Sto per venire impaniato in una querelle pro o contro Togliatti, ovvio stigmatizzo i miei avversarsari che talora usano persino lurida aggettivazione per ritardare la giusta rivalutazione del sommo Togliatti, sì il migliore. Mi trovo chissà come questo studio. Non so se posso condividerlo, non so se debbo sbriciolarlo, non so se debbo togliere il loglio dal grano. Non ho armi scientifiche per una o l'altra tesi. Solo recentissime ricercahe iin difesa del buon nome del mio intemerato paesano Ettore Giuseppe Tancredi Messana mi hanni fatto rabbrividere e specie per certe rivelazioni dell'archivio sinora segreto del NARA mi hanno fatto passare dal tarlio del dubbio alla certezza della esecrabilità di personaggi alla Li Causi e alla Montalbano prima maniera, facendomi apprezzare la serietà, saggezza, superiore visione politica di tal Togliatti. Qui mi fermo. Mostro lo studio. Se qualcuno vorrà illuminarmi gliene sarò garto- Una cosa so: finché non aprono gli archivi segreti americani e soprattutto sovietici, losche passioni politiche imbratterano fulgide e continueranno a sbattere il mostro in prima pagina, alla Pansa per intendersìci.
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Roma ’44Dall’epurazione all’amnistia Togliatti liquidò Berlinguer
Posted on June 26, 2013 by antonioportobello
La Nota di Maurizio Barozzi
L’articolo, qui sotto riportato, ripubblicato da “NapoLibera”, ha una importanza fondamentale, perchè chiarifica nei loro esatti termini certi andamenti della nostra storia recente.
In questo articolo vengono anche espresse delle considerazioni su figure storiche come, per esempio, Togliatti che a molti hanno fatto storcere la bocca.
A questo proposito bisogna fare qualche precisazione.
Se consideriamo il Togliatti come un comunista non possiamo che riscontrare che fu anche un vassallo di Stalin.
Ma in questo modo, tracciando il segno tra i “nostri” e i “loro” e guardandoci attorno, possiamo identificarci e stringerci, al massimo, attorno a Mussolini e Hitler, dopodiché il nulla.
Estraniamoci però un momentino dalle considerazioni politico-ideologiche e ragioniamo freddamente in termini storici e geopolitici.
Del resto il fascismo, con la sconfitta del 1945, chiuse il suo ciclo storico e oggi ci resta come visione della vita e del mondo e come punto di riferimento anche metastorico (aggiungendoci, en passant, che purtroppo un manipolo di farabutti, destristi, missisti e altro, lo hanno insozzato nella considerazione rispetto alla pubblica opinione e, speriamo di no, anche rispetto alla Storia futura).
Estraniandoci da questo e in particolare se ci mettiamo sul piano storico possiamo ed è doveroso farlo, utilizzare un diverso metro di giudizio e di valutazione di queste figure, possiamo quindi rapportarle ad una semplice considerazione politica e geopolitica, la quale recità così: chiunque, a qualsiasi titolo, ha collaborato per mantenere ed anzi accrescere, il colonialismo anglo americano e l’asservimento al sistema atlantico, oltre ad essere un traditore degli interessi nazionali, ergo del popolo italiano, viene a squalificarsi come uomo e come rappresentante di un partito politico.
Di conseguenza: gli Almirante, i Romualdi, e tutta la classe dirigente di oltre 50 anni di MSI sono dei traditori della Patria, sono dei collaborazionisti e responsabili del nostro attuale stato di asservimento: culturale, politico, economico finanziario e militare.
Stesso discorso vale per i Berlinguer, per i Pertini, i Cossiga e per tutte quelle personalità politiche di sinistra e democristiane che furono sodali alle cosche massoniche e agli ambienti atlantici.
Punto.
Viceversa i Togliatti, i Mattei, i Moro, i Craxi, pur nella loro posizione politica antifascista, ebbero comunque come riferimento della loro prassi politica almeno e sia pure in parte, i nostri interessi nazionali. Non fu un caso che nel dopoguerra proprio Togliatti cercò di portare nel PCI molti elementi provenienti dalla RSI. E alcuni ci andarono.
Che poi Togliatti si sia mosso in questo senso per il suo servilismo alla politica di Mosca, che Mattei perchè era interno a mega interessi economici, Moro perchè rappresentante di un particolare clan di potere nella DC e Craxi altrettanto, tutto questo in politica interessa fino ad un certo punto.
La storia registra gli atti e questi atti ci stanno a dimostrare una loro funzione politica utile allo Stato italiano e al popolo italiano.
Se nel dopoguerra, per oltre un trentennio, si perpetuò, almeno in parte, una certa continuità e soprattutto una “mentalià” di una politica di Stato, dove nel campo sociale l’IRI ne era stata la base fondamentale, lo dobbiamo anche a queste figure, aggiungendoci i Fanfani ed altri.
Spariti loro, sono subentrati i “camerieri dei banksters” ed oggi possiamo dire che l’asservimento del paese è totale e completo.
Dico tutto questo, pur pesandomi, perchè so benissimo che Togliatti fu responsabile di buona parte del sangue versato da tanti camerati, e Mattei, pochi lo sanno, ma fu, assieme a Longo uno degli organizzatori della missione di Walter Audisio, ma la politica non si fa con il sentimento. Mussolini, grande rivoluzionario ed uomo pratico fino all’eccesso avrebbe ragionato esattamente così e proprio con questi uomini avrebbe, se il caso, praticato intese ed accordi, mentre avrebbe avuto ripulsa degli Almirante, dei Pertini, dei Berlinguer, dei Monti.
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Di Maurizio Barozzi
È una vicenda da manuale, quella dello scontro, neanche sotterraneo, tra Palmiro Togliatti, deciso a battere la “via nazionale”, e delle riconciliazione tra italiani separati dalla guerra fratricida ’43-’45; da una parte. Contro, da quella opposta, la setta collaborazionista e terrorista degli “azionisti”, che rifiutarono il pilastro fondativi di quella politica: l’Amnistia del 1945.
Come prima già Benito Mussolini, e Bettino Craxi dopo di loro due, Togliatti aveva perfettamente compreso che senza uno “spazio” istituzionale per la Chiesa di Roma non è possibile nessuna Nazione Sovrana, in Italia almeno. Non per niente, studiatevi la storia del’intero Millennio, in Italia i ghibellini hanno sempre fatto fiasco… E Pio XII fu il Papa che comprese perfettamente, pur nella doverosa scomunica del «comunismo ateo» di cui ebbe fatto orrenda conoscenza durante i moti “spartachisti” quando era a Berlino nel 1918-19, come con Togliatti e il suo “Partito Nuovo” si potesse, e si dovesse convivere.
Sono due accaniti detrattori di Palmiro Togliatti, e, va da sé, di Stalin, come: il giornalista russo-canadese Viktor Zaslavskji; ed il napoletano Massimo Caprara -che fu suo segretario per vent’anni; e da lui Togliatti portato in Parlamento, dopo dieci anni da Sindaco di Portici- coloro che, senza volerlo, nei loro libri dediti gli rendono massimo onore.
B) Cominciamo dal secondo: nel suo journal-memorial, intitolato “Paesaggio con figure” (Ares Editore 2001), egli ricorda l’incontro segreto, lui stesso testimone, tra Togliatti ed il messo di San Pio XII, Salvatore di Roma Eterna. Questi era il famoso Monsignor Giuseppe De Luca, uomo del passato regime e anima del famoso “Primato” di Bottai, per stabilire una forma di convivenza tra le due “opposte” Chiese, in una sola Italia da ricostruire interamente… Ben presente ad entrambi che l’occupazione militare-politica nemica era ben lungi dal dissiparsi, e per decenni e decenni da venire.
E l’accordo ci fu, seppure clandestino e tacito come occorreva, narra Caprara stesso. I contorni si delinearono assai presto, quando all’Assemblea Costituente i deputati comunisti, con le sole eccezioni di Umberto Terracini il Presidente (avrà avuto le sue ragioni anche lui), votarono compatti per l’Art. 7, che includeva di peso l’intero Concordato del ’29 nella Nuova Carta Fondamentale della Repubblica.
A) Il primo invece ci racconta, in un fondamentale “Togliatti e Stalin” scritto insieme ad Elena Aga Rossi, edito da Il Mulino nel 1997, come, già da Mosca, Stalin desse a Togliatti il compito di cercare il Grande Accordo Nazionale che salvò l’Italia dalla manmessa anglo-americana per oltre trent’anni, fino all’ascesa sciagurata di Berlinguer jr., il forcaiolo-giustizialista, alla guida del PCI-Nuova Edizione, passato “sotto la NATO”.
Elevando così, lo studioso degli archivi moscoviti, senza neppure accorgersene, un peana a Stalin stesso, oltre che alla grande intelligenza politica di Togliatti, il quale afferrò in pieno il “senso delle cose”, quando non era affatto semplice riuscirci: vedi ad opposto esempio, il caso di Markos in Grecia.
Di quell’Accordo Nazionale Italiano -oggi smarrito nei fumi oppiacei, prima del referendum anti-Craxi della c.d. “Scala Mobile” del 1984-’85; quindi della operazione eversiva inglese di “Mani Pulite”- resta pietra miliare, eterna ed attuale, il famoso “discorso di Salerno” del maggio 1944. E il compromesso-tattico a breve scadenza dal PCI statuito perfino coi fuggiaschi sabaudi; inclusa la provvisoria accettazione del Governo Badoglio alla guida di Nostra Italia martoriata… Poi da Ivanoe Bonomi, ma sempre a inevitabile guida Alleata.
IL COMMISSARIATO ALLE “EPURAZIONI”
E qui avvenne il fatto capitale. Gli anglo-americani, sempre allo scopo di eccitare l’odio fratricida fra la popolazione di opposte sponde, crearono allo scopo un Alto Commissariato alle Epurazioni, collegato al governo, ma autonomo da esso. Un modello pre-determinato per quello stranissimo statuto della magistratura italiana, unica al mondo ad essere “autonoma” dalla sovranità dei poteri nazionali. Ed è superfluo dire sottoposta a quali, perché si vede a occhio nudo, leggendo i bollettini quotidiani dei poteri finanziari che li ammaestrano (“colpisci questo o quello!”) come loro domestiche.
Si trattava allora, per quell’Ufficio lugubre, di comminare quante più pene, possibilmente capitali, ma anche ergastoli eccetera, a chiunque “fascista” o ritenuto tale, si trovasse a tiro dei Commissari stessi. E non importa nulla se colpevole o innocente, ma purchè fosse ai termini che a quelli committenti interessavano. Che i Grandi Colpevoli, quelli veri in realtà, erano già al sicuro sotto ala inglese.
I Commissari stessi furono scelti fra i “cani da presa” più fedeli al “Re” Sabaudo, fellone e traditore proprio perché aveva ottemperato, con la vergognosa fuga a Pescara, ad un ordine inglese: abbandonare Roma ai tedeschi, senza difesa…
Così nell’Alto Commissariato vi furono immessi quanti più sudditi del tristo Regno di Sardegna, di noto vassallaggio. Sia pure mascherati da “azionisti” intransigenti, repubblicani almeno nella forma.
Tra questi il più importante, il Commissariato ai Crimini di Guerra, fu scelto un “bidello dell’IMI”, cosiddetto proprio da Togliatti in una lettera a Mauro Scoccimarro. Un sassaro-catalano Azzeccarbugli, che aveva da far dimenticare le compromissioni, col Regime, proprio di suo cognato Siglienti, che dell’IMI stesso era stato proprio il Presidente… il suo nome era Mario Berlinguer, un grembiulino di quart’ordine. Però spregiudicato e cinico, e necessariamente “pronto a tutto” pur di sfruttare il momento propizio.
Diventò, nelle mani degli inglesi, un micidiale carnefice, giustizialista ante-litteram.
Egli faceva parte di una massoneria ultraperiferica, quella di Sassari, ovviamente sabauda.
L’entrata in guerra trovò questo gruppo di “happy fews”, latifondisti che si erano riconvertiti alla finanza proprio attraverso l’Istituto Mobiliare Italiano, la banca addetta a drenare capitali dalla rendita agricola verso gli impieghi industriali in favore del Piemonte. La nascita dell’IRI, guidata dal “confratello” Alberto Beneduce, peraltro meritevolissimo di ogni lode, con le necessità pubblica di sottoscrivere debito per la ricostruzione stessa, fu la Grande Occasione per questi ras-feudatari sottoscrittori di larghissime fette di Debito Pubblico, di lanciarsi in politica…
Il nucleo era costituito dai clan tribali: Segni, Berlinguer e Siglienti, stretti ulteriormente fra di loro attraverso numerosi matrimoni endogàmici. Il valvassino Cossìga (=Còrsica, in catalano “Corsìga”), al secolo noto anche come Mauro Franchi o Franco Mauri (=Libero Muratore, in franco-anglo-tedesco), giunse solo dopo, di “inferiore” appartenenza natale. Questi clan parentali di affaristi “puri”, se da una parte lucravano grandemente sul Fascio, dall’altro ne temevano una Riforma Agraria tipo Paludi Pontine, che li espropriasse dei loro privilegi feudal-massonici.
E per questo, già da inizio guerra, evidentemente pre-allertati sulla “trappola a Mussolini” che questa effettualmente costituiva, crearono il nucleo primigenio della futura “Gladio” collaborazionista col futuro terrorismo atlantistico, sia militare che mafioso-giudiziario, destinato a insanguinare l’Italia, ed a sconvolgere gli equilibri di Helsinky ’75, già statuiti in Europa e nel mondo. E conseguentemente a distruggere lo Stato Italiano di tutti i Cittadini, in favore dello spadroneggiamento totale delle consorterie “per soli eletti”. Tipo quelle loro: come teorizzò Berlinguer figlio, la “Dittatura degli uomini virtuosi”, sostenuta da Scalfari su “la Repubblica”. Che mai furono né lui né suo padre, come i fatti crudeli hanno poi largamente comprovato.
Su questo primigenio “nocciolo sardo” della Bestia “Stay-Behind” che insanguinò l’Italia a tale scopo, ha scritto proprio Cossiga in persona, in numerosissimi articoli e interviste.
Mario Berlinguer che ne era parte cospicua fu designato allora dagli inglesi, giugno ’44 a Roma “liberata”, per decreto Regio su proposta del fantoccio-Bonomi, Alto Commissario alla Epurazione dei Criminali di Guerra.
Il bilancio della sua magistratura si misura dalle cifre: decine di ergastoli, fucilazioni, pene detentive spesso ingiustissime. Ma, fra tanti delitti, tutti giustificati in nome della “vendetta popolare”, soprattutto un gravissimo errore: il linciaggio preordinato, su ordine impartitogli dal colonnello John Pollock del PWB, di Donato Carretta.
Anche se un suo astutissimo figliolo, tal Enrico, si era “fatto arrestare” ad ogni costo, ma solo ad occupazione alleata già avvenuta, e per sole due-tre ore, in curiosi e anacronistici “disordini per il pane”, scoppiati in Sassari nell’estate del 1944, la famiglia Berlinguer non aveva francamente alcun titolo “antifascista”, men che mai “militante”. Così la sua inaudita severità contro i perdenti della guerra civile, funse da “metadone” di questa mancanza. Dalli duro contro le vittime, figurerai come un “vero” Resistenzialista!
IL LINCIAGGIO DI DONATO CARRETTA: 18 settembre 1944
Il 18 settembre 1944 si doveva processare l’ex-Questore di Roma, Pietro Caruso, che fu poi fucilato dopo un processo sommario con sentenza già scritta.
Ma a deporre quel giorno fu chiamato Donato Carretta, l’ex-Direttore del carcere di Regina Coeli; ove erano stati rinchiusi, durante la “vacatio legis” tra la fuga del sabaudo e l’occupazione successiva degli Alleati, tanti antifacisti. Molti di questi furono largamente, e notoriamente, favoriti dallo stesso Carretta: per esempio la fuga di Pertini e di Saragat, per tanti aspetti così poco chiara. Certamente favorita, a dir poco, dallo stesso Carretta: ma non certo senza un accordo preliminare e preventivo fra tedeschi ed anglo-americani, oramai alle porte di Roma…
A questi infatti un Pertini, che si era “fieramente” opposto al discorso di Togliatti sul governo unitario nazionale, con un Saragat idem, faceva assai gran comodo!
E non fu forse così casuale che i due “fieri antifascisti”, sempre in esilio in Francia (Pertini a Nizza, cioè “fori porta”, che lui era di Savona. Svolgendo attività di “muratore”, come lui stesso si compiaceva dire), giammai dietro le sbarre, poi divennero Presidenti al Quirinale… entrambi col consenso comunista. Pertini addirittura imposto da Berlinguer, che costrinse Leone alle dimissioni, previa campagna diffamatoria scalfariana antesignana di “Mani Pulite”, grazia allo sbando democristiano successivo all’assassinio di Aldo Moro, nel 1978.
Il regista dei processi era questo John Pollock*, dirigente dello Psychological Warfare Branch, il più alto ufficio di spionaggio dell’Intelligence Service.
Mario Berlinguer «faceva “o muorto”», come si dice a Napoli in gergo di teatro; cioè fingeva di “presiedere” il tribunale stesso, fornendo un comodo alibi “italiano” ai comandi stranieri che ordinavano morti e fucilazioni per protrarre la guerra civile tra italiani anche dopo la fine della vera e propria “guerra armata”: così loro comandavano, insieme, da una parte e dall’altra, alle “opposte partigianerie”.
Il povero Carretta era sicuro, dati i meriti pregressi, e cioè il suo sereno e inevitabile “doppiogiochismo” in quei tempi ferrigni, di farla franca. E non sospettava che gli alleati proprio per questo avessero deciso di ammazzarlo: ma non per condanna penale di quella Corte militare messa in piedi per scopi di eccitare, che mai si sarebbe giustificata! Bensì tramite linciaggio di una “anonima” folla…
Perché sapeva troppo, il povero Carretta, di imbrogli e intrugli tra gli opposti fronti, dietro la facciata della guerra sporchissima “contro l’Italia e contro gli italiani” da loro Alleati combattuta anche eccitando i tedeschi a combatterla coi mezzi più cruenti! Vedi la strana, lentissima, battaglia di Montecassino, ritardata apposta da tanti “incomprensibili sbagli” militari: per distruggere poi, “giustificatamente” causa lentezza stessa, la meravigliosa Abbazia con uno dei più orrendi e blasfemi bombardamenti aerei della storia!
Firmato e sottoscritto Psychologichal Warfare Branch, ufficio di Napoli in Piazza della Borsa, che così pianificava le “strategie” d’urto contro i simboli stessi dell’Italia, per lasciarne orfanelle le sue popolazioni martoriate, anche di quelli ai più Alti Comandi.
John Pollock* ordina a Mario Berlinguer di organizzare una udienza quanto più aperta alla “ggggente”: quegli, obbediente, diramò centinaia di inviti in un’aula che ne poteva contenere sì e no cinquanta. Molti professionisti del disordine, ingaggiati allo scopo, furono convocati apposta dagli uffici Alleati.
Quando la folla si fece enorme e mugghiante, l'”errore” preordinato di Berlinguer, a scatenar la furia belluina: “l’udienza è rinviata!”. Come previsto, esplose la tempesta. L’orrendo linciaggio del povero Carretta, inclusa la ribellione alla massa ferina di quel tranviere, un vero comunista-patriota, che si rifiutò di stritolarne il corpo sui binari come incitavano a fare i capi-folla, fu tutto filmato. E questo è un caso strano, fra tante stranezze più comprensibili, da Luchino Visconti, ancor fresco di “Ossessione” prodotto proprio da Vittorio Mussolini…
Forse filmò a futura memoria di qualcuno? E ordinatogli da chi, che a quei tempi la pellicola costava moltissimo? Probabilmente proprio da Togliatti, al di quale Partito Comunista l’artista aristocratico si era andato avvicinando dal giugno che gli Alleati erano entrati in Roma. Forse in quel film obliteratissimo, a vederlo soltanto, emergono “le prove” della pre-fabbricazione di quell’osceno massacro che prelude all’infamia analoga di Piazzale Loreto… solo sette mesi dopo.
Fu questa la molla decisiva che spinse Togliatti, non fosse che per obbedire altrimenti che agli inglesi, stava o no agli “ordini di Stalin”?, a “liquidare al più presto questo Berlinguer”, come lui stesso disse a Mauro Scoccimarro che di quell’Alto Commissariato fece pur parte, per evitare che stragi e massacri ulteriori, vendetta contro vendetta, insanguinassero ulteriormente l’Italia e gli italiani, che era proprio quello che gli inglesi volevano.
L’Amnistia fu lo strumento che soppresse de facto e di diritto il “fanatico” giustizialista epuratore. Suo figlio, tal Enrico, di conseguenza ai fatti, fu iscritto d’ufficio, pur giovanissimo, qual premio di consolazione per il padre trombato da tant’Ufficio, alla Direzione Nazionale del PCI. Sì, proprio lui. Il futuro “feroce giustizialista”, il truce fariseo-Savonarola della “questione morale”, tipo il film di Alberto Sordi by Luigi Zampa, “Il Moralista”. A cui Pertini faceva da “pechinese” in braccio.
Iscritto nel 1944 alla direzione del PCI, appena ventiduenne: «quando ancora portava il grembiulino», lo chiosava così l’antifascista “vero”, con 13 anni di carcere alle spalle.
Un fesso che di nome faceva Giancarlo Pajetta.
Pompeo Ingravallo
* John Pollock, vedi caso, era il cugino di un custode-bidello del Museo Solomon Guggenheim di New York. Peggy Guggenheim, la nota miliardaria che ne era nipote, conobbe questo “Colonel John” quando si trasferì in Italia dopo la guerra, per stabilirsi a Venezia con tutta la sua collezione d’arte d’avanguardia, ma ancora di impronta francese (Man Ray, Duchamp ecc.).
E diventò poi l’amante del suo omonimo cugino, Jackson Pollock, un alcolizzato al quale fu insegnato a pisciare sulle tele…Nacque così l”action dripping’, coi fondi dei servizi di propaganda di cui la Guggenheim era parte eminente, acquisendo la famosa Ca’ Venier dei Leoni, sul Canal Grande, sestiere Dorsoduro-Accademia, il più pregiato alle soglie del bacino di San Marco. Tutta una stessa famiglia di ‘grandi artisti’… (notizie tratte da “Comment New York vola l’idée d’Art Moderne”, di Serge Guilbault, Jacqueline Chambon Editeur, Paris 1999)
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