Una soave affabile signora romana, affascinante più del sole che sorge nella mia natia Racalmuto da dietro il Castelluccio, quando è estate, sia pure indirettamente mi vuol disorentare dalle mie anguste, pedestri, ironiche visioni delle opere dell'arte propinandomi questo particolare berniniano.
Credo che alle donne che non possono vedersi in cert loro declivi dei terminali singulti d'amore il Bernini può far loro pensare che abbiamo una santa, che digiuna, che gli affanni di un corpo giovane sono stati mortificati e libera daglii artigli della carne salgono sino ai cieli e vedono e dantescamente si immergono nelle paradisiache luminarie della suprema potestà divina. Estasi di santa, dunque, estasi di Santa Teresa d'Avila. Per i tanti incolti come me, propino qui sotto anch'io la cultura in pillole delle enciclopedie virtuali (ma poco virtuose)..
Ma ad un maschio come me, aduso a considerar peccato le gioie del sesso sin dai suoi 12 anni e mezzo, ma un peccato di cui non ha mai potuto fare a meno e piano piano ha dissmesso di pensare che godendo su questo pianeta può davvero finire all'inferno perché offenderebbe de sexto et de nono quel suo padre celeste che, via, è stato poi lui a mettergli quel piacevole fuoco nelle vene che dal gioco solitario piano piano ma sempre più piacevolmente e partecipativamente l'ha potuto infondere ad un'altra creatura del signore, molto pù bella ma meno irosa nelle gioie d'amore. E davvero quello sguardo, quella bocca languidamente socchiusa l'ha affascinato per essere anche lui il coautore dell'orgasmo femminle. E non se n'è più confessato come del resto non faceva neppure con i suoi primi e solitari atti impuri, anche se il prete confessore birichino voleva sapere, curiosava.
Ma qui la santa è vestita, e le donne nei giacigli del peccato per arrivare lì dove in due ci si arriva con un insaziabile cimento erano ignude e a dir vero non del tutto monde (per parafrasare il D'Annunzio del Piacere). E allora chissà forse le sante sogliono godere sole e vestite. VERGINE SERAFICA. Vergine chi - per giunta con sangue ispano - ebbe "travagliato percorso", un po' arduo a convenirne; SERAFICA, a dilettar gli occhi su questo splendido viso "in estasi" , non si è molto disposti a credere. Ma questa è arte barocca e al barocco possiamo ascrivere ascetezze alla Borromini ma anche devianze alla Bernini, almeno a Roma, città davvero libera, anche se sede d papi, o appunto per questo.
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Teresa d'Ávila
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Santa Teresa d'Ávila
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Santa Teresa di Gesù in un dipinto di Pieter Paul Rubens
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Vergine e dottore della Chiesa
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Nascita
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Morte
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Venerato da
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Chiesa cattolica
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Santuario principale
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Basilica di Santa Teresa, Alba de Tormes
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Ricorrenza
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Attributi
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abito delle Carmelitane Scalze, cuore trafitto
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Patrono di
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scrittori, persone malate nel corpo, cordai, orfani, persone in cerca di grazia, persone degli ordini religiosi, persone ridicolizzate per la loro pietà [senza fonte] , Croazia, Spagna
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Teresa di Gesù, o d'Ávila, al secolo Teresa Sánchez de Cepeda Dávila y Ahumada (Ávila, 28 marzo 1515 – Alba de Tormes, 15 ottobre 1582), è stata una religiosa e mistica spagnola.
Entrata nel Carmelo di Avila a vent'anni, fuggita di casa, dopo un travagliato percorso interiore che la condusse a quella che definì in seguito la sua "conversione" (a trentanove anni), divenne una delle figure più importanti della Riforma cattolica grazie alla sua attività di scrittrice e riformatrice delle monache e dei frati Carmelitani Scalzi, e grazie alla fondazione di monasteri in diversi luoghi di Spagna, e anche oltre (prima della sua morte venne fondato un monastero di Scalzi a Lisbona). Morì adAlba de Tormes nel 1582 durante uno dei suoi viaggi.
Fu autrice di diversi testi nei quali presenta la sua dottrina mistico-spirituale e i fondamenti e le origini del suo ideale di Riforma dell'Ordine carmelitano. La sua opera maggiormente celebre è "Il castello interiore" (intitolato anche "Mansioni"), itinerario dell'anima alla ricerca di Dio attraverso sette particolari passaggi di elevazione, affiancata dal "Cammino di perfezione", e dalle "Fondazioni" nonché da molte massime, poesie e preghiere, alcune delle quali particolarmente celebri[1].
Proclamata beata nel 1610 e poi santada papa Gregorio XV nel 1622, fu annoverata tra i dottori della Chiesa nel 1970 da Paolo VI, insieme a Caterina da Siena.
Indice
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· 6 Opere
· 7 Note
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Biografia [modifica]
Primi anni [modifica]
Teresa de Ahumada nacque il 28 marzo 1515, terzogenita di Alfonso Sanchez de Cepeda e di Beatrice de Ahumada.
Il padre, di origine toledana e di stirpe ebrea, s'era unito in prime nozze con Caterina del Peso (morta l'8 settembre 1507), figlia d'una nobile famiglia d'Avila, dalla quale erano nati due figli, Giovanni Vazquez de Cepeda e Maria de Cepeda[2]. Dopo la morte di Caterina, Alfonso si unì in seconde nozze con Beatrice de Ahumada, dalla quale nacquero altri nove figli: Fernando Ahumada, Rodrigo de Cepeda, Teresa de Ahumada, Lorenzo de Cepeda, Antonio de Ahumada, Pietro de Ahumada, Gerolamo de Cepeda, Agostino de Ahumada e Giovanna de Ahumada.
La famiglia s'era stabilita dal 1505 nell'ex palazzo della Zecca cittadina, vicino la porta di Monte Negro, per tal motivo denominato de la Moneda. Pochi gli episodi conosciuti sull'infanzia della piccola Teresa. Fra di essi è noto il tentativo di fuga intrapreso col fratello Rodrigo verso un immaginario paese dei mori, dove i due bambini, pensando alle vicende dei martiri, speravano di versare il sangue per la fede[3]. La vita familiare è descritta dalla stessa Teresa, nella sua Autobiografia, a brevi pennellate: “Mio padre era uomo di grande carità coi poveri e pieno di compassione per i malati”[4];“mia madre era molto virtuosa; si comportò dappertutto con grandissima onestà. Era molto bella, ma non si vide mai che facesse caso della sua bellezza. Era mite, di grande intelligenza”[5]. E, ricorda ancora Teresa, era anche appassionata di romanzi cavallereschi[6], passione rimproverata dal marito, il quale proibì ai figli di leggerne.
Gli anni dell'adolescenza furono trascorsi dalla giovane Teresa in compagnia dei numerosi fratelli e dei cugini della casa attigua, i de Cepeda: Pietro, Francesco, Giovanni, Diego, Vincenzo, Ines, Anna e Geronima. Per uno di essi, sembra, provasse anche un forte sentimento d'affetto che il confessore consigliò di coltivare in preparazione a un futuro fidanzamento[7]. Severo resta il suo giudizio nei confronti d'una delle cugine, rimasta anonima, per la sua vanità nel vestirsi e nell'abbigliarsi ricordando in seguito, rimproverandosene, come anche lei aveva preso parte a queste perdite di tempo[8]. Dopo il primo grave lutto, la morte del fratello maggiore Giovanni in battaglia nel 1524, seguì la perdita della madre Beatrice, già da tempo sofferente, tra il 1529 e il 1530[9].
Subito dopo la giovane venne mandata dal padre per completare la sua educazione presso il monastero delle agostiniane di Nostra Signora delle Grazie ad Avila, dove entrò dopo il matrimonio della sorella Maria con don Martino Guzman y Barrientos, a Villatoro nel 1531[10]. Lì fu per la giovane Teresa parecchio influente la figura delle maestra delle educande Maria Briceno che con i suoi insegnamenti e i suoi discorsi condusse la fanciulla alla prima vera crisi esistenziale: “Avevo tanta paura che mi venisse la vocazione religiosa- ella stessa scrisse- ma nel medesimo tempo sentivo una gran paura anche per lo stato matrimoniale”[11].
Ingresso in monastero [modifica]
Monastero dell'Incarnazione di Avila
Una grave malattia costrinse, nel 1532, Teresa a tornare alla casa paterna. Per potersi ristabilire, ancora degente, si trasferì per un soggiorno campagnolo presso la sorella Maria a Castellanos de la Canada. Durante il viaggio ebbe un nuovo incontro con lo zio paterno Pietro Sanchez de Cepeda, che dopo la morte della moglie s'era ritirato a vita solitaria, il quale offrì alla giovane diversi libri di spiritualità.
Tornata dal Castellanos, Teresa si dedicò alla vita di famiglia, dirigendo la casa paterna per tre anni, durante i quali anche il fratello Rodrigo, a cui ella era molto affezionata, intraprese un viaggio oltreoceano verso le nuove colonie spagnole in America, dove cadde in battaglia nel Cilecontro gli Araucani[12]. L'agosto e l'ottobre del 1536 furono per Teresa il tempo della cosiddetta “grande crisi”[13], durante la quale ella prese la ferma decisione di entrare in monastero presso le carmelitane dell'Incarnazione di Avila.
La risposta del padre, Alfonso, fu quanto mai severa: egli non avrebbe mai accettato l'ingresso della figlia in convento, “il più che si poté ottenere- scrive la stessa Teresa- fu il permesso di fare quello che avrei voluto, dopo la sua morte”[14]. Dopo alterni tentativi e interventi di familiari e amici, la giovane, ancora fermamente risoluta, decise di fuggire dalla casa paterna insieme al fratello Antonio, appena quindicenne. I due, allontanatisi insieme, si separarono alle porte del convento delle carmelitane dove la giovane fu accolta dalle monache, con le quali aveva preso accordi precisi nei giorni precedenti. Diversamente avvenne per Antonio: respinto dai domenicani, dei quali desiderava far parte, e dai frati di San Gerolamo, a causa di una grave malattia, decise di partire anche lui per le Americhe dove morì, nella battaglia di Quito, sui monti dell'Ecuador[15].
I primi anni all'Incarnazione e la grave malattia (1536-1542) [modifica]
Subito dopo l'ingresso di Teresa, rassegnato il padre Alfonso entrò in trattative con le monache del monastero per stabilire la dote della figlia: venticinque moggi di pane, per metà grano e per metà orzo nonché duecento ducati d'oro[16]. Ad essi il ricco genitore avrebbe ancora aggiunto il prezioso corredo. Nell'autunno del 1536ebbe così luogo la cerimonia dell'ammissione al noviziatodove la giovane, circondata dalle monache in capitolo, fu accolta dalla madre priora Francesca del Aguila. Il 2 novembredello stesso anno fu invece celebrata la solenne vestizionedurante la quale Teresa assunse il tipico abito delle monache carmelitane. Cominciava per lei l'anno di noviziato come ella stessa racconta in vari brani della sua Autobiografia, con il quale si preparava alla professione, che ebbe finalmente luogo il 3 novembre 1537, dopo un lungo periodo di travaglio intimo, da lei stessa paragonato a quella che aveva già dovuto vincere per abbandonare la casa paterna[17].
Non passò lungo tempo che la giovane monaca fu colta da un grave disturbo fisico: “Gli svenimenti aumentarono e mi si aggiunse un mal di cuore così violento che tutti coloro che mi sostenevano ne rimanevano spaventati”[18]. Il padre, preoccupato, si vide costretto a condurre via per un certo tempo dal monastero la figlia, le cure ebbero subito inizio nella casa paterna ma i disturbi non diminuirono e don Alfonso si risolse a recarsi a Becedas presso una rudimentale curatrice locale. Lungo il tragitto, durante una sosta presso lo zio Pietro Sanchez a Hortigosa, Teresa ricevette in dono il Tercer Abecedario di Francesco de Osuna, un trattato sull'orazione, che molto avrebbe influito sulla spiritualità della giovane monaca[19]. Le cure ricevute a Becedas non fecero altro che peggiorare la salute di Teresa, la quale, dopo due mesi, fu ridotta in fin di vita e ricondotta ad Avila dove i medici, all'unanimità, giudicarono il caso come disperato.
Non passarono giorni che la monaca, sfinita dai dolori, sembrò essere davvero morta. Le consorelle in monastero giunsero perfino a scavarle il sepolcro mentre uno dei familiari fece cadere sulle sue palpebre un po' di cera per vederne le reazioni. Solo don Alfonso insistette perché non si provedesse ai preparativi funebri[20]e, come questi aveva pensato, dopo quattro giorni l'agonizzante rinvenne, svilita da atroci sofferenze (debolezza per non aver mangiato nulla, gola riarsa, mal di testa, irrigidimento delle membra[21]) ma viva. Alla fine di maggio del 1539 fece ritorno al monastero e si stabilì all'infermeria, non essendo ancora in grado di riprendere l'usuale vita in cella. Ci vollero all'incirca tre anni perché il suo stato di salute migliorasse.
Diversi furono i tentativi di spiegare questa terribile malattia: chi ipotizzò un caso d'isterismo (Jean-Martin Charcot, Hahn[22]), chi una gastriteacuta (P. L. De San[23]), chi la quartana doppia (Imbert Courbeire, Gabriela Chunningame Graham[24]) e chi infine vide in essa il frutto delle rigorose penitenze[25].
La “seconda conversione” (1554-1555) e le sue conseguenze [modifica]
A causa del lungo periodo di degenza, Teresa si trovò frattanto piuttosto libera dagli orari della vita claustrale e poté così sviluppare intensi rapporti con esterni, compreso il padre Alfonso, cominciando a intessere una rete di amicizie che molto le sarebbero servite successivamente durante la sua attività di riformatrice. Viene descritta, da coloro che la conobbero, come una donna signorile e nello stesso tempo semplice e brillante, gradevole “nel tratto e nella conversazione, accesa d'amor divino e soave nelle parole”[26]; così che ben presto il parlatorio divenne luogo di incontro per gli avilesi desiderosi di conoscere e parlare con Teresa.
Francesco Borgia
Col passare dei giorni la religiosa cominciò però a ritenere quegli incontri, nonostante fosse parecchio attaccata ad essi, una vera e propria perdita di tempo, a causa dei quali ella perdeva i momenti da dedicare alla preghiera[27]. In quello stesso periodo Teresa tornò alla casa paterna per assistere il padre agonizzante, che morì il 24 dicembre 1543, dopo due settimane di intense sofferenze[28].
Tra il 1554 e il 1555 avvenne il significativo episodio che avrebbe condotto la religiosa al ribaltamento della propria vita: “I miei occhi caddero sopra una immagine che era stata posta lì, in attesa della solennità che doveva farsi in monastero. Raffigurava Nostro Signore coperto di piaghe. Appena la guardai mi sentii tutta commossa, perché rappresentava al vivo quanto Egli aveva sofferto per noi: fu così grande il dolore che provai al pensiero dell'ingratitudine con la quale rispondevo al suo amore, che mi parve il cuore mi si spezzasse. Mi gettai ai suoi piedi tutta in lacrime, e lo supplicai a darmi forza per non offenderlo più”[29]. Fu quella che lei stessa definisce come la sua seconda conversione, a seguito della quale cominciò nuovamente a dedicarsi all'intensa orazione e a ridurre i passatempi, particolarmente significativa fu per lei la lettura delle Confessionidi sant'Agostino[30].
Cominciava un lungo periodo di intensa vita spirituale, durante il quale la religiosa fece le esperienze in seguito descritte nei suoi libri, ma che condusse ad un altrettanto lungo periodo di sofferenze e persecuzioni: in seguito al drammatico caso della clarissa Maddalena della Croce, ritenuta dagli stessi sovrani spagnoli una santa, ma successivamente riconosciuta come una folle posseduta, s'era diffuso un certo turbamento nei confronti di queste anime dedite alla spiritualità come Teresa. Gaspar Daza, suo confessore, e Francesco De Salcedo, suo intimo confidente, la ritennero ben presto vittima di illusioni demoniache, accusa per la quale la religiosa soffrì amaramente[31]. Fondamentale fu per lei la direzione dei padri gesuiti, Diego de Cetina in particolare (che si recò da lei tra il 1555 e il 1556), che ristabilirono alquanto la drammatica situazione in cui ella era occorsa, si ricordi a tal proposito l'incontro nel 1557 col futuro santo, il gesuita Francesco Borgia, un tempo potente ministro di Carlo V, il quale le ridonò fiducia e la incoraggiò a continuare il suo cammino spirituale. Ci fu anche una corrispondenza epistolare tra i due sebbene queste lettere andarono perdute[32]. Fino al 1558 Teresa poté intessere continui rapporti con confessori gesuiti, come Giovanni de Pradanos (che sostituì Diego de Cetina trasferito da Avila), essendo per lungo tempo ospite in casa della ricca vedova Jeronima Guiomar de Ulloa, con la quale ella strinse una forte amicizia.
L'accusa di possessione e il primo incontro con Pietro d'Alcantara [modifica]
Dopo la partenza del confessore Giovanni de Pradanos, Teresa cominciò a farsi seguire spiritualmente da un sacerdote appena ordinato, il gesuita Baltasar Alvarez, il quale, intimorito e dalla questione suddetta della posseduta Maddalena della Croce e della straordinaria esperienza interiore della figlia spirituale, decise di consigliarsi sul suo caso in una riunione di circa cinque o sei uomini dotti, tra ecclesiastici e laici, fra cui possiamo ricordare il confidente della santa, Francesco de Salcedo, e il suo precedente confessore, Gaspar Daza. Unanime il verdetto: Teresa era vittima di possessione diabolica.“Io ero estremamente paurosa- scrisse ella stessa ricordando quei dolorosi avvenimenti- tanto che alle volte non osavo star sola in una stanza neppure in pieno giorno: il mal di cuore a cui andavo soggetta aumentava per di più i miei timori. Vedendo dunque, che tante persone affermavano ciò che io non sapevo ammettere, fui presa da gravissimi scrupoli, temendo che da parte mia ci fosse poca umiltà. Quelle persone infatti erano dotte e di vita incomparabilmente più santa della mia: perché non avrei dovuto credere alle loro parole?”[33]. Fu per lei uno dei periodi di maggior tribolazione: le venne proibita la comunione e perfino la solitudine, si pensò di esorcizzarla.
Nel 1560 fu l'intervento del frate Pietro d'Alcantara a dissipare i dubbi della religiosa e quelli dei suoi accusatori. I due ebbero il loro primo incontro in casa di Jeronima de Ulloa[34], Teresa confidò al francescano tutto il proprio dolore e l'intensa sua vita spirituale, e questi non solo la tranquilizzò ma le diede perfino preziosi consigli, avendo egli stesso attraversato simili momenti “mi trattò con molto riguardo mettendomi a parte dei suoi pensieri e dei suoi progetti, e vedendo che il Signore m'infondeva dei pensieri tanto coraggiosi di fare anch'io come egli faceva, s'intratteneva con me con visibile soddisfazione”[35]. Dall'incontro con l'ascetico francescano sorse pian piano in Teresa quel progetto di Riforma dell'ordine carmelitano che l'avrebbe resa famosa in tutto il mondo.
Sorto sul monte Carmelo, dove alcuni eremiti si erano ritirati in piccoli monasteri, il primo nucleo dell'ordine era stato regolamentato da Alberto, patriarca di Gerusalemme, verso il 1209. Fu nel 1432, precisamente il 15 febbraio, che Eugenio IV, attraverso la “bolla di mitigazione”, modificò attraverso diverse concessioni l'austerità della regola originale dei primi monaci del Carmelo. Ora Teresa avrebbe progettato di ricondurre l'ordine alle sue origini: fu una sera nella sua stessa cella che, in compagnia di Giovanna Suarez, amica d'infanzia, e altre quattro compagne, che sorse l'intuizione di questa futura riforma del Carmelo[36]. Questo desiderio, fattosi ogni giorno sempre più vivo in lei,[37]. condusse la religiosa a chiedere il parere di Pietro d'Alcantara, che in quel tempo similmente era dedito alla riforma dell'ordine francescano in Spagna. Il suo parere fu positivo e il consenso del padre provinciale, Gregorio Fernandez, permise così a Teresa di dare il via ai lavori della fondazione del primo monastero riformato, proprio nella sua città di Avila.
Il monastero di San Giuseppe ad Avila [modifica]
Il monastero di San Giuseppe oggi
“Appena in città cominciarono a conoscere il nostro disegno scrosciò su noi una persecuzione così violenta che sarebbe troppo lungo raccontarla”[38]. La città si schierò decisamente contro questo nuovo progetto di riforma, senza considerare le ostilità che si fecero giorno dopo giorno sempre più intense all'interno dello stesso monastero dell'Incarnazione. Dalla parte di Teresa si schierò però, dopo un lungo periodo di riflessione, il domenicano Pietro Ibanez, uno dei più insigni teologi dell'epoca, le cui risposte in difesa della Riforma costrinsero a tacere gran parte dei suoi avversari. Cuore del progetto era un'innovazione che influenzò parecchio il giudizio dei contemporanei: le nuove monache avrebbero vissuto semplicemente di elemosine. Ciò turbò lo stesso provinciale, Gregorio Fernandez, inizialmente propenso a quest'opera di rinnovamento.
Trascorsero all'incirca sei mesi nella continua incertezza finché Teresa non decise di fondare il suo primo monastero in segreto. In accordo con la sorella Giovanna e suo marito Giovanni de Ovalle acquistò una casa ad Avila e cominciò, segretamente, la trasformazione dell'edificio. Le prove nello stesso tempo non si alleggerivano e una sera nella chiesa di San Tommaso, come raccontano Giovanni de Ovalle e sua figlia Beatrice[39], il predicatore puntò il dito contro la religiosa lì presente, dinanzi a gran parte della cittadinanza, tacciandola di vanità e orgoglio. I lavori continuavano ma un fatto imprevisto avrebbe allontanato Teresa: donna Luisa de la Cerda, ricca signora di Toledo, chiedeva la compagnia della religiosa perché la consolasse della recente morte del marito don Antonio Arias de Saavedra.
La notte di Natale il provinciale Angelo de Salazar ordinò a Teresa di raggiungerla[40]. Le due donne strinsero un forte legame d'amicizia e lì a Toledo, Teresa ebbe modo di conoscere Maria di Gesù, terziaria, la quale progettava come lei una riforma dei costumi religiosi, “era donna di grande penitenza ed orazione. Era talmente superiore a me nel servizio di Dio, che davanti a lei mi sentivo piena di vergogna”[41].
Di ritorno ad Avila, giunsero i dispacci col breve pontificio di autorizzazione a fondare il monastero, posto sotto l'obbedienza del vescovo di Avila, Alvaro de Mendoza. I lavori furono così ben presto conclusi e al pian terreno sorse così una piccola cappella con due porte (sormontate una da un'immagine della Vergine Maria, l'altra di San Giuseppe) e una grata doppia che permetteva alle monache di partecipare alla Messa. Il 24 agosto 1562 furono aperte per la prima volta le porte del conventino dove Gaspar Daza accolse e diede l'abito alle prime quattro carmelitane “scalze”: Antonia de Henao, Maria de la Paz, Ursula de Revilla y Alvarez, Maria de Avila[42].
Non trascorsero neppure sei ore che una lettera annunciò a Teresa la triste verità: la priora del Monastero dell'Incarnazione ordinava il suo repentino ritorno. Tornata in convento, Teresa si rese ben presto conto che la sua idea di riformare il Carmelo non era certo stata accolta di buon grado dalle consorelle, alcune delle quali avevano formato un vero e proprio gruppo di dissidenti. Dopo un primo colloquio dai risvolti positivi con la priora, Maria Cimbròn, Teresa fu sottoposta a una vera e propria sessione di tribunale monastico[43], in presenza del padre Angelo de Salazar, padre provinciale dei carmelitani, della priora e delle anziane del convento. I risultati furono incoraggianti per la religiosa, la quale non solo non fu punita ma convinse perfino il sacerdote sulla sincerità delle proprie intenzioni.
Ma i problemi non erano ancora terminati: la stessa città di Avila si schierò apertamente contro la nuova fondazione. Il 25 agosto il governatore, Garcia Suarez de Carvajal, si recò personalmente al monastero con uno squadrone di soldati ordinando alle quattro monache lì presenti di abbandonare immediatamente l'edificio. Vanificato questo primo tentativo, i maggiorenti della città tennero un'assemblea plenaria il 30 agostoseguente e fu solo per intervento del domenicano Domenico Banez, celebre teologo dell'epoca, che non si passò direttamente all'azione. Nel febbraio 1563 le controversie cominciarono lentamente a placarsi e Teresa ottenne dal padre provinciale il permesso di trasferirsi al monastero di San Giuseppe.
Fino al 1567 ella poté così dedicarsi interamente alla sua opera, scrivendone le costituzioni: secondo la nuova regola la giornata cominciava in coro, alle cinque nell'estate e alle sei nell'inverno e si prolungava fino alle undici di sera; dopo una prima ora di preghiera in coro vi era la recita dell'ufficio, seguiva la refezione alle dieci, alle due i vespri, alle sei la compieta, quindi le monache si ritiravano nella propria cella per pregare o lavorare[44]. In quegli anni ella concluse, verso il 1565, la redazione della propria Autobiografia e poco dopo il Cammino di perfezione, libro di formazione spirituale per le proprie consorelle. Nel 1567 la visita del generale dell'ordine carmelitano, Giovanni Battista Rossi di Ravenna, aprì un nuovo capitolo nella vita di Teresa e nello sviluppo della Riforma: le veniva concessa la facoltà di fondare altri monasteri di scalze nella provincia di Castiglia[45].
Prime fondazioni [modifica]
Medina del Campo [modifica]
Giovanni della Croce
Con l'aiuto dei padri gesuiti, particolarmente del padre Baltasar Alvarez, un tempo suo confessore, ella riuscì a ottenere i permessi del vescovo di Salamanca, alla cui diocesi apparteneva Medina del Campo, e così fondare un primo monastero riformato il 15 agosto. Furono destinate ad esso sei monache: Isabella Arias, Teresa de Quesada, Ines Tapia, Anna de Tapia dal monastero dell'Incarnazione e Maria Battista e Anna de los Angeles da quello di San Giuseppe[46]. Dopo un viaggio sui carretti, nei quali la vita monastica era rispettata coi suoi orari e i suoi momenti di preghiera, durante una sosta ad Arévalo, cominciarono i primi guai: Alfonso Alvarez, il quale aveva pattuito l'affitto della casa per la imminente fondazione, ritirava all'improvviso la proposta. Due giorni prima della data stabilita per la fondazione giunse finalmente la soluzione: donna Maria Suarez offriva uno dei suoi caseggiati.
Giunte lì a tarda notte, dopo un chiassoso ingresso in città in mezzo a una folla accorsa per assistere all'arrivo dei tori per la corrida dell'indomani[47], Teresa e le sue monache raggiunsero finalmente la piccola casa che, in una sola notte di lavori, si tramutò in un vero e proprio monastero cosicché la mattina seguente fu possibile celebrarvi Messa. Solo successivamente, a causa del grado fatiscente del caseggiato, fu necessario il trasferimento in un nuovo edificio, alla Plaza Mayor, per donazione del mercante Blas de Medina.
Fu lì che la Riforma carmelitana si estese anche al ramo maschile: durante un colloquio col priore dei carmelitani calzati di Medina, padre Antonio de Heredia, sorse in entrambi questo desiderio[48]. Padre Antonio stesso e un giovane carmelitano, studente all'Università di Salamanca, Giovanni di San Mattia (colui che successivamente avrebbe assunto il celebre nome di Giovanni della Croce) sarebbero stati i primi carmelitani scalzi.
Malagón e Río de Olmos [modifica]
Ospite a Madrid di donna Leonor de Mascarenas, educatrice del re Filippo II e successivamente del figlio di questi Carlos, Teresa divenne nota e stimata a corte dallo stesso sovrano e dalla sorella Giovanna e su incarico della nobildonna s'impegnò a risistemare lo stato interno del monastero dalla stessa fondato, a opera della terziaria Maria di Gesù (già conosciuta da Teresa), de la Purisima Concepcion de la Imagen.
Qualche mese dopo eccola intenta a due nuove fondazioni di scalze, a Malagón, dove stese il contratto con donna Luisa de la Cerda, donatrice del monastero[49], il 30 maggio1568, e a Rio de Olmos, con l'aiuto di Maria e Bernardino de Mendoza, fratelli del vescovo di Avila, il 3 febbraio 1569.
Nello stesso periodo cominciarono a sorgere anche i primi eremi di carmelitani scalzi, a opera di Antonio di Gesù e Giovanni della Croce, a Duruelo[50]il 17 novembre 1568, e a Mancera, in una cappella che custodiva un'antica immagine della Vergine Maria[51], l'11 giugno1570.
Toledo [modifica]
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