Il
XV secolo Racalmuto lo trascorre sotto l’egida dei Del Carretto. Matteo del
Carretto muore nel 1400; gli succede il figlio Giovanni che deve vedersela con
gli esosi Martino. E’ costretto ad esibire una nutrita documentazione e pagare
tante once per avere confermato il titolo di barone di Racalmuto. Vi riesce. E
buon per noi perché possiamo ora consultare presso l’archivio di stato di
Palermo quella documentazione ed avere preziose notizie sul nostro paese.
Giovanni I del Carretto a noi sembra un barone oculato, laborioso e in
definitiva attaccato al paese che sotto di lui cresce e si consolida. Ma lo
storico francese Henri Bresc la pensa diversamente ed è sicuro che il figlio di
Matteo finì male e dovette cedere la baronia agli Isfar di Siculiana. A
conferma della sua tesi, cita documenti spagnoli. Li cita in termini talmente
evasivi da impedirci, per il momento, riscontri convincenti. Siamo dunque
costretti a lasciare in sospeso la questione.
La
baronia ritorna, in ogni caso, ai Del Carretto: Federico, figlio di Giovanni I,
riceve l’investitura da Alfonso d’Aragona l’11 febbraio 1451; viene salassato,
deve corrispondere 20 once ogni anno, deve rendere omaggio nelle forme solenni,
deve rispettare i diritti di “legnatico” dei cittadini racalmutesi, non è
proprietario delle miniere, delle saline e delle antiche difese del luogo, deve
salvaguardare la libertà di pascolo dei paesani e degli equipaggiamenti regi.
In compenso ha il dominio assoluto sul feudo racalmutese che si estende però
alla parte nord-ovest del paese. La parte sud-ovest (Gibillini ed il
Castelluccio) costituisce un altro feudo (si diceva allora “stato”) ed
apparteneva per due terzi alla famiglia De Marinis di Favara. Il restante terzo
non si è mai saputo a chi appartenesse: solo nell’Ottocento vi è stata
un’annessione da parte della famiglia Tulumello.
Federico
Del Carretto fu un grande affarista: nel 1451 si associò con Mariano Agliata
per un’operazione speculativa sul grano simile a certi contratti a termine dei
nostri tempi (outright): i due consegnavano al Lomellina il vecchio frumento
delle annate 1449 e 1450 e si assicuravano il raccolto dell’anno in corso,
consegna a luglio prossimo presso il caricatoio di Siculiana.
Federico
del Carretto dovette essere molto esoso con i suoi vassalli racalmutesi se
questi nel 1454 si ribellarono violentemente. Il Del Carretto, intanto,
procedeva ad acquistare un altro feudo, quello di Rabiuni di Mussomeli, preso
da Pietro del Campo. Altri notabili racalmutesi erano diventati anche loro
facoltosi: uno di loro, Mazzullo Alongi, teneva in affitto il feudo di San
Biagio sempre a Mussomeli.per 14 onze annue, un castrato, un quintale di
formaggio ed una “quartara” di burro.
Verso
la fine del secolo Federico muore e gli succede il figlio Giovanni II. Forse
visse poco, forse il contesto politico era molto agitato, forse era propenso ad
evadere, fatto sta che non si sobbarcò alla procedura dell’investitura feudale
e non corrispose i balzelli alla corte reale. Qualche anno dopo il Barberi, un
ispettore regio particolarmente rigoroso, bolla i Del Carretto per questa
evasione fiscale. Intanto era succeduto il figlio di Federico, il celebre
Ercole Del Carretto ed anche lui incappa nelle censure dell’inquisitore: si era
ben guardato dall’ottemperare agli obblighi feudali dell’investitura. Ed eravamo già nel XVI secolo.
Racalmuto
nel XV secolo passa da 800 a 2500 abitanti circa: più che triplicata, dunque,
la popolazione. Non sarà stato tutto merito dei Del Carretto ma tale crescita
non è stata almeno impedita; depone a merito dei locali baroni. Non potè
trattarsi di mera crescita demografica: condizioni politiche, sociali ed
economiche attraevano, di sicuro, gente dai dintorni che trovavano migliori
possibilità di vita nella baronia dei Del Carretto.
Vi
fu però un fatto gravissimo che palesa una mentalità antisemita. Un ebreo fu
barbaramente trucidato a scopo di rapina. Era il 7 luglio 1474 VII Indizione,
l’efferato crimine era già avvenuto. Ma Palermo vigila e non consente crimini
dal vago sapore razziale. Il vicerè Lop Ximen Durrea dà allora commissione ad Oliverio RAFFA di recarsi
a Racalmuto per punire coloro
che uccisero il giudeo Sadia di Palermo,
e di pubblicare un bando a Girgenti per la
protezione di quei giudei. Nei giorni precedenti il giudeo Sadia di Palermo,
abitante nel casale di Racalmuto, attendendo ad alcune sue faccende fu ferito
mortalmente da un tal Leone, figlio di mastro Raneri. Altri facinorosi del
luogo, congregatisi come in un branco, mi misero ad infierire contro il povero
giudeo. Lo colpirono varie volte alla testa, gli tagliarono la lingua, gli
ruppero costole mani e gambe, gli fracassarono i denti ed infine lo gettarono
in una fossa. Lo ricoprirono quindi di paglia e vi diedero fuoco. Mentre
bruciava gli tirarono pietre e terra. Gli ordini all’algozino (ufficiale di
polizia) furono precisi e perentori. Soprattutto, però, bisognava tentare di
recuperare “ uno gippuni in lu quali si dichi erano cosuti
chentochinquanta pezi d’oro” (una giacca nella quale si dice che erano
cuciti dentro 150 pezzi d’oro). Non sappiamo sei soldi furono recuperati,
pensiamo di no. Possiamo essere certi che davvero i responsabili, almeno i
caporioni, furono tutti individuati ed insieme a Liuni figliastro di mastro
Raneri finirono nelle carceri di Agrigento.
Passeranno
meno di vent’anni e nel 1492 la regina Isabella la spunta nel cacciare via
dalla Sicilia gli ebrei. Noi, in ogni caso, siamo convinti che solo gli ebrei
ricchi emigrarono (soprattutto a Napoli, pare): i poveracci non sapevano dove
andare. Cambiarono nome, cambiarono paese, non si circoncisero, divennero
marrani e continuarono a vivere in Sicilia. Tanti ne vennero a Racalmuto come i
tanti La Licata, Lintini, D’Asaro, Aiduni, Caltabiano, Caltavuturi, Camastra,
Castronovo, Castrogiovanni, Chiazza, Madonia, Milazzo, Modica, Monreale,
Montilioni, Nicastro, Noto, Petralia, Ragusa, Randazzo, Sicilia, Siragusa,
Termini, Terranova, Vicari e simili -
che costellano la nomenclatura dell’anagrafe del ‘500 - fanno
trasparire, sia pure con tutte le riserve e cautele del caso.
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