lunedì 16 gennaio 2017

RACALMUTO PREISTORICO - ZOLFO, GRANO E SALE
 


Racalmuto sorge, si popola e si accresce per due grandi vocazioni economiche: l'agricoltura e le risorse minerarie.


Su quell’altipiano - che, a ben vedere, altipiano non è - l’uomo ha lasciato, da quasi quattro millenni, tracce del suo dimorarvi ora rado, ora intenso, qualche volta prospero, ma di solito stentato. Un popolo preistorico, quello cosiddetto sicano, fu presente per oltre sei secoli nel secondo millennio a. C. Ma a partire dal XIV sec. a.C., mentre nella vicina Milena ebbe a prosperare una popolazione che, come attestano le ancor visibili tombe a tholos, seppe avvalersi degli influssi micenei, il territorio di Racalmuto pare divenuto del tutto inospitale e la civiltà sicana scompare completamente (o non fu in grado di lasciare testimonianze che superassero l’onta del tempo).


 


Già nella preistoria sono presenti due flussi migratori diversi: uno a sfondo agricolo che da Licata tocca le falde del versante sud del Serrone e l'altro,  in cerca del sale, contiguo agli insediamenti che dalla Rocca di Cocalo si espandono verso Milena, Montedoro, Bompensiere.


 


L'immigrazione agricola di popoli attorno al XVIII secolo a.C. venne documentata durante i lavori della ferrovia nel 1879. (Cfr. L. Mauceri: Notizie su alcune tombe  .. scoperte fra Licata e Racalmuto, in Ann. Inst. Corr. Arch., 1880). I pochi reperti fittili finirono dispersi nei sotterranei di un qualche museo siciliano. Le tombe a forno dei pressi della stazione ferroviaria di Castrofilippo sono del tutto sparite per la distruzione delle successive cave di pietra.


 


L'altro insediamento è quello che l'ingenuità delle cartoline illustrate locali definisce 'tombe sicane', site attorno alla grotta di Fra Diego. Il cospicuo numero di tombe a forno dimostra l'esistenza di gruppi estesi, dediti ai culti mortuari dell'inumazione in forma fetale, con i cadaveri forse spolpati a bagnomaria e forse legati per la paura di una vendicatrice resurrezione che i nostri antenati pare nutrissero. (Cfr. S. Tine': L'origine delle tombe a forno in Sicilia, in Kokalos 1963, p. 73 ss.).


 


Quei cosiddetti antichi Sicani, installandosi attorno alla grotta di Fra Diego, avranno trovato il salgemma delle vicinanze e fors'anche lo zolfo, all'epoca sicuramente reperibile anche in superficie.


Contraddistingue il popolo sicano un sentimento religioso tanto profondo da spingerlo ad opere che scavalcano l’obliterazione dei millenni per giungere sino a noi. Sono quelle tombe sicane le quali si affacciano grandiose e impressionanti dalla parete della grotta di Fra  Diego. Il culto dei morti affonda le radici nel sentimento religioso, nel senso dell’al di là che connota ed ossessiona persino l’uomo preistorico racalmutese.


 


 


Sale, zolfo e gesso Racalmuto li avrebbe ereditati dagli sconvolgimenti del Miocene, quando alle «grandi lacune terziarie progressivamente evaporate <sarebbe seguito> un processo di sedimentazione che avrebbe avuto per protagonisti non solo i principi della fisica e della chimica, ma addirittura  uno straordinario microscopico batterio, il desulfovibrio desulsuricans capace di nutrirsi di petrolio greggio e di rubare ossigeno al solfato di calcio dando luogo ad idrogeno solforato che, attraverso una normale ossidazione, avrebbe partorito lo zolfo nativo» (Pratesi e Tassi, Guida alla natura della Sicilia, Milano 1974, p. 21 ss). In definitiva, dunque, le ricchezze della rampante borghesia ottocentesca di Racalmuto si devono a quel geologico vibrione.


 



RACALMUTO DA TERRA ANELLENICA A DOMINIO GRECO



 


Se qualche abitante vi fu a Racalmuto durante il Paleolitico Superiore, fu la grotta di Fra Diego ad ospitarlo: quell'antro per esposizione, per capienza e per vicinanza a luoghi fertili ed a valli boschive adatte alla cacciagione,  si attaglia all'ospitalità troglodita.


Le testimonianze archeologiche più antiche sono però di gran lunga posteriori e ci portano in piena cultura della 'Conca d'Oro' con le caratteristiche «tombe  del tipo a forno», ove è presente il corredo di vasi e oggetti fittili (Tusa-De Miro, Sicilia Occidentale, Roma 1983, p. 14).


Da quell'era sino al sesto secolo a. C. i nostri progenitori - siano sicani o altro - riuscirono  a sormontare gli sconvolgimenti epocali dell'età del Bronzo e di quella del Ferro in condizioni di relativo benessere, piuttosto pacifici ed alquanto prolifici, come il diffondersi delle tombe per tutto il crinale collinare sta a testimoniare. Caccia e risorse minerarie, ma soprattutto cerealicoltura e pastorizia consentirono sopravvivenza ed anche sviluppo.


Ma quando, per l'aridità della loro terra, i greci sciamarono per il Mediterraneo e le genti rodiese e cretese, via Gela,  si insediarono nella valle agrigentina,  per i sicani di Racalmuto fu il prodromo della diaspora.


Giunti i mitizzati tempi della famigerata tirannide di Falaride,  nel sesto secolo a.C., per le popolazioni di Racalmuto fu l'inizio di una devastante denominazione greca. I cadetti greci di Agrigento, privi di terra e di beni, cercarono fortuna e dominio nei dintorni e così anche questo centro agricolo cadde nelle loro mani. Si attestarono certo nelle feraci contrade tra Grotticelle e Casalvecchio. I radi reperti numismatici con la  riconoscibile effigie del granchio akragantino  non svelano  solo l'inclusione di quel territorio nella circolazione monetaria  delle varie tirannidi dell'antica Agrigento, ma soprattutto l'insediamento dei nuovi padroni. Da quell'epoca la civiltà sicana indigena sfuma sino a non lasciare più le testimonianze delle caratteristiche sepolture in tombe a forno. I nuovi padroni venuti da Agrigento presero certo la più gagliarda gioventù per trasferirla, schiava, nella titanica costruzione del tempio a Zeus. La gran parte, se non resa schiava, fu senz'altro assoggettata ad una sorta di servitù della gleba. Taluni, scacciati o fuggitivi, si ritirano con i loro sparuti armenti negli inospitali valloni  siti a tramontana. E divennero pastori randagi e rudi, feroci ma liberi, anarchici e  misantropi eppure irriducibili ed incoercibili, simili a quei pastori che ancor oggi sembrano mantenere le prische connotazioni di uomini fieri ed indomabili.


La classe agro-pastorale nasce e si evolve lungo millenni con rimarchevole continuità e peculiarmente autoctona. Sono i vertici ed i dominatori che vengono da fuori, arroganti ed estranei. Si pensi che un ricambio in senso classista Racalmuto l'ha potuto registrare solo ai nostri giorni. Soltanto gli anni ottanta del XX secolo sono propizi ad un rivoluzionario avvento di amministratori con genuine ascendenze locali e d'autentica estrazione popolare.

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