I DEL CARRETTO, SIGNORI DI RACALMUTO
Poco
più che bisecolare risulta la vera signoria feudale che i Del Carretto
ebbero a dispiegare su Racalmuto: dalla
prima investitura baronale di Matteo del Carretto da parte di Martino
d’Aragona, il giovane - che il
Villabianca colloca nel 1392, il giorno 4 di giugno ([1])
- sino alla malinconica scomparsa della grande famiglia dei conti di Racalmuto,
collocabile sotto la data del 10 Luglio
1716, ([2])
corrono infatti 224 anni.
Bisogna,
invero, aggiungere un preludio quasi secolare di presenza dei Del Carretto a
Racalmuto (dal 1307, data del matrimonio tra Costanza
Chiaramonte ed il sedicente Marchese di Savona e di Finale, Antonio del
Carretto([3]),
sino all’investitura baronale di Matteo del Carretto), ma trattasi di ambigua
signoria, malcerta e di sicuro intermittente, emergendo una egemonia
sovraordinata della potente famiglia agrigentina dei Chiaramonte.
Il
primo e vero storico della famiglia dei Del Carretto, baroni prima e conti dopo
di Racalmuto, riteniamo l’arcigno Marchese di Villabianca con la sua diligente
opera del 1759([4]):
prima di lui il Fazello, il Pirri, l’Inveges, il Mugnos, il Di Giovanni, il
c.d. Muscia, il Barberi e - a seguire lo
stesso Marchese di Villabianca - il
Ciacconio ([5]),
il Crescenzi ([6]),
il Barone ([7]),
il Savasta ([8] ed il
Sansovini ([9]),
tutti costoro avevano mostrato interesse
per le vicende dei Del Carretto di Racalmuto, ma erano stati accenni qualche
volta infelici, non sempre attendibili, in ogni caso incompleti. Quel signore
settecentesco, reazionario e fieramente aristocratico e feudale ([10]),
ci fornisce un quadro lucido, documentato ed appassianante - anche se lo stile
è ovviamente vetusto - di quella che è stata la vicenda feudale della baronia e
contea del nostro paese. Dopo il Villabianca, tanti si sono cimentati nella
ricostruzione storica della pagina araldica dei Del Carretto, ma ci appaiono
tutti tributari del nostro Marchese e, sostanzialmente nulla aggiungono a
quanto saputo, ove si eccettui una qualche nota critica. Così è sicuramente per
la ponderosa opera del San Martino-Spucches.
Ebbe
di certo tra le mani l’opera del Villabianca il racalmutese Tinebra- Martorana
e vi razziò ingordamente: era, però, appena ventenne e non aveva né voglia né
tendenza ad analisi critiche: qualche documento locale, come quello del
sarcofago di Girolamo del Carretto o come quelli fornitigli maliziosamente dai
Tulumello sul terraggio e terraggiolo da corrispondere a quei
conti di Racalmuto, gli fu sufficiente per imbastire una storia imprecisa e
spesso erronea sulla signoria dei Del Carretto, la quale storia ebbe, a
distanza di quasi un secolo, il non corrodibile avallo del grande Leonardo
Sciascia. Non sarà facile per chiunque scalfire l’imperante ricostruzione
Tinebra Martorana-Sciascia e così tanti continueranno a credere che nel
seicento abbiamo avuto tre, anziché due, Girolamo del Carretto o che il terraggio e terraggiolo fossero esose
invenzioni dei Del Carretto ([11]).
Chi,
da ultimo, si è industriato per recuperare alla memoria eventi certi del casato
dei Del Carretto è stato il prof. Giuseppe Nalbone ([12]).
Dall’8 aprile 1993 sino al giugno del
1994 ha scandagliato gli archivi di Stato di Palermo e la sua fatica è stata
premiata con il rinvenimento di molteplici diplomi, privilegi e documenti che
irradiano una vivida luce sulla storia
dei Del Carretto e finalmente ce la restituiscono nel suo intenso ed obiettivo
defluire. Poco o punto è il risultato rettificativo dell’opera del marchese di
Villanova, ma tanta è la portata esplicativa di istituti, interventi, ruoli,
imposizioni, condizionamenti ed altro di una vicenda feudale trisecolare che
investe l’essere ed il forgiarsi della vita civile e sociale dei nostri
antenati racalmutesi. Riaffiorano nomi e cognomi di segreti, castellani, giurati, maestri notari, fiscali, capitani
etc. Tanti di loro non hanno più eredi a Racalmuto, ma taluni sono invece ricollegabili a figure tipiche del
grande teatro che tuttora persiste tra la gente del nostro altopiano.
Generosamente
il prof. Giuseppe Nalbone ci ha messo a disposizione la gran massa di microfilm
della documentazione reperita. Per chi,
come chi scrive, non ha competenza professionale nella paleografia e nel latino
medievale non è agevole districarvisi: il succo però non sfugge.
Tre
gruppi di documenti scandiscono tre momenti salienti della storia di racalmuto
sotto i Del Carretto.
Una
serie di diplomi e privilegi è stata rinvenuta nella «REALE CANCELLERIA»
dell’Archivio di Stato di Palermo: buste nn. 17 (anni
1390-1400); 26 dell’anno 1396 e 38 del biennio
1399-1401. Retrospettivamente, è una conferma di alcuni passaggi del
marchese di Villanova sulle ardite mene matrimoniali dei Del Carretto con le
ricche ereditiere dell’agrigentino, specie se appartenenti all’invadente
famiglia chiaramontana. Siamo nel pieno
del trambusto trecentesco siciliano. Nei dettagli è una coeva articolazione del
processo amministrativo di assegnazione della baronia di Racalmuto
all’intrigante Matteo del Carretto.
Il
prof. Giuseppe Nalbone ha, quindi, setacciato i processi d’investitura e si è
procurata la microfilmatura di quelli che riguardano i Del Carretto, mettendo
insieme la serie completa delle investiture a quella famiglia dal 1452 al 1600.
Questa la sfilza delle pressoché ignote fonti documentali:
ARCHIVIO
DI STATO DI PALERMO
FOTOCOPIE
CHIESTE DAL PROF. GIUSEPPE NALBONE
PALERMO
20\11\1993
SALA DI
STUDIO CATENA . RIPR. N. 3253 - N. 259
COPIA
DEGLI ATTI RIGUARDANTI
1)
PROTONOTARO REGNO INVESTITURE - BUSTA
1482 PROC. 21 - ANNO 1452 - FACCIATE 7
2)
PROTONOTARO REGNO INVESTITURE - BUSTA
1487 PROC. 1175 - ANNO 1518-21 - FACCIATE 11
3)
PROTONOTARO REGNO INVESTITURE - BUSTA
1514 PROC. 2162 - ANNO 1558 - FACCIATE 5
4)
PROTONOTARO REGNO INVESTITURE - BUSTA
1517 PROC. 2354 - ANNO 1562 - FACCIATE 11
5)
PROTONOTARO REGNO INVESTITURE - BUSTA
1538 PROC. 2872 - ANNO 1584 - FACCIATE 30
6)
PROTONOTARO REGNO INVESTITURE - BUSTA
1555 PROC. 3542 - ANNO 1600 - FACCIATE 9
|
La
decifrazione dei 73 documenti consente
l’abbozzo di un periodo storico racalmutese bisecolare: dal 1400 sino al 1600. Dal processo n. 21 del 1452 stralciamo qui, per
fornire subito una qualche idea sul contenuto dei documenti, alcuni passi
sull’insediamento dei primi tre baroni
di Racalmuto: Matteo, Giovanni e Federico.
Item quod dictus quondam magnificus dominus Mattheus de Garrecto et quondam magnifica
domina Alionora fuerunt et erant ligitimi maritus et uxor ex quibus jugalibus
natus et procreatus fuit magnificus quondam dominus Joannis de Garrecto qui
subcessit in dicto casali et castro Rayalmuti tamquam filius legitimus et
naturalis percipiendo fructus redditus et proventus usque ad eius mortem et
de hoc fuit vox notoria et fama publica.([13])
|
Item quod ex dicto magnifico domino Johanne et
magnifica domina Elsa jugalibus natus et procreatus fuit dominus magnificus
dominus Federicus de Garrecto ad presens baro dictae baronie Rayalmuti et qui
tamquam filius legitimus et naturalis subcessit in baroniae predictae
percipiendo fructus redditus et proventus et de hoc fuit et est vox notoria
et fama publica. ([14])
|
Correva,
come suol dirsi, l’anno del Signore 1453 quando veniva accordata a Federico del
Carretto l’investitura della baronia di Racalmuto. Le testimonianze istruttorie erano state
raccolte a Palermo il 4 di agosto dello stesso anno.
Il
terzo gruppo di documenti accende i
riflettori sulle tragiche uccisioni consecutive di tre Del Carretto: Giovanni
III nel 1606 a Palermo, Girolamo II nel 1612 a Racalmuto e Giovanni IV
giustiziato a Palermo nel 1650 ([15])
Sulla
base della citata bibliografia, ma principalmente alla luce delle fonti
documentali scoperte dal prof. Giuseppe Nalbone, è raffigurabile il seguente
quadro sinottico dei Del Carretto, signori di Racalmuto.
[1]) F.M. EMANUELI e GAETANI -
Della Sicilia Nobile - parte IV - Forni Editore [Copia anastatica dell'edizione
Palermo 1759] - RAGALMUTO - [pag. 199 e ss. Parte II Libro IV]: «....... MATTEO ottenuto avea prima l'invest. dello Stato di RAGALMUTO per
privilegio di Rè MARTINO data in Palermo a dì 4. Giugno 4. Ind. 1392 (b) [R.
CANCELL. lib. an. 1391. fog. 71], e per regie lettere di esso a 5. Frebbraro di
detto anno, nelle queli viene egli chiamato da esso Sovrano col titolo di B. di
RAGALMUTO, e con il trattamento, che più importa, di Marchese di Savona (c)
[PROT. an. 1392. Sign. lit. E. f. 95].»
[2]) ibidem: «...... estinti essi in
PALERMO colla morte dell'ultimo Principe
GIUSEPPE del CARRETTO e LANZA, passando detta contea nelle mani della di
lui vedova BRIGIDA SCHITTINI e GALLETTI,
che jure crediti, delle sue doti
aggiudicossela investendosene a 10. Luglio 1716....»
[3]) ibidem, pp.200-201: «..... Da questa Dama nacque Costanza unica di lor figliola, che nel
1307, nobilmente si sposò ad Antonio del
Carretto Marchese di Savona, e del Finale [p.201] provieniente dalla Real
Famiglia del Carretto derivata da Aleramo figliolo di Vitichindo Secondo Duca di Sassonia, e
madre feconda di Pontefici di Porporati, [....] celebrandosi tal maritaggio
nella Città di Girgenti per gli atti di Notar Bonsignor Tomasio Terrana di
Girgenti a dì 11 settembre 1307, ratificato
in Finale l'istesso anno, come riferisce Barone ragionando di quella Casa
Carretto nel suo libro De Maiest. Panorm.
lib. 3. c. 11. lit. C., l'istesso anche confermando il testamento testè
cennato di esso Barone Federigo fatto
nel 1311. a 27. di Dicembre 10 Ind., e poscia pubblicato a 22. di
Gennajo del 1313. negli atti di Notar Pietro di Patti con tali parole: Item instituo, facio, et ordino
haeredem meam universalem in omnibus bonis meis Contantiam fialiam meam,
consortem nobilis Domini Antonini Marchionis Saonae, et Domini Finari. Cui
Dominae Contantiae haeredi meae, eius filios, et filias in ipsa haereditae
substituo; ita tamen, quod si forte, [quod absit] dicta Domina Constantia
absque liberis statim annos impleverit; quod ipsa haereditas ad Dominum Manfridum
Comitem Mohac, et Joannem de Claromonte milites fratres meos, legitimè, et
integrè revertatur.... »
[4]) vedi nota sub 1).
[6]) Crescenzi par. 1. narraz.
20. cap. I f. 568
[10]) valga per tutti quel che
scrive Ernesto Pontieri in Il Tramonto del Baronaggio - G.C. Sansoni Editore Firenze - pag. 97 - che tra l’altro vuole il Villabianca «...
un vecchio patrizio fiero ed austero......».
[11])
Pagina di avvincente valore artistico, ma di populistica alterazione storica, è
quella che Sciascia ebbe ad inframmettere nelle sue PARROCCHIE DI REGALPETRA,
ritrascrivendo passi del Tinebra-Martorana. - «Oltre alle numerose tasse e donativi e imposizioni feudali, che
gravavano sui poveri vassalli di Regalpetra, - così Sciascia ricostruisce quella che chiama ‘anonima
memoria’, ma vedi Tinebra-Martorona pp. 125-126 - i suoi signori erano soliti esigere, sin dal
secolo XV, due tasse dette del terraggio e del terraggiolo dagli abitanti delle
campagne e dai borgesi. Questi balzelli i
del Carretto solevano esigere non solo da coloro che seminavano terre
nel loro stato, benhè le possedessero come enfiteuti, e ne pagassero l'annuale
censo, ma anche da coloro che coltivassero terre non appartenenti alla contea,
ma che avessero loro abitazioni in Regalpetra. Ne avveniva dunque, che questi
ultimi ne dovevano pagare il censo, il terraggio e il terraggiolo a quel
signore a cui s'appartenevano le terre, ed inoltre il terraggio e il
terraggiolo ai signori del nostro comune... Già i borgesi di Regalpetra, forti nei loro
diritti, avevano intentata una lite contro quel signore feudale per ottenere
l'abolizione delle tasse arbitrarie. Il conte si adoperò presso alcuni di essi,
e finalmente si venne all'accordo, che i vassalli di regalpetra dovevano
pagargli scudi trentaquattromila, e sarebbero stati in perpetuo liberi da quei
balzelli. Per autorizzazione del regio Tribunale, si riunirono allora in
consiglio i borgesi di regalpetra, con facoltà di imporre al paese tutte le
tasse necessarie alla prelevazione di
quella ingente somma. Le tasse furono imposte, e ogni cosa andava per la buona
via. Ma, allorché i regalpetresi credevano redenta, pretio sanguinis, la loro
libertà, ecco don Girolamo del Carretto getta nella bilancia la spada di Brenno ... e trasgredendo ogni accordo, calpestando
ogni promessa e giuramento, continua ad esigere il terraggio e il terraggiolo, e s'impadronisce inoltre di
quelle nuove tasse». E nella MORTE DELL’INQUISITORE -
pag. 180 - Sciascia viene ancor più allo scoperto precisando e ribadendo che: «..una memoria della fine del '600 (oggi
introvabile, ma trascritta in riassunto da Nicolò Tinebra Martorana, autore di
una buona storia del paese) dice della vessatoria pressione fiscale esercitata
dai del Carretto, e da don Girolamo II in modo particolarmente crudele e
brigantesco. Il terraggio e il
terraggiolo, che erano canoni
e tasse enfiteutiche, venivano applicati con pesantezza ed arbitrio: e non solo
si esigevano da coloro che erano effettivamente enfiteuti nella contea di
Racalmuto, ma anche da coloro che soltanto avevano domicilio nella contea e avevano enfiteusi fuori del
territorio; e non dovevano essere pochi in questa condizione. Per cui la fuga
di contadini dai dominî dei del Carretto fu per secoli continua, e in certi
periodi addirittura massiccia: e i ripopolamenti coatto o di franchigia non
riuscivano a colmare dei tutto i vuoti lasciati dai fuggitivi.
Il documento riassunto dal Tinebra dice che appunto durante la signoria
di Girolamo II i borgesi di Racalmuto, che già avevano mosso ricorso per l'abolizione delle
tasse arbitrarie, subirono gravissimo inganno: ché il conte simulò
condiscendenza, si disse disposto ad abolire quei balzelli per sempre; ma
dietro versamento di una grossa somma, esattamente trentaquattromila scudi.
L'entità della somma, però, a noi fa pensare che non si trattase di un riscatto
da certe tasse, ma del definitivo riscatto del comune dal dominio baronale; del
passaggio da terra baronale a terra demaniale, reale.
Per mettere insieme una tal somma, il Regio Tribunale autorizzò una
straordinaria autoimposizione di tasse: ma appena le nuove e straordinarie
tasse furono applicate, don Girolamo del Carretto dichiarò che le considerava
ordinarie e non in funzione del riscatto. I borgesi, naturalmente, ricorsero:
ma la dolorosa questione fu in un certo modo risolta a loro favore solo nel
1784, durante il viceregno del Caracciolo.»
[12]) Nato nel 1924 da Luigi
Nalbone e Vincenza Todaro, appartiene alla prestigiosa famiglia dei Nalbone di
Racalmuto. Dal XVI° secolo sino ad oggi i Nalbone figurano nella storia locale
e ne hanno di certo, specie a partire dal ‘700, condizionato la vita pubblica,
civile, sociale, economica ed anche - in
modo marcato - quella religiosa. Il prof. Giuseppe Nalbone, medico ed
accademico di vaglia, è vanto per Racalmuto andando ad arricchire la gloriosa
tradizione dei grandi medici originari del luogo. Ritiratosi dalla professione,
sollecitato dai quesiti genealogici di un lontano suo parente, figlio di
emigranti racalmutesi del XIX° secolo, ha scoperto un impensato interesse per le ricerche storiche ed
archivistiche. Dotato di acume
scientifico e forgiato ai rigori della sua professione medica e radiologica,
sta riesumando documenti ed episodi che giacevano sepolti negli archivi di
Stato di Palermo ed Agrigento o in quelli vescovili di Agrigento, non mancando
di recuperare quelli importanti, ma negletti, della matrice di Racalmuto.
Fondamentali risultano le sue
ricostruzioni storiche delle antiche e
scomparse chiese e chiesette di
Racalmuto verso le quali nutre una
trepida passione.
[13]) Si attesta che inoltre
il fu magnifico don Matteo de Garretto e la fu magnifica donna Alionora
(Eleonora) furono legittimi marito e moglie, e dalle loro nozze nacque e fu
procreato il fu magnifico don Giovanni de Garretto, il quale successe nel
casalee nel castello di Rayalmuti (Racalmuto)
percependone i redditi ed i proventi
sino alla sua morte, e di ciò fu voce notoria e fama pubblica.
[14]) Si attesta altresì che
dal suddetto magnifico don Giovanni e dalla suddetta magnifica donna Elsa,
coniugi, nacque e fu procreato il magnifico don Federico de Garretto, al
presente barone della predetta baronia di Racalmuto, il quale come figlio
legittimo e naturale ebbe in successione la predetta baronia, percependone
frutti, redditi e proventi, e di ciò fu
ed è voce notoria e fama pubblica.
[15]) A
mo’ di anticipazione, ci limitiamo per il momento a riportare qui un passo
dell’opera di San Martino Spucches: « Questo conte prese parte alla
congiura di alcuni nobili palermitani e di una classe eletta di intelligenti
(1649) tendente a ristabilire in Sicilia un Re proprio, e curare la sua
indipendenza. Di essa parla diffusamente Giovan
Battista CARUSO nelle sue Memorie
Storiche di Sicilia, volume II, parte III, pag. 132 e seguenti. Scoperta la
congiura, il Conte di Racalmuto fu dichiarato reo di alto tradimento e
giustiziato nel regio Castello di Palermo a 26 febbraio 1650 (AURIA, Diario Palermitano).»
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