie
tipologie ed ai diversi livelli di
controllo svolti in seno alle organizzazioni aziendali.
Per pura informativa soggiungo che ulteriori
direttive del Comitato (Basilea 3) aggiungono ulteriori requisiti volti a
tutelare ancor più dai rischi dell'attività bancaria il patrimonio aziendale.
Sugli adempimenti conseguenti occorre
ovviamente invigilare, anche intervenendo con professionale competenza per
indicare modalità e mezzi per adempiere a quanto previsto dalle direttive.
Da quanto anche per ultimo
detto emerge chiaro che il sistema bancario da osservare è , allo stato, sebbene manchi un più
completo amalgama amministrativo e giuridico, non più quello attinente solo al
nostro paese, ma quello che investe l'Europa
che va formandosi, e anche oltre, se si tiene presente che gli indirizzi di
Basilea interessano ben 100 paesi.
Solo pochi mesi fa la
Cancelliera tedesca trionfalmente dichiarava come prossima l'unificazione della
Vigilanza europea , attribuendone la funzione alla BCE. E' però da osservare
che recenti ripensamenti rinviano, per ora, tale provvedimento.
A questo punto la
conversazione dovrebbe aver termine. Consentitemi, tuttavia, di rubare pochi
secondi al vostro tempo per dimostrare con un esempio il comportamento della
vigilanza nell'esporre le proprie considerazioni alle aziende oggetto di
osservazione.
Ho qui con me un rapporto
ispettivo riguardante una banca
giudicata favorevolmente.
Ma il positivo giudizio non
la esenta da (sia pur non aspre) critiche volte a possibili miglioramenti nella
gestione aziendale. Miglioramenti che garantiscano la solidità patrimoniale e,
quindi, il presidio degli interessi dei depositanti.
Si ha in questo caso particolare riguardo
alla funzione di controllo interno (settore sul quale sempre l'attenzione di
verifica si appunta), che, seppur ritenuto sostanzialmente adeguato, viene
sottoposto a critiche per taluni aspetti particolari.
Non mancano altresì
raccomandazioni per una sempre attenta
cura di altri settori che in maniera più diretta interessano la clientela
(trasparenza, usura) o la reputazione aziendale per cause attinenti a non
corretto comportamento di clienti (antiriciclaggio).
In breve, l'esperienza acquisita dagli addetti
alla vigilanza è costantemente posta a disposizione dei vigilati, in un
rapporto di collaborazione che è parte doverosa ed essenziale dell'espletamento
della supervisione bancaria.
Altra analisi del
settore pubblico bancario e creditizio del dottore Salvatore Grossi
La storia delle nostre istituzioni bancarie, purtroppo,
spesso ci mostra dissesti non raramente conseguenti ad eventi delittuosi che
coinvolgono anche la vita civile e
politica della nazione.
La storia della Banca d'Italia, da parte sua, è punteggiata da
interventi che, a seguito di tali eventi, hanno condotto a soluzione gli stati
di crisi provocati dagli eventi negativi, senza eccessivi turbamenti delle
aspettative della clientela e, soprattutto, senza perdite da parte dei
depositanti.
Potrebbe addirittura affermarsi che il nostro istituto di
emissione detiene nel proprio DNA la vocazione alla sistemazione dei danni
provocati da irresponsabili atteggiamenti (o peggio da deliberati propositi
) di personalità alle quali vengono
affidate anche le sorti della nazione.
La Banca d'Italia nasce , infatti, proprio per mettere ordine
nel dissennato sistema di emissione di
biglietti di banca; concessione che restò affidata alle istituzioni bancarie
già detentrici di tale privilegio nel periodo precedente l'unità statuale della
nazione, senza alcun preventivo vaglio delle capacità di autocontrollo delle
stesse istituzioni.
Valga in proposito rammentare esplicitamente la vicenda della
Banca Romana, che coinvolse finanche la corona d'Italia e mise a nudo l'incapacità
della burocrazia pubblica a contrastare gli eventi .
L'attribuzione alla Banca d'Italia della facoltà di emissione
(è restata, è vero, ancora per qualche decennio, tale concessione anche al
Banco di Napoli e al Banco di Sicilia) costituì
la designazione di fatto della stessa Banca d'Italia quale Banca
Centrale.
Si è ancora lontani dalla costituzione di una “vigilanza
bancaria”, ma non mancano esempi che dimostrano come l'Istituto abbia saputo e
voluto esplicitare la propria funzione pubblica. Fu la Banca d'Italia, infatti
a sostenere gran parte dell'onere finanziario che incombeva sullo stato per
partecipare al primo conflitto mondiale e fu la Banca d'Italia a coordinare il
sostegno della incipiente industrializzazione del paese.
Si è ancora lontani dalla
organica coesione delle istituzioni bancarie in un corpo che possa essere
qualificato “sistema bancario”, ma l'attività svolta dalla Banca d'Italia avvia
alla formazione di un tutto organico e funzionalmente unitario; mancano le
norme specifiche che ufficializzino e qualifichino, appunto, l'organismo come unitario.
Bisogna arrivare al 1926 perché sia riconosciuta alla Banca
d'Italia la capacità culturale e tecnica di cui dispone e quindi attribuire con
legge a questa istituzione l'onere ed il privilegio divigilare sull'operato
delle banche.
Ma è dalle crisi che emergono le capacità innovative atte a
fronteggiare la congiuntura negativa. Dopo la debacle della borsa di New York e
la crisi conseguente che investi il mondo capitalista, si avvertì la necessità
di attivare le misura adatte alla ripresa provvedendo al riordino dell'assetto
industriale e del sistema bancario.
Il periodo storico (anno 1936) consentiva una azione
dirigistica che fosse in grado di
provvedere a tale riordino. Di qui la necessità di addivenire alla definizione
del sistema bancario con un indirizzo eminentemente pubblicistico ( la
classificazione delle aziende di credito ne è patente dimostrazione).
L'incarico fu svolto, nonostante il regime (o forse grazie ad
esso) dalla intellettualità liberale il cui pensiero non si era mai dissolto e
che dominava fra le forze vitali della cultura in genere e di quella economica
in specie.
Cultura che nella o
accanto alla Banca d'Italia e nel mondo bancario spesso ebbe la sua sede.
Cultura che anche
successivamente trovò accoglienza e fertilità nella Italia nata dalla
resistenza.
(Appare superfluo
ricordare i nomi dei padri costituenti e delle alte gerarchie dei partiti che
avevano avuto alimento e ispirazione ideale dal pensiero liberale, pur variamente
esplicitato .)
Cultura che in Banca d'Italia fu guida e collaborazione nelle
scelte economiche e che costituì guida ed indirizzo per i tecnici esperti di
cose e procedure bancarie, grazie alla presenza di analisti sempre attenti alle
evoluzioni o involuzioni della “congiuntura”.
Gli studiosi ed i tecnici hanno avuto e continuano ad avere
il ruolo di diffusori di idee e metodi grazie alla continua frequentazione dei
centri di studi universitari e/o dei circoli economici bancari e produttivi.
Cultura che in campo internazionale viene favorevolmente
accolta per riconosciuta esperienza e
per elaborazione intellettuale e apprezzata applicazione tecnica.
Cultura che, aldilà
dei contributi che frequentemente apporta per la definizione di principi informatori
della attività bancaria (Comitato di Basile), rappresenta non infrequentemente
giusto temperamento dei possibili appesantimenti della operatività delle
istituzioni cui i principi stessi sono rivolti.
Cultura che, almeno in passato, ha consentito di assumere
provvedimenti tecnici riconosciuti come essenziali interventi che non potevano
essere criticati o sanzionati da altre istituzioni di governo o di tutela
dell'ordine pubblico.
E' pur vero che le
istituzioni devono essere ciascuna libera di espletare il proprio mandato in
maniera indipendente e senza che sia
loro inibito di estendere controlli su espressioni di attività di altre
istituzioni. Ma è altrettanto vero e giustificato che la cosa pubblica abbia campo
libero, senza intralci e contrasti di opinione, allorquando sia alle singole
autorità riservata la competenza tecnica specialistica necessaria
all'esplicitazione della attività demandatale.
Talvolta raffigurare come impropria o addirittura quale reato
una iniziativa dettata appunto da specialistica competenza (e pertanto non
assoggettabile a valutazioni esterne alla materia) diventa abuso o
intimidazione (sia pure non voluti) che portano a perplessità esiziali perché
ritardanti , se non addirittura impedenti, provvedimenti utili al buon funzionamento
dell'apparato da tutelare e/o vigilare.
I conflitti fra apparati statuali sono talora inevitabili
allorquando trattasi di valutazioni sulla competenza della attribuzione della
materia; devono però trovare remora
allorquando lo stesso evento voglia essere riguardato da punti di osservazione
impropri.
E' quanto purtroppo accaduto nel recente passato nel giudizio
su un evento di sicura competenza della vigilanza bancaria, sottoposto a vaglio
anche tecnico da istituzione giudiziaria e
perciò in tale prospettiva
giudicato.
Né vale a sanare l'errore commesso il giudizio diverso
successivamente espresso in sede di appello. La tardiva (presunta) riparazione,
pur se restituisce onorabilità e stima al ricorrente, non ha potuto sortire
alcun effetto dal momento che il tempo trascorso non consente nel caso di
specie alcun intervento sostanziale.
Non sembra inopportuno qui sottolineare che una maggiore
prudenza avrebbe potuto evitare la rinuncia al mantenimento di un assetto utile
all'interesse nazionale.
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