SI APPANNANO I CASUCCIO
Una commovente lettera dei Casuccio
del Settecento.
Emblematica del travaglio dei tempi, è questa
lettera scritta da un Casuccio all’arciprete Campanella: lo stile sarà
impacciato ma il mittente mostra una consuetudine con la parola scritta che per
l’epoca è apprezzabile; la mortalità infantile è drammatica, le ristrettezze
economiche diffuse.
Ill.mo Signore e Reverendissimo
Colendissimo.
L’afflizioni che hà recato a mè e a
tutta questa mia picciola famiglia rimasta, per la morte di quel benedetto,
sfortunato figlio d: Bartolomeo, non possono esagerarsi con la lingua, né
esprimersi con la penna; tutta lascio considerare a V. S. Ill.ma, pensando, che
dietro le morti di quelli anco altri premorti figli, il Signore mi hà tolto
questo, restandomi solamente una figlia, e don Ignazio, i quali sbigottiti di
quest’ultimo caso, campano in cura di medicamenti, ma tutti impauriti. Mentre
ringrazio il suo affetto di quest’Ufficio sacro passato, prigandola di
raccomandarmi al Signore e di onorarmi con li suoi comandi, mi soscrivo di V.S.
Ill.ma Ill.mo Signor d: Stefano Campanella – Racalmuto. - Dato li 15 dicembre 1770
Ma tanto
non è solo il grido di dolore di notabile in decadenza, quanto il segno di un
declino di una famiglia che un tempo era stata localmente egemone: trattasi di
un declino che durerà un secolo; alla fine dell’Ottocento ritornerà in auge,
prima con un intraprendente burgisi che lascia la vanga per il piccone e scava
con successo nelle viscere della contrada Ciaula alla ricerca del nuovo oro, lo
zolfo, e poi con un arciprete che dominerà Racalmuto per tutto il periodo
fascista e, soprattutto, nella prima era democristiana.
I Casuccio, invero, affondano le loro scaturigini familiari nei primordi della storia locale: nei registri parrocchiali della Matrice - una grande miniera di dati, sinora sostanzialmente negletta – si riscontrano già agli albori di quella documentazione [risalenti al 1564 e cioè al tempo della prima attuazione della Controriforma Tridentina] ben undici ceppi familiari con il cognome “Casuccio”, in grafia più o meno corretta. Sono tutti appartenenti alla buona borghesia del luogo e portano spesso un doppio cognome che si rifà nientemeno ai DORIA.
Quella
famiglia può oggi vantare veri e propri nobili lombi, e sono i soli a
Racalmuto. Ciò nei limiti, s’intende, in cui i Doria - quelli di Dante e quelli
della storia di Genova, quelli del Cardinale Giannettino Doria di Palermo del
tempo di M.A. Alaimo e Beatrice del Carretto e gli altri della celeberrima
prosapia - possono essere considerati
nobili.
N°
|
Cognome
|
Nome
|
Coniuge
|
1
|
Casuccia
|
Francesco
|
Maruzza
|
2
|
Casuccia
|
Gioseppe
|
Bastiana
|
3
|
Casuccia
|
Jacobo
|
Ioannella
|
4
|
Casuchia
|
Joanni
|
Rosa
|
5
|
Casuccia
|
Michele
|
Beatrice
|
6
|
Casuccia
|
Nardo
|
Minichella
|
7
|
Casuccio
|
Petro
|
Cartherina
|
8
|
Casuccia
|
Salvaturi
|
Juannella
|
9
|
Casuccia
|
Silvestro
|
Angela
|
10
|
Casuchia
|
Simuni
|
Contissa
|
11
|
Casucci
|
Vincenzo
|
Betta
|
Comprovano
il doppio cognome questi atti parrocchiali:
10
|
9
|
1585
|
Geronimo
|
1
|
Antoni
|
Gulpi
|
Agata
|
Casuchia Doria Joanni
|
24
|
9
|
1586
|
Leonardo
|
Vincenzo
|
Parla
|
Solemia
|
Cimbardo
cl. Angilo
|
Casucia Doria Vinc. m. di Fran.
|
8
|
7
|
1585
|
Jannuccio
|
Nicolao
|
Antonuccio quodam
|
Angila
|
Fuca'
|
Agata
|
Gasparo quondam
|
Betta
|
Casucia Doria Giovanni
|
4
|
1591
|
Maruzza
|
2
|
Antonino
|
Muriali
|
Francesca
|
Doria Jo:
|
4
|
1591
|
Santo
|
1
|
Antonino
|
Vento
|
Paola
|
Doria Jo:
|
10
|
6
|
1591
|
Jacopo
|
1
|
Francesco
|
Rizzo
|
Vittoria
|
Casuccia Doria Jo:
|
1.8.1616
|
CASUCCIO DORIA
|
FILIPPA
|
Emergevano, alla fine del Seicento, don Giuseppe Casucci e don Pietro Casucci, contro i quali si affilavano le armi giuridiche del conte Girolamo del Carretto, che li accusava di usurpazione di privilegi terrieri ed indebite esenzioni fiscali.
Secondo il
conte, don Giuseppe Casucci possedeva sine titulo un fondo in contrada Bovo e
cioè:
clusae cum terris scapulis exstentes in dicto pheudo
Racalmuti et in contrata nominata di Bovo, confinaneis cum clusa Joseph
Torretta, cum vineis Stephani Bruno et cum clusa Augustini de Beneditti, nulliter possessae per dictum
reverendum sacerdotem d. Joseph Casucci.
Del pari,
ciò valeva per l’altro sacerdote don Pietro Casucci:
clusae cum terris scapulis cum vineis,
arboribus et alijs exstentes in dicto pheudo Racalmuti et in contrata nominata
di Bovo seu Montagna confinantes ex una parte cum vineis et terris ditti de Signorino, cum clusa
notarij Francisci de Puma et cum clusa don Antonini Bartholotta, nec non
cuiusdam vineae cum terris scapulis exstentes in dicto pheudo Racalmuti et in contrata nominata della Fontana
della Fico confinaneis cum vineis quondam
Antonini Vassallo, cum vineis Isidori Lauricella Erarij et cum vineis Pauli
Bucculeri alias Gialì, indebité
possessarum per dictum Sacerdotem don Petrum Casucci.
Sappiamo che don Pietro Casucci finì i suoi giorni terreni il 7 dicembre 1713 all’età di 55 anni. Era un “collegiale” e cioè un mansionario di quella Comunia che aveva istituito l’arciprete Lo Brutto. Don Giuseppe Casucci visse più a lungo (decede il 15 gennaio 1728) ed era anche lui “collegiale”.
Ma al di là del patrimonio a suo tempo costituito
non ci pare che i due sacerdoti abbiano avuto poi grosse disponibilità
finanziarie per allargare le loro possidenze. Ci risulta solo quest’atto in
favore di Pietro Casucci, che comunque ha tutta l’aria di una sistemazione di
pendenze familiari:
A 5: Aprile Prima Ind. 1708:
Venditione fatta da Brigida Casucci relicta del quondam d. Ignatio al
R.do sac: d. Pietro Casucci migliara sei di vigna con il suo palmento, albori,
limiti ed'altri nel fego delli Giardinelli confinante con la vigna di Michael
Angelo Callega ed altri confini. Sogetta nel suo solito censo. La posessione la
medesima giornata per il prezzo di onze cento di contanti come meglio per detta
venditione il di di sopra.
Un altro
paio di sacerdoti, don Gaspare Casucci e don Vincenzo Casucci, ne mantengono
ancora il prestigio ecclesiastico e quindi sociale sino alla prima metà del
Settecento. Don Gaspare, collegiale beneficiale di S. Antonio, muore il 26
gennaio 1756; don Vincenzo, beneficiale semplice, muore il 26 settembre 1757
all’età di 62 anni. Poi abbiamo P. Carlo Casucci che è un frate e non può certo
operare in disprezzo del voto di povertà. Anche questi comunque muore in quel
torno di tempo, attorno al 1763.
Nel LIBER i
Casuccio tornano un secolo e mezzo dopo con la morte del chierico D. Paolino
Casuccio di Calogero mato in Racalmuto il 10 maggio 1892 e morto in guerra il
12 Agosto 1016 (n° 457.)
La
rarefazione di sacerdoti in famiglia attesta proprio questo declino economico
di cui la lettera che abbiamo riportata è eco e testimonianza.
L’ascesa
di una nuova grande famiglia: i Tulumello.
La grande famiglia Tulumello è un antico nucleo familiare, ma sino alla prima metà del Settecento non vanno al di là delle solite annotazioni anagrafiche nei libri parrocchiali della Matrice. Il ceppo che avrà nell’Ottocento ruoli di risalto nella vita pubblica e, addirittura finirà nei testi araldici, parte da questo Giuseppe Tulumello – pare un gabelloto – che nel 1741 sposa una canicattinese:
Giuseppe Trumello Sch: figlio
Legittimo e naturale d'Ignazio e Anna Tulumello Jugali di questa terra di
Racalmuto con Paula Cuva sch. f. leg. e naturale di Pietro e Gratia Jugali
della terra di Canicattì. Pubblic: 1741 5^
ind. ottobre 22.28.29.
Un sacerdote, don Nicolò Tulumello, frattanto si stava
affermando a Racalmuto, ma cessò di vivere ad appena 30 nel 1748 (il 21 luglio)
quando era già collegiale. Risulta dai fondi di Palagonia che nel 1763 diversi
Tulumello spiccavano per consistenze patrimoniali e denunciavano quantità di
grano ben al di là delle misure
consuete, oltre a possidenze ed a proprietà di ovili:
1. Tulumello Calogero rivela
s. 110 f.f.te e timilia, delli quali ff. li bisognano cioè per mangia della
mandra s. 35 ff., p. simenza s. 20, per soccorso di seminerio d'orzo e ligumi e
colture di vigne s. 12 e s. 43 p. commodo e mangia della propria famiglia;
2. Tulumello Giuseppe, rivela
s.70 ..f.fte quali li bisognano s. 35 per mangia della mandra, s. 16 per
simenza, s. 10 per soccorso di detto simenerio, ligumi ed orzo, e s. 9 per
mangia di casa e garzoni;
3. Tulumello Giovanne, rivela
s.70 ..f.fte quali li bisognano s. 35 per mangia della mandra, s. 16 per
simenza, s. 10 per soccorso di detto simenerio, ligumi ed orzo, e s. 9 per
mangia di casa e garzoni.
Nei
riveli troviamo, dunque, quel Giuseppe che sarà il capostipite di quello che
sarà il ceppo nobiliare per le vicende
di fine Settecento. Nel censimento del 1753 Giuseppe Tulumello ha 33 anni; la
moglie 28 ; i figli: Rosa di 11 anni, Vincenzo di 6 anni e Nicolò di quattro
(che sarà sacerdote ed acuisterà per persona da nominare il titolo baronale di
Gibillini). Vicino abita il fratello
Giovanne Tulumello di Ignazio di 27 anni, sposato con Santa. Assieme c’è la
mamma, Anna Cuva di anni 60 e già vedova di Ignazio Tulumello.
Annotiamolo:
fino al 1753 i Tulumello non vengono contraddistinti con titoli di risalto come
don; d’altronde non fanno parte delle
locali maestranze: sono però grossi gabelloti.
Nel
1785 i Tulumello hanno però fatto il salto nella gerarchia sociale racalmutese:
don Giuseppe Tulumello ora siede accanto ai giurati; nel 1791 sarà la volta di
don Vincenzo Tulumello, il quale può persino permettersi di divenire
l’arrendatore del patrimonio urbano per onze 1.126 e tarì 15.18. Tra i giurati
del 1794 vi troviamo don Ignazio Tulumello.
Fu
in quell’epoca che si fece valere il sacerdote don Nicolò Tulumello. Ecco
quello che di lui dice il LIBER (n° 334): «collegiale, vicario foraneo e
direttore del Collegio di Maria e fondatore del medesimo, pochi mesi prima di
morire si ritirò nell’Oratorio dei Filippini in Girgenti dove morì il 5 Marzo
1814 di anni 65 e per ordine di Monsignor Granata Vescovo di Girgenti si
trasportò il cadavere di lui nella Chiesa di questo Collegio di Maria.»
La famiglia Matrona
In
un rivelo del 1752 che fa don Giuseppe d’Agrò, quale beneficiale della chiesa
di S. Nicolò di Bari, troviamo per la prima volta un personaggio: don Pietro
Matrona. Ci appare, già, tra i maggiorenti di Racalmuto.
Dobbiamo
attendere il 2 settembre 1802 per avere notizie su un sacerdote locale
appartenente a tale grande famiglia: si tratta di don Calogero Matrona che nel
LIBER (n° 313) viene così contrassegnato: «morì in Montaperto il 2 Settembre
1802 d’anni 49».
In
effetti, nella numerazione delle anime del 1762 troviamo il nucleo familiare di
don Pietro Matrona (segnato all’età di 32 anni, e quindi nato nel 1730, a
nostro avviso non a Racalmuto) che oltre alla moglie donna Rosalia di anni 32 è
composto, appunto, da Calogero di anni 6 (nato quindi attorno al 1756) e da
Francesco di anni 3, e Marco di anni .
Quando
nel 1784 si fanno le pubblicazioni per l’accesso agli ordini maggiori di don
Calogero Matrona, questi ci tiene a farsi indicare con un doppio cognome:
Matrona-Moncada; non sappiamo con quale fondamento, arguiamo comunque che i
Matrona discendono, per via collaterale, dai Moncada.
In un libro
degli “sponsali” della Matrice abbiamo questa notizia su un Matrona che non
crediamo abbia messo radici a Racalmuto. Là viene annotato quanto segue:
19/7/1741
- MATRONA E SPINACCIOLO D. PIETRO DELLA
CITTA' DI SUTERA PARR. DI S. AGATA DEL Q. D. MARCO E LA VIV. DOROTEA [si dovrà sposare con] SFERRAZZA
D. CALOGERA DEL QUONDAM D. DOMENICO E LA VIVENTE SANTA.
Una
cosa comunque è certa: la madre di don Calogero Matrona non era una Moncada.
Sappiamo con precisione che questa, donna Rosalia, era di elevata famiglia,
essendo una La Lumia di Naro, ma nulla ha ache vedere con i Moncada. Possiamo
solo congetturare che una Moncada fosse la nonna del sacerdote.
Don Pietro Matrona, il padre del Sac.
Calogero, giunge a Racalmuto già vedovo.
La prima moglie era una tale Calogera non meglio precisata negli atti della
Matrice, ove si riscontrano gli estremi del secondo matrimonio del Matrona.
Questo è almeno quanto emerge dalle pubblicazioni che qui trascriviamo:
../10/1750 – PIETRO MATRONA E
MONCADA, VED: REL. DELLA Q. D. CALOGERA
OLIM GIUGALI DI Q. TERRA [intende contrarre
matrimonio con] LA LUMIA D. ROSARIA DI D:
MICHELE E D: ELISABETTA GIUGALI DELLA CITTA'
DI NARO PARR. DI S. ERASMO 1750 XIIIJ IND. DIE 11/8BRIS/18.25. [1750]
L’ultimo
dei figli di don Pietro, Marco Matrona,
sposa nel 1787 con donna Francesca Baeri, la cui famiglia è omai a
Racalmuto oltremodo affermata. La rimarchevole importanza di padre e madre
della nubenda si coglie appieno in questa trascrizione degli atti dello
sposalizio.
11/3/1787
- MATRONA D. MARCO DI D. PIETRO E LUMIA [intende
contrarre matrimonio con] D. ROSALIA
BAERI D.NA VINCENZA FRANCESCA DI D. GIUSEPPE E LA FU BELMUNTI D.
MELCHIORA OLIM DI QUESTA.
Don
Francesco Matrona sposa l’anno dopo ma con una vedova, tale Giovanna
Petruzzella, vedova di don Giuseppe Salvaggio, come dal seguente atto:
21/3/1798
- MATRONA D. FRANCESCO FU D. PIETRO E LUMIA [intende contrarre matrimonio con] D. ROSARIA PITROZZELLA D. GIOVANNA VED. DEL
FU D. GIUSEPPE SALVAGGIO.
Nell’anno che intercorre tra i due matrimoni
cessa di vivere don Pietro Matrona, il capostipite della famiglia tanto
celebrata da Sciascia. Tutti e tre i figli maschi ne ereditano il prestigio ed
il notabilato a Racalmuto. Uno come sacerdote beneficiale (come abbiamo visto)
e gli altri due in vetta alle maggiori cariche amministrative del paese. Ma
sarà nel secolo successivo che i Matrona domineranno incontrastati, almeno fino
a quando, nella parte terminale dell’Ottocento la ruota girerà e la decadenza
sarà inarrestabile. In tempo. Comunque, per meritarsi queste impareggiabili
chiose del grande scrittore racalmutese: «Pare che.. la sua [della contrada
Noce] fortuna come luogo di villeggiatura [le sia venuta] dal fatto che una
grande famiglia vi abbia costruito, alla fine del settecento, quando venne di
moda la fuga dalla citàà nell’estate, una casa grande come un castello … Ma nei
primi anni del nostro secoloquella grande famiglia si estingueva, così come si
estinguono in Sicilia le grandi famiglie.»[1] E
per giunta: «Dall’unità d’Italia in poi, direttamente o per interposte persone,
l’amministrazione comunale era stata nelle mani di una famiglia che appunto per
amministrare il comune disamministrava il proprio patrimonio o, più
esattamente, andava travasandolo nel patrimonio pubblico: la famiglia Matrona.
Non nobile – e del resto nel paese una sola famiglia aveva titolo nobiliare,
quella dei baroni Tulumello che fu rivale ai Matrona: incerta però resta la
legittimità del titolo – ma di grane e vera nobiltà nel comportamento, negli
intendimenti, nelle opere. A loro, ai Matrona, si devono scuole, uffici
comunali, strade selciate, fognature, macello, fontanelle rionali, teatro. … E
non solo i Matrona si occuparono di sanare e abbellire urbanisticamente il
paese, di dargli uno splendido teatro e di farlo attivamente funzionare, ma
anche della sicurezza sociale. … Naturalmente i Matrona avevano dei nemici: ma
si scoprirono più tardi, aggregandosi alla famiglia Tulumello. … E si capisce che nel giro di mezzo secolo i
Matrona furono poveri, sicché fu facile ai loro avversari batterli: col
conseguente effetto di un ritorno del malandrinaggio, della mafia, delle
usurpazioni e prevaricazioni. » [2]
Dinamica sociale in seno agli
ottimati sel settecento racalmutese.
Il
Cinquecento a Racalmuto si era chiuso con amministratori che o erano familiari
del conte (vedi il Russo) o suoi strettissimi affiliati. Taluni di tali
notabili resistettero nel Seicento, altri sparirono. L’esordio del secolo dei
lumi vedeva in declino i Del Carretto (sino alla loro totale estinzione) e di
conseguenza il diradamento delle famiglie della locale orbita comitale. Con
l’avvento dei Gaetani, l’amministrazione comunale, le pubbliche funzioni, gli
incarichi esattoriali, quelli dell’amministrazione della giustizia e della
tutela dell’ordine pubblico, e simili passano a funionari di fiducia del nuova
padrone di stanza a Naro. Sono soprattutto notai forestieri che scendono in
Racalmuto, sposano qualche figlia del locale notabilato e vi mettono le radici.
Notai come i Vaccaro, i Picataggi, i Vinci prendono il posto di ceppi
d’eccellenza che si disperdono o decadono come i Piemontesi, gli Afflitto, gli
Alaimo, i Monteleone, gli Ugo, gli Amella, i Tudisco, i Salvaggio, i
Promontori, i Chiccarano, i Fanara, i Catalano, i Justiniano.
A
metà secolo, i maggiorenti sono ora tutti raccolti in una famiglia baronale – i
Grillo – scomparsa nell’ottocento, quando il relativo patrimonio trasmigra ad una famiglia collaterale, i Bordonaro di Canicattì. A fianco, abbiamo i
Gambuto, i Pomo, i Vinci, i Bellavia, i Matina ed i Picataggi. Lo scenario di
fine secolo sarà ancora diversificato. Gente forestiera come gli Impellizzeri,
i Perrone, gli Scimonelli, i Mannarà, fanno una fugace apparizione e poi
ritornano nei loro luoghi dìorigine senza lasciare traccia a Racalmuto. I nuovi
quadri dirigenti restano però contrassegnati dagli ottimati locali quali i
Picataggi, gli Amella, i Grillo e Pistone, i Matrona, i Fucà, i Cavallaro, i Lo
Brutto, gli Scibetta, i Gambuto, i Tulumello, i Tirone, i Grillo e Brutto, i
Pomo, i Grillo-Alessi, gli Sferrazza, i Vinci, i Baeri, i Mattina, i Bellavia,
i Farrauto, i Savatteri, i Grillo-Ingrao, i Grillo ed Alessi.
Ma
sono le fortune che cambiano. Ad inizio del secolo, le famiglie di maggior
reddito non erano molte e gravitavano attorno ai cospicui patrimoni di taluni
sacerdoti come il Signorino, don Santo La Matina, i Casuccio, i Baera (per non
ripetere quanto detto sulle acquisizioni terriere e immobiliari dei Cavallaro).
A metà del
secolo, la locale crestomazia è molto più estesa ed investe patrimoni
notevolissimi come quelli dei Grillo, dei Pumo, dei Savatteri, degli Sferrazza,
degli Scibetta, degli Spinola e dei Vinci. Da un documento contabile del 1763 i
proprietari terrieri con una disponibilità di frumento oltre le 20 salme non
superano i 29 nominativi, come dal seguente quadro:
Denominazione
|
Salme
|
Alfano m.°
Giuseppe del quondam Bartulo
|
65
|
Alfano sac. d.
Filippo
|
30
|
Avarello sac.
d. Alberto
|
75
|
Burruano
Giuseppe del quondam Marcello
|
28
|
Busuito Grispino
|
26
|
Campanella sac.
d. Stefano arciprete
|
100
|
Conti sac. d.
Gerolamo
|
26
|
Di Franco m.°
Agostino
|
40
|
Farrauto sac. d.
Santo
|
220
|
Gambuto don
Francesco Antonio
|
50
|
Grillo don
Antonio
|
802
|
Grillo don
Antonio come Governadore di Racalmuto dice avere nelli magazini della
Segrezia di detta terra a nome di detta
|
703
|
Grillo don
Antonio Maria
|
91
|
Grillo don
Gaetano
|
306
|
Grillo e Poma
Dr. Don Barone Niccolò
|
132
|
Grillo sac. d.
Salvadore Maria
|
160
|
La Licata Paulo
|
25
|
Mantione sac. d.
Antonino
|
27
|
Nalbone sac. d.
Benedetto
|
360
|
Picone Chiodo
Nicolò
|
42
|
Pomo fra'
Giuseppe Priore del venerabile convento del Carmine
|
26
|
Rizzo don
Vincenzo
|
24
|
Savatteri sac.
d. Michel'Angelo
|
21
|
Scibetta e
Franco sac. d. Giuseppe
|
30
|
Scibetta ed
Alfano sac.d . Giuseppe
|
70
|
Scibetta m.°
Stefano
|
160
|
Tulumello
Giovanne
|
70
|
Tulumello
Giuseppe
|
70
|
Vinci don
Calogero
|
26
|
Certo
la distribuzione è tutt’altro che omogenea: i Grillo appaiono su un livello del
tutto eccezionale e si discostano enormemente dalle possidenze degli altri.
Sono tre soli quelli che, a distanza, emergono: don Benedetto Nalbone, don
Santo Farrauto, mastro Stefano Scibetta ed infine l’arciprete Campanella.
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